Nuovo gioco – L’amore al tempo della fibra

Morena Fanti propone di scrivere un racconto ispirato A L’amore al tempo della fibra.

Ecco il post

Non lasciatevi fuorviare dall’immagine che ho scelto: questa di cui parleremo nei racconti sarà una realtà molto variegata e le app di incontri sono solo una minima parte di ciò che potrà essere raccontato.

Comunque, ho fatto una mini ricerca proprio ora, e le app sono molteplici, con vari usi: per incontri sentimentali, over 40, per donne con donne, per uomini con uomini, ecc. E valgono un mercato con tante cifre.

Quindi direi che sia giusto occuparsene.
Ma non fermatevi lì.

Io credo che, oltre alle app, ci siano tanti altri elementi da inserire nelle storie, iniziando dai social più usati, quelli che abbiamo tutti, dai messaggi di Whatsapp, dalle foto messe in rete, alle informazioni su di noi che spargiamo ovunque.
L’amore non deve essere ‘nuovo’, appena nato, ma può essere anche datato e scoprire ora la tecnologia.
Insomma, non vi posso dire troppo, altrimenti brucio le idee che potrei avere.

Non so ancora se scriverò anch’io, però conto su di voi e vorrei che foste numerosi.

Quindi rilanciate ovunque questo post e i prossimi in cui ne parleremo.

Regole poche e semplici:

Invio dei racconti entro il 31 dicembre 2025.
Nel racconto si deve parlare d’amore.
Ci deve essere la presenza ingombrante del mezzo tecnologico: qualcosa che funzioni con la fibra, il 5g ecc.

I caratteri devono essere minimo 5000 e massimo 7000.

A questo proposito, vi prego di non dare formattazioni ‘strane’ al vostro racconto. Se potete, usate il carattere Times New Roman corpo 12, giustificato, e per i dialoghi le virgolette caporali, che sono queste: « » e non queste: <>.

Se non le sapete fare, chiedete aiuto, perché è impensabile che io possa cambiarle tutte.
I racconti verranno pubblicati – in forma anonima – in questo blog all’inizio del mese di gennaio 2026, subito dopo la conclusione delle “feste”.

Nella mail che mi spedirete scrivetemi con che nome volete essere citati, il vostro link di riferimento e due righe di bio – una cosa tipo: impazzisco per lo yogurt greco, ho un gatto che mi fa da mentore, sul terrazzo ho sette piante di peperoncino mascherate da cannabis per far credere ai vicini che sono un tipo alternativo.

Questi dati non verranno divulgati nella prima fase del gioco perché, come detto sopra, i racconti verranno pubblicati in forma anonima, in modo che si possa commentare senza farsi influenzare dalla eventuale conoscenza personale. Serviranno (forse) in seguito se si deciderà di pubblicare il pdf dei racconti come abbiamo fatto in passato per Il disagio della tecnologia (pdf scaricabile a questo link), per il pdf di Futuro prossimo (pdf scaricabile a questo link) e per il pdf I racconti del condominio (scaricabile a questo link)

(in questi giorni mi sono riletta un po’ queste raccolte e le ho trovate interessanti. Mi piacerebbe che anche stavolta si riuscisse a fare un bel pdf. Datevi da fare)

Ci tengo a dirvi che questa non è una raccolta tipo “Il disagio della tecnologia”, in cui ogni racconto aveva appunto una base di ‘disagio’ che potrebbe essere intesa come negatività.
No, qui si possono raccontare anche storie molto belle, edificanti, positive. Non vedetela solo come una possibilità di storie negative. La tecnologia ha questo di bello: è utile o dannosa secondo chi la usa, e per quali scopi la usa. Possono anche essere storie umoristiche, ironiche, bizzarre.

Non mettiamo limiti alla fantasia.

Chiudo dicendo che al gioco possono partecipare TUTTI, anche il viandante che arriva qui per la prima volta. Fatevi sotto e scrivete la vostra adesione.

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Acrostico per novembre

credits by pexels-pixabay

Acrostico in onore di novembre

Nebbia Nuvole

Oscurano Orizzonte.

Velate Visioni

Emergono Esitanti,

Modellano Mute

Brume Biancastre.

Ritornano, Rinnovano

Eteree Emozioni.

by pexels.com

Per Luisa ho creato questo acrostico

Nido Nascosto

Occultato Ombra

Vediamo Visioni.

Emozionanti, Estemporanei

Movimenti Mutano

Brillanti Bellezze.

Restano Ricordi

Eterni ed Eterogenei.

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Rumori 5

by pexels.com

Le puntate precedenti le trovate qui 1 2 3 4

Scuote la testa come per scacciare dei cattivi pensieri e poi finisce il suo caffè. Da tre notti sento dei rumori provenienti dal sottotetto ma non trovo traccia di chi li ha provocati. Si appoggia allo schienale della sedia, mentre con la mano si gratta la leggera peluria del mento cresciuta durante la notte. Gli pare un enigma senza soluzioni apparenti. Eppure credo che ci sarà una spiegazione. Anche se sembrerà strana, di certo esiste. Riflette mentre con fare indolente si avvia in bagno per una doccia. Oggi devo fare diverse commissioni tra cui la spesa per la settimana.

Luca è single e vive da solo dal momento in cui ha lasciato la casa dei genitori. Col loro aiuto ha comprato questa abitazione, sistemata in maniera alquanto bizzarra, quattro anni prima. È su due piani più una mansarda. Lui occupa il secondo piano con la mansarda e il sottotetto a disposizione. Al piano terra ci sono cantine e box, mentre al primo abita una coppia con un figlio.

Gli è chiaro alla terza notte che il rumore che lo tiene sveglio e in apprensione proviene dal sottotetto che è solo accessibile tramite una scala retrattile chiusa da una botola. In quel vano non ci sono finestre o velux o lucernari, nessun accesso all’esterno ma solo tramite la mansarda e un’apertura che non si apre dal sottotetto.

Non credo di essermi sognato quel rumore tanto particolare come riconoscibile di piedi che si trascinano sul pavimento. Riflette mentre si asciuga con vigore nell’accappatoio. In parte la stanchezza è scivolata via con l’acqua. Si sente molto meglio di quando si è svegliato. Non è pimpante come gli altri weekend ma tutto sommato abbastanza reattivo.

La giornata si preannuncia calda. Quindi decide per un abbigliamento quasi estivo. Camicia di cotone, pantaloni e scarpe leggere.

L’auto la usa poco, preferendo la bicicletta ma quando deve fare la spesa è costretto a prenderla. Però prima si farà una passeggiata in centro per un secondo caffè con cornetto integrale. Poi si recherà al supermercato in auto.

La camminata nell’aria moderatamente calda gli serve per smaltire le tossine notturne, relegando il ricordo del rumore in un angolo nascosto della mente.

«Oggi non ho nessuna intenzione di chiudermi in casa. Chissà se Elsa mi tiene compagnia all’Osteria Grande». Prova a chiamarla per saggiarne la disponibilità.

L’Osteria Grande è un locale frequentatissimo da giovani e meno giovani. In realtà delle vecchie osterie conserva solo l’insegna, il resto è moderno e funzionale per qualsiasi ora del giorno. Dalla colazione del mattino al pranzo di mezzogiorno, dal happy hour alla cena serale e dal dopocena fino al momento della chiusura.

Elsa risponde positivamente alla sua richiesta di passare la giornata insieme. «Visto l’orario possiamo sfruttare il brunch del sabato mattina» suggerisce la ragazza, che si è svegliata da poco tempo e non ha fatto ancora colazione.

«D’accordo» conferma Luca sollevato al pensiero di avere compagnia femminile e propone un pomeriggio intellettuale: alla mostra degli impressionisti francesi al castello. L’idea di passare un paio d’ore al supermercato è già accantonata. Per la giornata odierna non ci sono problemi, domani sarà un altro giorno.

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Lipogramma in e

by pexels.com

Oggi giochiamo con un lipogramma in e ovvero dobbiamo usare solo lemmi che non contengono questa vocale.

Tramonta il sogno di Aldo tra dubbi notturni, visioni di un mistico dominio di bianca malizia. Ascolta il battito di un mondo in agonia, guarda il panorama di una natura incontaminata. Abbandona l’alterigia umana con umiltà.

Scala la montagna ripida con sicuro zelo, limitando i rischi.

Ammira i colori autunnali con lo sguardo bambino.

by pixabay

Per Luisa ho creato questo lipogramma in e

Andiamo a zonzo col naso in su. Annusiamo l’aria poco fuori dal rigido. L’autunno con i suoi colori sta tra noi. Nuvolaglia grigia biancastra scivola tra scorci di chiaro scuro.

Guardo ammirato il quadro davanti ai miei occhi. La natura mostra un capolavoro di grazia.

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Chie era Marianna?

by pexels.com

Questo è il secondo pezzo che ha partecipato alla sfida di proseguire un incipit proposto a inizio estate da Morena Fanti sul suo blog.  L’altro lo potete leggere qui.

Il finale è un po’ affrettato ma dovevo rispettare il vincolo di 6 mila battute.

Chi era Marianna?

«Di Marianna mi invaghii quella prima volta che la vidi. Quando pensavo che fosse la commercialista».
Dallo spioncino della porta la vedevo camminare verso il suo appartamento. Portava quelle scarpe con la zeppa di corda e i lacci avvolti alla caviglia – quella caviglia! – e una gonna al ginocchio, in jeans.

Però lei manco mi degnava di uno sguardo pur essendo la mia dirimpettaia nel pianerottolo al terzo piano.

Vivevo allora in un casermone alla periferia di una grande città. Grigio e scrostato, dai balconi sudici da cui colava l’acqua mista a terra quando gli inquilini bagnavano le piante. Si ergeva per otto piani nel nulla circondato da sterpi e rottami, gettati da persone senza un minimo di rispetto.

Liti e urla erano un sottofondo a cui mi ero abituato ma sbavavo su Marianna incurante di tutto il resto. Ignoravo cosa facesse in realtà. Non so il perché mi sono incaponito a pensare che fosse una donna in carriera. Una commercialista. La vedevo uscire con un’enorme tracolla di tela, che doveva essere pesantissima, dove di certo teneva i dati dei suoi clienti. Fantasticavo su una professione che di sicuro non praticava.

Ho cercato in tutti i modi d’incrociarla ma lei era abile nello schivarmi.

Una notte avvertii del trambusto che mi svegliò. Mi misi ritto nel letto, mettendomi in ascolto. Forse ho solo sognato, pensai rimettendomi giù per addormentarmi. Domani devo essere lucido per affrontare quel osso duro di Lucerti. Era il mio primo appuntamento da avvocato dopo l’abilitazione.

Dormii alla grossa senza sogni, una notte nera senza nessun sprazzo, finché la radiosveglia non mi strappò dalle grinfie di Morfeo. Però avvertii rumori insoliti e indecifrabili che suggeriva che qualcosa di storto mi avrebbe teso un agguato.

Sentivo un trambusto come di persone che salivano o scendevano le scale, che si aggiravano sul pianerottolo. Insomma una serie di rumori che non erano quelli abituali.

A piedi nudi e coi boxer indossati sotto una maglietta dal colore indefinito misi l’occhio sullo spioncino e rimasi folgorato. Mi ritrassi come se chi stava fuori mi scorgesse. Cautamente tornai a guardare dall’occhio magico cercando di focalizzare la situazione.

Feci un balzo indietro inciampando nel portaombrelli di ferro che ruzzolò a terra con gran fracasso. Per fortuna non è di ceramica come il rospo, mi dissi atterrito, mentre il campanello squillò minacciosamente.

«Vengo, vengo» urlai per far cessare quel suono lancinante raccogliendo il portaombrelli.

«Polizia!» gracchiò una donna in divisa all’apertura della porta.

Stavo per rispondere piccato che non ero cieco ma preferii annuire, mettendomi di lato per farla entrare. «Mi sono appena alzato dal letto» spiegai per giustificare il mio abbigliamento poco consono a ricevere qualcuno. In particolare una donna.

«Si vesta e venga con me!» Abbaiò con tono sgraziato la poliziotta, che a dire il vero non era il mio tipo.

«Sì, sì!» E mi precipitai in camera da letto per indossare jeans e polo e infilare i mocassini. Non fui mai così veloce come questa volta nel vestirmi. Però la mia mente lavorava a pieno regime per inquadrare la situazione che non mi era chiara. Poi un brivido mi corse lungo la schiena. Alla dieci dovevo essere in tribunale e adesso erano già le otto e mezza. Avevo sì e no un’ora di tempo per sbrigare la formalità dell’interrogatorio.

La cerbera, una donna dalle forme sgraziate e dai modi spicci, mi strattonò accompagnandomi al piano terra, dove nella guardiola che ospitava il custode c’erano altri condomini. Feci un rapido calcolo e capii che l’udienza sarebbe saltata.

Erano le nove e trenta, più o meno quando fu il mio turno per essere interrogato.

«Dov’era alle cinque di stamattina?» domandò un poliziotto avanti nell’età con tono autoritario.

Lo guardai tra il curioso e l’indispettito. Contai fino a dieci prima di rispondere per non aggravare la situazione. Ero un avvocato e dovevo moderare il tono della voce. «Penso a letto. Dormivo» risposi asciutto.

L’ispettore consultò alcuni fogli. «Ha sentito qualcosa alle cinque?»

«Un rumore mi ha svegliato ma non saprei dirle se erano le cinque oppure un’altra ora» spiegai con la voce calma, mentre sbirciavo l’orologio. Ormai l’udienza era saltata e con essa anche la parcella.

«Non faccia il furbo e risponda a tono» replicò indispettito.

«È la verità, commissario. Non ho visto l’ora e mi sono addormentato di nuovo».

«Qualcuno può testimoniare che dormiva?»

Scossi il capo, anche perché nessuno mi aveva spiegato cosa era successo anche se lo intuivo.

«Torni nel suo appartamento e rimanga lì a disposizione».

Ritornando su, pensavo, l’udienza saltata e il cliente perso. Sospettato di qualcosa di indefinito. Insomma un bel casino. Però arrivato al mio pianerottolo capii tutto. La bella Marianna era morta. Uccisa.

Mi sistemai nell’unica stanza che funzionava da pranzo, salotto e studio a riflettere sulla mia posizione.

Di certo malelingue hanno insinuato che le facevo il filo e le sbavavo dietro. Quindi per correlazione sono un sospettato. So come ragiona un magistrato. Immerso in questi pensieri, il campanello squillò di malagrazia. Ero rassegnato a finire in questura.

La solita virago mi afferrò un polso e mi strattonò fuori dalla porta. Mi caricarono sull’Alfetta e a sirene spiegate finii nella sala degli interrogatori. Qui per ore ribadii che Marianna, la signorina Perfetti, la conoscevo quel giusto per essere la dirimpettaia ma mai ero entrato in casa sua o viceversa. Insomma una quasi sconosciuta.

«Che altro mi può dire» ribadì il commissario distrutto quanto me, visto che non aveva cavato un ragno dal buco.

«Non saprei suggerirle nulla» replicai con la voce afona. «Nel condominio tutti fanno gli affari propri. E io per primo».

Ritornato a casa fui assediato da troupe televisive che volevano conoscere i dettagli dell’omicidio o qualcosa di piccante su Marianna.

Fu un’estate terrificante. Tra il campanello che squillava in continuazione e gli inseguimenti quando uscivo.

Di Marianna non me ne fregava più nulla. A settembre cambiai casa.

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Il mondo va a fuoco

immagine da bookanalisys

A inizio estate Morena Fanti ha proposto una sfida usando uno o più dei cinque incipit postati sul suo blog. Io ho partecipato con due pezzi, di cui vi sottopongo il primo, tratto da celebre libro di Ray Bradbury Fahrenheit 451.

Era una gioia appiccare il fuoco. Era una gioia speciale vedere le cose divorate, vederle annerite, diverse”.

Ada sta rileggendo per l’ennesima volta quel testo sacro di Ray Bradbury “Fahrenheit 451” di cui non la stanca la lettura. Appoggia il libro sulle gambe e chiude gli occhi per immaginare la scena.

Un’apocalisse e un mondo capovolto dove i pompieri invece di spegnere gli incendi, li appiccano. Pare di vivere un incubo ma in definitiva è la realtà che ci appare sotto gli occhi tutti i giorni. Una sorta di specchio deformante come quelli che si trovano al Luna Park nel labirinto degli specchi dove questi ci mostrano in pose grottesche.

Questa lettura mi fa riflettere sul mondo e sull’allegoria che sottintende. Quello che ci circonda brucia perché ci sono più incendiari rispetto a coloro che spengono i fuochi.

Ada getta i capelli castani dietro la testa facendo scivolare a terra il libro. È una giovane ragazza più matura di molte sue coetanee, che preferiscono l’apparire piuttosto che all’essere. «Lo prenderò su dopo» mormora con un filo di voce, socchiudendo gli occhi di un blu intenso come il cielo sereno. Dimentica per un attimo quello che sta leggendo per riflettere dove sta andando questo mondo rissoso e incattivito. Focolai vecchi ma anche nuovi incendiano il nostro pianeta ogni minuto. Pensa con amarezza su quello che succede intorno a lei tutti i giorni. Se apre un giornale o ascolta la televisione ci sono solo notizie di disgrazie, tragedie o guerre. Mai un qualcosa di positivo che differisca dalla vanità dell’apparire. Tutti parlano di pace ma poi fanno l’esatto opposto. La guerra. Siamo incapaci di vivere in armonia all’interno di una società che rispetta le persone.

Riprende da terra il libro dalla copertina rovinata e dalle pagine piene di orecchie usate per tenere il segno. È una vecchia edizione degli Oscar Mondadori, comprata su una bancarella di libri usati per cinquanta centesimi.

«Chissà quante mani hanno sfogliato queste pagine. Io di certo almeno quattro volte e non mi fermerò» farfuglia mentre ricerca il punto dove si era fermata nella lettura.

Ci rinuncia confusa perché ogni pagina le sembra quella buona. Conosce a memoria ogni riga. È una sorta di appagamento interno quello che prova nel ricordare ogni parola.

Si appoggia allo schienale della sedia davanti alla sua scrivania di faggio chiaro. È ingombra di ogni cosa. Fogli, libri, riviste e chissà quanti altri oggetti. Non si decide mai a mettere ordine. In realtà ho un mio ordine nel disordine di carte, libri e riviste. Avvicina la sedia per stare più comoda e appoggiare i gomiti sul piano. Depone il libro sul tavolo e lo chiude con religiosa attenzione come se volesse evitargli qualche immaginaria sofferenza. Sorride nell’osservare il suo stato. La copertina è molto rovinata, qualche pagina tende a staccarsi, altre sono piene di sottolineature o annotazioni. «Ricomincerò dall’inizio» ripete passando le mani sul viso in un moto defaticante, spostando i capelli dietro le orecchie.

Si guarda intorno alla ricerca di qualcosa. Solleva una pila di riviste e fogli. Apre una mappa del mondo, dove su un unico foglio piano sono disposti tutti i continenti.

«Dove non c’è il fuoco della guerra?» Una domanda pleonastica la sua. «In Europa arde un incendio che non accenna a spegnersi».

Sposta il dito verso il basso, nel vicino Medio Oriente. «Qui è un fuoco continuo alimentato da chi pretende di essere pompiere ma fa tutt’altro mestiere. Proprio come in Fahrenheit 451. Là, bruciano il sapere perché con l’ignoranza puoi dominare le menti. Qui è una lotta tra chi vuol dominare e chi non vuole essere dominato in un contesto dove potere e denaro la fanno da padroni».

L’area incendiata è vasta come sono molti i focolai sopiti che covano sotto le ceneri e altri che divampano alla luce del sole.

Poi il dito di Ada si sposta verso il basso e poi verso sinistra. Sorpassa l’Oceano Atlantico, il Pacifico, l’Indiano e il cerchio si chiude.

«Dunque Montag non è solo un personaggio inventato da Bradbury ma è una persona in carne e ossa che vive tra noi».

Ada ripiega la mappa con cura, la seppellisce di nuovo sotto una pila di fogli. Prova orrore al pensiero di tutte quelle guerre e delle sofferenze che devono sopportare molti innocenti. Torna al suo libro ma non lo apre per leggerlo, almeno per il momento. L’incendio non è un fuoco purificatore ma una tragedia che travolge i adulti e bambini. Sono quest’ultimi i veri sacrificati. Loro non hanno ancora conosciuto la vita, perché sono all’inizio del loro ciclo, al contrario di noi adulti che siamo verso il finire. Per loro la guerra sembra un gioco ma in realtà è un qualcosa di orribile, perché non hanno compreso in pieno tutti gli orrori. Noi ci siamo assuefatti a tutte le nefandezze, come se fossero un corollario della nostra esistenza.

C’è molta amarezza nei suoi pensieri, perché avverte tutto il peso della sua impotenza. Si domanda cosa potrebbe fare per invertire una situazione che tende scivolare nella tragedia di una guerra globale. Sarebbe la fine di tutto. Un tunnel senza vedere la luce in fondo. Vorrebbe fare qualcosa ma l’unica, che si può permettere, sarebbe esporre sul davanzale la bandiera arcobaleno. Ma sarà vero? Basterà? Oppure è solo un modo per ingannare me stessa della mia ininfluenza di fronte alle tragedie che assediano il mondo?

Avverte un groppo alla gola perché comprende di essere una pavida, incapace di battersi in modo esplicito per le sue idee, di non avere il coraggio di uscire dal proprio guscio e affrontare un mondo che stenta di riconoscere come suo.

Riflette. Caino e Abele sono lo specchio del nostro tempo. Si potrebbe vivere in pace, aiutandosi a vicenda, invece prevalgono gli egoismi. Si crede che il proprio orticello sia un sicuro porto dove si vive felici, dimenticandosi che non è il singolo a determinare la propria sicurezza ma la società di cui facciamo parte.

Chiude gli occhi e piange.

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Era una giornata di settembre

Era un giorno di settembre come tanti altri.

Avevo solo cinque anni ma il ricordo è nitido, anche se sono passati molti anni.

La mia famiglia possedeva una minuscola casetta in riva al lago come molti altri. Dire minuscola rende bene l’idea, perché c’erano solo tre stanze. La camera da letto dei miei genitori, un ambiente che fungeva da pranzo e cucina e un bagno che a me sembrava enorme ma in realtà era lillipuziano. Io dormivo su una poltrona letto che si apriva alla sera.

Lì passavamo le vacanze estive. Mio padre faceva il pendolare con la città dove lavorava, mentre io e mia madre restavamo lì da giugno a settembre, finché le scuole non riaprivano. Allora si iniziava a ottobre, mentre adesso si comincia a metà settembre.

Quel giorno faceva ancora caldo ed era possibile fare il bagno nella piccola spiaggia di sassi. Ovviamente io lo potevo fare solo se c’era uno dei miei genitori a controllarmi.

La giornata volgeva al tramonto e il sole era radente l’acqua calma del lago. Non era molto grande ma era frequentato da molte persone che trascorrevano lì le loro vacanze estive nei vari cottage intorno alla riva. Vicino a casa c’era un pontile di legno le cui assi cigolavano in modo inquieto. Mio padre diceva che erano pericolose ma nonostante le molte lamentele dei villeggianti non erano state mai sistemate.

Quel giorno la mia mamma mi aspettava a braccia aperte, mentre io correvo felice incontro a lei.

Un rumore sordo come si fosse rotto qualcosa aveva colpito le mie orecchie. Poi non ho più sentito qualcosa di solido sono i miei minuscoli piedi di bambino, mentre precipitavo verso il basso.

«Marcello, Marcello!» è stata l’ultimo suono che ricordo mentre tutto diventava buio.

O.T. Questo pezzo ha partecipato alla quinta edizione di scrivi un incipit di Luz

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Rumore 4

Lennart Wittstock – by pexels.

Salire tenendo in mano torcia e attizzatoio non è molto igienico, visto che la scaletta è alquanto instabile e ondeggia paurosamente. C’è il rischio di rompersi l’osso del collo.

Quindi con uno spago crea una tracolla per l’attizzatoio, mentre la torcia l’infila in cintura.

Borbottando imprecazioni e tenendosi a una specie di corrimano in corda si issa di nuovo nel sottotetto.

Con la torcia comincia a ruotare la luce nell’ampio vano. Ragnatele e polvere e nessuna traccia del passaggio di qualcuno attestano che sia presente un essere umano o sopranaturale.

«Eppure» borboglia infastidito per la mancanza della prova di una presenza. «Eppure era nitido il rumore di passi che strascicavano sul pavimento. Dovrebbe esserci un segno di questo».

Ridiscende richiudendo la botola alle sue spalle. Si spoglia per coricarsi. Impreca perché sono già le quattro della notte e non ha ancora chiuso occhio.

Di botto la stanchezza dovuto allo stress del rumore cala inesorabile mentre si stende sul letto. Il sonno lo coglie impreparato e comincia a sognare.

Sogni strampalati e privi di senso popolano la sua mente, mentre si agita nel letto. Fantasmi o persone prive di comportano umano si presentano nella sua mente come un caleidoscopio immaginario di personaggi fantastici. Incubi in bianco e nero scorrono come un film infernale. Sono immagini inquietanti che rendono il suo sonno nervoso.

Una spira di luce ferisce i suoi occhi risvegliandolo di colpo. Lo stress della notte lo rende stanco di più di quando si è coricato. Guarda le ore nella radiosveglia e impreca. «Oggi è giorno di riposo. Niente lavoro!» Prova a girarsi per dormire ancora per recuperare un po’ di energie. Stanotte mi sono coricato alle quattro e sono passate solo tre ore. Borbotta indispettito. Il suo orologio biologico l’ha svegliato come tutti i giorni della settimana: alle sette di mattina. Però questa notte è stata un po’ particolare e sta lasciando il segno. Ha gli occhi pesti che faticano a stare aperti e la mente intorpidita dalla mancanza del riposo notturno.

Nonostante abbia voglia di dormire ancora un paio d’ore, si gira in modo convulso nel letto senza chiudere nemmeno per un minuto gli occhi. Capisce che si deve alzare o quanto meno restare sveglio. «Ci vuole un buon caffè forte! Ma molto forte!» afferma con tono deciso infilando le ciabatte.

Ragiona su quello che l’ha tenuto sveglio, mentre la moka borbotta con dolcezza il suo contenuto.

«Dunque» riflette ad alta voce mentre sorseggia con piacere il caffè, rilassando i muscoli del collo. «Sento dei passi, come se uno strascicasse i piedi nello stesso modo di un vecchio. Non ci sono tracce nell’appartamento. Resta il sottotetto ma…». Fa una breve pausa per bere un altro sorso di caffè. «Qui avviene una cosa buffa…». Ride e quasi gli va di traverso quel goccio di caffè.

Scuote la testa perché capisce che è una situazione assurda. Se la raccontasse in giro lo canzonerebbero per essere un credulone. Nessuno crederebbe al suo racconto.

Per leggere le altre puntute precedenti seleziona i numeri 1 2 3

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Sillabario Farfallino

credit by Oleg Kuzma – pexels. com

Oggi per il gioco linguistico Eletta Senso propone il sillabario farfallino. ovvero usare parale che iniziano consonante + vocale

Ho scelta F più tutte le vocali.

Ecco cosa ho creato.

FAnno FAnciulle FElici: FEdeli FInalmente FIniamo FOndotinta (di) FOliage, FUturi FUlcri (di) FAmose FAbbriche.

Febrili FEdeli FIschiano (con) FIevoli FOgli. FOlte FUnzioni (sono) FUori FAse.

Foto personale

Per Luisa ho creato questo.

Ma Me Mi Mo Mu

MAgari MAnteniamo (a) MEnte MEmorie MIsteriose, MImando MOtivi (per) MOdellare MUnifiche MUse.

MUte MUse MOstrano MOlteplici MIti, MIsurando MEtriche MEravigliose e MAgnifiche MAestrie.

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