Mi chiamo Annie Valentine Cook e sono nata il 14 febbraio… parte seconda

Ecco la seconda parte di questo vecchio racconto. La prima parte la trovate qui.

Buona lettura.

Alba – foto personale

Si sentiva sola nella grande casa prospiciente il mare, che intravedeva attraverso l’ampia vetrata del salone. Un mare blu trasparente appena increspato da onde basse invitava a essere solcato dalla fantasia imbarcata su una minuscola nave a vela.

Vedeva i velieri corsari che si avvicinavano alla costa per rapire fanciulle per i loro piaceri e fare bottino di oro ed argenti. Sentiva un brivido di piacere nella schiena al pensiero di essere ghermita, afferrata da uomini rudi e forti e trascinata sulla battigia prima di sparire nella stiva oscura e maleodorante. Però il pirata Barbanera l’avrebbe portata nella sua stanza per possederla nel grande letto posto a poppa.

La sua mente continuava a fantasticare su questa storia, che avrebbe gettato nel terrore più di una donna, un’avventura invece che lei pregustava nei minimi dettagli.

Sarebbe diventata la donna del pirata Barbanera, che avrebbe atteso a terra, tremante di paura e piena di ansia ogni volta che lui avesse solcato il mare per le scorribande corsare.

Lei sarebbe corsa verso il suo uomo abbracciandolo e baciandolo, mentre lodava Dio che l’aveva preservato dalla morte.

Avrebbe ascoltato impaziente rannicchiata fra le braccia il racconto dell’ultima avventura, che narrava di morte e di orrori, di oro e argenti, di vascelli spagnoli sventrati e bruciati.

Poi non sazia avrebbe chiesto di raccontare gli altri assalti, le battaglie con gli spagnoli, i saccheggi e le canzoni corsare.

Così tutta la notte prima di giacere con lui nel letto sottratto al Viceré delle Antille per godere della passione e dell’amore del pirata.

Il sole calava rosso e infuocato sull’oceano, quando si svegliò dal sogno che aveva cullato fra le braccia, mentre si ritrovava sola sull’amaca a dondolarsi.

E pianse la sua solitudine.

Era una splendida bambina coi capelli scuri e la carnagione leggermente ambrata come se si fosse dorata sotto il sole. Quel colore metteva in risalto il viso delicato e due grandi occhi blu porcellana, ereditati dal padre e spiccavano nel complesso di quella figura acerba. Quando il primo giorno della Primary School si presentò al cancello del college, la suora guardò male prima lei poi la madre e storse il naso.

«Non si accettano bambine di colore. Avete sbagliato ingresso. Più avanti c’è la scuola pubblica» disse con tono acido sbarrando il passo.

Patricia la fulminò e senza aprire bocca avanzò trascinando Annie Valentine per guadagnare il grande portone.

«Dove credete di andare?»

«Nel St. Therese’s College. Ora fattevi da parte, perché devo entrare». Patricia aveva lo sguardo fiammeggiante e accennò a spingere da parte la suora. «Se non vi sbrigate, domani andrete a spazzare i corridoi».

L’alterco, che stava radunando una piccola folla di curiosi, non sfuggì alle attenzioni di Madre Marie, la superiora, che accorse immediatamente.

Annie Valentine era frastornata, perché non comprendeva tutto quel trambusto. Avrebbe fatto volentieri a meno di andare a scuola ma la madre le aveva spiegato che era un posto dove avrebbe conosciuto altre bambine e imparato a leggere e a scrivere. Però il primo impatto non era quello che le avevano descritto i genitori. Suore altezzose, bambine che arricciavano il naso vedendola.

«Che sta succedendo?» chiese Madre Marie, osservando prima la consorella poi la donna di colore.

«Nulla» rispose calma Patricia. «Questa suora» e la indicò col capo «mi ha sbarrato l’accesso senza motivo. Mi ha impedito di accompagnare Annie Valentine Cook, mia figlia, di entrare nella scuola, alla quale è iscritta».

Il nome le suscitò un ricordo e un lampo nella mente. Era la figlia di un commodoro della Royal Navy. A Plymouth era conosciuto e stimato, soprattutto adesso che infuriava la guerra, con l’Inghilterra sotto attacco, un personaggio importante da trattare con tutti i riguardi.

«La prego di scusare sorella Agnes, che non l’ha riconosciuta. È un onore avere nel nostro college la figlia del commodoro Cook». Con falsa deferenza si mise da parte per farle entrare senza prima fulminare con un’occhiataccia la suora guardiana, per nulla convinta del proprio errore.

Non fu l’unico episodio sgradevole che Annie Valentine conservava nella mente di quei lunghi sette anni trascorsi in questa scuola esclusiva e altezzosa tra angherie e piccoli soprusi che subì da suore e campagne.

Con immenso sollievo salutò tutti nell’agosto del 1947 quando per l’ultima volta varcò quel cancello che le erano apparse come le sbarre di una prigione dorata. Adesso era una splendida ragazzina di tredici anni dal seno acerbo e dalle movenze feline e suscitava l’ammirazione dei coetanei e le invidie delle altre ragazze magre e dal viso deturpato dall’acne giovanile.

La rigida educazione religiosa del college lasciarono un’impronta indelebile nel suo carattere ingenuo e aperto. Mostrava verso il suo prossimo una fiducia spontanea e sincera, senza ravvisare malizie o fraintendimenti. Questa semplicità nel carattere la rendeva vittima di sottili tranelli, nei quali cadeva quasi senza accorgersene.

Quando nel dicembre dello stesso anno salpò coi genitori per fare ritorno nell’isola di Antigua, la sua spensierata innocenza fu oggetto di molte attenzioni da parte di uomini che avrebbero desiderato possederla. Sembrava più matura della sua età, come se fosse una ragazza di qualche anno più vecchia. Sarebbe caduta nella rete di queste persone se i genitori non l’avessero tenuta sotto controllo.

A diciotto anni era diventata una splendida fanciulla corteggiata da moltissimi uomini. Era un fiore da cogliere ma non era ancora arrivato il momento di recidere il gambo. Lei era indecisa a chi donarsi per prima, non vedeva inganni nelle loro attenzioni ma un sottile gioco di corteggiamento.

“Le suore mi hanno insegnato di mantenermi pura fino al giorno del matrimonio” si diceva mentre sdraiata sulla sabbia bianca della spiaggia di Deep Bay si dorava sotto il sole di giugno. “Mi domando per quale motivo dovrei conservarmi casta. Sento un forte richiamo verso gli uomini. Loro mi ronzano attorno fastidiosi come calabroni. Ma tutto questo mi eccita e mi stimola eroticamente”.

Era luglio 1955, quando seduta sul molo del porto di St. John’s vide sbarcare da una nave da crociera un ragazzone biondo, alto come una guglia della cattedrale. Rimase affascinata, lo seguì con lo sguardo finché non sparì tra la calca della folla. Stanca e annoiata riprese la strada di casa, mentre il sole picchiava duro. Non pensava più a quel ragazzo, quando all’improvviso lo incrociò su High Street. Ebbe un tuffo al cuore, si fermò per osservarlo con cura mentre camminava spedito con una piccola valigia verde.

“Dove sarà diretto?” si chiese, sperando che le chiedesse qualche informazione.

Come se un sottile filo avesse guidato i pensieri dell’uomo, lui si fermò alla ricerca di qualcuno. La vide ferma sul marciapiede e si avvicinò.

«Mi scusi» e posò la valigia per terra. «Saprebbe indicarmi dove si trova Green Bay Hotel? Mi hanno dato le indicazioni ma credo di essermi smarrito».

Annie Valentine non rispose subito come se fosse stata colpita da un’improvvisa afasia, poi si riscosse sfoderando un sorriso luminoso, mostrando una dentatura perfetta e candida.

«Se vuole, l’accompagno. Le spiegazioni sarebbero complicate».

«Grazie volentieri» e riprese la valigia.

Così iniziò l’avventura con John, un gallese galante ma rude e infingardo, che le fece conoscere i primi segreti del sesso. Annie Valentine si sentì attratta da lui a prima vista e perse il senso delle proporzioni. Non riuscì a distinguere le bugie evidenti che raccontava dalle verità che non volle mai accettare. Il loro rapporto fu tumultuoso nonostante l’opposizione di Patricia, che aveva intuito la vera natura di quel ragazzo biondo come il grano maturo.

«Lascialo» disse un giorno di settembre sua madre. «Ti sta nascondendo la verità su di lui e la sua famiglia. È un bugiardo nato. Ci evita come la peste, perché sa che smaschereremo le sue presunte verità in un batter d’occhio».

«Pat» disse la ragazza, che chiamava sempre sua madre col nick. «Lo amo e lui ama me. Mi ha chiesto di sposarlo. Se fosse per lui anche domani».

«Bene» rispose sorridente come se la gatta che era in lei avesse avvistato il topolino col quale giocare prima di ucciderlo. «Invitalo domani sera a pranzo. Io e tuo padre saremo lieti di accoglierlo come futuro genero».

Annie Valentine riferì a John l’invito di sua madre per la sera.

«Alle otto di domani sera. Sarai puntuale?» domandò con la voce tremolante per una risposta negativa.

«Puntualissimo. Sarà un vero piacere incontrare i tuoi genitori» replicò sorridente e gentile.

Il giorno dopo era sparito. Si era volatilizzato. Nessuno sapeva dov’era, nemmeno gli amici più fidati. Qualcuno affermò d’averlo visto sul traghetto notturno diretto alla Giamaica, altri imbarcarsi su una nave salpata verso il continente. John non si fece più vivo, lasciando Annie Valentine nel dolore più atroce col cuore spezzato. Pianse per lunghi giorni, nonostante Patricia tentasse di consolarla e farle intuire che tutto sommato le era andata bene, perché quel gallese era un farabutto, un bugiardo matricolato.

Lei era troppo sincera e passionale per non cadere nei tranelli dei corteggiatori. A volte era persino ingenua nel non credere alle evidenze dei fatti.

…Continua…

0 risposte a “Mi chiamo Annie Valentine Cook e sono nata il 14 febbraio… parte seconda”

    1. visto. La grafica di copertina mi sembra buona.
      Come mai sei sul sito americano? Imposta che sei italiana e lui ti trasferisce su amazon.it. Per l’ebook nessun problema ma la carta potrebbe esserci costi di spedizione non indifferenti

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