Una vita – parte quinta

Luca si fermò un istante nell’osservare quello che accadeva intorno a lui, mentre bevve un sorso di vino bianco ormai riscaldato dall’aria rovente.

Lo schiamazzo dei bambini rompeva il silenzio infuocato del pomeriggio. Ripensò alla mattina, quando aveva annunciato a Ersilia la sua intenzione di intraprendere un viaggio. Il viso colmo di stupore e rabbia insieme a una velata minaccia. Luca scosse la testa. “Dovevo farlo” si disse, abbandonandosi sullo schienale della sedia. “Era una vita che desideravo farlo”. Era un modo per sfuggire alla noia della giornata e per stare insieme ai suoi ricordi.

Ersilia qualche mese dopo quell’incontro, nel quale lui era rimasto senza voce e senza pensieri, sparì con gli esami di maturità. Era un mese di luglio ugualmente caldo come quello che di questi giorni. Il sole arroventava l’aria e nelle aule si boccheggiava per l’afa. Il sudore incollava alla pelle ogni cosa. Luca era ancora lontano da quel traguardo.

Lui aveva percepito di essere entrato in una spirale che lo avrebbe trascinato verso un abisso senza speranze. Aveva sprecato l’unica cartuccia per colpire Ersilia, la donna dei suoi sogni, che era scappata a gambe levate. “Di chi era la colpa?” si chiese, mentre si dissetava con l’acqua. “Devo incolpare la mia dabbenaggine e la mia timidezza”.

Vide la ragazza e le fece un cenno. «Un caffè corretto con la grappa» ordinò alzando la voce, prima di ritornare a quei lontani giorni di luglio.

Luca aveva finito l’anno scolastico con una materia da portare a settembre. “Allora esistevano gli esami di riparazione” mormorò in silenzio, sorridendo come un ebete. “Ora li chiamano recupero debiti formativi. Bah! Cosa cambia?” Scosse la testa, perché mutava il nome ma la sostanza era la stessa. Quella materia insufficiente era stato un tassello del disgraziato innamoramento verso Ersilia, che era sparita, senza che lui avesse la speranza di riacciuffarla in extremis. Agli occhi di Luca lei era una donna matura che avrebbe affrontato l’università, mentre lui era un ragazzetto immaturo e incostante, che avrebbe continuato il percorso scolastico al liceo. Due percorsi e due mondi distinti erano sotto gli occhi grigio-verde di Luca, che non aveva capito la sua infatuazione per una ragazza più vecchia di lui, più alta, più, più … più in tutto.

Adesso comprese che quell’incidente scolastico, del tutto fortuito, era stato un segno del destino. Senza di esso non sarebbe mai cresciuto. Sarebbe rimasto l’eterno bambinone sognante e sognatore. Questo albergava comodo e soddisfatto dentro di lui. “Come avrei potuto cogliere la mela matura, che qualche anno più tardi sarebbe stata appesa al mio albero, pronta per cadere ai miei piedi?” rifletté, massaggiandosi il mento.

Mentre continuava a rinvangare i suoi ricordi, era arrivato il caffè, senza che Luca vi avesse prestato attenzione, nonostante la mente si fosse sbracciata per farglielo notare. Il tavolo era ingombro di cibo e bevande. C’era un mezzo panino ormai sfatto, un liquido biondo nel calice, la bottiglietta dell’acqua appena sorseggiata e la tazzina del caffè fredda.

La ragazza girava inquieta tra i tavoli vuoti, sbirciando Luca. La incuriosiva quell’uomo calvo e dal fisico appesantito da qualche chilo di troppo. Però lei tra qualche minuto terminava il suo turno e doveva incassare il conto prima di andarsene. Non osava avvicinarsi, perché lo vedeva assorto nei pensieri incurante dell’afa asfissiante e dei rumori che lentamente animavano la strada. Era indecisa, perché le sembrava di rubargli il tempo alle meditazioni. Il servizio ai tavoli non le era mai piaciuto. “Oggi ancora di più” pensò incerta tra chiedere il pagamento e osservarlo in silenzio.

La parte razionale richiamò l’attenzione di Luca. “Mi sono perso nei meandri della mente” si disse indispettito per quell’intrusione non gradita. “E per di più non so dove sono”.

La ragazza si avvicinò rinfrancata, Le sembrò il momento giusto per farsi pagare il conto.

«Sono tredici euro e quaranta centesimi, signore» disse con tono dolce e un bel sorriso, mentre posava sul tavolo lo scontrino fiscale. Aggiunse arrossendo. «Tra qualche minuto è finito il mio turno e dovrei incassare il conto. Spero di non avere rotto l’incantesimo dei suoi pensieri».

Luca le sorrise. Quel viso gli era piaciuto, appena l’aveva intravvisto.

«Certo» fece Luca, prendendo dal porta monete una banconota da venti euro. «Non mi sono accorto di essere rimasto così a lungo qui».

Mise sul tavolo i venti euro.

«Tra un attimo le porto il resto, signore» rispose la ragazza, voltandosi verso la cassa.

«Aspetti» disse Luca, trattenendola per un gomito, mentre accennava a tenere il resto come mancia. «Mi può dire sono finito?»

«A pochi chilometri d qui c’è il mare» rispose la ragazza, facendo lampeggiare di orgoglio i suoi grandi occhi verdi. «Ma adesso si trova sulle colline tra Appennino e mare Adriatico. Un posto meraviglioso».

Luca la osservò con lo sguardo incantato.

«Come si chiama?» le chiese, osservando quegli occhi verdi da gatta. Si sorprese di tanto ardimento e ripensò che avrebbe dovuto averne altrettanto quella volta con Ersilia. Invece era rimasto muto come un pesce.

Luca si aspettava una risposta stizzita ma, quando udì «Simona», sobbalzò sulla sedia perché si era rotto il silenzio dentro di lui.

«Pensa di fermarsi in paese, stasera?» gli chiese Simona curiosa di conoscere questo sconosciuto che le sembrava che vivesse in un mondo incantato.

«Non so» fece Luca, mettendo a tacere la parte razionale che era insorta alla sua espressione dubitativa. «Non ho deciso». Però la mente non rimase in silenzio. “Siete un bugiardo! Non è vero che non lo sai” strepitò inviperita. “Taci!” le impose Luca.

«C’è festa stasera per il santo Patrono» insistette Simona, che lo incalzò per convincerlo a rimanere. «Fuochi d’artificio a mezzanotte e tante bancarelle nel sagrato della chiesa».

Luca sorrise. Aveva deciso d’istinto. Si sarebbe fermato per osservare la festa, perché erano suoni familiari, quando a maggio si festeggiava nella sua città. Il sorriso sparì in fretta, perché non avrebbe saputo dove fermarsi per la notte.

«Ma c’è un albergo in paese?» chiese Luca con lo sguardo spento, perché forse non c’era nulla.

«Le posso indicare un bed and breakfast appena fuori dal paese» continuò Simona sorridente. «Se aspetta qualche minuto, la posso accompagnare io». E sparì alla sua vista.

Luca incerto era preso tra due fuochi. La mente, che gli ordinava di riprendere il viaggio verso l’ignoto, e la fantasia, che lo incitava a raccogliere quell’invito insperato. “Non te ne pentirai” gli suggerì la parte sognatrice, per convincerlo a restare.

Le due parti erano intente a litigare, quando Simona comparve dinnanzi in jeans e camicetta pronta a condurlo in posto sconosciuto.

«Andiamo» disse Luca d’istinto, avviandosi verso la macchina, mentre lei lo seguiva spensierata, incurante dello sguardo del gestore del bar.

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0 risposte a “Una vita – parte quinta”

  1. Ahi Ahi Ahi. Occhi da gatta? Sono guai, guai seri!
    Luca si è aperto con sé stesso ed ora se ne becca le conseguenze. Il destino è tiranno! Ciao! Oggi il bottone c’è!
    P.s. Ersilia che fa?

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