I giorni successivi

I giorni trascorrevano tra lunghe attese e passioni ardenti,mentre Angelica si consumava nel fuoco dell’amore.
Il ritratto di Goethe procedeva a rilento, come altri lavori erano lì incompiuti sul cavalletto, perché era distratta dall’innamoramento verso il poeta, che a volte scompariva per diversi giorni senza dire nulla, lasciandola nell’angoscia.
Al poeta quel quadro non piaceva, perché era troppo semplice e quindi non voleva posare più nell’atelier di Angelica.
Goethe aveva a Roma molti amici tedeschi, con cui spesso trascorreva le serate all’osteria a bere in compagnia di donne per lo più sconosciute.
La pittrice era entrata in crisi, perché si sentiva trascurata, conoscendo le sue frequentazioni notturne.
“Mein Gott! Cosa devo fare per riconquistare l’attenzione di Wolfgang? Sono forse diventata inguardabile o indesiderabile? Lo ascolto con pazienza mentre mi legge ad alta voce quello che scrive, poi preparo degli schizzi per illustrare l’opera. Non mi bacia più, mi tratta con freddezza. Non abbiamo avuto più rapporti da quella sera di alcune settimane fa”, Angelica si lamentava ad alta voce sdraiata sul divano, dove aveva trascorso quella sera indimenticabile.
I suoi lavori tardavano a terminare tra le proteste dei committenti, che avrebbero voluto una maggiore celerità nella consegna dei quadri.
Sapeva che il suo comportamento non era corretto, ma l’ispirazione e la voglia di completare i quadri rimasti lì incompiuti era a livelli bassissimi. Doveva ritrovare la propria determinazione chiudendo con Goethe.
Così una sera decise che l’avrebbe lasciato fuori dal suo studio, finché non avesse finito quel ritratto della baronessa de Kruederer con il figlio Paul. La baronessa con il marito Alexis, ambasciatore di Russia a Copenhagen, era giunta a Roma nell’autunno del 1786 ed aveva voluto farsi ritrarre dalla celebre pittrice insieme al figlio Paul. Però l’arrivo di Goethe aveva di fatto bloccato il completamento del quadro, che doveva essere finito entro i primi giorni del 1787, perché il soggiorno romano della baronessa stava terminando.
Così due giorni dopo la decisione di non vedere il poeta fino al completamento del quadro, sentì bussare alla porta dello studio, che era chiusa a chiave. Sapeva che era Wolfgang, perché aveva riconosciuto i suoi passi e il modo di bussare, ma decise di non rispondere.
Goethe, pensando che fosse ancora a casa, si diresse là per chiedere alla sua governante dove fosse Angelica.
“Sono andato nello studio, ma ho trovato la porta sbarrata e nessuno rispondeva al mio bussare. Sai dove si trova la tua signora?” Chiese il poeta a Maria.
“Mio signore, Angelica è nel suo studio, intenta nel suo lavoro. Deve finire un quadro rapidamente, perché la committente sta per partire”, così la governante rispose a Goethe, che in preda all’ira ritornò allo studio.
Bussò con energia e disse con voce alterata e perentoria: “Angelica so che sei lì dentro! Aprimi immediatamente!”
Angelica con le lacrime agli occhi non degnò di una risposta quel bussare frenetico, continuando a lavorare.
Goethe visibilmente adirato continuò a bussare e in uno scoppio d’ira la minacciò: “Se non apri immediatamente, non mi vedrete mai più!”
La donna decisa più che mai a rispettare la promessa fatta con se stessa continuò a dipingere, mentre le lacrime sempre più copiose rigavano il suo delicato viso.
Il poeta, stanco di stare fuori dalla porta e colpito nel suo orgoglio di uomo, uscì dal portone scuro in volto e ancora più stizzito, borbottando oscure minacce: “Mi hai messo alla porta come l’ultimo dei tuoi servi, ma io non verrò più a cercarti. Anzi non frequenterò più il tuo studio. Sei una femmina stupida, che hai cercato un maschio più giovane di te!”
Poi ad ampie falcate tra lo svolazzare del mantello si diresse verso la zona delle osterie per annegare la sua ira nel vino e solazzarsi con qualche donna più accondiscente.
Angelica, avendo sentito che si era allontanato, diede sfogo alla sua disperazione e solitudine piangendo a dirotto: “L’ho perso per sempre! Gli ho chiuso la porta in faccia e lui se ne è andato via. Io devo finire questo quadro senza vederlo prima.
L’avevo promesso a me stessa e devo mantenerla anche se l’ho perduto per sempre!”
Lavorò intensamente per tutta la giornata tra crisi di pianto e determinazione nel mantenere la promessa.
All’imbrunire il quadro era ormai quasi concluso, domani avrebbe portato gli ultimi ritocchi e poi l’avrebbe consegnato alla baronessa.
Con calma ripulì i pennelli e le mani, ripose i colori, sistemò sommariamente la stanza e si preparò per uscire, quando sentì dei passi familiari.
S’irrigidì e aspettò che lui fosse dinnanzi alla porta, nel frattempo pensava intensamente: “Esco? Apro la porta e lo faccio entrare? Rimango qui, chiusa dentro aspettando che se ne vada?”
Aspettò il bussare, la voce che conosceva da tempo, ma nulla di tutto questo. Percepiva che stava lì ritto dinnanzi alla porta, aspettando che lei aprisse per farlo entrare.
Il panico si impossessò di Angelica, paralizzandola nei movimenti e nelle parole: “Lieber Gott! Cosa devo fare? AVE MARIA, gratia plena, Dominus tecum. Benedicta tu in mulieribus, et benedictus fructus ventris tui, Iesus. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc, et in hora mortis nostrae. Amen”.
Il tempo si era fermato e non passava mai: lui fuori dalla porta in silenzio, probabilmente adirato e furioso, lei dentro la stanza intimidita e decisa.

 (parte nona)

La notte

Maria l’aspettava nell’androne con ansia, perché non l’aveva vista rincasare per cena senza sapere dove fosse la signora, quando la vide approssimarsi al portone ancora aperto con una persona a lei ignota.
“Ecco con chi era la mia signora! Sembra un bel uomo e per di più giovane”, così Maria ragionava in silenzio andandole incontro con un lume. Dopo essere entrate, chiuse il battente senza fare troppo rumore per non svegliare le persone della casa.
“Maria, grazie per avermi aspettata. Sono stata sciocca a non avvertirti che facevo tardi, ma la giornata è stata troppo intensa per riuscire a trovare un momento per un messaggio. E’ stata una giornata fantastica. Ora sono troppo stanca e desidero coricarmi al più presto. Domani, chiamatemi di buona ora, perché ho molto lavoro allo studio".
“Mia signora, avevo tenuto in caldo il pasto serale, ma credo che abbiate già cenato. Quindi lo riporterò nelle cucine. Avete bisogno di aiuto per togliere i vestiti? Avete necessità di acqua calda prima di coricarvi? Il letto è già caldo, come la stanza, dove nel camino arde un bel ciocco di legno”, così la domestica si rivolgeva ad Angelica.
“Si, un aiuto e l’acqua calda per lavarmi prima di coricarmi mi servono per davvero”, mentre diceva queste parole sottovoce, rapidamente salirono al primo piano raggiungendo la stanza da letto. Era calda ed illuminata da diversi candelabri, su una sedia accanto al camino erano riposte la camicia da notte bianca ricamata e una pesante veste da camera.
Velocemente si spogliò aiutata dalla domestica, fece qualche abluzione prima di indossare la camicia per la notte.
Prima di infilarsi velocemente sotto le coperte, si pose sull’inginocchiatoio recitando due Pater Noster, cinque Ave Maria, un Salve Regina e alla fine il Confiteor, sentendosi sollevata dai peccati commessi nella giornata.
Il caldo tepore del letto la fece scivolare nel mondo dei sogni dolcemente, mentre la stanza diventava più buia con lo spegnimento di alcuni candelabri.
Dopo poco si udiva solo il respiro regolare e rilassato di Angelica, interrotto dal crepitio della legna nel camino, che si trasformava in brace ardenti.
Gli ultimi bagliori rossastri illuminavano la stanza creando sui muri e sul soffitto immagini fantastiche di animali e uomini, mentre il fuoco si andava lentamente spegnendo.
Maria con una candela su una bugia di rame entrò silenziosa per accertarsi che la sua signora stesse dormendo e per spegnere l’unico candelabro sul tavolo rimasto ancora acceso.
Rimboccata la coperta e sistemata la veste da camera su una sedia come era entrata uscì in silenzio senza svegliare Angelica.
“Era da tempo che non vedevo la mia signora dormire così tranquilla e serena. Quel giovane evidentemente ha avuto il potere di trasformarla” così pensava Maria, mentre chiudeva il battente della stanza.
Ora era tutto silenzio e buio a parte il leggero sibilo del respiro della dormiente, che stava sognando Goethe.  Era una bellissima visione onirica dove lei e lui erano i protagonisti in un giardino pieno di rose e di verdi prati.
“Wolfgang, come siete bello e desiderabile. Vorrei donarVi la mia anima e sentire la Vostra mano calda sul mio petto, così che io possa assaporare la sensazione di calore che Voi emanate.
Venite accanto a me e tenetemi la mano, come solo Voi sapete fare” così parlava nel sogno Angelica.
Goethe si avvicinò prendendole la mano e tenendola tra le sue, mentre Angelica appoggiava la testa sulle gambe.
Si sentiva sicura e felice, il cuore batteva veloce ed impetuoso, la mente volava leggera verso l’alto.
Osservava il prato illuminato dal sole dove le farfalle si posavano delicatamente sui minuscoli fiori che ornavano per pezzo di giardino, mentre tutto intorno c’era pace e calma.

Wie ich dich liebe
 mit warmen Blut,
 die du mir Jugend
 und Freud und Mur

Sentiva il poeta recitare un frammento di poesia: “Vi piace, mia adorabile signora? Voi siete luce per i miei occhi e stimoli per i miei sensi. AlzateVi e camminiamo su questo verde prato, come due giovani amanti”.
Goethe si alzò tenendo per mano Angelica e iniziarono una passeggiata nel giardino. Colse una rosa, che infilò tra i capelli di lei, dandole un leggero bacio sul collo.
Un brivido di piacere percorse il corpo della donna, che nel sonno emise sospiri di gioia e abbracciò con più vigore il guanciale, come se fosse il giovane amante.
Giunsero ad una panchina posta all’interno di un gazebo ricoperto di gelsomino selvatico e si sedettero uno accanto all’altro tenendosi per la mano.
Goethe la prese dolcemente per la spalla baciandole delicatamente le labbra, immediatamente ricambiata da Angelica, che si lasciò trasportare dalla voluttà di quel bacio.
Sentiva crescere dentro di sé il desiderio di unirsi al poeta e avrebbe voluto essere in una stanza da letto per assaporare il piacere dell’unione carnale.
Stava ansando per la voglia, quando si svegliò capendo che era stato semplicemente un meraviglioso sogno, rimanendo immobile per la delusione.
I suoi occhi vedevano solo buio senza distinguere nulla, finché non si abituarono all’oscurità percependo le forme famigliari della sua stanza.
Era delusa,perché quella visione onirica era svanita nel nulla, lasciandole una sensazione di vuoto e di passione inapagata.
Rifletteva e disse in modo impercettibile: “Sono stata punita per avere chiesto troppo al mio desiderio verso di lui, interrompendo quel sogno inebriante. Sento dentro di me i germi dell’amore che sbocciano con violenza ed irruenza. Saprà, Wolfgang, contraccambiarmi allo stesso modo? Ob du mir liebst, weiss ich nicht!!”
Rimase sveglia fino al mattino,perché desiderava di rivederlo al più presto, ma il tempo non scorreva mai, sembrava fermo da un’eternità.
Con grande gioia mista ad ansia vide uno spiraglio di luce affacciarsi dalla porta, era Maria che cautamente entrava a svegliare la sua signora.

(parte ottava)