Il ritorno

Angie aveva trovato a fatica una stanza presso Black Wharf’s dopo aver pregato una vecchia arpia a lungo. Non era stato facile convincerla, ma dopo molte insistenze aveva ceduto.
“Però il bagaglio non entra” aveva detto la proprietaria dopo l’estenuante battaglia per l’accettazione.
“Non posso lasciarlo sulla banchina!” aveva replicato Angie, tentando di moderare la voce e le parole senza riuscirci in maniera convincente.
“E’ troppo ingombrante! E poi non ho nessuno che possa trasportarlo in camera!”.
“Non mi dica che non ha nessuna stanza al piano terra da usare come deposito! Io riparto con postale delle dieci di domani mattina. Non mi interessa portarlo in camera”.
Dopo una lunga discussione dai toni accesi, finalmente il baule e le due grandi borse trovarono ospitalità nel sottoscala buio e umido.
“Fanno 20$ da pagare in anticipo” aggiunse acida la vecchia megera, che assomigliava più alla maitresse di una casa di appuntamento piuttosto che alla gerente di un albergo.
“Mi sembra una rapina! Venti dollari per una notte senza la colazione è esagerato” disse veemente Angie che stava perdendo le staffe.
“Prendere o lasciare! Se lei vuole la stanza, questo è il prezzo! Né un cent di più, né di meno. Il prezzo lo faccio io. Questa è la cifra che ricaverei per tutto il tempo che lei occupa la stanza”.
Angie ebbe un moto di smarrimento, interrogandosi in quale bettola era capitata. Si guardò intorno impacciata e sentì un brivido correrle lungo la schiena. Non era di freddo ma di sottile paura, perché i visi degli altri ospiti non erano del tutto rassicuranti.
“Dunque l’impressione che sia un albergo a ore è giusta! Ma io non posso girare Wenona alla ricerca di qualcosa di meglio!” rifletté in un attimo, prima di riprendere la schermaglia con la donna.
“Almeno mi può servire qualcosa in camera?” chiese dubbiosa sul buon esito della domanda.
La gerente la guardò di sbieco come se avesse pronunciato una bestemmia sull’altare maggiore al cospetto dei fedeli.
“Vuole la cena servita in camera? Non ho il ristorante, ma se lei è disposta ..”.
Spazientita Angie scosse la testa come se fosse infastidita da tutte quelle discussioni. Era nervosa perché Dan aveva mancato l’appuntamento, era impaurita perché era finita in posto non molto raccomandabile, era affamata perché erano molte ore che non mangiava nulla. Insomma aveva un diavolo per capello.
“Senta, quanto vuole ancora?” chiese quasi rassegnata ma incollerita.
“Non lo so. Dipende da quello che mi chiede Bob”. Il tono della voce era distaccato, mentre allargava le spalle in segno di incertezza.
“E Bob chi sarebbe, di grazia?”.
“E’ il cuoco del ristorante accanto alla mia pensione. Poi dipende da cosa vuole mangiare. Che ne so cosa vuole ordinare”.
“Ho capito! Ho capito! E’ meglio che faccia un salto nello store qui accanto. Mi pare essere finito in un covo di ..” e tacque per non compromettere una situazione al limite dell’assurdo, prima che la maitresse cambiasse idea sbattendola sul marciapiede innevato.
“E’ ancora in tempo se vuole andarsene. Io non la trattengo. Alle sue spalle c’è la coda che aspira alla sua camera! Ci sono altre pensioni in città. Non esiste solo la mia. Dunque paga questi venti dollari o le devo buttare i bagagli nella neve?” ringhiò la vecchia inferocita.
“Tenga i suoi venti dollari e che ..” e mise sul bancone due banconote da dieci prima di tacere per sempre.
Salita in camera furente e col sangue in ebollizione, depositò la borsa da viaggio nella stanza al primo piano. Senza darsi una rinfrescata ridiscese immediatamente per andare nello drugstore adiacente alla pensione per acquistare qualche genere alimentare. Con una borsa di carta piena di cibo e bevande si avviò con passo deciso, senza salutare la vecchia, per le scale oer raggiungere la stanza.
Si barricò dentro mettendo una sedia sotto la maniglia per quello che poteva servire. La camera era ampia con un letto matrimoniale di fattura scadente, un armadio in cattivo stato e in un angolo un portacatino rugginoso con annesso catino scrostato, il piattino, la brocca e un minuscolo asciugamani. Sotto il letto c’era un pitale dall’aspetto poco invitante per l’uso intenso e la scarsa pulizia.
“Tutto questo per venti dollari! E poi dove sono finita? Credo che difficilmente riuscirò a prendere sonno stasera. La stanza è gelida. Se non mi copro per bene, domani sono un pezzo di ghiaccio. Adesso diamoci da fare con questa minuscola stufa. Speriamo che l’arpia abbia messo legna a sufficienza. Con venti dollari mi compro una legnaia intera!”.
Accesa la stufa e controllata la scorta di legna, prese un po’ di pane e formaggio dalla busta per calmare la fame.
Ricapitolò tutte le disgrazie capitate, ma era inutile recriminare. Un tempo così inclemente avrebbe scoraggiato tutti meno lei. Dunque era colpa sua se si trovava in questa situazione sgradevole.
Dalla borsa da viaggio estrasse uno scialle di morbida lana e dei guanti di foderati di agnello, che indossò per proteggersi dal freddo. Spostò un dondolo di vimini vicino alla stufa, che era il punto più caldo della stanza. Recuperò dal letto e dall’armadio con le ante pericolosamente in bilico tutte le coperte utilizzabili che depose sul dondolo. Si sarebbe ricoperta con queste durante la notte, mentre adesso ricevevano quel poco di calore che la stufa emetteva. Sperò solo che non contenessero ospiti sgraditi, vista la scarsa pulizia che regnava ovunque. Le lenzuola, un tempo bianche, adesso erano di un colore che virava tra grigio sporco e il giallo opaco e non odoravano di sapone.
Guardò fuori dalla finestra senza vedere nulla: uno strato denso e sporco di ghiaccio impediva qualsiasi visuale esterna.
“Sarà un pomeriggio e una notte lunga quello che mi aspetta. Il tempo non passerà mai”.
Mise la busta con gli acquisti su una sedia vicino al dondolo, perché era sicura che il gelo li avrebbe conservati perfettamente nonostante la stufa producesse il massimo del calore possibile, equivalente a poco più di un alito appena fuori dal freddo.
E si preparò alla lunga veglia.
Un’alba lattiginosa e fredda l’accolse avvolta nelle coperte dopo una nottata popolata da incubi e rumori provenienti dalle stanze contigue.
Le era sembrato di ascoltare quel continuo scalpiccio di scarpe rumorose che salivano e scendevano le scale, come se fosse un pellegrinaggio di devoti. Quello che l’aveva terrorizzata maggiormente erano stati i gemiti e le bestemmie per nulla dissimulate che era stata costretta a udire con una certa frequenza. Più di una volta aveva avuto la percezione che qualcuno avesse provato a forzare la maniglia della porta d’ingresso senza successo.
Non meno angoscianti erano stati nelle pause di silenzio i sogni nei brevi dormiveglia nei quali cadeva stremata dalla stanchezza. Però assomigliavano maggiormente a incubi che a visioni oniriche. Quello più ricorrente era che uno sconosciuto entrava e la possedeva brutalmente nel letto senza che lei potesse opporre resistenza. Nessun piacere ma sensazioni dolorose pervadevano il corpo mortificando sia il fisico sia la mente.
Al risveglio queste impressioni erano talmente vivide che si domandava se fossero state realtà oppure no, mentre un debole chiarore illuminava la stanza e lei avvolta nelle coperta accanto alla stufa.
“Tra non molto potrò riprendere la via di casa. Questa esperienza marchierà a fuoco la mia carne. Sarà molto difficile dimenticarla. La delusione provata è talmente grande che non ho più parole per descriverla e valutarla. Non mi sarei aspettata un simile comportamento da parte di Dan! Se vorrà, sarà lui a venire a Holland Island! Mai più affronterò un viaggio con tutte queste incognite!”.
Era immersa nei suoi pensieri, quando sentì un bussare deciso e una voce che diceva «Miss Fairbanks! La sveglia. Sono le nove!».
Era talmente intorpidita dal freddo che le parole rimasero dentro di lei. Mangiò le ultime porzioni di cibo rimaste, si sistemò alla belle meglio, poi discese nella reception per chiedere un aiuto nel trasporto dei bagagli.
Alle dieci e mezza il postale si staccò dal molo per prendere la direzione verso Holland Island.
La giornata minacciava nuova neve e l’aria era tagliente come una lama del coltello.
“Mi è sufficiente arrivare a casa e poi può scendere tutta la neve del mondo che non me ne interessa nulla”.
Osservava Chesapeake Bay e il grigiore delle acque gelide solcate da qualche lastra di ghiaccio.
Alle undici e trenta il postale scaricava il suo carico di essere umani e di derrate alimentari. Angie scese a terra alla ricerca di un facchino per i bagagli, ma scoprì la presenza di Dan che attendeva l’approdo dell’imbarcazione.
Non sapeva se essere contenta o mostrare il disappunto perché non era al molo di Wenona ad attenderla.
“Angie! Dov’eri? Sono arrivato ieri per venire a prenderti, ma non ti ho trovata. Ho saputo che eri partita per Deal Island e quindi ho atteso con impazienza il tuo arrivo. Finalmente posso stringerti!”.
Lei si abbandonò a un pianto liberatorio e disse «Troviamo un facchino per i bagagli e poi andiamo a casa. Non vedo l’ora di rifugiarmi tra le mura amiche!».

La festa di Ognisanti

« Venite con me
    È la festa di Ognissanti
    Faremo tremare tutti quanti.
    Gli scherzi, stavolta, son giustificati
    le risa e i lazzi perfino aumentati. »
(Ray Bradbury, L'albero di Halloween, XX secolo)
 
Ellie e Matt sono impegnati nel preparare la cena di Halloween, mentre Annie e Dashiell si occupano delle decorazioni e della tavola.
“Esco” dice all’improvviso Dashiell affacciandosi sulla porta.
“Dove vai?” chiede Ellie sorpresa dall’annuncio mentre sta preparando Walnut Dip with Garlic (una vellutata di noci con aglio).
“Sorpresa! Aspetta il mio ritorno” replica serafico, indossando un giubbotto imbottito e foderato di pelliccia.
Lei rimane perplessa perché, facendo mente locale, non le pare che manchi nulla in casa.
“Le zucche intagliate ci sono. Le ho approntate io. Il dolce lo sta finendo Matt. Sono già pronti dolcini e antipasti. La vellutata è quasi finita, mentre per il secondo ci sono tutti gli ingredienti. La lista è stata spuntata più volte e non manca nulla. Gli addobbi ci sono tutti comprese le candele. Cosa non c’è da spingere Dashiell a uscire?” scuote la testa dopo aver elencato mentalmente tutto il necessario per la serata.
Si gira verso Matt, che terminata la preparazione della torta, si sta riposando, mentre controlla la cottura nel forno.
“E’ strano tuo fratello. O sta muto come un pesce o è loquace come un pappagallo. Non sono ancora riuscita a prendergli le misure. Sembrano tutte sbagliate! Secondo te cosa è andato a comprare? Ho provato a pensarci, ma non ho trovata nessuna risposta valida”.
Lui alza le spalle e allarga le braccia sorridendo.
“Non saprei! A volte è talmente misterioso da ingannarsi da solo tanto che alla fine non riesce a capirsi! Durante questa vacanza ho scoperto dei lati dei quali non ero al corrente. Eppure credevo di conoscerlo bene. Diciamo che sono rimasto sorpreso anch’io. Pazientiamo e vediamo con che cosa tornerà. E’ talmente imprevedibile che anche l’improvvisata mi affascina ogni volta che la fa. La stranezza è che si muove per Princess Anne come se avesse abitato sempre qua. Se qualcuno mi lascia a tre isolati da qua, entrerei nel panico perché non saprei dove andare”.
Ellie che aveva interrotto la preparazione della vellutata riprende in silenzio avvolta nei suoi pensieri. Ritiene inutile pensarci troppo e si concentra sulla preparazione del piatto.
Annie si unisce a loro, adesso che ha terminato la sistemazione della tavola, e comincia a chiacchierare con Matt.
“E’ stata una vacanza veramente piacevole”. E rivolgendosi all’amica soggiunge: “Sei una padrona di casa perfetta! Ciascuno di noi si è sentito perfettamente a proprio agio. Sei riuscita perfino a trasformare un orso in un essere umano!”
Ellie arrossisce senza rispondere. Gli apprezzamenti le fanno piacere ma non desidera dire le solite parole di circostanza. E poi sarebbe come ammettere che si interessa a lui.
“Sarà anche vero, ma è più prudente muoversi con cautela”.
E’ immersa nei suoi pensieri, quando sente del trambusto all’ingresso. Interrompe nuovamente la preparazione del primo e va a vedere cosa sta succedendo.
“Oh!” esclama stupita, “Ma è bellissima!”.
“Cosa?” urla Annie dalla cucina.
“Venite! Dashiell è tornato!”.
Annie e Matt accorrono all’ingresso, attirati dalle grida di Ellie e osservano Dashiell che con grande fatica sta piazzando proprio sull’ingresso un enorme vaso di coccio con dentro una splendida pianta di Limequat.
“Sei in gran forma, fratellino!” esplode sbalordito, “Ma hai fatto una fatica del diavolo a trasportare questo vaso! Potevi chiamare aiuto”.
Dashiell sbuffa e ansa, guardandolo di sbieco per nulla socievole.
“Anziché commentare per prendermi per i fondelli e stare impalato a guardare mentre lavoro, alza il culo e vieni a darmi una mano!”.
Ellie si fa avanti, ma lui vigorosamente accenna di no col capo. Lei sarebbe solo di intralcio e di nessuna utilità.
“Ehi, dico a te che si ricorda del fratellino solo per sfotterlo! Aiutami a sistemarlo per stasera. Poi domani Ellie ci dirà dove piazzarlo! Accidenti! Pesa come un macigno!”.
 “Come pensi di usarlo?” chiede premurosa Annie.
“Ci appendiamo qualche dolcetto e lo lasciamo all’aperto. Però adesso dobbiamo trovare la posizione giusta”.
La serata promette bene. Tutti aiutano a sistemare la pianta e ad appendere dolcetti e qualche moneta sui rami in un’atmosfera calma e rilassata.
La cena è un gran successo per Ellie, che riceve molti complimenti, e si svolge in un clima di grande cordialità e distensione. Lei che aveva molti timori adesso è rinfrancata e gongola non troppo vistosamente.
Verso mezzanotte sentono del trambusto fuori della porta e comprendono che qualche ragazzino ha raccolto le monetine e fatto incetta di dolcetti. Tutti sorridono e pensano a quando avevano la loro età. Sciamavano da un portone all’altro col solito “Dolcetti o scherzetti” sempre sulla bocca. E non sempre erano accolti in allegria.
“Bei tempi!” sussurra Annie.
“Non siamo poi così decrepiti! Volendo lo possiamo fare ancora” rimbecca Dashiell.
“Però è passato il nostro tempo! Ora sono loro che si divertono questa sera” ribatte Annie con malinconia, mentre si trasferiscono nel salotto a bere un bicchierino di cherry come suggello alla cena.
“Alla tavola ci pensiamo domani” dice Ellie accortamente “Ora concludiamo in allegria questa piacevole serata”.
Dashiell, seduto accanto a lei, le prenda una mano, mentre con l’altra sorseggia lo cherry.
“Che ne dici di leggerci qualche pagina del diario della trisavola?” le chiede all’improvviso.
Lei trasale visibilmente alla richiesta. Non se l’aspettava mostrando un accenno di irritazione alla domanda.
“Angie è la mia bisnonna..” lo corregge la ragazza.
“Non fa differenza. Trisavola o bisnonna è comunque una persona del passato. A me è sufficiente ascoltare quello che ha scritto” replica serafico e calmo.
Lei non demorde nel negarsi, mentre lui è come un martello pneumatico che continua a fare «Pum! Pum!».
“Hai detto che allora la società era libertina nella sostanza, ma puritana e impeccabile nelle apparenze. E le persone non erano disposte a coming out finché non scoppiava lo scandalo. Ora mi sembra che ci sia un clima diverso…”.
“In verità non ho detto questo. Angie non si nascondeva, né aveva nascosto che Dan dormiva con lei. Ho affermato che la gente allora riteneva sconveniente e non vedeva di buon occhio che si desse pubblico scandalo senza salvare le apparenze. Più o meno quello che sta avvenendo la società nella quale viviamo”.
“Uffa! ma quanto sei puntigliosa e pignola! Alla fine abbiamo espresso il medesimo concetto con parole differenti. Se a lei stava bene andare a letto con Dan, non ci trovo nulla di disdicevole .. Allora ci leggi qualcosa? Sono curioso di conoscerla meglio questa eroina ante litteram che viveva in una società bigotta e ipocrita”.
Ellie non ha nessuna intenzione di leggere delle pagine del diario di Angie e di avviare una nuova discussione su quello che ha scritto. Le sembra di mancare di rispetto alla bisnonna, di mettere in piazza i pensieri e le azioni.
“Il mondo non è cambiato da allora a oggi: c’erano molti stravizi come ora, ma le trasgressioni delle persone vengono sempre nascoste sotto il tappeto come se non siano mai esistite. Le persone sono disposte a tutto, pur di mettere a tacere gli scandali, almeno fino a quando non scoppiano tra le mani. Sono pronti a mistificare senza pietà sbandierando etica e valori morali e si scagliano contro quelli che non riescono a nascondere l propri vizi, veri o presunti. Se pensiamo alla sessualità di Rock Hudson, che fino alla morte è stato un idolo per le casalinghe americane, l’immagine dell’uomo da amare. Eppure era un gay sotto copertura, quando tutti sapevano bene di quale pasta era fatta l’uomo! Cosa è cambiato ora di quel finto bigottismo? Non mi pare molto, Anche se talvolta sembra di andare di moda l'eccesso opposto: dall'ipocrisia si è passati alla pioggia di confessioni, rivelazioni, auto gossip. Però la sostanza cambia poco”.
Dashiell sbuffa e insiste finché Ellie non cede e prende il diario di Angie.
“Solo poche righe” precisa la ragazza “Non credo che a Annie e Matt interessi molto la sua storia. Fatico a comprendere i motivi di tanta attenzione da parte tua..”.
“La gita a Holland Island ha stimolato la mia curiosità, quando hai affermato che quei ruderi erano stati di proprietà della tua famiglia. Poi quando…”.
“E va bene. Mi hai convinta. Poche pagine e poi chiudiamo l’argomento. Siete qui per divertirvi e non per annoiarvi con i pensieri della mia bisnonna”.
Dashiell, tenendole sempre la mano, annuisce come conferma, ma prima vuole aggiungere ancora qualcosa.
“Lascia giudicare a noi se la tua trisavola… perdonami, bisnonna… scrive cose noiose oppure no”.
Annie e Matt, seduti di fronte, sorridono al gustoso siparietto di Ellie e Dashiell.
“Sono sicura…” bisbiglia Annie “sono sicura che ha fatto breccia nel cuore di tuo fratello la mia amica. Serviva proprio questa vacanza per metterlo al tappeto”.
Il marito replica solo con la mimica del viso che esprime quanto sia d’accordo con le sue affermazioni.
E tutti aspettano che Ellie cominci a leggere.

Tra lazzi e scherzetti

Le schermaglie, che c’erano state durante la navigazione, sembrano sopite nella serata al ristorante Beach Bay’s, trascorsa in un clima disteso e allegro. Le chiacchiere indugiano sul passato tra ricordi di scuola e aneddoti di vita, mentre le battute nervose del pomeriggio sono dimenticate.
Le giornate volano mentre arriva la vigilia di Halloween in un clima grigio di pioggia. In casa però regna il sole e la distensione.
Ellie e Matt si mettono ai fornelli, mentre Annie e Dashiell osservano divertiti. C’è un’atmosfera dal sapore goliardico tra lazzi e scherzetti. Tutti sono rilassati discorrendo piacevolmente di argomenti frivoli, degni della vigilia.
“Invece di stare lì impalato come uno stoccafisso allungami quella zucca!” grida Ellie a Dashiell.
“Io sono l’ospite. Che padrona di casa sei, se lo costringi a lavorare per te?” replica tra il serio e il faceto l’uomo.
“Devi guadagnarti la cena!”.
“Esistono anche i ristoranti, dove stai seduto e vieni servito e riverito!”.
“Questa me la devo segnare! Ah! Ah! Crede di essere riverito, il signorino! Ah!”.
Matt interrompe la preparazione della torta Jack O’Lantern per ascoltare il battibecco tra i due litiganti.
“Stento a riconoscere mio fratello” sussurra in un orecchio a Annie.
“Pensavo di conoscerlo a fondo, ma in questa vacanza ha mostrato lati che mi erano sconosciuti. Introverso, musone, di poche parole e per contro …lo trovo litigioso, ciarliero, pronto alla battuta, … Una bella differenza …”.
“Evidentemente la bella e battagliera rossa ha colpito e affondato il nostro irriducibile single” replica sorridente “Tu sei sicuramente informato meglio di me sul fratellino. Se dici questo…chissà quanto ancora dobbiamo scoprire di lui nei prossimi giorni! Sinceramente ero un po’ perplessa quando gli hai proposto di unirsi a noi. In realtà dentro di me non volevo crederci che tu trasformassi una vacanza per noi due in una col terzo incomodo, ma ora mi devo ricredere positivamente. Senza la sua presenza sarebbe stata una vacanza moscia e noiosa. Invece è diventata divertente e allegra …”.
Ellie rossa in viso come la chioma si gira per osservare l’amica e il marito, intenti a parlarsi sottovoce. Ha percepito solo qualche frase smozzicata senza capirne il senso.
“Battiamo la fiacca! Di questo passo per mezzanotte non c’è pronto nulla!” borbotta con voce stridula la ragazza, visibilmente infastidita dalle loro parole.
“Beh! Non abbiamo fretta! E poi mancano ancora otto ore alla mezzanotte!” replica sorridente Matt nel tentativo di disinnescare la tensione che si sta creando.
“Non ti scaldare più di tanto! Ci stiamo divertendo tantissimo, Ellie! Non mi sono mai trovato a mio agio come in questi giorni! Poi, male che vada, una telefonata a Pizza Hulk e arrivano quattro enormi pizze Halloween!” aggiunge ironicamente Dashiell.
“Ma dove hai letto che vendono la pizza Halloween? Non sapevo che conoscessi così bene Princess Anne! Quando l’hai frequentata?” chiede stupita Annie.
“Ci siamo passati dinnanzi quattro volte. E fuori, sul marciapiede, era appeso un enorme cartello con tanto di numero di telefono che ho memorizzato. Sembrava una pizza spaventosa dalla foto! Degna della serata”.
Lei rimane a bocca aperta dallo stupore e non riesce a trovare le parole giuste per replicare.
“E’ vero che non osservo nulla quando sono in giro. Però il cognato non lo facevo così osservatore! Altro punto a suo vantaggio. E’ proprio certo che gli aspetti delle persone sono come la cipolla. La sfogli e non vedi mai il cuore” riflette Annie rimanendo in silenzio.
“Dovrai perdonarmi, fratello, ma non ricordo di aver osservato nessun cartello con la foto di una pizza spaventosa. Penso che l’avrei notato. E questo quando sarebbe avvenuto?”.
Dashiell lo guarda ironicamente prima di rispondere. E’ ben conscio che Matt sia uno scarso osservatore, perché, quando guida, ha sempre la necessità che qualcuno gli dia le indicazioni giuste altrimenti chissà dove finisce.
“La prima volta l’altro ieri, quando siamo andati a Wenona. La seconda volta ieri mentre passeggiavano per Main Street”.
“Wenona? Non ricordo di essere andato in quella località”.
“Guidavi tu mentre Ellie di dava le imbeccate giuste per arrivarci. Ti ricordi il porto dove è ormeggiato Rebecca?”.
Matt osserva il fratello sgranando gli occhi. Non rammenta che lo skipjack di Ellie si chiama Rebecca, né tanto meno che la località dell’ormeggio sia Wenona. Sono due nomi che non gli dicono niente come se non li avesse mai uditi.
“Matt, lo sappiamo tutti che quando guidi o cammini non osservi nulla perché sei concentrato nella guida. Non è una novità” lo rassicura Annie, stringendogli la mano.
“Matt!” lo canzona Dashiell “Non crucciarti. Non è colpa tua se non guardi dove stai andando e non memorizzi nomi e insegne. Non ti ricordi come da piccolo ti infuriavi quando si faceva quel gioco dove si dovevano indovinare le posizioni delle foto? Non ne azzeccavi una che una! E vincevo sempre io!”.
Il fratello non vuole dargli la soddisfazione, ammettendo che da piccolo non riusciva a vincerlo. Lo sa perfettamente che non memorizza nulla. Questo è una limitazione che ogni tanto affiora e qualche volta con effetti dirompenti.
“Nessun cruccio fa parte mia. Semplicemente non ricordavo il nome della località” ribatte calmo.
“Però ora diamoci da fare. Ellie ha ragione che di questo passo a mezzanotte possiamo andare a letto senza aver mangiato nulla”.
Tutti e quattro decidono di collaborare senza polemiche.
 
Martedì 6 dicembre si avvicinava sempre più, mentre pareva che non volesse smettere la nevicata che era copiosa da diversi giorni. Holland Island era letteralmente ricoperta da uno strato di neve di almeno di cinquanta centimetri che in alcuni punti per effetto del vento diventava una muraglia. Nonostante il lavoro incessante di cento spalatori, ingaggiati a Deal Island, era molto difficoltoso muoversi sia a piedi sia col calesse, perché le strade si erano trasformate in pericolose piste di ghiaccio. Enormi cumuli di neve grigiastra e sporca si ammassavano ai lati delle strade. Con l’aiuto di diversi volenterosi tra enormi difficoltà erano tenuti sgombri gli accessi alle abitazioni. I collegamenti con la terraferma erano a singhiozzo, tanto che i rifornimenti alimentari diventavano sempre più proibitivi. Ormai anche le scorte di legna e carbone erano ridotte al lumicino. Qualcuno faceva osservare se avesse continuato a nevicare tra un paio di giorni sarebbero rimasti sicuramente al freddo e avrebbero dovuti contingentare anche le vivande.
Angie osservava con molta apprensione questo continuo cadere di neve dall’unica finestra, che rimaneva aperta giorno e notte, chiusa solo dagli scuretti interni. Era seriamente preoccupata, perché reputava che recarsi all’approdo con un baule pieno di vestiti e due enormi borse non sarebbe stata una passeggiata.
“Mi domando se troverò un volenteroso che trasporterà il mio bagaglio fino al postale. Ma a cosa serve preoccuparsi di questo, quando mi domando se sarà in grado di svolgere il suo servizio? Pericolose lastre di ghiaccio attraversano Chesapeake Bay, così da rendere pericolosa la navigazione. Le strade sono praticamente impraticabili. Non credo che la situazione a Deal Island sia migliore di qui. Al ritardo ci mancava solo una nevicata coi fiocchi e controfiocchi. Riuscirò a raggiungere il mio Dan?”
Erano questi i pensieri o meglio le preoccupazioni di Angie che vedeva sempre più problematica la partenza. Meg erano diversi giorni che non si faceva vedere, ma era comprensibile l’assenza.
“Chi osa avventurarsi sulle strade di Holland Island senza una specifica e inderogabile urgenza? Però devo lasciarle delle incombenze per i quaranta giorni di assenza. Tenere riscaldata la casa, fare le pulizie settimanali, procurare la legna da ardere e il giorno del mio rientro provvedere al rifornimento delle provviste alimentari” rifletteva scrutando ora il cielo ora il giardino non più riconoscibile.
“Come faccio?” si domandava sconsolata, “Come posso lasciarle le istruzioni da seguire durante la mia assenza?”.
Un altro giorno stava passando lentamente senza che il tempo accennasse a migliorare. Si allontanò dalla finestra scendendo in cucina, pensando se era opportuno iniziare i preparativi dei bagagli.

La nevicata

La tensione è scemata, mentre le due coppie chiacchierano tra loro. Le scintille tra Ellie e Dashiell si sono spente senza però diventare fredde del tutto. Sotto la cenere qualche brace cova pronta a riprendere veemenza non appena un alito di vento la riaccende.
Lo skipjack scivola silenzioso sulla via del ritorno sotto la guida attenta e precisa del Capitano Krantz.
“E’ molto confortevole questa imbarcazione” esordisce Dashiell che pare interessato all’argomento.
“Dicevi che l’hai comprata un anno fa a prezzo di occasione…”.
“No, no! Molto prima! L’ho vista tre o quattro anni fa. Sembrava una balena spiaggiata, corrosa dal vento e dalla salsedine. Ho pensato subito di acquistarla ma ero frenata dal fatto che ero una perfetta sprovveduta in merito! Di imbarcazioni non ne capivo un accidente e mi sarebbe seccato gettare dei dollari dalla finestra. Per fortuna o per un curioso caso del destino il capitano Krantz era seduto a pochi metri di distanza da me, intento a fumare la pipa. Osservando il mio viso contrariato, ha capito il dilemma che mi stava dilaniando. «Signorina – mi ha detto avvicinandosi – lo acquisti senza remore! Farà l’affare della vita una volta che tornerà a veleggiare nel Chesapeake Bay. Lo vede malmesso, ma il fasciame è integro e sano. Il restauro non sarà molto costoso. E’ un’imbarcazione eccezionale. Gliela posso garantire!» e così col suo aiuto l’ho comperata e sistemata. Devo convenire che senza quell’imbeccata provvidenziale non avrei mai avuto il coraggio di farlo. Non sono pentita, anzi ho la certezza di essere felicissima dell’acquisto. Lui si è offerto di guidarla quando io avevo voglia di fare un giro. E così è stato. Mi domando come farò quando il Capitano non sarà più in grado di governarla…”.
“Non ti preoccupare! Ci penserò io!” replica Dashiell tutto serio.
Annie e Matt si guardano sorpresi: stentano a riconoscerlo. Ai loro occhi appare trasformato. Un’autentica metamorfosi.
“Non sapevo che tu fossi in grado di manovrare una barca” esclama il fratello sorpreso.
“Infatti, non lo sono. Però si può sempre imparare!” replica divertito.
La cognata lo osserva sbalordita: per lei è un’altra persona, una vera rivoluzione copernicana per come l’ha conosciuto fino a quel momento.
“E’ da quando hai deciso di prendere lezioni di vela?” chiede con garbata ironia Annie.
Dashiell guarda sorpreso il fratello poi la cognata prima di sorridere.
“E’ sempre stata una passione che ho coltivato in segreto. Ma oggi ho deciso che la prossima primavera voglio apprendere i segreti della navigazione a vela. Questa imbarcazione è una vera meraviglia. Così se Ellie …” e fa una pausa osservandone le reazioni.
Lei sta per rispondere, quando il Capitano avverte che stanno per entrare in porto.
Dashiell senza attendere la risposta si precipita in coperta per studiare le manovre.
Annie stringendo il braccio di Matt sorride all’amica, che è rimasta senza parole.
“Se questa non è una dichiarazione… poco ci manca!” afferma decisa.
“Dashiell è un buon partito. E poi quando prende una decisione, la persegue fino in fondo. Vero, Matt?” prosegue scrutando ora Ellie ora il marito.
Il Capitano con una manovra perfetta accosta alla banchina, mentre la voce di Dashiell risuona dal boccaporto.
“Ragazzi, la gita è finita!”.
“Complimenti per l’ottima manovra, timoniere!” rimbecca Matt.
La compagnia è allegra, mentre il sole radente le acque illumina debolmente la loro discesa a terra.
“Capitano, grazie ancora per la cortesia di averci accompagnato in questa escursione non prevista” gli dice Ellie col coro di ringraziamenti degli altri.
Sulla via del ritorno la ragazza propone di fermarsi a Dames Quarter, un minuscolo paesino di Deal Island oppure proseguire fino a Princess Anne.
“Veramente… preferisco tornare a casa” dice Dashiell, “e uscire più tardi”.
“Va bene. Visto che da Gino’s ci siamo già stati. Suggerisco Beach Bay’s, dove possiamo mangiare una zuppa di granchi e gamberi veramente deliziosa. Se siamo fortunati possono esserci anche ostriche della baia. Ormai sono diventate una rarità. Non ci sono più pescatori che escono a cercarle. Un vero peccato!” afferma decisa Ellie.
In meno di mezz’ora sono di ritorno, mentre le prime ombre calano sulla casa. Ognuno sale nella propria camera.
Ellie, dopo essersi sommariamente rinfrescata, legge qualche pagina del diario di Angie.
 
La mattina sembrava essere più silenziosa del solito, mentre pochissima luce filtrava dalle finestre chiuse. Non aveva un’idea dell’ora perché tutti gli orologi erano concentrati al piano terra. Il ticchettio delle pendole le era fastidioso.
Angie era al caldo sotto un bello strato di coperte, ma rimpiangeva l’assenza di Dan, che era in grado di scaldarla meglio. Sospirò e nicchiò a uscire dal dolce tepore del letto, ma doveva farsi forza se voleva riscaldare la stanza. Il fuoco notturno era morto da molto e senza l’intervento umano sarebbe rimasto spento.
Rabbrividendo infilò una pesante vestaglia da camera e cominciò ad armeggiare nella stufa dietro al letto. Al camino si avrebbe pensato più tardi.
Dopo qualche tentativo infruttuoso la legna iniziò a crepitare con lentezza.
“Ci vorrà tempo prima che la stanza si riscaldi un poco. Nel mentre scendo in cucina per prepararmi qualcosa di caldo. La casa è gelida e i vetri sono incrostati di ghiaccio. Brrr..”.
Sul vassoio si notava una cuccuma di caffè nero e un bricco di latte fumante accompagnato da un pezzo di torta e qualche galletta abbrustolita. Questa sarebbe stata la sua colazione. Depose il tutto sul letto e accese il fuoco nel camino. Sentiva brividi di gelo in tutto il corpo. La lunga permanenza fuori dal letto si faceva sentire con insistenza, convincendola a tornare rapidamente sotto le coperte.
“Fa veramente freddo. La casa è gelida. Anche se alimento il fuoco prima di coricarmi, la notte è troppo lunga per conservare un minimo di calore alla mattina. Quest’anno l’inverno sembra aver anticipato la sua discesa” disse tremando. Ne aveva immagazzinato un bel po’ in cucina.
Aperti gli scuretti interni, si sforzò inutilmente di schiudere i vetri. Il ghiaccio li aveva cementati sugli infissi e questo l’aveva preoccupata non poco.
“Fuori l’aria è talmente gelida che non riesco neppure aprire le finestre. Ieri sera nevicava copiosamente, ma ora?” e si rifugiò sotto le lenzuola.
L’aria della stanza cominciava a intiepidire, mentre concludeva la colazione.
“Speriamo di riuscire più tardi a vedere fuori!” rifletteva mentre sorseggiava una tazza di caffè leggermente schiarito col latte.
“Dal silenzio che si percepisce devo dedurre che c’è stata una bella bufera stanotte. Pazienza. Spero solo che fra due settimane il postale riesca a raggiungere Holland Island”.
I vetri erano appannati dalla condensa dell’aria umida interna a contatto col gelo esterno. Le pareva di percepire il sibilo del vento che si incuneava tra le fessure delle imposte, mentre il silenzio era rotto solo dal crepitare del fuoco.
Il calore della stanza aveva consentito l’apertura del vetro dopo i tentativi infruttuosi di prima, ma aveva faticato moltissimo a spalancare l’imposta.
Il vento fece precipitare all’interno un nugolo di fiocchi di neve che si dissolsero in acqua. Ellie come una bambina appoggiò il naso alla finestra per osservare stupita lo spettacolo esterno.
Ogni cosa era ricoperta da un fitto strato di bianco che per effetto del vento tendeva ad accumularsi in determinati punti. Faticava a scorgere l’acqua della baia che era solcata da leggere lastre di ghiaccio. Solo qualche uccello infreddolito si aggirava alla ricerca di qualche briciola lasciando le impronte delle zampe sul manto di neve compatta.
“Oggi dovrò starmene chiusa qua dentro! Non ho nessuna intenzione di togliere la neve dal vialetto di accesso. Per diversi giorni ho delle provviste di cibo. Di sicuro non morirò di fame”.
Dal cielo color latte continuavano a scendere fiocchi che ben presto si accumularono sul davanzale arrivando al bordo del vetro.
Tornata a letto riprese la lettera di Dan e cominciò a riflettere.
“Ho fatto bene a scrivergli? O dovevo aspettare che si facesse vivo lui? Forse ho sbagliato, mettendolo in difficoltà e costringendolo a invitarmi. Però non riuscivo a resistere all’idea di raggiungerlo e stare accanto a lui. Ormai quel che è fatto, è fatto. Ho scritto e mi ha risposto. Il pensiero di trascorrere un mese intero con Dan mi rende impaziente ma devo controllarmi maggiormente. Non devo mostrare troppa fretta, devo governare con più freddezza le mie azioni, ma al cuore non si comanda! E’ via da pochi giorni ma percepisco un gran vuoto nella mia esistenza e vorrei colmarlo al più presto. Dan, conto i minuti che ci separano. Aspettami!”.
Per due giorni e due notti cadde incessante la neve, mentre lo strato nevoso assumeva proporzioni preoccupanti. Un gelido vento spazzava la baia che era percorsa da lastre di ghiaccio sempre più numerose.
Angie se ne stava rinchiusa in casa, osservando dalla finestra della camera da letto, rimasta sempre aperta, lo spettacolo della nevicata.
Doveva decidersi a uscire, ormai le scorte si erano ridotte pericolosamente. Mentre rifletteva sul da farsi le parve di udire delle voci in lontananza. «Miss Fairbanks! Miss Fairbanks!» gridavano alcuni uomini armati di pale e picconi, agitando le mani.
Lei aprì la finestra per ringraziarli, perché l’avrebbero liberata dalla morsa della neve.
Erano passati tre giorni e il sei dicembre le pareva lontano una vita.

La delusione

Angie aspettava con ansia l’arrivo del martedì per poter partire, quando arrivò una lettera di Dan che la gettò nello sconforto.
 
Deal Island, 18 novembre 1910
 
Angie, carissima!
Leggo la tua ansia che traspare dalle parole della tua lettera. Ed è anche la mia! La partenza può esserti sembrata frettolosa, ma impegni urgenti e inderogabili mi hanno costretto a lasciarti sola, anche se avrei voluto rimanere ancora.
Purtroppo questi non sono stati ancora sciolti e mi angustiano ancora, assorbendo ogni mia energia. Sono oberato da doveri e responsabilità che non mi concedono tregua. Mi sento prosciugato nel fisico e nella mente, ma devo resistere e portare a termine positivamente questi affari ancora sospesi prima di permettermi un momento di riposo. Di questo avremo modo di parlarne. Ora non posso dire nulla di più.
Ti chiedo perdono perché al momento della partenza ho acceso dentro di te il fuoco dell’impazienza chiedendoti quando saresti venuta a trovarmi. A malincuore ti prego di rimandare la partenza di almeno dieci giorni, senza per questo che sia pentito di quelle parole pronunciate salendo sul postale. Quello era il mio pensiero e lo è tuttora.
Avrei voluto trascorrere con te Thanksgiving day col tacchino, patate dolci e torta di zucca e festeggiare il Black Friday andando a fare shopping a Princess Anne. Però tutto ha congiurato contro di me e i miei buoni propositi.
Se tu sei d’accordo vorrei celebrare le festività natalizie nella nostra casa di Deal Island. Un mese tutto dedicato a noi!
Dunque ti aspetto lunedì 5 o al massimo il giorno dopo, anche se i miei impegni non fossero cessati!
Non vedo l’ora di poterti tenere tra le mie braccia e sciogliere quel ghiaccio che ti sta ricoprendo.
Sarò sul molo ad attendere l’arrivo del postale.
Tuo devotissimo
Dan
 
La rilesse più volte, mentre gli occhi si riempivano di lacrime. Ancora due settimane di supplizio l’attendevano.
“E’ vero che poi ci sarà stata una lunghissima vacanza che finirà nel 1911. Ma il desiderio di stare accanto a Dan è talmente forte che rinviare di dieci giorni la partenza è come una pugnalata alla schiena. Dunque dovrò portare con me molti indumenti per coprire un mese. Cosa mi conviene fare? Preparare un baule oppure riempire molte borse? Ma ora rispondiamo con la conferma del giorno della partenza”.
 
Holland Island, 20 novembre 1910
 
Mio carissimo Dan!
 
Leggo con dispiacere che sei sommerso da impegni gravosi che impediscono il nostro incontro.
Anche se già pregustavo di essere nella nostra casa di Deal Island tra qualche giorno, dovrò pazientare fino a martedì 6 prima che possa essere stretta a te e riscaldarmi con il tuo affetto.
Pazienza! Poi un lungo periodo ci vedrà uniti. Sarà la prima volta che le feste natalizie non le trascorro nella nostra casa di Holland Island da quando sono nata. Però sarà una gioia immensa festeggiare con te in qualunque posto del mondo.
Dunque martedì 6 sarò sul postale con un bel po’ di bagaglio e spero che la traversata sia tranquilla.
Non vedo l’ora che le giornate passino e che domani arrivi il giorno della partenza.
Un grandissimo abbraccio
Tua
Angie
 
Asciugò l’inchiostro con calma, indossò una mantella blu pesante e un copricapo di lana per proteggerla dal freddo, prima di avviarsi all’ufficio postale. Non c’era nessuna urgenza questa volta. Aveva davanti a sé ancora molti giorni prima della partenza.
Un cielo grigio coperto da spesse nuvole che promettevano neve faceva da sfondo mentre si recava a spedire la risposta.
Alzò gli occhi come per sfidarlo, mentre una folata di vento gelido si insinuò sul collo, facendola rabbrividire.
“E se nevicasse come lo scorso anno, riuscirò a prendere il postale?” si interrogava dubbiosa mentre si arrotolava nel mantello per impedire che il gelo penetrasse dentro di lei.
Camminò in fretta, salutando con un breve cenno del capo i rari passanti che avevano osato sfidare il freddo.
Uscendo dal Post Office, osservò che il cielo era schiarito diventando bianco mentre minuscoli fiocchi scendevano verso terra.
“Brrr! Se non fosse stato per la lettera a Dan, oggi era la classica giornata da rimanere rintanati in casa accanto al camino. Ora è meglio che mi sbrighi a rientrare prima che la strada si ricopra di neve”.
Alzò il bavero della mantella per coprire parte del viso, lasciando scoperti solo gli occhi. Camminò più svelta che le era possibile, mentre faceva attenzione a non scivolare sul velo di ghiaccio che si stava formando.
“Miss Fairbanks! Si fermi!”.
Era la voce del reverendo White che risuonava stridula nel silenzio, mentre la nevicata infittiva. Finse di non udire quel suono indisponente, perché non aveva la minima intenzione di fermarsi e ascoltare quello che le voleva dire.
“Sa dove abito! Se vuole viene a bussare al mio portone! Ora voglio riparare a casa e scaldarmi col fuoco del camino” rifletté accelerando ulteriormente il passo.
Il richiamo si perdeva tra i sibili del vento come un eco lontano, finché Angie non aprì il portone, chiudendolo rapidamente.
Il mantello era diventato bianco ricoperto da un lieve strato neve, che depositò nell’androne.
“Domani ci penserà Meg a raccogliere l’acqua e a pulire. Ora corriamo nella sala per riattivare il fuoco”.
Deposto mantella e copricapo su una panca, si diresse dapprima verso la camera da letto per accendere la stufa e il camino.
“Stanotte si gelerà! E’ meglio tenere il fuoco allegro per riscaldare la stanza!” si disse mentre infilava una pesante vestaglia da camera.
Prese il libro che stava leggendo e si sistemò su una poltrona accanto a camino, da dove poteva osservare la finestra.
Il ghiaccio aveva orlato il vetro, mentre il vapore lo aveva reso opaco. Però si intravvedevano minuscoli fantasmi bianchi aleggiare oltre l’apertura.
La nevicata stava assumendo il carattere di una tormenta, che in breve aveva ricoperto ogni cosa di un candido manto. Mulinelli di cristalli di ghiaccio si alzavano sospinti dalle raffiche di vento andando ad addensarsi sui tronchi degli alberi, sulla staccionata che divideva il giardino dalla strada, su ogni ostacolo che incontrava nel suo cammino.
“Nevica presto quest’anno! E l’inverno sembra essere arrivato in anticipo. Forse è stato provvidenziale il ritardo nella partenza perché non so se fra tre giorni riuscivo a partire! E’ una magra consolazione la mia. Avrei preferito essere sul postale piuttosto che starmene rinchiusa fra queste quattro mura!”.
Si coprì con una coperta di pecora e aprì il libro.
“Ho letto qualche pagina, ma mi conviene ripartire dall’inizio. Trovo deprimente questo libro della Eliot, Middlemarch. Troppo lento e dal tono vagamente didattico. No, no! Questi inglesi sono veramente senza fantasia. Ma adesso che lo preso, facciamoci forza e leggiamolo”.
Aprì il libro dalla solida copertina in pelle con fregi d’oro dell’edizione inglese di Blackwood e cominciò a leggere, accorgendosi ben presto che la sua mente era altrove a Deal Island.
“E’ inutile. Non riuscirò a leggere nemmeno un rigo. Penso ad altro e poi questa Eliot è una palla!” e richiuse per l’ennesima volta il primo volume i quest’opera monumentale.
E tornò a guardare fuori.
Nel buio della sera vide solo fiocchi di neve che vorticosi si avvitavano nell’aria e sospirò.

La partenza

Angie si aggirava spaesata per la casa adesso che Dan era partito per Deal Island. L’aveva accompagnato al postale, che aspettava il suo carico umano e la sacca della corrispondenza. Era stato un commiato triste. Entrambi avrebbero voluto che non si fosse verificato, ma lui doveva rientrare. Affari urgenti richiedevano la sua presenza altrove.
Un lungo bacio e «Quando mi vieni a trovare? Scrivimi e io sarò al molo ad attenderti» era stato il suggello melanconico della partenza.
Lei aveva gli occhi lucidi e aveva farfugliato qualche parola incomprensibile. Si era compreso solo qualche monosillabo e spezzone di frase «Sì. Verrò presto!», «..sistemo ..» e nulla più. Poi si era allontanata volgendo le spalle al postale, perché non desiderava osservarne il distacco dal molo. Non le piaceva mostrarsi col viso rigato di lacrime.
“Sono stati quindici giorni… i più belli della mia vita! Devo farmi forza senza sprofondare nell’apatia. Quando lo andrò a trovare? Domani? La prossima settimana? Tra un mese? Mai? No, no… è inutile pensarci oggi! Devo lasciar decantare la sbornia e ragionare lucidamente. Dan è forse l’uomo che ho cercato in questi anni?”
Erano queste le domande che Angie seduta sulla poltrona di vimini accanto al fuoco acceso con le poesie di Whitman in mano si poneva. Interrogava se stessa alla ricerca della risposta giusta senza trovarla.
“Perché? Perché devo ragionare lucidamente senza dare ascolto a quello che il mio istinto mi suggerisce? Il mio cuore dice di partire presto, anzi che dovevo partire con lui! Ma forse è stato più prudente fare qualche piccola riflessione. La fretta può essere una cattiva consigliera”.
Lei teneva in mano il libro di Walt Whitman, la sua raccolta di poesie «Leaves of grass», che sfogliava ogni volta che si sentiva triste alla ricerca di un’ispirazione felice. In realtà aveva una discreta biblioteca, in parte accumulata dal padre, in parte incrementata da lei. Le piaceva molto il modo di scrivere di Mark Twain ironico e scanzonato, ma l’autore preferito era Henry James con i due romanzi «The portrait of Lady» e «The wings of the dove», dove si descrivono gli amori di due giovani donne alle prese con gli inganni e le delusioni amorose. Però l’autore che l’aveva sconvolta maggiormente era Nathaniel Hawthorne con «Scarlet letter», un libro ereditato dal padre. L’eroina del romanzo, tragica e umana allo stesso tempo, l’aveva impressionata, perché non riusciva a capacitarsi come fosse stata possibile una situazione simile.
Essere condannata al pubblico ludibrio con l’infamante lettera A cucita sul petto solamente perché ha avuto una relazione fuori dal matrimonio col marito lontano, chissà dove era, è qualcosa di sconvolgente e di immaginabile. Inoltre questo puritanesimo bigotto e ipocrita non mi è mai andato a fagiolo. Ricordo che era inconcepibile fino a qualche anno fa che una donna avesse potuto comprare questo libro. Era il romanzo dello scandalo! Fortunatamente mio padre l’aveva acquistato a Baltimora durante uno dei nostri viaggi. Però leggerlo mi mette i brividi. Divento nervosa… Però è incredibile come Hester abbia sopportato tutte le angherie e le vessazioni delle comari e poi del marito senza rivelare mai il nome dell’amante! Era veramente una donna innamorata e forte! Io al suo posto mi sarei ribellata! Avrei gridato ai quattro venti il nome del padre di mia figlia e avrei affrontato i pettegolezzi della gente. Però… però nel periodo nel quale è stato ambientato il romanzo un’adultera rischiava il patibolo! Una vera vigliaccata.
Erano queste le riflessioni, che faceva ogni volta che toccava quel libro, anche quando semplicemente lo sfiorava.
La sua mente adesso era assorbita dal pensiero di Dan, che era partito da pochi giorni.
“Cosa scrivo? Ora? O tra qualche giorno?” rifletteva ad alta voce, sfogliando stancamente il libro che teneva in mano senza soffermarsi sulle parole.
Si alzava e girava per la stanza sempre col pensiero fisso: il desiderio di stare nuovamente tra le sue braccia. Poi tornava a sedersi sulla poltrona di vimini, incapace di trovare una soluzione al tormento che divorava la mente.
“Basta!” urlò ad alta voce.
“Basta! Scrivo e parto per Deal Island! Mi manchi moltissimo!”
Si alzò decisa e andò nello studio fermamente determinata a scrivere la missiva.
 
Holland Island, 15 novembre 1910
 
Mio adorato Dan!
Sono passati pochi giorni, ma sento la tua mancanza! C’è un vuoto dentro di me e dentro questa casa, come se fosse sceso all’improvviso una grossa gelata notturna.
Ogni cosa compreso il mio corpo è ricoperto dal ghiaccio.
I giorni trascorsi insieme sono stati i più emozionanti della mia breve vita. Avevo ascoltato e letto parole su quello che viene chiamato amore, ma credo che tutto questo sia niente rispetto a quello che provo.
Nei quindici giorni non ho mai avvertito la necessità di dichiararlo apertamente: sono stati sufficienti gli atti, il modo di propormi. Con naturalezza e semplicità, ma ora che non ci sei lo devo gridare affinché tu lo possa sentire.
La prossima settimana, martedì 22, prenderò il postale e arriverò a Deal Island alle tredici! Così potrò essere stretta nuovamente tra le tue braccia.
Da questo momento conterò i minuti, come i grani del rosario.
Vorrei che oggi fosse già lunedì!
Un abbraccio fortissimo.
Tua
Angie
 
Lasciato asciugare l’inchiostro, si precipitò all’ufficio della corrispondenza affinché la lettera finisse nel sacco pronto per imbarcarsi sul postale in partenza da Holland Island.
Angie era riuscita a calmare la propria agitazione che stava crescendo a dismisura, mentre una nuova ansia stava facendo capolino: era quella legata all’attesa per la partenza.
Mentre stava facendo ritorno a casa, avvolta nel pesante mantello, incrociò il reverendo White che accennò a fermarla senza riuscirci.
Lei era talmente avvolta nei suoi pensieri che non vide il pastore, ignorando il tentativo di parlarle. Camminava come se fosse in trance, desiderosa solamente di rientrare nella casa.
Al reverendo bruciava ancora la brusca cacciata di qualche giorno prima e la mancanza di rispetto alla sua autorità, ma di un aspetto era intimamente contento: la partenza dell’uomo che aveva originato lo scandalo.
“Se ne è andato perché io e gli isolani gli abbiamo fatto comprendere che non era ben accetto! Mi auguro che non rimetta più piede a Holland Island! Il suo comportamento è stato altamente lesivo alla onorabilità di Miss Fairbanks e dei suoi concittadini”.
Il pastore ignorava che Dan sarebbe partito comunque, perché alcuni impegni lo richiedevano a Deal Island con notevole urgenza. Però nella sua boria vantava con se stesso di essere stato la causa del precipitoso allontanamento.
“Non importa, se non sono riuscito a parlare con Miss Fairbanks. Lo farò nei prossimi giorni. L’importante è che sia stato rimosso l’origine del loro scandaloso comportamento” e si avviò verso la chiesa.
Angie chiuse il portone alle spalle e si avviò di corsa nella sua stanza. Doveva pensare a cosa desiderava portare con sé. Da un armadio estrasse una pesante borsa di cuoio scuro che poteva contenere un paio di vestiti e qualche altro abito ancora. La gettò sulla poltrona in attesa di riempirla. Poi cominciò a ragionare cosa altro le serviva.
Si sedette sconsolata su una poltrona di raso rosso, perché non sapeva il numero di giorni che sarebbe stata ospite di Dan.
“L’ultimo viaggio che ho fatto è stato il 20 di settembre per la festa di Mabon. Però in quell’occasione dovevo prendere con me solo lo stretto necessario per trascorrere la notte e fare il viaggio di ritorno la mattina successiva. Ora la situazione è molta diversa. Conosco la data di partenza, ma non quella del ritorno! Da Dan rimarrò per pochi giorni oppure per una settimana o oltre? Già mi sono autoinvitata senza nemmeno conoscere se lui ha concluso tutti i suoi impegni oppure no. Fissare in modo arbitrario la durata della mia permanenza mi sembra una forzatura. Non credo che lui possa rispondere ai quesiti rispondendo alla mia missiva, perché manca il tempo per farlo. Dunque…”.
Comprese che era inutile pensare al bagaglio. Avrebbe atteso una improbabile risposta e poi avrebbe preso una decisione legata la momento.
Rinfrancata e con la mente leggermente più tranquilla si avviò verso la cucina per preparare qualcosa da mangiare, perché da domenica aveva piluccato qualcosa senza eseguire un pranzo o una cena degna del nome.
Però il tarlo continuava a lavorare.