Dal diario di uno scrittore – estate 1972

Avevo scelto di lasciare un porto sicuro per avventurarmi in un mare ignoto, del quale non conoscevo i potenziali pericoli. Però mi dicevo: “Devo inseguire i miei sogni e cercare nuove esperienze. Se non adesso, quando?” Sì, perché ero un giovane di belle speranze che credeva in se stesso e negli ideali coi quali era cresciuto.

Dunque pieno di entusiasmo irresponsabile mi ero gettato tutte le paure dietro le spalle e avevo deciso di accettare un nuovo lavoro in una grande città. Conoscevo bene quello che stavo lasciando ma in ugual misura ignoravo quello che mi avrebbe aspettato.

“E poi se non si rischia che vita posso attendermi nel futuro?” mi dissi nell’affrontare questo cambiamento radicale nelle abitudini e nelle conoscenze. Tutto era novità, tutto era incognito: dai nuovi colleghi di lavoro alla metropoli con la fama di tritapersone.

Così cominciai una vita di pendolare tra Ferrara e Milano. Il lunedì mattina all’alba prendevo il treno dei lavoratori fino a Bologna e da lì l’Intercity per Milano. Al venerdì facevo l’operazione inversa. Una vita che non mi piaceva ma non potevo fare altrimenti. Finché non c’erano delle certezze, non potevo tramutare quella vita randagia, fatta di treni pieni e perennemente in ritardo in una più regolare senza la necessità degli spostamenti settimanali.

Quei viaggi snervanti e inconcludenti mi permettevano di osservare una moltitudine di persone molto diverse tra loro e con le quali condividevo questi spostamenti. La maggior parte all’andata la raccoglievo tra Piacenza e Milano, mentre altri salivano e scendevano in Emilia. Erano rari quelli che salivano a Bologna per raggiungere Milano. Nonostante le facce fossero sempre le stesse, era per me un mondo sconosciuto da esplorare e comprendere. Il tempo non mi mancava. In realtà era l’unica cosa della quale ce ne era in abbondanza.

Mi domandavo con un pizzico di curiosità, mentre li osservavo: ”Chissà cosa pensano di me, ammesso che se ne siano accorti”. Mi piaceva quel fantasticare su di loro, quel pormi delle domande e formulare le relative risposte, essendo conscio che mai avrebbero trovato repliche esaustive e certe. Però mi serviva per far trascorrere il tempo perché altrimenti sarebbe stato lungo e noioso.

Era stupefacente come fossero ripetitivi, grigi e senza fantasia. Il lunedì mattina gli uomini parlavano solo di rigori non concessi, di arbitri venduti, di gol fantasma. Le ragazze della gita fuori porta col moroso, della lite da comare con la pseudo amica, che tentava di soffiare il ragazzo. Le donne erano più silenziose, assonnate e stanche e leggevano Grazia o Intimità senza partecipare troppo alla varie discussioni. Era una costante. Ormai sapevo tutto di loro. Bastava origliare i loro discorsi.

Ascoltarli, vedere le loro facce ingrigite e senza sorriso mi permetteva di analizzare se questo vivere aveva un senso. Intuivo e comprendevo che un’esistenza da pendolare era squallida, rafforzando la volontà di diventare uno stanziale.

Però non era questo di cui volevo parlare. “Di loro ne parlerò un’altra volta, se ne avrò tempo e se voi avrete voglia di leggermi”.

Per accorciare il tempo del viaggio, tra uno scossone e un altro, tra una fermata normale e una straordinaria in mezzo alla campagna, viaggiavo accompagnato da un libro, che mi faceva da tutore e compagno di strada. Ero un gran divoratore di carta stampata, della quale mi piaceva odorare il profumo, udire il fruscio delle pagine sotto le dita. Col tomo ben in vista leggevo e ascoltavo, memorizzando entrambe le informazioni.

“Vedo già il sorrisino di compatimento sulle vostre labbra. Ebbene non so come facevo. Eppure è la pura verità. Oggi non ci riesco più ma allora ci riuscivo benissimo. Ricordo un corso, dove in un test si doveva scorgere in un groviglio di segni un’immagine. Si dà il caso che io ne vedevo due contemporaneamente con grande sorpresa del docente”.

Così mi venne l’insana voglia di scrivere un romanzo. Non mi ero mai cimentato in questa prova, limitando le mie ambizioni letterarie alla poesia come un emulo di novello Leopardi. Quando ero al liceo, mentre osservavo dalla finestra il resto dell’antico campanile della vicina chiesa, avevo sognato di trasformarmi in un poeta riverito e coccolato da tutti. Erano sogni giovanili, perché nessun poeta, per quanto famoso, aveva fatto fortuna. Allora non lo sapevo ma mi serviva per fantasticare onorificenze e gloria a gogò, riverito e ammirato da tutti. Così come un poetastro della domenica scrivevo compulsivamente poesie, che avevo l’ardire di donare alle mie presunte fiamme. Poi i sacri furori giovanili si erano assopiti, mentre mi era rimasto il gusto di leggere.

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«Lo scoiattolo si svegliò di soprassalto nel cuore della notte… Cos’è il dopo?, pensava. Ne aveva parlato una volta alla formica, ma lei aveva alzato le spalle e aveva detto di non aver mai sentito parlare del dopo e che perciò non doveva essere niente… Ma allo scoiattolo questo non bastava. La gazza gli aveva detto una volta che dopo era il contrario di prima, ma allora che cos’era prima?»i.

“Che bel incipit!” mi dissi, mentre leggevo le prime righe di questo straordinario libro dello scrittore olandese Toon Tellegen. Un emulo moderno di Esopo aveva raccolto in questo voluminoso libro ben trecento storie di animali del bosco che vivevano di luce propria come persone uniche e soprattutto umane.

I protagonisti erano loro, gli abitanti del bosco letterario di Tellegen. In una selva illuminata da sorrisi compiacenti e da feste di compleanno ognuno di questi speciali animali poteva trovare quello che gli piaceva dalla torta ai canditi.

Le loro storie erano un mix di aspetti che quotidianamente percepiamo. Un inno all’amicizia, alla curiosità, all’avventura e allo stesso tempo all’ozio ma piene di passioni e contraddizioni risolte con soave intelligenza, anche quando erano le più angoscianti.

Affascinato dai loro racconti, dai dialoghi o pensieri che più che animaleschi parevano un summa di buon senso, decisi che la mia strada sarebbe stata quello dello scrittore.

“Altro sogno o realtà?” mi domandai curioso come lo scoiattolo di Tellegen, protagonista della prima storia.

Un lunedì mattina di luglio armato di un blocco e di penna stilografica cominciai a elaborare il plot del futuro romanzo che mi avrebbe consegnato ai posteri come lo Scrittore, che avrebbe goduto di fama imperitura. Ovviamente erano solo fantasie ma l’immaginazione non mi mancava e l’ego di smisurata superbia nemmeno.

“Come comincio?” fu la prima domanda alla quale non riuscivo a dare un buona risposta. Tutto pareva banale ma erano le idee che mancavano o forse la spinta decisa e solerte di parole per avviare un discorso qualsiasi.

“Pessimo inizio. Tanto entusiasmo ma risultati deludenti” conclusi amaramente arrivato a metà tragitto tra Bologna e Milano.

Il blocco rimaneva vergine e la stilografica chiusa. Aprì nuovamente il libro di Tellegen e trovai finalmente l’ispirazione.

«Non passava giorno che lo scoiattolo se ne andasse in giro. Al mattino si lasciava cadere sul muschio giù dal faggio, oppure, a volte, dalla punta di un ramo finiva nello stagno proprio sul dorso di una libellula, che poi senza fiatare lo portava sull’altra riva. Prendeva sempre la prima strada che gli si parava davanti. Ma se poi gli capitava un viottolo laterale lo imboccava, e se gli riusciva di scordarsi dei progetti che aveva per la giornata, se li scordava. Così un giorno stava andando dall’elefante, che traslocava e aveva bisogno di aiuto, quand’ecco che vide un sentiero sabbioso tutto pieno di curve. Lo prese. C’era un cartello che diceva: STRADA VERSO IL LIMITE. E’ lì che voglio andare!, pensò lo scoiattolo. Ma con grande dispiacere incontrò subito un’altra deviazione…»

“Ecco quello che ci vuole!” riflettei, mentre osservavo una ragazza, che l’amica chiamava Laura. “Ecco la mia protagonista!” Come se mi fossi svegliato di botto dopo un lungo sonno senza immagini, avevo scoperto la scintilla che avrebbe fatto di me lo Scrittore.

Però non potevo scopiazzare qualcosa che non avevo scritto io, anche se avrei potuto mettere un avvertenza di chi era la paternità di quello in corsivo.

“No, no. Meglio usare l’idea e scrivere un qualcosa di mio”. Così cominciai a riempire le pagine con la mia scrittura rotonda e precisa. Il sogno di scrivere qualcosa diventava realtà e il romanzo “Non passava giorno …” pure.

Non passava giorno che lo scoiattolo se ne andasse in giro allegro e spensierato per il bosco con la sua grande coda imponente, della quale era molto orgoglioso. Era un tipetto strano e pieno di risorse ma totalmente imprevedibile. Al mattino capitava sovente di lasciarsi cadere sul morbido muschio ai piedi dell’abete preferito, rimbalzando per la gioia con una grande capriola. Ma se era ispirato dalla natura, volava dalla punta di un ramo per finire nel torrente, che scorreva allegro nel bosco. Però non cadeva nell’acqua ma sul dorso di una libellula, che passava casualmente di lì e che lo traghettava sull’altra riva. Quando incontrava una strada, prendeva sempre la prima che vedeva senza pensarci su due volte. Se poi incrociava un sentiero laterale lo infilava, e se aveva dei progetti per la giornata, se li scordava regolarmente. Ma nulla poteva modificare il suo carattere allegro e giovale, pronto a dare il suo aiuto senza secondi fini nascosti. Così una mattina di buon ora stava andando dall’orso bruno, che traslocava dalla sua tana e aveva chiesto aiuto alla comunità del bosco, quando vide un sentiero ancora umido per la rugiada della notte che serpeggiava tra abeti e faggi, naturalmente lo prese senza esitazioni. All’imbocco c’era un cartello un po’ scolorito che diceva: STRADA VERSO …. E nient’altro. ‘E’ lì che devo andare!, pensò lo scoiattolo tutto allegro, ma con grande rammarico dopo pochi saltelli incontrò un’altra deviazione…”

Laura leggeva l’inizio della favola, che aveva scritto tanti anni prima, quando aveva sedici anni.

Era una mattina fredda, ma serena e soleggiata di marzo, quando salì nel sottotetto alla ricerca del vestito rosso dismesso alcuni anni prima. Non sapeva nemmeno lei perché aveva intrapreso quella ricerca tanto stramba quanto insolita, ma forse voleva semplicemente ingannare se stessa, perché ne conosceva perfettamente il motivo…

Ormai avevo scatenato la mia fantasia e difficilmente mi sarei fermato. Il treno era in movimento non solo realisticamente, come potevo percepire dal rollio meccanico del vagone ma anche metaforicamente attraverso la mia scrittura. E continuai a scrivere, viaggio dopo viaggio finché non arrivai alla parola fine.

“Ora che sono arrivato in fondo che me ne faccio di tutta questa carta?” mi domandai, mentre lo rileggevo durante un viaggio di ritorno nell’ottobre dello stesso anno.

“Cosa si fa? Si manda all’editore che ti fa firmare un sontuoso contratto e il gioco è fatto! Tu sei il nuovo scrittore emergente che diventerà il caso letterario dell’anno!”

Ancora fantasia e mancanza di umiltà. Magari fosse stato così semplice. In realtà trovare un editore disposto a investire su di te non era facile come entrare in un bar per un caffè.

Tanti cortesi rifiuti: «Il suo manoscritto non interessa la nostra linea editoriale» era la risposta più garbata ma c’era anche di peggio. Ormai deluso e disilluso di scovare un editore, un giorno ricevetti una lettera da una casa editrice, Orsobianco Edizioni, che si mostrava disponibile a pubblicare il romanzo. Nessun anticipo ma la miseria di qualche liretta per ogni libro venduto, ammesso ma non garantito che fossi riuscito a vendere qualcosa.

“Meglio questo che niente” mi dicevo mentre firmavo il contratto con questa casa editrice.

Così iniziò l’avventura di questo romanzo.

iToon Tellegen – “Lettere dal bosco” Donzelli Editore . Trad. Davide Santoro – 2007 Ho commesso un falso storico anticipando l’uscita trentacinque anni prima. Solo per finzione letteraria.

0 risposte a “Dal diario di uno scrittore – estate 1972”

  1. Te lo dicevo che questo diario di uno scrittore mi intrigava parecchio, e questo racconto lo conferma.
    Orsobianco Edizioni, poi, mi piace un sacco 🙂

    PS: è l’ennesima volta che il libro che citi mi capita sottocchio (anche se per altre vie), mi sa che vuol venire da me… quai quasi lo aiuto 😉

    1. Il libro? Lo trovo bellissimo. Comprato a metà prezzo me ne sono innamorato. Ogni tanto rileggo qualche storia. Ignoravo che per altre vie lo conoscessi.
      Il diario? Non so al momento sto rispolverando le storie scritte.

  2. Allora Toon Tellegen è un tuo pseudonimo ?
    Mi sono persa perdono
    Devo dire che anche il nome orso faceva presagire tanta sensibilità nel racconto, ma non avrei mai creduto così fine e delicata.

    1. No, 😀 Toon Tellegen è uno scrittore olandese che ha scritto il libro citato. Io mi sono limitato a prendere in prestito un incipit di una sa storia. Peccato che non sia più disponibile, forse in qualche outlet o remainder o tra i libri usati, ma è veramente piacevolissimo da leggere.

    1. Assolutamente certo di aver fatto bene. Nessun pentimento. Consigli? No, qualche suggerimento. Bisogna buttare alle nostre spalle le paure e affrontare con determinazione le novità. Non è facile ma si può.

  3. come dici hai mischiato realtà e romanzo, ma io nella realtà sono stata su quel treno e ho visto quella gente salire soprattutto dopo Piacenza e ho ascoltato i loro discorsi. Del romanzo invece confesso a denti stretti che sono anni che voglio scriverne uno e ho la storia, già nella testa, non ho la presunzione di imperitura fama, figuriamoci non è da me, ma in questi giorni ne sto riparlando con amici scrittori e leggerti stanotte è una bella coincidenza.

    1. Quel treno l’ho preso per diversi mesi ma poi ho preferito diventare stanziale ma anche in seguito quando mi spostavo per lavoro.
      Provaci a scrivere senza timori. Al massimo ne esce qualcosa di poco inbteressante

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