Un viaggiatore un giorno in treno – parte seconda

Questa è la seconda parte di un vecchio racconto, La prima la potete trovare qui.

copertina di carta
Un giallo Puzzone

Rimasi scioccato e senza parole. Quell’uomo dai capelli bianchi e dal viso affilato come una lama mi guardò prima torvo poi addolcì l’espressione.

«Ma lei dovrebbe avere almeno ottant’anni per essere Paolo Morier dissi riacquistando l’uso della parola e colorito nel volto.

«Infatti» replicò visibilmente scocciato dalla mia incredulità e diffidenza. «Ho ottanta tre anni. E poi confronti la fotografia che sta a pagina…» e cominciò a sfogliare il libro, finché non trovò quello che cercava.

«Guardi» e mi mise sotto il naso una fotografia di un ragazzo giovane dai capelli scuri e con un pizzetto alla Italo Balbo.

Convenni che il taglio degli occhi e la forma del naso sembravano le copie conformi di quelle che vedevo accanto a me.

«Ora sono smagrito, coi capelli candidi e senza pizzetto ma sono io nel resto dei dettagli».

«Già» ammisi laconicamente ma ancora non potevo credergli che la persona accanto a me fosse il protagonista del romanzo che teneva in mano.

«Mi dica» proseguii con tono dubbioso, «chi è per lei l’autore? Come ha potuto scrivere una simile storia?»

Un raro sorriso illuminò quel viso leggermente rugoso, mentre la ragazza della battaglia navale si era girata verso di noi ascoltando con attenzione la nostra conversazione.

«Michi, vuoi la rivincita?» si udì distinta la voce del ragazzo che non si era accorto dell’interesse della compagna alle nostre parole.

«Sss! Non disturbarmi» replicò con un sussurro appena accennato.

«Chi è?» domandò ad alta voce, facendo girare quasi tutti i viaggiatori del vagone. «Chi è? Lo sapessi!» Urlò come un tuono in piena notte.

«E secondo lei come ha potuto scrivere questo romanzo?» chiesi con un tono più moderato.

«Lo sapessi!» ribadì questa volta meno irritato.

Non riuscivo a comprendere come Arduini, l’autore, fosse collegato con questa persona, che era molto più vecchia di lui e che difficilmente avrebbe conosciuto nella sua vita.

Dunque mentre stavamo conversando in maniera quasi sincopata, gli domandai di raccontarmi la sua storia.

«Guardi» sospirò. «Guardi, la mia vita è come un reality» e cominciò con un racconto al limite dell’incredibile.

«Mio padre era ricco, molto ricco. Possedeva una banca che portava il suo nome. Una banca piccola con un solo sportello e degli uffici discreti e ovattati ubicati nel centro di Milano. Da qui passava tutto il gotha dei gerarchi milanesi e tanti altri personaggi che amavano l’anonimato per trasferire le proprie ricchezze in Svizzera. Allora ero all’università ma andai a lavorare presso mio padre. Specialmente ora che la guerra si avvicinava. Mio padre riuscì con abilità a convincere il federale di Milano, una persona influente, a certificare che la mia presenza in città era vitale. Così mi evitai l’arruolamento e quel tritacarne che era guerra».

Prese un fazzoletto per asciugarsi le labbra prima di riprendere a parlare.

«Era dicembre 1942. Il giorno non lo ricordo ma l’immagine è viva nella mia memoria. Quel giorno un certo Michele Scialopoti, che conoscevo vagamente, venne da me per chiedermi un prestito di mille lire. Era una cifra enorme a quei tempi ma io disponevo di un conto personale a sei cifre, frutto delle donazioni di mio padre e mio nonno. Mi implorò a tal punto che cedetti il denaro in cambio di un pagherò che sarebbe scaduto un anno dopo. Nella notte tra il 7 e 8 agosto 1943 Milano subì un furioso bombardamento. Io nella fuga durante la notte, al buio perché la città era oscurata, caddi e persi i sensi. Quando mi risvegliai, mi trovai in uno stanzone con decine di altre persone del tutto sconosciute. Non capivo nulla e nonostante i miei tentativi di mettermi in contatto con mio padre finì su un treno con altri deportati. Colto da febbre altissima durante il viaggio persi conoscenza e poi non ricordo più nulla».

Era il racconto più fantastico che avessi mai ascoltato. Cercai di dissimulare la mia incredulità e gli posi altre domande, alle quale rispose in maniera ancora più incredibile.

«Di solito i romanzi sono opere di fantasia e non riproducono la realtà. Oppure sono in difetto?» mi domandò a bruciapelo.

«No. Di norma gli editori li chiamano non-fiction, perché si collocano a metà strada tra la fantasia e la realtà. Però questo è stato catalogato come fiction, ovvero opera di pura fantasia…».

Paolo Morieri alle mie parole aprì il testo a caso e lanciò un urlo, udito distintamente da tutti i compagni di viaggio.

«Vede» disse indicando una pagina. «Mi dice che oggi è ‘martedì’, il martedì dell’aldilà, dove io annuso dei fiori. Non sente il profumo di lavanda?»

Mi avvicinai e provai ad annusare. Sentivo solo l’odore della stampa fresca e null’altro. Non dissi nulla. Non volevo innescare un altro contenzioso, anche se lui continuava a elencare fiori e odori. Io non percepivo per nulla.

«E qui» aggiunse indicando una fotografia. «Sono nudo che ballo con una fanciulla discinta! Ma non so ballare e quella giovane donna non la conosco!»

«Si calmi» dissi cercando di tranquillizzarlo.

«Sarebbe tranquillo lei, se mio padre o qualche conoscente lo leggesse?»

«Certamente» replicai poco convinto.

«Io no! Ballare nudo con una donna che non si conosce non mi pare un modo educato di comparire in un libro».

«Però quella pagina è davvero seducente» provai a contraddirlo.

«Sarà ma c’è da vergognarsi. Come potrò tornare in ufficio nella banca di mio padre senza essere oggetto del dileggio dei colleghi?»

Indubbiamente aveva ragione ma non potevo ammetterlo. Quindi preferì glissare sull’argomento.

Stavo per replicare, quando una voce femminile un po’ gracchiante uscì dagli altoparlanti del vagone.

«Milano. Stiamo entrando nella stazione Centrale di Milano. Trenitalia ringrazia i signori passeggeri. ..».

Mi distrassi un attimo.

«Signor Morieri viene con me a Vigevano dall’autore del libro?»

Allibito non vidi nulla accanto a me. Solo il libro aperto sulla pagina con la sua fotografia.

FINE

0 risposte a “Un viaggiatore un giorno in treno – parte seconda”

  1. Vedi come suonano bene i nomi delle città del nord Vigevano.
    Se era al sud diceva Vieni con me a Capracotta?
    Un mamma Vieni con me a Curti ? Vieni con me a Sessa Aurunca ?
    Dai non suonano per niente bene
    Bravo il mio nordico scrittore

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