Capitolo 37

Laura considerava il casale del Verginese come la sua casa, il suo nido d’amore. A volte restava lì in attesa del Duca che poi non arrivava ma senza farsi prendere dall’ansia come le prime volte. Non poteva imporgli di trascurare il governo del ducato per correre da lei.

Quando il sole tingeva di rosso l’orizzonte e l’amante non era ancora giunto, chiedeva al cocchiere di riportarla in città.

“Passate domani un’ora dopo il sorgere del sole” gli diceva, mentre smontava vicino alla chiesa di Santa Giustina per affrettarsi a rincasare prima che le ombre inghiottissero il tragitto verso casa.

Così tra delusioni e attimi di felicità passò agosto e settembre. Le giornate diventavano sempre più corte e le prime nebbie avvolgevano il casale come un bozzolo di seta.

Era la fine di settembre quando Alfonso stringendola a sé le disse che la duchessa tra due giorni tornava dalla delizia del Belriguardo.

“Mi spiace, Laura ma per diverse settimane non potremo vederci. Poiché il casale è troppo distante dalla città per poterlo frequentare, troveremo un altro palazzo in città. Non sarà così avvolgente come questo ma sarà ugualmente confortevole e discreto. Lucrezia ha concluso le sue ferie estive e dopo molti mesi dovrò onorarla alla notte e adempiere ai miei doveri di coniuge. Sei una donna splendida che mi capisce e non mi soffia sul collo. Con te dimentico tutto: le preoccupazioni del governo, le guerre, le beghe coi fratelli e familiari e persino il piccolo Ercole, che un giorno mi succederà sul trono. Ora godiamoci questa notte che per qualche tempo sarà solo un ricordo”.

Laura non replicò ma si strinse a lui per accoglierlo dentro di sé. Non si faceva illusioni sul breve intervallo senza potersi addossare a lui.

“Finché la duchessa vivrà, io sarò la sua concubina segreta. Però più le giornate passano, più diventa complicato nascondere la nostra relazione. Circolano molte chiacchiere, quando mi vedono camminare in fretta alla mattina sempre nella medesima direzione. Ma ora mettiamo al bando questi pensieri e concentriamoci sul come soddisfare Alfonso”.

Assecondava l’amante, sognava di essere riverita come la duchessa ma si dimostrava sempre disponibile anche quando la stanchezza l’assaliva.

Passò il resto di settembre e ottobre senza che il duca si facesse vivo. Laura percepiva un gran vuoto dentro di sé e una profonda tristezza.

“Mi ha dimenticata. Era solo una stagione estiva con la duchessa lontana per sfogare i propri istinti” mormorava alla sera coricandosi mentre incubi malvagi popolavano i suoi sogni.

L’estate aveva lasciato ben presto il posto all’autunno che era giunto con molto anticipo. Le prime brinate avevano imbiancato i tetti, la nebbia regnava sovrana, la temperatura era diventata rigida.

Laura aveva ripreso il proprio posto nella bottega del padre. In silenzio cuciva e sistemava i cappelli che Francesco tagliava.

Era il 1 novembre del 1518, la festività degli Ognissanti, quando la madre la trattenne in cucina.

“Laura, il vostro duca è sparito, svanito come la stagione calda. Eri forse l’amante di stagione oppure devo usare un altro nome?” disse con tono tagliente spingendo le mani verso il fuoco del camino.

“No, madre. Mi aveva annunciato che per un po’ non avrebbe potuto frequentarmi”.

“Un po’? Forse quasi due mesi sono solo un po’?” replicò sarcastica. “Ma ditemi, cosa vi ha lasciato prima di liquidarvi? Non mi pare d’aver visto borse con scudi d’oro nella tua camera?”

“Nulla, madre. Nessuno scudo d’oro. Niente, solo una promessa”.

“Le promesse non servono a nulla. Fanno felici solo le gonze come mia figlia, che era illibata prima. O forse mi sbaglio?”

“Non vi sbagliate, madre. Non lo sono più da molti mesi ..”.

“E non vi ha pagato nemmeno uno scudo d’oro lo stato di verginità?”

“No. Non sono una donna di strada che si fa pagare aprendo le gambe ..”

“Siete ingenua, mia cara! Chi vi prenderà ora che non lo siete più?”

“Madre, ma voi lo eravate quando avete contratto il matrimonio con Francesco?” chiese la ragazza ricordando certi accenni e bisbigli di molti mesi prima.

“No, di certo!” esclamò divertita. “Come avrei potuto esserlo, se ho ..” e si interruppe, perché stava rivelando un segreto custodito per oltre vent’anni.

“Madre, già altre volte avete accennato a un misterioso conte e a una borsa di scudi d’oro. Ma siete sempre stata reticente” disse Laura, che voleva conoscere cosa era successo e le motivazioni di quelle parole appena sussurrate.

Paola diventò paonazza e farfugliò qualche parola sconnessa.

“Madre, vi vedo in difficoltà su questo episodio. Se non volete parlarne, non fatene più cenno nei paragoni con il mio stato. Però se lo volete narrare, sappiate che la mia bocca rimarrà cucita per sempre”.

Guardò la figlia e poi le prese le mani prima di iniziare il racconto.

“Avevo sedici anni ed ero la promessa sposa di Francesco più vecchio di me di due anni. Dovevo racimolare degli scudi per crearmi la dote di matrimonio. I tuoi nonni erano poveri e non avrebbero potuto contribuire un granché. Così andavo sulla riva del Po con le amiche per lavare i panni delle signore per qualche soldo da mettere da parte per le nozze. Ero bella, la più bella del gruppo”.

Fece una pausa sospirando, mentre pensava alla freschezza del corpo di allora rapportato allo stato attuale.

“Madre, ma lo siete ancora oggi. Molto di più di me che sono acerba”.

“Però non più vent’anni come te. I signori desiderano la carne fresca a quella stagionata. Ormai sono vecchia e nessuno sborserebbe un testone d’argento per venire a letto con me” concluse prima di riprendere la narrazione. Laura l’osservò stupita per l’affermazione.

“Ero l’oggetto di tutti i complimenti degli uomini. Se possiamo chiamarli così. Erano battute triviali e proposte oscene. Le amiche invidiose mi prendevano in giro, dicendomi che ero troppo sostenuta e che per uno scudo d’oro avrei aperto le gambe. Io alzavo le spalle e sorridevo, perché volevo conservarmi illibata per la prima notte di nozze. Nel tragitto verso Porta Paula si passava davanti a una casa patrizia abitata dal conte Giglioli, un vecchio bavoso ma molto danaroso. Aveva anche tre figli, il più giovane dei quali era un mio coetaneo. Quando si transitava, sbirciava dalla finestra senza dire nulla. Le amiche vedendolo dicevano che avrebbe sborsato molti scudi d’oro per una ragazza giovane e bella come me. Ridevano alle mie spalle. Il pensiero di essere posseduta da un vecchio mi faceva ribrezzo. Però il tarlo aveva cominciato a lavorare sotto la spinta delle loro insinuazioni, Erano invidiose che avesse occhi solo per me. Ma per pochi testoni d’argento avrebbero accettato. Mi dissi. Se devo andare a letto con quel vecchio bavoso, lo farei solo per cinquanta scudi d’oro. Ero convinta che non sarebbe accaduto. L’estate calda come quest’anno eccitava gli spiriti. Per lavare i panni arrotolavamo la gonna fin quasi in cintura, mostrando le gambe e forse anche qualcosa di più. Il guarnello era ridotto all’essenziale, senza maniche e scollato. Sotto non portavo niente per la calura e la povertà. Ben presto aderiva al corpo mostrando le forme del mio seno, piccolo e sodo. Una gran quantità di uomini sfaccendati ci osservava, commentava con oscenità masturbandosi. Le donne più anziane li tenevano lontani. Erano terribili. Se qualcuno era più intraprendente rischiava una bastonata. Un giorno di agosto il conte si avvicinò e confabulò con quella che era il capo delle lavandaie. Paola, mi disse, il signor conte desidera parlarvi in privato. Così formulò la proposta, sussurrata con un filo di voce”.

“Cosa vi chiese” domandò curiosa Laura, che non perdeva una sillaba del racconto.

“Sarei diventata la sua regina e mi avrebbe ricoperto di scudi d’oro, se avessi accettato il suo invito”.

“E voi, madre, cosa avete risposto”.

“Ci penserò e vi darò la risposta domani col capo. O sì o no”.

“E le altre non commentarono il vostro parlottare?”

“Qualcuna credette alla mia versione di un’offerta di lavoro ma molte finsero immaginando il tenore della proposta come le amiche. Beatrice, la più piccola ma anche la più smaliziate, disse che lei non sarebbe andata a letto con lui se non le versava in anticipo almeno cinquanta scudi d’oro, perché oltre il vecchio sarebbero passati anche i tre figli. Tornata a casa con la testa in subbuglio non avevo nessuna con la quale confidare il segreto. Non dormì. Feci incubi e mi girai sul pagliericcio inquieta. Il grande timore era la prima volta. Avevo ascoltato racconti paurosi su quel momento. Sangue, dolori, difficoltà a chiudere le gambe per qualche giorno. Insomma ero spaventata. Alla fine avevo solo sedici anni. La mattina, al sorgere del sole, Beatrice mi raggiunse. Aveva capito tutto. Mi disse. Accetta, perché si tratta di un giorno solo. Il conte vuole solo roba fresca e senza macchie. Però il primo rapporto l’avrai con Rainiero, il più vecchio, perché lui non ce la fa. Quindi tieni alta la posta senza timori. E’ chiaro che sono disposti a pagare bene. Non capita a tutte. Scelgono con cura le donne. Se non avessi avuto tredici anni, di certo non mi avrebbe chiesto nulla. Pretesi solo due testoni d’argento ma me ne pentì subito per l’esiguità della ricompensa. Accetta senza timori. Vali molto per loro”.

“Madre, ma quello che racconti è terribile! Una bambina di tredici anni!” disse arrossendo Laura.

“Beatrice ne dimostrava di più. Sembrava una donna con un seno ben sviluppato”.

“E voi cosa avete fatto quella mattina?” domandò ben conoscendo la risposta.

Paola stava raccogliendo tutte le sue forze per finire il racconto quando udì la voce di Francesco.

“Laura, venite. Un messo vi cerca”.

La ragazza si precipitò nella bottega, seguita dalla madre. Un paggio che ben conosceva le consegnò un messaggio chiuso col sigillo ducale.

“Passo domani per la risposta” disse, uscendo sulla strada.

A Paola brillavano gli occhi dopo l’imbarazzo del racconto interrotto sul più bello.

“Cosa c’è scritto?” chiese allungando il collo.

“Madre, lo saprete. Ora vorrei leggerlo da sola”.

Si allontanò e ruppe la ceralacca.

«Mia adorata Madonna,

Finalmente posso dedicarmi a voi per i prossimi mesi, anni.

Una splendida notizia ho per voi. Madonna Lucrezia è gravida e per molto tempo non dovrò più passare le notti nei suoi appartamenti. Sono libero di stare con voi per tutto il tempo che posso dedicarvi.

Ho voglia di stringervi a me e accarezzare la vostra pelle, annusare il vostro odore, affondare le mani nei vostri capelli neri.

Dite al messo quando e dove la carrozza passerà a prendervi.

Vostro Alfonso»

Paola rimase in silenzio in piedi, osservando la figlia e le sue espressioni. Le aveva rivelato un segreto e l’aveva resa complice di questo. Sperava che non ripetesse la sua esperienza. La vide ripiegare il messaggio e dirigersi verso la cucina. Il viso di Laura era sereno e disteso. Un buon segno, pensò prima di chiederle cosa c’era scritto.

“Madre, la storia riprende da dove si è interrotta tre mesi fa. Sta a me dire quando” rispose pacata.

Paola l’abbracciò. Sua figlia era stata più saggia e avveduta di lei. Ricordava che Beatrice aveva descritto con sincerità quell’incontro. Rainiero era stato un martello asfissiante in quel frangente, ma questo non lo poteva confessare a nessuno.

“Il resto del racconto lo rimandiamo a un altro momento, se vorrete proseguire. Credo di immaginare cosa sia successo, madre”.

Tra due giorni sarebbe stato nuovamente tra le braccia dell’amante.

Capitolo 36

Giacomo sogghignò ferocemente, perché aveva messo in riga Isabella.

“Non on mi è mai piaciuta fin dal primo incontro. Quell’aria tra l’arroganza annoiata e la sufficienza mi aveva dato ai nervi ma ho dovuto far buon viso a cattiva sorte, non sapendo nulla di questa mia nuova vita. Mi ha sottovalutato. Un errore imperdonabile di valutazione. Ma ora mi servo la vendetta, un piatto da consumarsi freddo. Più che vendetta ho ristabilito le gerarchie” rifletté mentre terminava il bagno ristoratore.

Avvertì che Ghitta era soddisfatta per come stavano procedendo gli eventi.

“Non fatevi illusioni, Ghitta” esclamò mentre sentiva scorrere l’acqua fresca sul corpo accaldato.

“Quali, Messere?” chiese cauta la furba ragazza.

“Lo sapete. Non c’è necessità che ve le spieghi. Avete salvato il posto ma dovete rigare dritta”.

“Cosa significa «rigare dritta»?”

“Che non pensiate di avere privilegi speciali o di parlare a sproposito col resto della servitù. Dovete rimanere quella che ho conosciuto fin dall’inizio. Rispettosa, obbediente e attenta ascoltatrice di quello che si dice di me e di avvertirmi. A proposito. Perché non mi avete informato che madonna Isabella mi attendeva nella mia camera?”

“Non ho potuto. Madonna mi ha detto ..” rispose tentennante, lasciando intendere l’esatto contrario.

“Bubbole. Avete avuto paura e basta”.

“Aveva minacciato di cacciarmi se..”

“E ci sarebbe riuscita se non fossi intervenuto con decisione. Ma ora prepariamoci alla cena nelle sue stanze. Ricordatevi di preparare la camera come vi ho spiegato in ogni dettaglio. Stanotte dorme qua”.

Tirato a lucido e senza troppe arie trionfalistiche Giacomo si presentò puntuale nelle stanze di Isabella.

“Madonna siete uno splendore. Forse in mio onore?” chiese sorridente, vedendola agghindata a festa.

In effetti non l’aveva mai trovata così bella: i capelli raccolti a crocchia con la treccia che le dava un tocco di sobria eleganza, un abito blu con un corpetto bianco attillato e un’ampia scollatura, che mostrava generosamente i seni. Questi parevano esplodere fuori ad ogni movimento del corpo ma rimanevano miracolosamente al loro posto. La pelle leggermente ambrata era liscia come quella di un bambino, mentre emanava fragranze delicate.

“Ha deciso di colpirmi col lato sexy del corpo che usa come arma di seduzione per volgere a suo favore queste schermaglie” rifletté Giacomo, che riuscì a controllare magnificamente voce e fisico. “Non posso cedere al ricatto sessuale. Per me sarebbe la fine”.

Isabella sorrise annuendo con la testa mentre dentro di sé covava rabbia, perché vedeva sfumare i suoi piani.

“Quest’uomo sembra di ghiaccio che nemmeno il sole agostano riesce a sciogliere. Ero sicura che avrebbe ceduto. Invece, impassibile, cortese e galante ha fatto un semplice commento senza grossi entusiasmi più come dovuti che sentiti. Il marchese si sarebbe sciolto in un amen e sarebbe rimasto appeso alle mie labbra per il resto della serata, sbavando e gemendo. E per guadagnare il mio letto avrebbe dovuto sopportare le pene dell’inferno. Giacomo invece non lo riconosco più. Sembra un altro, cambiato, determinato e attento a come si muove. Poi pare che sia ricercato da molte dame. Da quando gli ho assegnato Ghitta, non è più l’uomo che conoscevo. Quella ragazza l’ha stregato, mentre io mi ritrovo le armi spuntate”.

Giacomo si muoveva come un gatto che si divertiva a giocare col topolino. Lo lasciava correre un po’ e poi una zampata lo riportava in balia di lui. Colpi di fioretto, stilettate e fendenti la colpivano da ogni parte senza che lei potesse opporre resistenza. La serata procedeva con Isabella sempre più visibilmente agitata e incapace di ribattere le punture dell’uomo.

“Messere, sapete che sto diventando lo zimbello di Ferrara?” disse con tono accorato la donna.

“Perché, Madonna?” domandò curioso anche se immaginava dove voleva puntare.

“Voi mi tradite con molte dame. La contessa Giulia ..”

“Ah! Ah! Forse il marchese di Stellata vi manca di rispetto quando passa dal vostro letto?” replicò sornione.

Isabella avvampò nelle guance che divennero rosse per la collera e lo stupore. Non si aspettava quell’affermazione, perché le visite era discrete. Nessuno si era accorto della relazione. Almeno questa era la sua convinzione ma evidentemente si era sbagliata.

“Ma che dite, Messere! Il marchese di Stellata è un amico comune e non ha mai mancato di rispetto verso la mia persona ..”

“Un amico? Ma se è da anni che non lo saluto. Forse è venuto sotto questo tetto senza passare a salutarmi?”

“No, no. Rispondevo alla vostra ..” farfugliò diventando ancor più rossa per l’impaccio.

Giacomo si tratteneva dal ridere, perché aveva tirato un colpo alla cieca centrando il bersaglio senza troppa fatica.

“Capisco, Madonna, il vostro imbarazzo per il marchese e perché ho malignato, pensando che fosse stata violata la nostra casa”. Dopo una brevissima pausa riprese: “E’ bello il palazzo in via dei Piopponi?”. Aveva gettato l’amo con l’esca in bella evidenza.

“Ha un giardino magnifico, che vorrei avere anch’io. Il nostro è talmente squallido..” rispose abboccando.

“E la camera da letto è migliore della nostra?” continuò con ostentata indifferenza.

“E’ sobria e lineare come piace a me” replicò ingoiando amo ed esca.

“Ah! E’ mi fate il predicozzo perché qualche malalingua afferma che frequento delle dame, quando voi incontrate con regolarità il marchese?” disse infliggendole il colpo finale.

“Ma .. no.. mi avete frainteso..” farfugliò in maniera incoerente torcendosi le mani. “State pensando male di me. Qualche tempo fa ..”

“Sì, sì. E’ meglio cambiare argomento. Le bambine come stanno? Sono mesi che non le vedo. Non pensavo nemmeno che fossero in vita..”.

“Sono con la nutrice nelle loro stanze” rispose cercando di riprendere un colorito normale. “Domani, se ci siete, ve le porto in visita nelle vostre stanze”.

“Domani mattina ci sarò sicuramente. Ma ora è arrivato il momento di ricambiare la visita e ritirarci nelle mie stanze”.

Isabella si irrigidì prima di rispondere.

“Mi sento a disagio pensando che la vostra serva sia lì a origliare e ascoltare le nostre parole ..”.

“Però qualche tempo fa non lo eravate, quando sei venuta a farmi visita. Direi che siete rimasta molto soddisfatta”.

Si alzò e la prese per mano per condurla da lui. Isabella tentò di opporre un’ultima resistenza.

“Non posso di certo farmi aiutare dalla vostra serva per spogliarmi'”.

“No, di certo. So ancora come si spogliano le donne” replicò sorridente e suadente.

La stanza profumava di artemisia bruciata per scacciare gli insetti. Il letto era preparato con cura con ricche lenzuola di lino ricamate, mentre due tuniche leggere erano appoggiate sopra. Nel bagno erano pronte brocche di acqua profumata per ogni necessità Ghitta non si mostrò, restando nelle sue stanze, come le aveva ordinato Giacomo.

“Madonna, se vi girate, vi aiuto a togliere questa veste ricca ed elegante”.

“Ma ci riesco anche da sola. Preferisco farlo al buio” replicò indicando il candelabro sul tavolo.

“Mi togliete il piacere di spogliarvi con le mie mani e ammirare il vostro corpo alla luce delle candele”.

Con agilità cominciò a sciogliere i lacci e velocemente la lasciò nuda. Aveva davvero un fisico splendido, nel pieno della maturità dei suoi trentacinque anni e forse più. Fu il commento di Giacomo. Poi cominciò a spogliarsi lui con una certa fatica, perché era un’operazione che svolgeva con l’aiuto di Ghitta.

“Questi cosa sono?” domandò stupita e irata.

“Una borsa con qualche lira marchesana ..”

“Per chi mi avete preso?” avvampò la donna.

“Per mia moglie. Però il marchese vi fa sempre trovare una borsa tintinnante sotto il cuscino ..”.

“Come fate a conoscere tutto questo?” disse stizzita e imbarazzata.

“Dama Eleonora. Il marchese omaggia così le sue amanti. E ora da brava moglie voltatevi. E’ la vostra posizione preferita”.

Isabella cedette di schianto senza protestare e assecondò il marito.

La notte fu lunga e soddisfacente.

Il mattino li trovò abbracciati che dormivano serenamente. Un raggio di sole illuminò i loro visi, svegliandoli.

“Avete perso molte notti piacevoli” disse l’uomo.

“Potrei recuperare, passando anche le prossime”.

“Fra tre notti. Nei prossimi giorni sono invitato nella Diamantina per una festa d’agosto” rispose serafico.

“Posso venire anch’io?” chiese trepidante.

“Se dama Eleonora lo vuole”.

“Ghitta!” urlò mentre lei si materializzava come un fantasma.