Una storia così anonima – parte quarantesima

Il castello Estense - foto personale
Il castello Estense – foto personale

Rhedae, 24 novembre 1307, vespro – anno secondo di Clemente V

Credo che sia meglio che ve ne andiate” dice Simon con voce atona senza guardarli negli occhi.

Sì” risponde Marcel. “Domani al primo albore ce ne andiamo”.

L’uomo scuote la testa. Non è questa la sua opinione. Sa di essere un sorvegliato speciale per i suoi trascorsi di cataro. Capisce anche le ragioni del suo amico, Marcel. Mettersi in viaggio col buio è pericoloso. Neve e ghiaccio sono nemici dei viandanti.

Però non potete restare qui” insiste Simon.

Dove?” chiede Marcel preoccupato, mentre Pietro è interessato solo al messaggio.

Di fronte” dice Simon, “c’è un ripostiglio che nessuno usa”.

Ma è possibile riscaldarlo?” ragiona ad alta voce Marcel. “Il freddo sarà pungente stanotte”.

No” replica l’uomo. “Quello, che posso darvi, sono delle coperte di lana e un po’ di cibo”.

Va bene” fa Marcel, che si volta a osservare Pietro, del tutto assorto nell’esaminare quello che ha trascritto. Il frate sembra essere in un’altra dimensione. “Almeno un lume o qualche candela per avere un po’ di luce” aggiunge come ultima richiesta la guida.

Simon chiude gli occhi e si concentra. La richiesta gli appare ragionevole. Al buio e al freddo la notte sembrerà ancora più lunga del dovuto. Sta pensando dove li tengono nel castello. Forse lo sa. “Aspettatemi qua. In silenzio. Se qualcuno bussa, non rispondete. Questa stanza deve apparire vuota in mia assenza”.

Marcel annuisce in silenzio, mentre attira Pietro accanto al camino. Devono fare il pieno di calore, perché tra poco saranno al gelo.

Il frate si sposta senza protestare. Continua a ragionare su quella stringa che apparentemente è priva di senso. ‘Quale codifica ha usato Paul?’ si domanda, dopo aver provato a usare il codice di Cesare. ‘La sequenza utilizza un sistema differente, più complesso. Le lettere in minuscolo di sicuro separano i nomi, anche se all’occhio inesperto non sembra’. Prende un pezzetto di legno annerito dal fuoco e comincia a costruire un diagramma su un lembo di stoffa bianca. É talmente assorto nelle sue attività, che non si accorge che Simon è rientrato e sta parlottando con Marcel.

Venite” gli dice la guida. “Dobbiamo spostarci da qui”.

Pietro lo segue docilmente. Attraversa il cortile innevato, mentre un leggero nevischio scende lieve dal cielo plumbeo. Marcel apre con lentezza una porta cigolante, cercando di ridurre al minimo ogni rumore. Accende un lume a olio che deposita nel centro della stanza polverosa. Muove gli occhi circolarmente. La vista non è esaltante. Addossata a una parete c’è una catasta di mobili vecchi, rotti e impolverati. Vistose ragnatele penzolano dalle travi del soffitto. Nell’angolo opposto ci sono diversi pagliericci disfatti, che mostrano il loro contenuto. Un tavolo traballante e tre sedie sfondate sono vicine a quello che una volta era un camino, che adesso è ostruito da pietre e altri oggetti.

Pietro segue Marcel, entrando nel ripostiglio e si guarda intorno. Desolazione, polvere e tanto freddo. Però in quel momento altre sono le sue priorità. ‘Devo decifrare questo messaggio prima che sia il primo albore’ si dice, mentre si sistema il mantello intorno al corpo. Dalla sacca che porta a tracolla estrae un copricapo di lana. Mette il lume sul tavolo sgangherato, accostando un sedia. Continua a lavorare sul suo diagramma senza molto successo. Sente dei rumori e alza lo sguardo. Marcel sta rientrando con coperte di lana e delle provviste, che posa sul tavolo.

L’uomo prova a prendere un pagliericcio da usare come letto improvvisato ma una colonia di topi infastiditi sciama per la stanza. “Forse è meglio non usarli” dice a bassa voce ma udibile da Pietro. “Chi riuscirà a dormire stanotte?”

Marcel sperava in un’accoglienza migliore da parte di Simon ma forse qualcosa è cambiato dalla sua ultima visita. Si avvolge in due coperte di lana, sistemandosi sulla sedia.

Mangiate qualcosa?” chiede la guida al frate, che scuote la testa per diniego. “C’è pane fresco e formaggio stagionato e una bottiglia di vino. Io ho fame e comincio”. Con un lembo di un telo ripulisce il tavolo dalla polvere e inizia a cenare, cercando di non fare briciole. ‘L’odore del formaggio risveglierà quella colonia di simpatici sorcetti’ pensa Marcel infastidito. Osserva il compagno che borbotta e scrive senza degnarlo di uno sguardo. Non capisce l’urgenza di leggere il messaggio ma forse il pensiero di lasciare Rhedae senza aver compiuto la sua missione è più importante della misera cena.

Marcel si sistema sulla sedia, tenendo d’occhio quel poco che è rimasto del mangiare. ‘Se il templare decide di digiunare, lo useremo domani, quando ce ne andiamo’ si dice. ‘Dove?’ E la domanda rimane in sospeso. É inutile pensarci. Domani sarà un nuovo giorno. Le palpebre vorrebbero chiudersi ma freddo e il pensiero dei topi lo tengono sveglio. Osserva il frate che pare incurante di freddo e fame e rimane sorpreso perché non sembra avere una costituzione robusta. ‘Eppure’ pensa Marcel, ‘è talmente concentrato che appare come un fantasma’.

Pietro, avvolto nel suo mantello, continua a lavorare appoggiato sul tavolo, che è rischiarato dalla tremula luce di una lanterna a olio. Ombre guizzanti appaiono deformate sulla catasta di mobili impolverati e rosi dai tarli. Dopo un tempo che appare lunghissimo il frate esclama sorridente “Ci sono!”, svegliando dal torpore Marcel.

Dobbiamo uscire” afferma con forza il templare. “Dobbiamo tornare in chiesa”.

Siete impazzito?” gli chiede la guida, svegliata da quell’improvvisa esplosione di parole. Gli occhi annebbiati dalla stanchezza e dal cattivo sonno faticano a mettere a fuoco la situazione. É irritato. Quest’uomo ha intenzione di farci finire nelle segrete del castello, pensa senza rispondere all’affermazione di Pietro.

Dobbiamo tornare in chiesa” ripete il frate, alzandosi.

No” replica Marcel innervosito.

Pietro lo osserva come si guarda un insetto fastidioso. “Se non volete venire ci andrò da solo” e si avvia verso la porta.

Fermatevi!” esclama la guida, presa dal panico. “Non potete avventurarvi fuori senza un minimo di precauzione”.

Pietro si ferma e lo guarda con un misto di stupore e di insofferenza. “Allora venite con me” dice. “So dove devo prendere quello che Paul mi avrebbe consegnato direttamente”.

Marcel scuote il capo. ‘Questo templare non c’è con la testa’ riflette, ‘ma non posso lasciarlo andare da solo’. Rassegnato, esce con Pietro nella notte. Le neve cade più copiosa e attutisce il loro passi.

La piccola chiesa appare ancora più spoglia di quello che è in realtà. Qualche candela rischiara e attenua le tenebre. L’altare sembra povero ricoperto da una tovaglia bianca senza ornamenti, che mostra quattro colonnine di foggia antica. Pietro si avvicina per osservare meglio quello che sta sotto. Una lastra bianca con delle iscrizioni in latino. Quelle non interessano il frate che fa scorrere la mano sui bordi. Sente che non è stabile come se qualcuno l’avesse mossa di recente. Incunea un dito su un angolo scheggiato e la tira verso di sé.

Marcel osserva in silenzio quello che il templare sta facendo. Non comprende bene le manovre ma lo guarda mentre si incunea sotto l’altare. ‘Forse ha trovato quello che cercava’ pensa la guida, avvicinandosi un poco.

Marcel” fa Pietro, girandosi appena un po’ verso il compagno, “mi aiutate a sollevare questo marmo?”

L’uomo si dispone dall’altra parte dell’altare e infila un coltello in una fessura tra la lastra e il pavimento. “Ora” dice sottovoce il frate, mentre con lentezza il marmo si solleva, lasciando intravvedere una cavità. Sono a buon punto, quando sentono sul limitare dell’ingresso dei passi pesanti. Lo sguardo di Pietro è eloquente, mentre la lastra torna silenziosa al suo posto. Senza fare rumore entrano nel confessionale immerso nel buio. Una luce tremolante rischiara un viso, che appare nel vano della porta.

Marcel osserva una fisionomia che aveva già visto, quando era al posto di guardia. Dunque il suo intuito non aveva fallito. Era la persona che aspettava al varco il templare. ‘Forse’ riflette, tenendosi in ombra, ‘spiega lo strano comportamento di Simon, che mi è apparso intimorito’.

Pietro trattiene il respiro. É quel cavaliere che lo segue da Paris. ‘Non demorde’ si dice infastidito, stringendo le labbra in una smorfia di stizza. Subito riacquista le sembianze normali, mentre mentalmente recita il confiteor. Sa di avere peccato di ira. ‘Se ho degli scatti di collera, Gesù, Maria e Maria Maddalena mi abbandoneranno al suo destino’ pensa il frate che dice anche un atto di dolore.

Louis si guarda intorno come se fosse alla ricerca di qualcuno. Si muove in silenzio, tenendo alta la bugia per illuminare una porzione più ampia della chiesa. Borbotta qualcosa di incomprensibile. Perlustra ogni angolo con attenzione, ascolta eventuali rumori. Si avvicina al confessionale. Pietro è pronto a scattare, mentre trattiene il respiro. Marcel si addossa al fondo, pronto a menare le mani. ‘Quest’uomo’ riflette, mentre avverte salire l’adrenalina dell’ira, ‘non mi piace. Ha uno sguardo cattivo’.

Louis è pronto a illuminare l’interno, quando ascolta dei passi che si allontano in fretta. Senza pensarci due volte, si dirige verso l’ingresso per gettarsi all’inseguimento di quei rumori.

Svelto” sollecita Pietra, scattando fuori dal confessionale. “Abbiamo pochi minuti per muovere la lastra”.

Senza porre indugi afferra la lastra che non aderisce bene al pavimento, sollevandola. Allunga una mano, estraendo una cassetta di legno, che infila nella bisaccia che porta sotto il mantello. Rimette a posto la lastra e si avvia, verso l’uscita seguito da Marcel.

La nevicata prosegue con un cielo lattiginoso. Pietro si guarda intorno. Non conosce il luogo e non sa che strada prendere. “Venite” gli dice sottovoce Marcel. “Dobbiamo raggiungere i cavalli”.

Come un fantasma si materializza Simon, che con un cenno del capo indica loro di seguirlo in silenzio. “Siete stati imprudenti” sussurra sottovoce l’uomo. “Quel cavaliere non aveva buone intenzioni. Ha seguito le vostre orme”.

Grazie” replica Pietro, facendo attenzione a dove posa i piedi.

Quella stanza non è più sicura” prosegue Simon, che li conduce in un’abitazione vicino al Castello.

0 risposte a “Una storia così anonima – parte quarantesima”

  1. Eccellente, in paticolare l’ ultima parte: piena si suspense
    Ancora una volta, Pietro ha ragione: il suo intuito è trascinante
    Aspetterò il prossimo episodio nella speranza di sapere cosa nasconde la cassetta

    Grazie, carissimo, ci stai lasciando un Capolavaro ( pensiero mio, ovviamente)

    Un grande abbraccio
    Mistral

    1. Mistral ti devo pagare una cena sontuosa per ‘ci stai lasciando un capolavoro’ 😀
      Pietro è un intuitivo. La cassetta? Top secret 😀
      Sereno venerdì pomeriggio
      Gian Paolo

  2. Pietro è impaziente di decifrare quella stringa criptica. Allontana il pensiero della cena pur di venire a capo della soluzione. E ci riesce. Nonostante le raccomandazioni di non abbandonare da soli quel posto si arma di coraggio e segue imperterrito il suo intuito infallibile.
    Tutto è descritto così bene che sembra di sentire il respiro affannato dei due in mezzo alla neve … ti dirò … quando hai descritto quel passaggio veloce dei sorcetti, io ho alzato i piedi dal pavimento!
    Complimenti per la capacità di far entrare il lettore dentro la trama, incollandolo alla storia e rendendolo protagonista fra gli altri!
    Che dire? E’ proprio coinvolgente!
    Un abbraccio Gian Paolo 🙂

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