Lei era lì, assorta nei suoi pensieri che la turbavano dalla sera precedente. Si era alzata pensando di uscire ma poi aveva cambiato idea. Non riusciva a comprendere il motivo del cambio di programma. Però forse lo conosceva.
Davanti allo specchio aveva provato diversi abiti. Un vestito d’organza liscio fino alla caviglia. Un abito di lino bianco con balze blu che lasciava nude le spalle.
«No!» aveva sussurrato gettandoli con furia sul letto disfatto, mentre osservava l’interno dell’armadio dove si dondolavano con pigrizia altri abiti, che le sembravano fare l’occhiolino.
Poi con furia aveva chiuso l’anta dove lo specchio rifletteva la sua figura esile nel solo intimo.
Infilato un vestito da sera bianco si era sistemata pensosa nella sala della musica ma il silenzio regnava nell’appartamento. Aveva rinunciato all’uscita mattutina, come faceva tutti i giorni. Una visita al bar per un cappuccino e una brioche. Un giro nella piazza dello struscio ad ammirare le vetrine che si preparavano per la Pasqua. Una puntata al mercato per acquistare qualcosa per il mezzogiorno. E infine il rientro a casa.
Una lacrima scivolò lungo la guancia, mentre la mente andava alla sera precedente. Tutti i suoi affanni prendevano lo spunto da lì. Era netto il ricordo del litigio. «Perché?» Nessuna delle due aveva voluto cedere e con testardaggine avevano alimentato il battibecco. A pensarci bene avevano torto entrambe ma non lo volevano ammettere. Così la questione banale di un fiore musicale era diventato il terreno di scontro tra loro. Una sfumatura policroma della musica. Una vera inezia ma sufficiente a scatenare un litigio sordo ma accidioso.
Adesso era inutile ritornare sull’argomento ma lei non voleva fare il primo passo per riconciliarsi. «No! Deve essere lei!» Proruppe in un grido che fece eco nella casa.
Si alzò con un grosso peso sul petto e andò in cucina.
Per il gioco linguistico Eletta Senso ci propone un pangramma sotto forma di elenco.
Un’agenda sta sul banco con la candela del vescovo.
Un decoro di fiori è sul tavolo con kaki, mele e pere.
Un jack e un gadget sono omaggi. Xeres è il liquore offerto nell’hotel.
Nel wagon-lit viaggia un viandante. Uno yacht solca il mare.
L’edera cresce attorno all’uscio.
Prendi il caffè con lo zucchero di canna.
Il quadro ha un fiore di iperico.
L’orso entra nella tana.
Il nadir è l’opposto di zenit.
Il ragù si fa col soffritto misto.
Nell’alcova sta un baldacchino con tendaggi cremisi e bianchi. Accanto al cuscino fa bella mostra un campanello per chiamare Annette. Il divano di creton a fiori rossi è nell’angolo. La specchiera riflette le luci del lampadario.
Carla prese il quaderno con le sue poesie e cominciò a leggere. “La pelliccia di karakul/indossa per la festa di compleanno/del suo migliore amico.” Pensò a cosa regalare. Un profumo? No, è uno yuppie. Non piacerà di certo. Cercò nell’elenco del telefono l’indirizzo della modista per ordinare un capello di feltro con una piuma di pavone. Voleva un modello unico. Dalla bottiglia di xeres si versò un dito di liquore. Annette arrivò con caffè, zucchero e un orsetto di pan di spagna. Osservò dalla finestra nuvole a forma di uccello e rosa.
Fiorenzo allora scese in giardino e dal box prese la jeep per raggiungere in hotel la sua amata. Il walkie-talkie gracchiò frasi senza senso.
Su Caffè Letterario è apparso un nuovo articolo che potete leggere anche qui
11 febbraio 2104 – ore 8:30 P.M.
Quello che vi andrò raccontando non è nulla di eccezionale oggi ma quasi novant’anni fa è stato straordinario.
Voglio che anche le generazioni future possano leggere dell’impresa folle fatta nel 2019, perché, quando non ci saremo più né io, né Chioma né Davide, possa essere ricordata.
Chioma è il mio compagno storico che è al mio fianco dal lontano 2019. Con lui ho condiviso tutto nel bene e nel male e abbiamo cresciuto il nostro cucciolo nato dal nostro amore.
Questa narrazione mio figlio, Davide, l’ha ascoltata molte volte, quando seduto accanto a noi voleva conoscere dov’era nato.
Mi chiamo Samantha Fugetti e sono nata a Venusia il 21 luglio 1990. Avrei tecnicamente cento e quattro anni ma in realtà il mio corpo ne ha solo ottanta. Miracoli della scienza? No, gli effetti di quel lungo viaggio che vi andrò a raccontare.
Venusia non esiste più, sparita oltre cinquant’anni fa per la follia del mondo. Sommersa dalle acque del mare non è più riemersa. Dicono che è ricoperta di fango e, io aggiungo, di oblio. Era un paese della pianura Ludiana, una piana senza alture, della regione Ludilandia. Ne sento la mancanza ma non voglio apparire una vecchia malinconica.
Avevo dieci anni quando lessi un articolo sulla missione Apollo sulla Luna e il relativo viaggio dei tre astronauti sbarcati sul nostro satellite. Dopo quella lettura mi sono detta che avrei fatto l’astronauta.
Nell’anno 2000 un miliardario visionario Warren Vergin, ricordo bene il suo nome, ha comprato nello stato dell’Arizona un’intera vallata nel deserto di Gila dove ha costruito l’astrodomo Serenity. Questo sarebbe servito per lanciare nello spazio l’astronave Last Horizons destinata a esplorare il sistema solare.
Un progetto folle e costoso ma è stato realizzato. Subito la mia fantasia si è accesa e ho sognato di essere al centro di quel progetto.
Così da quel momento ho avuto un unico pensiero: essere tra i sei membri dell’equipaggio. Mi sono detta che dovevo farcela a tutti i costi. È stata un sfida verso chi non ha creduto che sarei riuscita.
Finito il liceo scientifico a Ludi, la capitale di Ludilandia, mi sono iscritta all’università ma ho capito che non era la laurea in ingegneria aeronautica a interessarmi. Il mio chiodo fisso era diventare astronauta. Come? Non lo sapevo ma dovevo raggiungere l’obiettivo.
Un giorno del 2010, non ricordo con esattezza la data precisa, è apparso su Tribuna, il giornale di Ludi, un annuncio per me sensazionale che mi avrebbe cambiato la vita.
“È aperta per Ludilandia la selezione di un posto di astronauta. Destinazione Astrodomo Serenity – Arizona U.S.A.”.
Non ci ho pensato nemmeno due volte. Mi sono iscritta e ho sbaragliato il campo. Non avevo nessun dubbio perché erano dieci anni che mi preparavo sia mentalmente che culturalmente. Il passo successivo sono state le selezioni europee. Lo ammetto: non è stata una passeggiata come a Ludi. La selezione è stata dura e più di una volta la mia voglia di arrivare fino in fondo è stata a un passo dalla rinuncia. La preparazione dei miei competitori era a livelli pari o superiori alla mia. Il mio inglese non sempre era fluido. Una battaglia di nervi e di conoscenze ma alla fine sono arrivata prima, battendo francesi e tedeschi.
I miei genitori non erano d’accordo ma alla fine l’ho spuntata io e sono partita con la speranza di coronare il mio sogno. Un lungo balzo fino a Tucson dove una limousine mi ha portato fino all’astrodomo. Qui ho trovato altri ventuno aspiranti astronauti divisi equamente tra maschi e femmine.
Io avevo vent’anni come tutti gli altri più o meno. Ci hanno iscritti presso l’università di Tucson a un corso di astrofisica gestito da un’italiana. Il raggiungimento del PH.D in cinque anni avrebbe permesso di proseguire l’avventura. In sostanza avrebbe costituito il primo discrimine della selezione. Partenza alla mattina presto per Arizona University dove si restava fino alla tre del pomeriggio. Ritorno all’astrodomo per le esercitazioni fisiche e psicologiche in preparazione al gran viaggio di cui era noto a grandi linee il programma.
È stata dura per cinque anni fare questa vita ma alla fine l’ho spuntata, anzi sono risultata la migliore delle ragazze. Molti non hanno resistito al logorio psicologico, abbandonando il campo. Altri non ce l’hanno fatta con gli studi, che sono stati impegnativi.
Mentre noi ci siamo fatti un mazzo così per arrivare in fondo al percorso di studi senza tralasciare quanto era necessario alla preparazione fisica e psicologica, a Serenity si progettavano vettore e astronave.
A disastri si sono alternati successi ma Vergin non ha mai ammesso sconfitte e ha stimolato tutti a dare il meglio di se stessi.
Nel 2015 terminata l’università siamo rimasti quattro donne e quattro uomini di culture e nazionalità diverse. Un’americana, una cinese, un’indiana e io, italiana, era il manipolo al femminile. Gli uomini erano un russo, un nigeriano, un australiano e un malese. Un uomo e una donna sarebbero stati esclusi nei due anni successivi anche se avrebbero meritato di partire con noi.
Questo ha stimolato una sana competizione senza colpi bassi e ci ha permesso di maturare nel carattere. Ha rappresentato il modo migliore per creare un gruppo coeso per la missione che ci avrebbe aspettato. Così non c’è stata nessuna tragedia o invidia quando l’indiana e il malese sono rimasti esclusi dopo l’ultima selezione.
Abbiamo fatto una grande festa per salutarli prima della partenza del loro rientro in patria nel 2017. Non si sono sentiti sconfitti ma semplicemente hanno riconosciuto che noi abbiamo meritato più di loro.
Così alla fine di questa spietata selezione siamo rimasti in sei: tre uomini e tre donne. Quelli che avrebbero partecipato alla grande missione.
Il lancio è previsto per fine gennaio del 2019. In questi due anni abbiamo lavorato duro sia affinando le nostre specializzazioni, sia a conoscere anche quelle dei colleghi in modo di essere intercambiabili tra noi.
L’obiettivo era ambizioso: raggiungere i confini dell’universo e ritornare a casa.
Un viaggio di trentacinque anni all’interno del sistema solare fino all’Ultima Thule.
«Pensi che il resto della comunità gradirà il nostro video?» Chiese Alba con voce titubante, guardando fissa negli occhi Matteo.
Il ragazzo la stringe forte al petto. «Secondo me gli oh! si sprecheranno. Hai già scordato il nostro stupore nel vedere cadere la neve? Non l’avevamo mai vista dal vivo e siamo rimasti affascinati. Noi abbiamo visto sorgere e tramontare il sole, le cime rosate dei monti e tanto altro ancora. Tutto questo è stata per noi una novità sconvolgente perché nella Città del Sole la giornata è composta da due periodi: la veglia e il sonno. Dopo un mese dal rientro fatico ad adattarmi al ritmo circadiano della Città del Sole».
Detto questo si incamminano verso la Piazza della Comune. Arrivati con diversi minuti di anticipo sull’orario fissato rimangono a bocca aperta: ogni spazio è occupato a esclusione della loro postazione. Chi seduto per terra, chi s’è portato una sedia pieghevole da casa, chi si è organizzato con panche. Un colpo d’occhio impressionante. Il vociare confuso si zittisce quando Alba e Matteo salgono sul piccolo palco dove è posizionato il proiettore olografico che diffonderà le immagini raccolte durante le quattro settimane di viaggio.
Alba dà un colpo di gomito a Matteo e sussurra: «Ci sono anche diversi Savi ad assistere alla proiezione. Forse vogliono sondare gli umori della comunità…».
«Forse credono che li abbiamo ingannati stamattina oppure sono rimasti affascinati dalle immagini» ridacchia il ragazzo sistemando i dischi nell’apposita cartucciera.
Le immagini scorrono su schermi virtuali sistemati in maniera opportuna da essere visibili comodamente da qualsiasi posto della piazza.
Si fa buio poi gli spettatori sono illuminati dai lampi e dalle saette che a zigzag compaiono in ogni punto della sala. Le immagini sono talmente realistiche che qualcuno grida per la paura. Alla visione si aggiunge l’audio che riproduce il fragore del tuono, lo scrosciare della pioggia e il crepitare degli abeti colpiti dai fulmini. Un inizio spettacolare che mette a dura prova i nervi delle persone non più abituate a vivere e osservare i fenomeni della natura. La vita nella Città del Sole è come un oppiaceo che ha narcotizzato i loro sensi. Le immagini successive che mostrano la tempesta di neve sul Passo Pordoi e il panorama innevato sono altrettanti choc che mostrano quanto sia diversa e più dura la vita all’esterno. Come aveva previsto Matteo gli ‘oh!’ si sprecano dopo l’iniziale spavento osservando la natura rigogliosa, gli animali selvatici, gli spettacolari tramonti e le magnifiche albe rosate.
La comunità è di seconda o terza generazione e a parte qualche video ormai consunto non ha mai visto la luce del sole ma solo quella artificiale prodotta dalle centrali nucleari che tengono in vita la loro città.
«Vedrai che ci saranno molti pretendenti alle prossime uscite» bisbiglia Alba con voce rinfrancata.
Matteo annuisce. Dovranno operare delle selezioni.
«Ma è possibile vivere a Bozen?» chiede Clarissa, quando l’ultima immagine svanisce dagli schermi virtuali.
«Al momento no» risponde Matteo con voce atona. Non pensava che la ex compagna fosse interessata a vivere fuori dal loro caldo nido. «Se è possibile modificare il rifugio antiatomico di Konnie, lì si potrebbe creare una comunità esterna».
«Ma quel cucciolo di cane…» inizia Pietro subito stoppato da Alba.
«Non è un cucciolo di cane, ma un lupo giovane allontanato dal branco perché ha una zampa più corta».
Pietro sbuffa per la meticolosa precisazione di Alba. «Cane o lupo è comunque diventato un animale addomesticato. Quindi…».
Matteo fa segno ad Alba di tacere per non alimentare un inutile battibecco. Con voce calma e un po’ piatta spiega che il cucciolo è e rimane un animale selvatico che non dipende dall’uomo. È indipendente e si procura il cibo cacciando.
«Però vi segue e risponde ai vostri comandi. Ho sentito la voce di Alba che lo chiama e lui risponde. Quindi…» precisa Roberto poco convinto dalla spiegazione di Matteo.
Matteo sorride mentre Alba sembra sbottare. Invece con tono basso, quasi un sussurro lei chiude l’accenno di polemica. «Cucciolo, così l’abbiamo chiamato, è stato abbandonato dal suo branco perché ritenuto non idoneo a causa della zampa anteriore più corta delle altre che lo fa zoppicare. Questa non gli impedisce di catturare delle prede per sfamarsi. Per lui noi siamo il suo branco. Ci segue, risponde ai nostri richiami ed è pronto ad attaccare se qualcuno o qualcosa ci dovesse minacciare. Credo che se uno di voi provasse ad avvicinarsi potrebbe rischiare di essere ritenuto un pericolo con le conseguenze del caso».
Le domande e le risposte si sono susseguite a ritmo incalzante per un paio d’ore senza che nessuno se ne sia andato.
«Ringraziamo tutti gli astanti per essere intervenuti ed essere rimasti qui formulando domande e ascoltando risposte» spiegano i due ragazzi col sorriso sulle labbra. La serata è stato un successo superiore alle attese.
Gestisco gentili giovanetti per giungere alla genesi del gioco del girotondo.
Il germe germoglia nel grande granaio della genialità. Un grazioso giovane gorgoglia giulivo galanti garanzie, giocando sulla giustizia della gente. Galattiche gazzarre guarniscono il grigiore del giorno.
Luisa lo ripropone sul suo blog. Ecco cosa ho scritto per lei.
Il gabbiano gira nella golena e grida il suo garrito tra il grigiore della gaia gazzarra. Gente gioca a gabbare il grasso Giovanni. Che gentaglia! Un gesto gravido di geniali gesticolazioni grava sulla gamba del generale. Giurin giurella giura un galattico giuramento che getterà nel gabinetto.
Mi è arrivata ieri un’immagine inviata da Sofia, accompagnata da un breve testo “Parti subito perché mi sento inquieta“.
Ho stretto gli occhi soffermandomi sopra di essa. Non ho capito se Sofia si trovi in questa casa oppure sia solo un’immagine tratta dal web. Questo fa una bella differenza.
So che è partita per Rosenwood nel Woodshire, una minuscola contea incuneata nel Galles centro orientale.
Rifletto e decido di chiamarla. Il telefono squilla a vuoto. Forse l’ha lasciato da qualche parte. Però quell’atmosfera gotica che permea l’immagine non mi lascia tranquillo. Sembra un posto affollato di fantasmi o forse anche di peggio.
Mi appoggio allo schienale della poltrona e chiudo gli occhi. “Partire?” Come se fosse una banalità. «Prendi la macchina e raggiungimi». Adesso volare in Inghilterra è troppo complicato ma ci proverò.
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Proseguono le puntate di Konnie. Buona lettura
11 ottobre 2144 Città del Sole ore 9
Matteo e Alba hanno lavorato sodo tutta la sera precedente per mettere insieme tutti i dischi olografici per la visione prima al Consiglio dei Saggi poi al resto della comunità, sempre che sia dato il via libera.
«Pensi che sia troppo un’ora di proiezione?» Chiede Alba, distendendo le gambe sotto il tavolo e sbadigliando rumorosamente.
«Non credo. Ti meriti un bacio» e detto fatto. «Sei un’artista nata per come hai montato il filmato. Immagini, video e sopratutto audio perfetti».
«Quindi merito altri tre baci!» sussurra maliziosa la ragazza.
«Solo tre?» E ridono fragorosamente.
Alle nove in punto si presentano al Consiglio dei Saggi per la presentazione del filmato che proiettano su uno schermo virtuale posto di fronte a loro. Lo osservano in silenzio, chiedendo qualche volte delle spiegazioni. Non fanno alcun apprezzamento come se tutto fosse banale.
Alba storce più volte il naso e increspa le labbra per manifestare il suo disappunto. Matteo mantiene un aplomb perfetto. Non muove un muscolo facciale, ha lo sguardo serio fisso sulle immagini. Si limita a rispondere con cortesia anche se in un paio di occasione avrebbe voluto replicare con acidità. Quando un Savio ha fatto un commento ironico su Cucciolo, Matteo ha pizzicato la coscia di Alba, perché con la coda dell’occhio ha notato che stava per ribattere polemicamente.
Visto che al termine tutti sono rimasti muti, Matteo, tenendo sotto il braccio Alba, li ha ringraziati con cortesia, perché hanno presenziato alla proiezione. Poi con passo deciso sono usciti, mettendo in bacheca l’avviso per le ventuno.
«E se non sono d’accordo?» Esterna Alba guardandolo in viso.
«La regola parla chiaro. Chi tace acconsente. E loro sono rimasti muti».
Sente vibrare il ricevitore. È Arturo che li informa che tutto è fattibile e di passare da lui domani alle dieci per discutere di persona i dettagli. «Un problema in meno» afferma la ragazza, stringendosi a Matteo.
«Sono dei fetenti» sbotta Alba appena entrati nel monolocale di Matteo, dove si è trasferita dopo il loro rientro nella Città del Sole. Si siede sulla poltrona, scalciando i mocassini lontano.
Il ragazzo l’abbraccia e sigilla la bocca con un bacio dolcissimo. Prende un blocco di carta e scrive: “Modera i termini. A volte ho avuto l’impressione di essere spiato. Dobbiamo essere furbi se vogliamo trasferirci a Bozen. Usiamo questo per trattare le questioni più delicate”.
Alba ride. Lei più impulsiva e ribelle, lui è più riflessivo e calmo. Prende il blocco: “Ho capito tutto. Sono doppiamente fetenti!! Spero che Arturo ci dia delle buone notizie”.
Matteo con la mano destra accosta il pollice con l’indice per formare la O di ok.
«Anche se non hanno detto molto, il disco olografico è piaciuto. Sono curioso di conoscere le reazioni degli altri».
Alba annuisce con la testa. È d’accordo col compagno. «Andiamo a fare una passeggiata fuori con Cucciolo?»
Matteo col movimento del capo dice di sì. Fuori possono parlare più liberamente.
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