Un viaggio, un incubo – ventitreesima puntata

Questa volta niente errori. La puntata è quella giusta 😀 La storia continua e volge verso il finale. Qui potete rileggere le altre puntata.


Foto di Eneida Nieves da Pexels

Buona lettura

Mark va nella cucina imprecando agitando il dildo come un’arma. Deve per il momento rinunciare a scopare Simona. Troppo dolore. Però un sorriso assassino increspa le sue labbra.

«Per il momento rinuncio a fotterla» esclama con una punta di odio. «Ma rimpiangerà di avermi bloccato. Slut

Apre il frigo per prendere una birra ghiacciata che ingolla in tre sorsate. Si netta la bocca con la mano. Fa un rutto potente e poi un altro.

Un ghigno cattivo si stampa sul suo viso. Torna nella camera da letto brandendo il dildo.

«Adesso, slut, capirai cosa vuol dire esserti opposta» esclama agitando il dildo sotto gli occhi atterriti di Simona.

Lo fa scivolare nell’incavo del seno, mentre le strizza con cattiveria un capezzolo. Simona serra le palpebre e stringe i denti. Cerca di rimanere rigida, mentre sente il dolore acuto provocato dalla mano di Mark. Vorrebbe urlare ma non può. Scivolano delle lacrime sul viso.

Mark vuol giocare con il terrore e il dolore di Simona. La vuol sentire implorare di smetterla e acconsentire di fare sesso con lui. Gli bruciano due cose: l’essere sfuggita alla violenza dallo sfasciacarrozze e l’essersi opposta stringendo i muscoli pelvici poco prima.

Gli appoggia il dildo sul pube, finge di penetrarla, urla parole sconnesse.

Simona è impietrita dal terrore. Sa che questa volta la violenza arriverà e sarà brutale. D’istinto stringe i muscoli pelvici. Sente il dildo pericolosamente vicino. Stringe ancora di più cercando di chiudere la gambe ma i legacci segano la carne delle caviglie. Nuovo sangue e siero colano dalle ferite.

Mark riporta il dildo verso la bocca, rifacendo il percorso inverso di poco prima. Vorrebbe ficcarlo in gola ma non può. Dovrebbe togliere il bavaglio e Simona potrebbe urlare e svegliare il caseggiato. Rinuncia a malincuore e ripete l’operazione precedente.

Il dildo è sul pube pronto a penetrarla con violenza, quando la suoneria di un telefono riecheggia nell’appartamento.

Ha un sussulto. Si ferma. Si guarda smarrito intorno alla ricerca della fonte sonora, che continua a far sentire la sua voce. Decide di ignorarla. Smette ma passati pochi secondi riprende insistente. Deve far tacere quel telefono e comincia la ricerca, mentre la voce di un vicino infastidito urla improperi. Sente battere sulla parete che sembrano di cartone.

«Get the fuck out of here… You’re such a fuck!» grida verso la parete indispettito, mentre il suono del telefono continua ostinato a farsi sentire.

Il frastuono non cessa, mentre qualcuno dal piano di sotto lo manda al diavolo con male parole.

«È notte!» strepita un altro vicino battendo con veemenza un oggetto sul muro.

Sembra che mezzo caseggiato sia stato svegliato dal rumore della suoneria e dalle urla dei locatari inferociti.

Mark è paralizzato dalla rabbia, perché l’hanno interrotto sul più bello. Si aggira per la stanza per mettere a tacere il telefono. Rovescia una sedia nella penombra, suscitando nuove veementi proteste dei vicini.

Mentre si avvia verso la cucina dove ricorda di aver messo il suo telefono, un’altra suoneria si mescola con la sua.

L.A.Women dei The Doors irrompe nella stanza. Mark si blocca. Proviene da un angolo dove stanno i vestiti di Simona. Alza le spalle e si dirige verso la cucina deciso a vedere chi lo chiama con tanta insistenza. Per quell’altro lo metterà a tacere più tardi.

Simona avverte forti dolori, che le provocano fitte lancinanti a intermittenza senza che lei possa nulla per alleviarli. Non può difendersi, deve solo subire. Percepisce l’angoscia che sta sormontando la volontà di reagire, ma riflette che non può permettere che lui faccia quello che vuole del suo corpo.

“Il primo assalto è respinto con fatica” valuta dolorosamente. “Ma prima che finisca sarà un calvario. E anche il dopo non sarà migliore, ammesso che ci possa essere un dopo”.

Sente la suoneria. Non è la sua, deduce che sia quella di Mark. Ascolta le urla sconnesse e spera che risponda per consentirle di riprendere fiato e forze nell’attesa del prossimo attacco.

“Il bruciore è insopportabile. E non so, se la prossima volta resisterò. Ma mi devo concentrare. Non devo abbassare le difese. Devo rendere la vita al mio aguzzino il più difficile possibile. Lui vorrà divertirsi e non avrà voglia di rompere il giochino tanto presto. Gli toglierò la soddisfazione di farlo. Poi sarà quello che sarà. È inutile farsi molte illusioni”.

Il telefono smette di eseguire L.A.Women dei The Doors con delusione di Simona, che non può godere di una tregua più lunga.

Mark alla fine lo trova dove l’ha lasciato: sul tavolo in cucina ma ha già smesso come l’altro. Ha perso la concentrazione, la voglia di vendetta.

«Slut avrai quello che ti meriti» esclama aprendo il frigo. «Ho la notte a mia disposizione. E domani, dopodomani e finché non mi stancherò».

Prende un’altra birra ghiacciata e un contenitore con un quarto di pollo immerso in una salsa piccante. La tensione e le contrarietà gli hanno messo fame e sete.

«Fuck! Ho passato la notte insonne e non ho combinato nulla» dice pulendosi la bocca con il dorso della mano. «Bel fesso sono stato. Chi mi cerca a quest’ora? Potrei dormire e mi hai svegliato»

È arrabbiatissimo verso l’ignoto scocciatore. Controlla il display: un numero di New York e per di più sconosciuto. Aggrotta la fronte per concentrarsi sul da farsi, stringe gli occhi a una fessura invisibile e cerca di arginare il nervosismo che sta salendo a livelli di guardia.

«Calmati» fa, mentre impreca contro le donne e le loro fottutissime ostinazioni.

Gli si chiudono gli occhi. La giornata odierna è stata faticosa per il lavoro e la ricerca di Simona. Appoggia la testa sulle braccia e comincia a russare. Sogna e immagina di fare sesso con Simona, finché di nuovo il suono del telefono non lo sveglia.

«Fuck!» impreca sollevando la testa, mentre legge l’ora: 5.40 a.m. «E smettila cazzo di telefono di suonare».

È un numero di New York diverso dal precedente. Aggrotta la fronte per capire chi lo cerca a quell’ora.

“Rispondo oppure chiudo?” si interroga dimenticandosi di Simona.

Decide di chiudere la chiamata, per farlo smettere, mentre riprende a imprecare. Sente le braccia intorpidite e la mente annebbiata dal sonno.

Simona ascolta i rumori che provengono dalla stanza non troppo distante, forse la cucina, perché le pare che siano associati all’apertura di un frigorifero o di uno sportello.

Non riesce a comprenderne la natura e si inquieta nell’incertezza, perché vorrebbe prepararsi mentalmente alla difesa passiva.

“Cosa sta architettando?” si domanda angosciata, mentre tenta di sollevare la testa per osservare l’apertura della porta senza scorgere nulla se non un chiarore lontano.

Si aspetta di vedere comparire Mark, ma nuovamente la musica dei The Doors risuona insistente: una melodia familiare. Lo sente urlare parole sconnesse e imprecare furiosamente.

“Questo è il mio telefono! Qualcuno mi sta cercando, finalmente!” si dice con un principio di euforia e ricorda che sta nella tracolla che aveva al Bryant Park.

Mark continua a urlare indemoniato, mandando al diavolo lo scocciatore. Non comprende che è un altro telefono che squilla con insistenza.

«Dov’è?» urla irato, mentre rovescia la sedia e trascina a terra una bottiglia che sembra una bomba, quando tocca il pavimento.

Il rumore è assordante, mentre qualcuno lo manda al diavolo con male parole.

«È notte! Si dorme» strepita un vicino battendo con veemenza una scarpa sul muro.

Mark in preda al nervosismo si agita convulsamente e continua a snocciolare una sequela d’insulti nei confronti di tutti come se loro fossero colpevoli di tutto il fracasso.

I telefoni a turno continuano a squillare. I due suoni lo confondono e l’ira completa il quadro. Si aggira, apre e chiude cassetti, rovista e impreca ad alta voce.

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