Il mazzo di fiori – parte sesta

Ludmilla sposta vaso e biglietto in cucina. Non pare intenzionata a separarsene. E’ in pigiama, irriconoscibile coi capelli irti sul capo e senza trucco. Sembra malata, tanto è pallida. Alza le spalle, perché sa che nessuno la vedrà ridotta in quello stato. Si aggira come un automa per la piccola cucina, perché la mente è tutta rivolta a quello che ha letto sulla grafia fino a pochi minuti prima.

“Una persona creativa e piena di fantasia che però sa rimanere fredda e dolce allo stesso tempo. Un bel rompicapo!” si dice inquieta. Prova a pensare alle persone che conosce senza trovare delle somiglianze.

“E se fosse donna?” ragiona ad alta voce. Questo dubbio riaffiora senza vedere un volto definito. “Veramente…”.

Tra le donne che frequenta o ha frequentato nessuna ha le caratteristiche dell’identikit tracciato da Google. Sembra un miscuglio di volti, shakerati tra loro per dare origine a un mostro, un Frankestein in gonnella. Scaccia l’immagine ma nemmeno tra i pochi maschi che conosce trova delle somiglianze.

“E’ inutile cercare quello che non c’è”.

Apre il frigo. E’ quasi vuoto, come verifica visivamente. Non si stupisce, perché è normale per lei.

“Non amo vedere il frigo pieno” dice ridendo, mentre chiude la porta. “Devo uscire, se voglio mangiare qualcosa”.

Si sente impigrita ma deve scacciare l’apatia. Va in bagno malvolentieri per mettersi in condizione di andare al supermercato un po’ presentabile.

Per Teresa era il primo giorno di lavoro. Piccola, rotondetta e coi capelli ricci si presentò una mattina di ottobre di due anni prima all’ingresso del palazzo, dove aveva la sede la società R&S. Era intimidita. Non conosceva cosa avrebbe fatto e con chi. Mille dubbi si attorcigliavano nella testa, uno per ogni riccio.

“Buongiorno. Sono Teresa Lapiccola. Sono una neo assunta” borbottò, strascicando le parole.

Dalla guardiola la osservarono e poi abbassarono lo sguardo. Teresa allungò il collo senza vedere nulla. «Cosa guardano?» si domandò, mentre udì il clack della porta che si apriva.

“Entri, signorina Lapiccola. E si accomodi nel salottino uno” udì una voce gracchiante fuoriuscire dal vetro.

Spinse la porta e si chiese come aveva potuto udire quelle parole. Il vetro pareva omogeneo e non aveva scorto altoparlanti sulla divisoria. Scosse la testa e si incamminò, cercando il salottino uno.

“E’ il primo a sinistra”. Ancora quella voce metallica suggeriva la direzione da prendere. Teresa pareva smarrita. Udiva ma non capiva come potessero giungere fino a lei le parole. Spinse la porta socchiusa e si sedette su una poltroncina rossa. In punta, appoggiata scomodamente, teneva le mani sulle ginocchia come per darsi coraggio.

“Buon giorno, signorina Lapiccola”. Sobbalzò, perché non si era accorta dell’arrivo di una donna non giovane e nemmeno vecchia. Giudicò che aveva un’età indefinita. Si alzò di scatto, diventando rossa. La signora sorrise e allungò una mano.

“Benvenuta tra noi”.

Teresa non spiaccicò parola. «Bell’inizio!» si congratulò con se stessa, dandosi della somara, mentre stringeva fiaccamente quella mano tesa.

“Venga. L’accompagno nell’ufficio, dove è destinata. Poi il dottor Chiumento la convocherà per fare due chiacchiere” le disse avviandosi verso l’ascensore.

La ragazza la seguì in silenzio. Pareva affetta da afasia, perché non era uscito dalle sue labbra nemmeno un piccolo sospiro.

“Ecco Ludmilla Presente, la sua compagna di ufficio. Le darà tutte le indicazioni” disse con tono professionale e freddo.

Teresa rimase folgorata. Percepì subito che era scattato feeling con lei. Alta, bionda, dalle forme perfette. Le sembrò una diva. Del tutto differente rispetto lei.

“Ciao” le disse, avvicinandosi.

“Teresa” mormorò in maniera appena percettibile. La sua avventura lavorativa cominciava nel migliore dei modi o forse nella maniera più impacciata che avesse potuto immaginare.

Ludmilla, mentre pedala verso il supermercato, ripensa alla prima volta che ha visto Teresa. Non capisce perché riaffiori quel ricordo. Eppure è vivido nella sua mente.

“Una ragazza piccola, cicciotella, come un puffo, e un casco di ricci biondi in testa”. Ecco come le si presenta l’immagine della ragazza. “Era talmente impacciata che a stento ho udito il suo nome. Che impressione ho avuta? Negativa!” dice ridendo, mentre posteggia nella rastrelliera la bicicletta, che chiude con cura.

Scaccia quel pensiero senza risultati apprezzabili. Teresa torna sempre a galla come un sughero.

“Perché scorgo la visione della mia compagna d’ufficio?” si domanda varcando la soglia. “Non mi pare che possa corrispondere alle descrizioni che ho letto. E poi perché doveva mandarmi un mazzo di rose con quella frase?”

Scuote la testa e comincia a girare per le corsie, riempendo il cestello di plastica rossa con quello che le serve. Non ha una lista, né ha un’idea precisa di quello che vuole comprare. Va a tentoni come è solita fare in queste occasioni o forse sempre. Cammina, osserva, prende in mano un prodotto, lo ripone sullo scaffale e prosegue. Ogni tanto ne depone uno nel cestello. Il supermercato si svuota, mentre Ludmilla si aggira ancora al suo interno. Guarda l’ora, sussulta ed esclama: “Capperi! Sono già le due! Il tempo è volato. Mi serve di qualcosa di pronto da fare al volo in pochi minuti! Altrimenti finisce che pranzo, merenda e cena diventano un tutt’uno!”

Sorride a quello che ha appena detto ma non si scompone. Continua con flemmatica lentezza il giro degli acquisti. Oggi vuol godere la vita lentamente.

Controlla il cestello e non vede nulla di veloce da usare subito a casa. Va al banco della gastronomia per acquistare affettati e formaggi.

“Per fortuna non c’è nessuno!” riflette, mentre ordina prosciutto crudo di Parma.

Dà un’occhiata svelta ai piatti pronti. Niente di interessante. Prende un po’ di spinaci già cotti e cipolline al forno come verdura.

Freme perché vorrebbe essere già a casa a consultare il web. Paga e pedala con furia sulla via del ritorno.

Apre il computer e esclama stizzita: “Cazzo, manca la connessione!”

Controlla il router, tutto a posto fuorché la lucina di internet.

“Merda!” continua a imprecare.

Prende il contratto, sottoscritto da appena una settimana, per leggere le istruzioni in questi casi.

«In caso di guasti alla linea ADSL contattare il sito www.felicicom.it oppure comporre il numero verde 800.XXX.YYY. La chiamata è gratuita solo dai telefoni fissi…» legge ad alta voce.

Le verrebbe da ridire, se non fosse incavolata.

“Perché ho lasciato la vecchia e malandata Telecom?” si chiede sconsolata. “Almeno il 187 funziona, anche se spesso ho imparato a memoria i loro stacchetti musicali”.

Composto il numero verde, ascolta la solita voce registrata.

“Tenete il contratto a portata di mano. Se è sì, premette 1, altrimenti un tasto qualsiasi…”.

“Cominciamo bene…” dice Ludmilla, premendo il tasto.

“Premette 1 per un offerta commerciale…”

“Non ci penso proprio” esclama mentalmente.

“2 per la linea ADSL…”

“Perfetto!” esclama la ragazza, pigiando il 2.

“…premette 1, per segnalare un guasto, un tasto qualsiasi per uscire…”.

Senza fare commenti, preme il tasto.

“Per segnalare il guasto, compilate il questionario presente sul nostro sito www.felicicom.it” e ascolta i ringraziamenti per la chiamata.

Ludmila è basita. E’ rimasta senza parole. Si domanda come può scaricare il questionario se manca il collegamento.

“Stronzi!” è la prima parola che le esce di bocca dopo l’afasia totale che l’ha colpita.

“Non posso mica pensare di andare in un Internet point o comprarmi uno smartphone per poter compilare il famoso questionario” urla nel silenzio dell’abitazione.

Torna a osservare il router e le sue luci verdi. E’ tutto come prima.

“Chi posso chiamare?” si domanda. “Carlo? Verrebbe di corsa ma io non lo sopporto. E poi è pronto a fare un buridone1. Altri ragazzi non ne conosco”.

Si siede sconsolata osservando le luci che si muovono inutilmente. Quella buona, di Internet, è spenta.

“E vabbene. Lo farò lunedì dall’ufficio” esclama arrabbiata.

Guarda l’ora e dice scuotendo la testa: “Tanto vale aspettare un paio d’ore. Pranzo e cena saranno un tutto unico”.

Arrabbiata, mentre soffia come una gatta inferocita, mette in frigo gli acquisti del supermercato.

1“buridone” è un termine tipico emiliano eccheccàz. A Ferrara significa saltare addosso. Altrove Merdaio, bolgia.

24 risposte a “Il mazzo di fiori – parte sesta”

  1. ahahah, sono morta dal ridere per certe scene (vedi telefonata al numero verde) ed espressioni come “mentre soffia come una gatta inferocita”.
    (per il buridone invece c’è libera interpretazione o è da intendersi come a Ferrara? ;)).
    bravo Gian Paolo, un sorriso e buon proseguimento di giornata.
    Lud

    1. La scenetta del call center l’ho vissuta in prima persona un paio di anni fa. Quella TLC ha chiuso con me per sempre.
      Buridone? Senz’altro nel senso di Ferrara! Un salto addosso e via! Credevo che si evincesse dal testo!
      Un sorriso, Lud!
      Gian Paolo
      PS Spero che quello che scrivo non ti dispiaccia, avendo preso a prestito il tuo nome (o nick non importa).

      1. e chi non si è mai “divertito”con il call center?! per descrivere così la scena ho quasi pensato che ci fosse una microspia in casa mia 😉
        P.S.: certo che no, è tutto frutto della tua fantasia anche se succede che talvolta qualcosa corrisponda a realtà

        1. I call center sono la nostra croce, perché insopportabili, e delizia, perché sono fonte di umorismo gratuito. A volte ci vuole pazienza, perché loro non ne hanno colpa.
          Mi conforta il pensiero che fantasticando riesca ad avvicinare a situazioni reali.

  2. Il racconto si riempie di nuovi spaccati che infittiscono la trama ma non risolvono l’enigma.
    Chi ha regalato quel mazzo di fiori? Non ci è dato saperlo, occorre attendere ancora un po’, con pazienza certosina.
    La settima parte diraderà parte della nebbia, almeno spero! 😉
    un abbraccio
    Affy

  3. Uhm… perché mai collegare il profilo dell’ammiratore con la collega (o ex collega?)… anche se il post rivela poco, è quasi un capitolo di passaggio, questo particolare mi incuriosisce…

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