Capitolo 17

Laura ammirava sconsolata la grande distesa bianca che aveva ricoperto ogni cosa: la strada come l’orto. Da diversi giorni era confinata in casa tra la bottega e la sua stanza, prigioniera della neve. Doveva condividere quegli angusti spazi coi genitori e il fratello e provava un senso di angoscia e oppressione. Ebbe un’associazione logica con la sorella, Lucrezia, che era suora nel convento di Sant’Agostino.

“Starà bene? Lei dice di sì ma dubito che affermi la verità. Sarà sostenuta da una grande fede ma gli spazi ristretti non aiutano di certo lo spirito. In questi giorni mi pare di essere rinchiusa in convento, dove la madre badessa è mia madre. E non è un bel vivere ma solo un sopravvivere per necessità”.

Non riusciva a comprendere perché la clausura forzosa di questi giorni avesse risvegliato questa associazione di pensiero. Non era la prima volta che una nevicata copiosa l’aveva costretta a vivere nel poco spazio casalingo, dove tutti erano nervosi per via della mancanza di libertà di movimento. Si pestavano i piedi a vicenda, incendiandosi per un nonnulla. Però mai aveva collegato il convento con la casa come questa volta. Ricordava con senso di angoscia, come la partenza della sorella per il monastero fosse stata vissuta in famiglia peggio di un funerale. Da quel giorno nessuno di loro nominava il nome come se fosse stata inghiottita nel nulla.

Per i genitori era morta ma per lei era viva, perché era l’unica in famiglia che a intervalli regolari l’andava a trovare. L’incontro nel refettorio le metteva tormento nell’anima, vedendola vestita da novizia nella veste bianca e la ghirlanda verginale in testa. Lucrezia diceva di essere felice a contatto col Signore, ma a lei pareva triste e impaurita. Non la convincevano quelle parole, pronunciate stancamente, come se stesse salmodiando.

Qualche volta aveva accennato timidamente a Paola le sue impressioni ma non aveva risposto, ignorando le domande. Non capiva questo mutismo, perché, quando andava a messa in San Paolo, il frate predicatore non faceva altro che glorificare le suore dei monasteri di Ferrara, additandole come fulgidi esempi di carità cristiana. Però aveva rinunciato a pensarci, anche perché aveva ascoltato delle voci non propriamente tenere e benevole sulle suore nei conventi.

Le amiche raccontavano che si tenevano dei festini con vino e uomini, mentre le novizie perdevano la loro verginità. Non aveva compreso bene in che modo, perché era convinta che fosse l’uomo a privarle, mentre ke dicerie non includevano l’elemento maschile. Per lei quindi il mistero era fitto e impenetrabile.

“Ma come è possibile?” si domandava incredula. “E’ possibile che questo avvenga per opera di un’altra donna? E come?”.

La curiosità era enorme ma le risposte le apparivano stravaganti. Pertanto Laura non voleva prestare fede a quello che ascoltava e continuava a immaginare il monastero come a un’oasi di pace e spiritualità.

Appoggiata al davanzale della finestra, smise di associare la sua attuale condizione a quello della sorella e si dedicò all’osservazione di quello che doveva essere l’orto, completamente nascosto alla vista. Mentre prendevano forma questi pensieri, che di norma erano relegati in un angolo senza possibilità di uscire allo scoperto, il ricordo della visita del Duca era diventato un pallido ricordo che era sbiadito giorno dopo giorno. Ormai non ci pensava più.

Con un lungo sospiro si staccò dalla finestra e tornò da basso al tavolo di lavoro, anche se ormai non c’era quasi più niente da sistemare. Se non fosse cambiato nulla nei giorni successivi, percepiva il rischio di perdere la testa tra il non far niente e il continuo pensare alla sorella.

Giacomo rimase piacevolmente prigioniero di Giulia e Ginevra che gareggiavano tra loro per conquistare l’attenzione dell’uomo. Non si annoiava sicuramente ma provava un senso di ansia perché era sicuro che sarebbe finito in qualche trabocchetto, che avrebbe smascherato la sua presenza anomala in questo periodo.

Lo staffiere era riuscito a raggiungere l’abitazione fuori delle mura per informare i famigliari che stava bene e che era impossibilito a fare ritorno a casa. L’aspetto, che avesse dato notizie alla famiglia, gli risultava indifferente perché non la percepiva come un luogo che gli suscitasse particolari emozioni. Giulia gli assegnò la stanza degli ospiti in un’ala defilata del palazzo, relativamente vicina alla sua e a quella di Ginevra. Questa sistemazione avrebbe consentito alle due donne di raggiungerlo senza dare troppo nell’occhio.

Durante la giornata Giacomo si comportava in maniera irreprensibile, cercando di soddisfare la curiosità dei padroni di casa.

“Siete l’ingegnere idraulico del Duca?” gli chiese a tavola il padre di Giulia.

“No, no. Non sovraintendo agli argini di fiumi e canali. Mi occupo di altro” mentì con la speranza di non dover spiegare le reali mansioni, che ignorava.

“Di cosa vi occupate?” lo incalzò la madre tra una portata e l’altra.

“Beh! il mio è un operato molto riservato. E il nostro Duca non ama che sia divulgato. Mi spiace essere così reticente ma dovete capire la mia posizione” si inventò per tagliare corto su questa discussione, che rischiava di prendere una piega non propriamente felice.

“Oh!” esclamò sorpresa e dispiaciuta la moglie del padrone di casa.

“Madre!” esclamò Giulia che sino a quel momento non era intervenuta. “Messer Giacomo è una persona discreta e riservata. Non ama parlare dei lavori assegnati dal nostro amato Duca. Dunque parliamo d’altro. Gli argomenti non mancano”.

Questo intervento aveva messo fine a una questione assai scivolosa, mentre lui poteva rilassarsi sicuro che non sarebbe stato più toccato.

Si informò sulle origini della casa, scoprendo che erano originari di Verona.

“Gran bella città è Verona” pensando a come la ricordava nella sua epoca. Com’era attualmente lo ignorava completamente.

“No. Ferrara è molto meglio. Il duca Ercole I l’ha trasformata in una città moderna con strade rettilinee e ampie. E’ tutto un cantiere. Anche questo palazzo è sorto da pochi anni. Qui un tempo c’era il mercato del bestiame”.

“Avete ragione. La città sta cambiando forma. Quasi non la riconosco più” aggiunse rinfrancato.

“Ma voi, messer Giacomo, dove abitate?” domandò maliziosamente la madre di Giulia.

“Fuori la mura. Nella tenuta dei Crispi” disse pronto, ricordando di averlo udito da Ghitta. “Io, mio fratello Ercole e le nostre famiglie. Non molto distante dal canale Naviglio. In una bella villa con annessa la chiesetta”.

Giacomo non aspettava altro che alzarsi da tavola per mettere fine allo stillicidio di domande ma doveva pazientare.

“Spero che presto possa togliere il disturbo ..”.

“Quale disturbo?” esclamò Giulia. “Sei un ospite graditissimo con il quale è piacevole discorrere”.

Un sorriso illuminò il viso dell’uomo per l’ennesima ciambella di salvataggio che gli aveva gettato.

Era la sera che era intrigante e gradevole con le attenzioni di Giulia e Ginevra che gareggiavano tra loro con sua grande soddisfazione.

13 risposte a “Capitolo 17”

  1. L’associazione tra la clausura e la permanenza forzata in casa rende perfettamente l’idea… tra l’altro il paesaggio innevato con la sensazione di udito ovattato che dà, fa diventare tutto ancora più soffocante…
    tante ragazze a quei tempi erano costrette a farsi monache per ragioni squisitamente economiche, che nulla avevano a che fare con la vocazione… chissà che inferno doveva essere per loro stare rinchiuse…
    un abbraccio

    1. L’idea dell’accostamento tra convento e casa bloccata dalla neve mi è sorto leggendo che Laura Dianti aveva una sorella, Lucrezia, monaca nel convento di Sant’Agostino. Leggo con piacere che l’accostamento è risultato positivo.
      La piaga delle vocazioni femminili in quell’epoca è nota anche se messa sotto silenzio, come è pure nota quanti soprusi sono stati consumati tra quelle pareti.
      Un grande abbraccio

  2. Ecco riconfermata la vicinanza della fantasia con la solida realtà. Se non ricordo male anche i cadetti di molte casate furono costreti a scegliere tra la via della spada o quella del convento. In fondo la scelta religiosa era anche un mezzo per avere la certezza di un sostentamento giornaliero, data l’incertezza … alimentare di quei tempi, coniugando così felicità d’anima e di corpo.
    Il nostro Giacomo é stato messo in difficoltà a quanto leggo e buon per lui che le due giovani donne gli reggono il gioco … “Cicero pro domo sua”. L’equa spartizione dell’amante, mi sa che fosse una scelta oculata a quei tempi.
    ps: dall'”Ufficio Refusi” = “mentre ke dicerie non includevano l’elemento maschile.”

    1. Giacomo cerca di destreggiarsi in un ambiente non suo e al momento ci riesce.
      La vita ecclesiale era un comodo rifugio per sbarcare la giornata: un tetto e un pasto erano sempre assicurati. Inoltre non era detto che le privazioni fossero totali, specialmente quelle carnali. Sulla vita conventuale delle monache sono stati versati fiumi d’inchiostro per descrivere passioni torbide e erotiche con scelta a piacere.
      Ringrazio l’ufficio refusi per la preziosa segnalazione. Cerco sempre di correggermi ma ogni tanto scappa qualcosa.

      1. Sarà l’ambiente così chiuso, qual’é il convento, che tutte le pruriggini umane si sono scatenate per introdurvi anche là, quello che accade per il mondo. Credo che la percentuale di certi racconti sia banalmente infinitesimale, rispetto alla realtà della vita conventuale.
        Oggi poi che quella vita sta trovando nuovo impulso e rivalutazione, soprattutto nel mondo giovanile. Pare che ancora una volta assolva ad un antico compito. dare stabilità e sicurezza.

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