Una storia così anonima – parte quarantottesima

Foto personale
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Abbazia di Valvisciolo, 15 gennaio 1308, ora sesta – anno terzo di Clemente V

Nell’ora sesta il quindici gennaio Pietro bussa al portone dell’abbazia. È una giornata grigia. L’aria fredda sferza il viso del frate, facendolo rabbrividire. Aspetta con pazienza che aprano la porta. È la prima volta che arriva a Sermoneta. Non si era mai spinto oltre Roma. L’abbazia, edificata nel dodicesimo secolo, era stata abbandonata per molti anni. Per toglierla dallo stato di abbandono è stata occupata dai Templari e restaurata. Pietro ne conosce la storia ma ignora, se troverà i confratelli del sud oppure altri monaci.

Il viaggio è stato lungo e faticoso, avversato dal maltempo. Era partito a metà dicembre dall’Abbazia di Chiaravalle sotto una fitta nevicata. Lo stato delle strade non gli ha consentito una marcia spedita, nemmeno dopo l’attraversamento del Padus a Placentia, perché alla neve si è sostituita la pioggia e la bruma invernale della pianura della Lombardia inferiore. Arrivato in prossimità di Bologna ha preferito evitarla per non rimanere bloccato nella magione, compiendo un largo giro verso le terre estensi, prima di raggiungere la via bolognese. Questa strada conduce alla vallata del Sieve, nella Romagna toscana, scavalcando un passo basso e agevole. Da quando ha iniziato a muoversi tra la pianura della Lombardia e le terre del sud, ha seguito questa via. La preferisce al valico di Monte Bardone più a settentrione e a quello dell’Alpe di Serra a meridione. la strada è una stretta mulattiera che tra castagneti e vegetazione di basso fusto avanza su dolci crinali. Sul punto più elevato c’è una locanda che i viandanti chiamano Hostaria. È il luogo dove sostano i pellegrini provenienti dalla via Romea ungarica, mentre si dirigono verso Roma. Sono circolate strane storie su questo punto di ristoro e di riposo. In più di un’occasione i templari romagnoli sono intervenuti per capire che fine avevano fatto dei viaggiatori spariti nel nulla senza trovare niente di anomalo. Durante un viaggio di ritorno da Roma Pietro ha ascoltato nella terranova di Fiorenzuola un racconto orripilante, che avrebbe tolto il sonno a chiunque. Queste voci narrano di viandanti, che, stremati dal lungo viaggio, trovano una locanda a prima vista accogliente sul crinale che separa le vallate della Sieve e del Santerno. È il punto di ristoro sognato nel lungo viaggio a piedi durante il loro pellegrinaggio. Tuttavia una triste sorte aspetta quei poveri diavoli, che invece di proseguire hanno deciso di fermarsi. La leggenda, perché secondo Pietro tale è, racconta che questi siano uccisi nel sonno e le loro carni sarebbero usate per sfamare altri viandanti. Pietro si è sempre domandato quanto di vero ci fossero in quelle dicerie. Personalmente non ha mai creduto a queste chiacchiere, perché non sono state trovate prove a sostegno della loro veridicità. Per quello, che è a sua conoscenza, non risulta che pellegrini di ritorno da Roma siano stati vittime di simili barbarie, né ha mai notato la sparizione di qualcuno in maniera misteriosa.

Il frate, nonostante questa storia di sangue e di orrore, si è sempre fermato in questa locanda e non ha mai notato nulla di strano. L’atmosfera, che qui si respira, non è cupa tenebrosa ma semplicemente triste. I gestori, una coppia di toscani di mezz’età, appaiono poco propensi all’allegria. Tuttavia la loro cucina è ottima. Pietro ha sempre preferito zuppe di verdure e piatti a base di vegetali, escludendo la carne. ‘Suggestione?’ si è chiesto il frate una volta durante una sosta nel viaggio di ritorno verso Bologna, mentre attendeva la consueta zuppa di cavolo nero e piselli. Anche durante questo viaggio verso Sermoneta ha sostato presso l’Hostaria, evitando come al solito la carne.

Per la prima volta da quando transita di qui, Pietro ha affrontato il valico nel periodo invernale, trovando neve e ghiaccio e molte difficoltà in più. ‘È pur vero che qualche mese fa ho attraversato le Alpi sotto la neve’ si è detto, mentre procedeva a fatica verso la locanda. ‘Ma le strade erano ben segnate. Qui è un tratturo appena abbozzato, dove con facilità ci si può smarrire, finendo in un dirupo’.

Arrivato stremato all’Hostaria, un’improvvisa tempesta di neve l’ha bloccato per diversi giorni, impedendogli di proseguire verso Aretium. Durante questa sosta forzata ha potuto osservare con calma il clima che si respira nella locanda. Non ha percepito nulla di strano e di torbido. I pochi viandanti, che soggiornavano con lui, non gli sono apparsi vittime sacrificali, né timorosi per la loro vita. Ripresa la marcia verso il fondovalle, il percorso è stato più agevole e meno impegnativo rispetto ai giorni precedenti. Ha potuto accelerare il passo senza gli impedimenti del cattivo tempo. Raggiunto Aretium, ha seguito la via Francigena che attraverso la Tuscia orientale conduce a Roma.

Mentre rievoca questo lungo viaggio, si apre una fessura nel grande portone dell’Abbazia. Un monaco vestito di bianco sbarra gli occhi, vedendo un templare bussare alla loro porta.

I vostri confratelli si sono ritirati nella grande commenda sul colle dell’Aventino’ dice il frate guardiano, osservando Pietro.

Il frate abbassa la testa come per annuire. In realtà è un deferente cenno di saluto. Le ultime vicende, nelle quali è stato coinvolto, gli hanno fatto intuire che anche in Lombardia e nell’area romana non tira aria salubre per loro.

Busso” inizia Pietro, prima che la porta si chiuda senza spiegazioni, “perché cerco un fratello. Berthod de la Roche. Mi hanno detto che si è trasferito presso questa Abbazia”.

Il monaco, che ha aperto parzialmente il portone, sta per richiuderlo, quando ascolta le parole di Pietro, e resta interdetto. Tace, perché gli appare strana l’affermazione del forestiero, che è per giunta un templare.

Forse il fratello non è più qui?” domanda il frate, preoccupato di inseguire un fantasma, non ascoltando nessuna risposta.

No” risponde il monaco, che ha ritrovato la parola. “Il fratello che cercate si trova in questo monastero”.

Potrei incontrarlo?” incalza Pietro, che respira più rilassato.

Per quale motivo desiderate vederlo?” chiede il frate, tenendo sempre socchiuso il portone.

Ho una consegna per lui” dice Pietro, cercando di fornire il minimo delle informazioni.

Cosa?” domanda di nuovo il monaco, ben deciso a non farlo entrare senza una spiegazione convincente.

Non posso rivelarlo” fa Pietro per non tradire il compito assegnato. “Il cardinale Caetani mi ha ordinato di consegnarlo solo nelle mani del fratello Bethod de la Roche”.

Pietro parla con calma senza sollevare il capo ma deciso a non rivelare l’oggetto da recapitare. Non mostra segni di impazienza, né assume toni arroganti. L’intonazione della voce è umile e bassa.

Aspettate qui” gli dice il frate guardiano, chiudendo il portone.

Dopo un’attesa, che a Pietro appare lunga, si riapre il battente per accogliere il templare e il suo cavallo. In silenzio lui segue il monaco, che dapprima lo conduce alle stalle e poi nel monastero. Nella sala capitolare seduto sullo scranno sta un monaco dalla corporatura imponente e dal viso carico di anni.

Pietro Roda, templare della commenda di Bologna” si presenta Pietro, inginocchiandosi davanti a quello che gli appare il priore dell’Abbazia.

Alzatevi” fa il monaco, accompagnato da un gesto della mano. “Dovete consegnare qualcosa a Berthod de la Roche?”

Sì, fratello” dice Pietro, mentre osserva con attenzione la figura che sta dinnanzi a lui.

Ebbene potete farlo” fa il monaco allungando la mano.

Il cardinale Francesco Caetani mi ha ordinato di darlo in consegna a Berthod de la Roche. Solo a lui, di persona” afferma Pietro per nulla intimorito da quella figura ieratica.

Sono io” afferma il frate, inarcando per un attimo una sopracciglia. “Non vi fidate?”

Non lo conosco” replica Pietro diffidente. “Potrebbe essere chiunque”.

Il monaco si alza dallo scranno e prende sottobraccio il templare. “Venite” e si dirigono verso il refettorio dell’Abbazia.

Arrivati all’ingresso della vasta sala, un monaco spalanca gli occhi nel vederli, mentre quello, che legge i salmi della Bibbia, si ferma. Tutti smettono di mangiare.

Abate Berthod” fa un cistercense anziano, “ci rende un grande onore sedersi alla nostra umile tavola”. E fa posto ai nuovi arrivati.

Dalle cucine arrivano due scodelle, due brocche di vino e due teli di lino, che avvolgono del pane bianco. Pietro e Berthod mangiano in silenzio, come ha già sperimentato a Chiaravalle. ‘Dunque lui è l’abate del monastero’ pensa il templare pulendo la scodella col pane. ‘Capisco anche la sorpresa degli altri monaci, perché non capita mai che lui stia a tavola con loro’. Se aveva la necessità di conoscere l’identità del misterioso Berthod, adesso ne ha la conferma senza il minimo dubbio.

Finito il pasto, sempre in silenzio, si ritirano nelle stanze del priore. Pietro senza dire nulla preleva da sotto la tunica il sacchetto, che ha custodito con molta cura, consegnandolo a Berthod.

Pisae, 18 dicembre 1307, ora terza – secondo anno di Clemente V

Luis è al cospetto dell’arcivescovo di Pisae, frate Giovanni. Cerca con parole semplici di spiegare i motivi della sua presenza.

Guillaume de Nogaret mi ha affidato il compito di arrestare e accompagnare a Paris un templare bolognese” comincia Luis non molto sicuro delle sue affermazioni.

L’arcivescovo appoggia il capo sul palmo della mano e medita sulle parole di questo cavaliere francese. Ha letto la bolla papale del 22 novembre, Pastoralis praeeminentiae, dove viene ordinato l’arresto di tutti i templari e la confisca dei loro beni, ponendoli sotto la tutela ecclesiastica. Tuttavia non comprende il senso delle sue affermazioni. ‘Per quale motivo’ pensa frate Giovanni, ‘un cavaliere francese della corona di Francia insegue e chiede l’arresto di un templare bolognese? Non è nemmeno sotto la mia giurisdizione’.

Dopo una lunga meditazione l’arcivescovo emette il suo verdetto.

Non ho ricevuto istruzioni sull’arresto dei templari della Lombardia inferiore” comincia cauto il prelato. “La bolla papale afferma che templari e beni devono essere posti sotto la tutela del Papa. Quindi non posso essere d’aiuto. Visto che la magione di Bologna dipende dall’arcivescovo di Ravenna, vi suggerisco di andare colà e chiedere udienza a Rinaldo di Concoreggio, che regge la diocesi ravennate”.

Detto questo congeda Luis, che ha capito di non riuscire a prendere il frate, abile nel muoversi e protetto dagli arcivescovi della Lombardia e della Tuscia.

Luis è ormai rassegnato a tornare in Francia a mani vuote.

0 risposte a “Una storia così anonima – parte quarantottesima”

  1. Dopo tanto peregrinare tra la natura ostile e agguati sempre evitati: il buono e saggio Templare , Pietro, finalmente può consegnare il Sacchetto a Berthod de la Roche
    Luis, come al solito è stato sconfitto
    Chapeau,ti faccio i miei sinceri complimenti, grazie
    Un grande abbraccio
    Mistral

  2. Mi piace la tua cura per i particolari e attendo il seguito. Come al solito un po’ impaziente 🙂
    N.b ho fatto un pezzo della via francigena e anche la trans appenninica tra Bologna e Firenze, i luoghi ora non sono molto diversi da quelli del templare Pietro

  3. Finalmente il frate Pietro ha consegnato il sacchetto custodito da tempo nelle mani dell’Abate Berthod mentre Luis mediterà qualcosa per sorprenderlo.
    Ottimo capitolo, si avvicina l’epilogo a questo punto! 😉
    Un caro abbraccio da Affy

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