Su Caffè Letterario è stato da poco pubblicato questo mini racconto
Eccolo
Anna è una ragazza che sta sbocciando nel trapasso da bambina a donna. Ama seguire le amiche che si radunano sotto la quercia appena fuori dal paese per operare le magie.
Ada che è più grande di lei di qualche anno la vuole inizializzare a riti celtici. Però lei nicchia e preferisce osservarle in silenzio mentre raccolgono delle erbe e dei frutti che ripongono con cura in un cestino di vimini foderato con foglie di salice.
Sono sei la compagne e lei fa la settima che osserva solo. Da un marsupio estraggono un mortaio di legno dove metteranno il raccolto contenuto nel cesto.
Anna guarda in silenzio le loro attività senza capirci molto. Ascolta parole che non le dicono nulla ma solo suoni inarticolati. La brezza della sera le scompiglia i capelli di un rosso fulvo.
Pestano a turno nel mortaio di quercia frutti e fiori appena raccolti per creare degli infusi che useranno per Simhain. Iperico, verbena, salvia e rosmarino mescolati col sidro di mela.
Le ragazze dondolano al ritmo delle loro nenie mentre Anna sembra fuori tempo. Poi la mettono al centro del cerchio e la cospargono con nettare di uva dell’anno precedente. Lei vorrebbe sottrarsi ma non ci riesce e stoicamente resiste al supplizio.
Si sente sporca e appiccicosa ma sorride perché sa di essere nel cerchio delle streghe.
La lacca lucida largheggia sulle labbra. Laggiù lontano lasciamo il labirinto lacustre del lago. Un laborioso lavoro lascia un lucente legno levigato. La lagna leva una laconica lirica sul labaro lacerato.
Elena Salem propone per il suo laboratorio una nuova sfida. Continua tu la storia
Ecco l’inizio
Il navigatore satellitare aveva smesso di funzionare. Marco continuò a guidare senza avere idea di dove stessero dirigendosi. Imboccò una strada secondaria e d’improvviso si trovò di fronte a un misterioso paesino. Cercò di localizzare su Google il luogo in cui erano approdati, ma la copertura era del tutto assente. Prese una vecchia mappa stradale, ma sulle pagine il luogo sembrava non esistere.
La moglie gli strinse la mano. Marco percepì la sua incuriosita e al tempo stesso un certo timore. Il villaggio sembrava disegnato su un album per bambini. Case colorate in stile tirolese. Gerani variopinti ai balconi, persone sorridenti, al limite del teatrale, che giravano in bicicletta. Qualcosa non andava. Oppure erano finiti per errore sul set di un film che stavano girando.
«Fermati, c’è un bar» disse la moglie.
Lui parcheggiò davanti all’entrata.
«Ben tornati» disse il barista, porgendo loro due tazze di caffè.
Marco aggrottò le sopracciglia. «Noi non siamo mai stati qui».
Il barista sorrise. «Tutti dicono così, all’inizio». Poi indicò una vecchia foto sulla parete dietro al bancone. Erano loro due, vent’anni prima…
Ed ecco la mia prosecuzione
Marco sbiancò mentre Laura strinse gli occhi per focalizzare l’immagine. Lei era astigmatica e vedeva sdoppiati i contorni. Estrasse gli occhiali dalla tracolla e fissò quella fotografia sbiadita dal tempo. Ebbe un sussulto. Erano proprio loro più giovani di vent’anni.
«Com’è possibile?» sussurrò con un filo di voce avvicinando le labbra all’orecchio di Marco.
L’immagine era in bianco e nero e li ritraeva insieme ad altre coppie.
«Ma quelli…». Marco s’interruppe. Aveva riconosciuto Aurora e Tommaso, Gaia ed Enrico. Il cuore smise di battere e rimase senz’aria nei polmoni.
«Stai bene?» esclamò Laura osservando il marito terreo in viso. «Stai bene?» ripeté col tono serio della voce.
Marco annuì. Poi con l’indice tremante indicò le coppie degli amici. Non riusciva a capacitarsi di quella fotografia di gruppo. Una trentina di persone.
Laura girò intorno al bancone per osservare meglio quei volti. «Non è possibile. Aurora vent’anni fa era ancora single e poi non aveva sposato Tommaso».
Marco si appoggiò coi gomiti al piano lucido di mogano dietro cui stava l’oste, che ridacchiava.
«Tutti dicono così all’inizio» ripeté con tono ironico come a prenderli in giro. «Anche i vostri amici hanno detto la medesima frase prima di ricredersi e ammettere di essere stati qui nell’agosto del 2005».
Laura strinse la mano a Marco che balbettava parole incomprensibili come un bambino che stava imparando a parlare.
L’oste sembrava divertito nel vedere lo sconcerto negli occhi di questa coppia. «Eppure siete arrivati in gruppo. Chi a piedi, chi in macchina. Avete chiesto informazioni. Avete consumato e poi mi avete chiesto di fare un’istantanea di gruppo». Si girò indicando la fotografia ingiallita dal tempo che troneggiava insieme ad altre.
Marco deglutì rumorosamente, mentre Laura si soffiava il naso. «Ma dove siamo?» chiese con voce supplichevole.
«Siete a…» e lasciò in sospeso il nome. Pareva divertirsi a giocare con loro come il gatto col topo.
Marco lanciò uno sguardo smarrito fuori nella piazza prospiciente il locale dove si trovavano. Le persone sembravano volare e non camminare e vestivano una foggia tra il casual e il tirolese in accordo con le tipologie delle case che facevano corona.
Laura si strinse al marito mentre l’oste riprese a parlare «Siete a…».
Lo squillo del telefono fece sobbalzare Marco che si mise ritto sul letto. Era tutto sudato e aveva la gola secca. Con voce impastata rispose. «Pronto. Chi siete?»
«… siete a Lasch in Vental».
Udì il clic e il segnale di libero. Si stropicciò gli occhi incredulo. Laura se ne era andata vent’anni prima e lui viveva solo.
Sembrava che fosse passato il tornado. L’appartamento era vuoto a parte un paio di scatoloni sormontati da una lampada.
Alex e Grazia si voltavano le spalle. Tra loro il gelo era di casa, ognuno dei due immersi nei loro pensieri.
Cosa era successo? Nulla di trascendentale. Semplicemente avevano venduta l’abitazione che avevano in comproprietà e l’avevano svuotata di tutto. Peccato che non sapessero dove andare, a parte nell’unica pensione di Loghi, che appariva come una topaia tanto era triste.
Grazia rimproverava al compagno di aver messo in vendita la casa senza preoccuparsi del dopo.
Alex, inviperito, le rinfacciava che nessuna degli appartamenti che avevano visto andasse bene.
Così era arrivato il momento di finire davanti al notaio per la stipula senza avere un posto dove mettere il mobilio, a parte il capannone di zio Mark, come veniva chiamato un personaggio pittoresco di Loghi.
Adesso l’appartamento doveva essere abbandonato entro la mezzanotte di questo giorno.
Grazia si infilò lo spolverino e scese in strada. Dalla cantina prese la bicicletta e pedalando si allontanò da Loghi. «Che si arrangi con i nuovi proprietari».
Alex spense la lampada. Non gliene fregava nulla se restava lì. Indossata la giacca di velluto a coste verde, tirò alle spalle la porta che con un clack rumoroso si chiuse dietro di lui. Gli scappò un’imprecazione. Le chiavi della macchina erano rimaste sotto la lampada. «Porca miseria!» imprecò a fior di labbra. «I nuovi proprietari tornano tra un mese».
Non gli restava che recarsi alla pensione Arcobaleno, che era tutto fuorché essere bella come il fenomeno atmosferico.
“Chissà se troverò Grazia” bofonchiò nero in viso. “Una giornata pessima. Domani speriamo che sia meglio”.
Oggi per il gioco linguistico Eletta Senso propone un tautogramma in A.
«Allora, Ada, andiamo» aggiunse Alberto, aprendo l’articolo che archivia le adesioni.
«Attendi!» affermò afona.
«L’assemblea non aspetta!»
Si alzò apatica. Ambiva almeno di non anticipare l’adesione all’apertura dell’anticamera. L’approccio attuale assicurava un’apparente attitudine di amministratrice.
Questo lunedì Eletta Senso propone un haiku poetico tratto da una delle cinque proposte.
Ho scelto questa di Alda Merini
Perché t’amo e mi sfuggi, pesce rosso di vita umido dentro l’erba palpitante nel sole? Perché non ho parola dura come la pietra che ti ferisca a morte? Così ti fermerei, e potrei disegnarti un arabesco sul cuore.
Alda Merini
ecco il mio haiku
Amor sfuggente
palpita. Sole rosso
disegnato qui.
by pexels-pixabay
Tratto da Emily Dickinson
Giardino caldo
appaga serenamente
spirito umano.
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