Capitolo 9 – Lo scontro

I due amanti si fronteggiavano senza vedersi, ma sentivano la reciproca presenza attraverso la pesante porta, come se questa fosse trasparente.
Goethe era più che mai deciso nella pretesa che Angelica gli dovesse dare spiegazioni sul suo comportamento nella giornata, perché non riusciva a comprenderne le ragioni. Per lui era normale comportarsi come stava facendo, perché non avvertiva alcun obbligo nei confronti della pittrice.
Non le ho mai mancato di rispetto. L’ho trattata con dolcezza senza pretendere da lei nulla, che non fosse disposta a concedermi. Perché mi lascia fuori dall’uscio come se fossi un appestato?” rifletteva il poeta incapace di cogliere le sfumature del rifiuto della donna.
Era vero che si era comportato con correttezza senza mai eccedere o esigere la sua disponibilità, ma non aveva compreso che la pittrice l’amava e lo desiderava, che il non avere rapporti sessuali era un’offesa alla sua femminilità, perché si sentiva esclusa dal mondo del poeta e tradita nei sentimenti.
Goethe frequentava donne di strada e Faustina tutte le sere per soddisfare i suoi desideri sessuali, mentre durante il giorno sfiorava appena Angelica con qualche furtivo bacio e veloci tenerezze. Inoltre non aveva capito che, sparendo per giornate intere, senza dire nulla o giustificarne le assenze, era un affronto intollerabile per lei. Non poteva rivelarle che le sparizioni improvvise aevano come fine frequentare salotti e camere da letto di alcune nobili romane, che facevano carte false pur di averlo accanto loro. Il poeta amava troppo le donne per rimanere fedele solo a una.
Già a Weimar la relazione con Charlotte von Stein era stata burrascosa per i molti tradimenti con altre dame per la sua incapacità di restarle fedele tanto che per sfuggire alle continue scene di gelosia era partito di nascosto per l’Italia. Questa era una costanza della sua indole, che per lui si trasformava in ordinario quotidiano nelle relazioni con le donne per lo più sposate, tanto che avevano lasciato un segno profondo nel carattere e nelle opere giovanili del poeta.
Di Angelica ne apprezzava la bellezza, perché rispecchiava i suoi canoni estetici, il carattere dolce ma risoluto, l’intelligenza pronta e acuta. Goethe l’amava anche se in maniera bizzarra e fuori dagli schemi usuali, ma era restio a trasformare quel sentimento che provava in una relazione stabile, perché non faceva parte della sua indole. Adesso si ritrovava nella stessa situazione per la quale era fuggito da Weimar, anche se non se ne rendeva conto, incapace di associare i suoi comportamenti con le reazioni della pittrice.
Angelica, sinceramente innamorata di lui, in questo frangente non era indispettita per la condotta passata di Goethe, che non la interessava ma per i comportamenti che teneva sia quando era insieme a lei sia quando faceva baldoria con gli amici. Aveva accettato i tradimenti anche se la ferivano dolorosamente, le assenze ingiustificate, anche se avrebbe desiderato maggiori attenzioni. Soffriva la sua sensibilità femminile, perché dopo quell’unico rapporto avvenuto prima di Natale mai una volta il poeta l’aveva sfiorata, anche se lei aveva tentato di avere più intimità da lui. Pativa tantissimo il ruolo di amante segreta senza che tra loro ci fosse quella complicità che la situazione avrebbe richiesto. A furia di tirare la corda, questa si era rotta e per non rimanere travolta in modo irreparabile doveva riappropriarsi della propria vita professionale con la decisione amara e dolorosa di escluderlo per un po’ di tempo dallo studio, di non pensare più a lui, anche se questo le stava imponendo molte angosce d’amore.
Adesso era fermamente decisa a non aprire quella porta, finché non avesse licenziato il quadro, perché era un impegno che aveva preso con se stessa ed intendeva mantenerlo a tutti i costi.
Era arrivata a questa determinazione, perché, dovendo ascoltare pazientemente per ore quello che lui andava scrivendo dal Faust a Ifigenia in Tauride, da Egmont a Torquato Tasso, pretendeva la massima attenzione, impedendole di fatto di proseguire nella sua attività di pittrice.
«E’ vero che mi sento lusingata per essere al centro del suo interesse, perché apprezza la mia opinione, a quale attribuisce un gra valore. Ma in definitiva io non lavoro più. Ho decine di quadri iniziati o abbozzati ma nessuno terminato da diversi mesi».
In quegli istanti lei si trovava in un momento difficile per il fatto che Goethe fosse fuori dalla porta deciso a entrare, mentre lei era decisa a tenerlo lontano. La situazione di stallo la paralizzava e le impediva di trovare uno sbocco razionale alle circostanze nelle quali era precipitata. Non le piaceva avere una vivace discussione lungo le scale male illuminate e con diverse orecchie indiscrete ad ascoltare, né tanto meno in strada, come due rozzi popolani romani. Se fosse entrato, avrebbe infranto la promessa che aveva fatto qualche giorno prima di non vederlo nel luogo, dove si era consumato l’unico atto d’amore. Era un bel rebus che non sapeva sciogliere.
Angelica aveva al piano superiore un paio di stanze, dove si fermava a dormire, quando si attardava troppo nello studio.
Ecco dove condurrò Goethe” pensò. “Lì avremo il chiarimento”. Infilatosi il mantello e il cappello, aprì la porta ben decisa a chiuderla immediatamente dietro di sé.
Goethe, colto di sorpresa, non riuscì a spingerla dentro e suo malgrado la seguì al piano di sopra, parlando fitto e senza interruzione, mentre Angelica in silenzio e con la grazia di un angelo saliva le scale.
Aperta la porta, accese le candele poste nell’ingresso, entrarono e si tolsero i mantelli e i capelli, che posarono sul divano dietro la porta.
Le stanze erano fredde, perché non aveva ordinato ai domestici di prepararle e illuminarle con qualche candelabro, ma c’era ordine e silenzio.
Si sedettero sul divano che dava di spalle al letto posto al centro della stanza e davanti ad un camino impietosamente spento.
Nessuno dei due pensò di accenderlo, ma forse non sapevano nemmeno come fare, rimanendo al freddo senza che questa circostanza fosse avvertita dai due amenti.
Goethe cominciò a parlare con voce alta e alterata, ma Angelica gli mise un dito sulle labbra per farlo tacere. Non le interessava quello che andava dicendo ma voleva esprimere con concisione e fermezza le sue idee.
Wolfgang, ho deciso di non rivedervi più, anche se questo mi costa un dolore intenso in fondo al cuore, perché io vi amo, come non ho mai amato nessun altro. Avrei potuto essere vostra quando avreste voluto, ma mi avete trascurato con donne di strada e qualche servetta. Avete ignorato le sensazioni che provavo per voi. Mi avete ferita come donna e come amante e non posso perdonarvelo. Mi state facendo soffrire le pene d’amore con la vostra indifferenza alla mia femminilità. Ero disposta a diventare la vostra amante segreta, ma mi avete deluso con la vostra incapacità a comprendere l’amore che provo per voi”.
Dette queste parole Angelica stette in silenzio, aspettando che cosa Goethe aveva da dire a sua discolpa. Era una vera e propria dichiarazione d’amore la sua, tanto da cogliere di sorpresa il poeta, che rimase zitto e senza parole.
Rimasero a guardarsi negli occhi per alcuni secondi prima che lui ritrovasse la parola.
Goethe accecato dall’ira e punto sul vivo di essere abbandonato da una donna parlò con tono alterato e senza freni, dimostrando la sua incapacità a capire i veri sentimenti di Angelica.
Se mi amate, perché non mi volete più rivedere? Perché non dobbiamo parlare dei sentimenti che ci uniscono? Sono attratto dalla vostra personalità forte e decisa, dalla delicatezza dei vostri lineamenti che sembrano porcellane finemente decorate. Voi mi piacete, perché siete intelligente e paziente, non siete possessiva, ma lasciate che abbia la mia vita. Mi volete come amante segreto, ma io voglio mostrarvi a tutti, ma non posso, perché voi siete sposata. Cercate forse un uomo che faccia all’amore con voi, vi dia le gioie e i piaceri della voluttà? Volete quel figlio che il vostro consorte non riesce a darvi? Andate per strada e ne trovate tanti di uomini disposti a venire a letto con voi! Allora era vero quello che sussurrano di voi, che siete una donna che ama passare da un letto ad un altro, gaudente e priva di vincoli morali, che tradisce il marito! Io invece vi ho trattata da donna seria e rispettosa delle regole!”
Angelica dopo avere ascoltato parole dette con tono indelicato e offensivo si alzò dal divano e furente per l’ira disse con tono duro e minaccioso: “Uscite immediatamente da queste stanze e non fatevi più vedere!” Si diresse verso l’ingresso per indossare mantello e cappello, lasciando Goethe sbigottito e adirato.
Lui la prese per un braccio per farla girare verso di sé, ricevendo in viso uno schiaffo che sembrava uno schiocco di frusta nel silenzio della stanza.
Angelica per niente intimorita e decisa a farsi rispettare si divincolò dalla presa guardando dritto negli occhi Goethe e disse ancora una volta: “Uscite e andatevene per la vostra strada. Mi auguro che le nostre non si incrocino più”.
Si avvolse nel mantello, spense le candele lasciandolo al buio, mentre lui cercava affannosamente il mantello e il cappello. Goethe imprecava e pronunciava parole offuscate dall’ira, peggiorando la situazione.
Come una furia Angelica si precipitò giù per le scale uscendo sulla strada con le falde svolazzanti senza aspettare il poeta, che rischiò più di una volta di scivolare sui gradini viscidi e bui.
Sembrava un angelo vendicatore mentre percorreva il non lungo tragitto verso casa, dove si rifugiò senza mai voltarsi indietro.
Salita nella sua stanza si abbandonò sulla poltrona in preda ad una crisi di pianto, mentre Maria con delicatezza le toglieva mantello e cappello.
La tavola era pronta per la cena serale, ma Angelica disse asciugandosi le lacrime: “Maria, portate via tutto. Stasera non ho fame. Vorrei coricarmi immediatamente. Portatemi dell’acqua fresca per rinfrescarmi il viso e le mani”.
La governante eseguì i suoi ordini e, dopo avere atteso che lei dicesse le consuete preghiere serali, spense le candele, lasciando estinguere il fuoco del camino.
Goethe, dopo aver tirato il battente dietro di sé, si avviò rabbioso e furente in cerca di compagnia per la sera.
La rottura tra i due amanti si era consumata tra ripicche e parole sgradevoli.

Capitolo 8 – I giorni successivi

I giorni trascorrevano tra lunghe attese e passioni ardenti, mentre Angelica si consumava nel fuoco dell’amore.
Il ritratto di Goethe procedeva a rilento, perché, come altri lavori erano rimasti incompiuti sul cavalletto, era distratta dall’innamoramento verso il poeta. Quando non lo vedeva comparire col suo mantello bianco e l’immancabile cappello a tesa larga, provava angoscia perché temeva di non rivederlo più.
“Perché mio amato non venite? Dove siete?” si struggeva la donna incapace di comprendere queste fughe, questa assenze senza conoscere dove fosse, senza comprenderne i motivi. Lui scompariva per diversi giorni nel nulla, mentre lei seduta sul divano sperava di udire i passi del poeta salire i gradini, bussare deciso alla porta e vederlo apparire nello studio. Però non era quello che sperava, mentre le lacrime bagnavano il viso. Poi come era scomparso inghiottito dal nulla, così ricompariva come se l’assenza non ci fosse stata senza che lei avesse il coraggio di chiedere. «Dove siete stato, mio amato? Perché non avete avvertito che per qualche giorno non sareste venuto da me?»
Qualche settimana più tardi, il poeta esclamò, alzandosi dalla sedia di raso rosso. “Questo ritratto non mi rende giustizia. Appaio triste e dimesso. Distruggetelo. Non lo voglio più vedere!”. Quindi decise di non posare più per Angelica, che non osò ribattere. Lo coprì con un velo e lo mise in un angolo buio dell’atelier.
Goethe aveva a Roma molti amici tedeschi e tra questi il più assiduo era Tischbein, con cui spesso trascorreva le serate all’osteria a bere in compagnia di donne per lo più sconosciute. Amavano entrambi mescolarsi col popolino per partecipare a feste di strada, anche se non riuscivano a capire il romanesco. Sentivano una forte attrazione verso queste manifestazioni molto disinibite e grossolane, dove si beveva vino e ci si accompagnava con popolane libere e disinvolte.
Angelica entrò in crisi, perché si sentiva trascurata, perché aveva notato come alla mattina Goethe era distratto, assonnato come se avesse passato la notte insonne e talvolta odorava pesantemente di vino e di fumo.
Il poeta aveva cominciato a frequentare con continuità una certa Faustina, conosciuta in una osteria di Monte Servello, dove serviva ai tavoli. Aveva preso l’abitudine di trascorrere la notte con lei, come Angelica scoprì attraverso amici comuni, quando venne a conoscenza delle sue frequentazioni notturne e dei suoi tradimenti. Era un rapporto basato tutto sul sesso e sull’aspetto venale, perché pagava le prestazioni notturne, senza provare il minimo sentimento verso di lei.
Mein Gott!1 Cosa devo fare per riconquistare l’attenzione di Wolfgang? Sono forse diventata inguardabile o indesiderabile? Lo ascolto con pazienza mentre mi legge ad alta voce quello che scrive, poi preparo degli schizzi per illustrarne l’opera. Non mi bacia più, mi tratta con freddezza. Non siamo stati più intimi da quella sera di alcune settimane fa”, Angelica si lamentava ad alta voce sdraiata sul divano, dove aveva trascorso quella sera indimenticabile.
Questi pensieri la portavano a trascurare i lavori, a forme di apatia indolente senza che riuscisse a porvi rimedio. I lavori tardavano a terminare tra le proteste dei committenti, che avrebbero voluto una maggiore celerità nella consegna dei quadri.
“Abbiate pazienza” diceva loro quando bussavano al sua porta reclamando il ritratto commissionato qualche mese prima. “Sono oberata da molti impegni. Cercherò di finirlo nelle prossime settimane”.
Sapeva che il comportamento non era corretto, ma l’ispirazione e la voglia di completarli era a livelli bassissimi. Doveva ritrovare la propria determinazione chiudendo con Goethe, almeno per un certo periodo di tempo.
Così una sera prese la decisione di lasciarlo fuori dallo studio, finché non avesse finito il ritratto della baronessa de Kruederer col figlio Paul. La baronessa col marito Alexis, ambasciatore di Russia a Copenhagen, era giunta a Roma nell’autunno del 1786 e aveva voluto farsi ritrarre dalla celebre pittrice insieme al figlio. Però l’arrivo di Goethe aveva di fatto bloccato il completamento del quadro, che doveva essere finito entro i primi giorni del 1787, perché il soggiorno romano della baronessa stava terminando.
Così due giorni dopo la decisione di non vedere il poeta fino al completamento del quadro, sentì bussare alla porta dello studio, che era chiusa a chiave. Sapeva che era Wolfgang, che si era assentato, come era solito fare, senza dare spiegazioni, perché aveva riconosciuto il passo e il modo di bussare, ma decise di non rispondere, come se non ci fosse.
Goethe, pensando che fosse ancora a casa, si diresse là per chiedere alla governante notizie di Angelica.
Sono andato nello studio, ma ho trovato la porta sbarrata e nessuno rispondeva al mio bussare. Sapete dove si trova la vostra signora?” chiese il poeta a Maria.
Mio signore, Angelica è nello studio, intenta nel suo lavoro. Deve finire un quadro rapidamente, perché la committente sta per partire” rispose la governante al poeta, che in preda all’ira ritornò all’atelier.
Bussò con energia e disse con voce alterata e perentoria: “Angelica so che siete qui! Aprite immediatamente!”
Angelica con le lacrime agli occhi non degnò di una risposta quel bussare frenetico, continuando a lavorare.
Goethe visibilmente adirato continuò a bussare e in uno scoppio d’ira la minacciò: “Se non aprite immediatamente, non mi vedrete mai più!”
La donna decisa più che mai a rispettare la promessa fatta con se stessa continuò a dipingere, mentre le lacrime sempre più copiose rigavano il suo delicato viso.
Il poeta, stanco di stare fuori dalla porta e colpito nel suo orgoglio di uomo, uscì dal portone scuro in volto e ancora più stizzito, borbottando oscure minacce: “Mi avete messo alla porta come l’ultimo dei vostri servi, ma io non verrò più a cercarvi. Anzi non frequenterò più il vostro studio. Vi state comportando come una donna che cerca un uomo più giovane per sentirsi ancora giovane e piacente. Siete stata una grande delusione per me!”
Ad ampie falcate tra lo svolazzare del mantello si diresse verso la zona delle osterie per annegare la sua ira nel vino e a sollazzarsi con Faustina certamente più accondiscendente di lei.
Angelica, avendo sentito che si era allontanato, diede sfogo alla sua disperazione e solitudine piangendo a dirotto: “L’ho perso per sempre! Gli ho chiuso la porta in faccia e lui se ne è andato via. Io devo finire questo quadro senza vederlo prima. L’avevo promesso a me stessa e devo mantenerla, anche se l’ho perduto per sempre!”
Lavorò intensamente per tutta la giornata tra crisi di pianto e determinazione nel mantenere la promessa.
All’imbrunire il quadro era ormai quasi concluso, domani avrebbe portato gli ultimi ritocchi e poi l’avrebbe consegnato alla baronessa.
Con calma ripulì i pennelli e le mani, ripose i colori, sistemò sommariamente la stanza e si preparò per uscire, quando sentì dei passi familiari.
S’irrigidì e aspettò che lui fosse dinnanzi alla porta, nel frattempo pensava intensamente: “Esco? Apro la porta e lo faccio entrare? Rimango qui, chiusa dentro aspettando che se ne vada?”
Aspettò il bussare, la voce che conosceva da tempo, ma non sentiva nulla di tutto questo. Percepiva che stava lì ritto dinnanzi alla porta, aspettando che lei aprisse per farlo entrare.
Il panico si impossessò di Angelica, paralizzandola nei movimenti e nelle parole: “Ach du Lieber Gott!2 Cosa devo fare? AVE MARIA, gratia plena, Dominus tecum. Benedicta tu in mulieribus, et benedictus fructus ventris tui, Iesus. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc, et in hora mortis nostrae. Amen”.
Il tempo si era fermato e non passava mai: lui fuori dalla porta in silenzio, probabilmente adirato e furioso, lei dentro la stanza intimidita e decisa.

1“Mio Dio!”
2Espressione tipica tedesca equivalente a Oh mio Dio!

Capitolo 7 – La notte

Maria con un lume spento in mano l’aspettava al buio nell’androne con ansia, perché non l’aveva vista rincasare per cena, come era solita fare tutte le sere. Era preoccupata che le fosse successo qualcosa di spiacevole, perché non aveva avvertito che non sarebbe rincasata. Ignorava dove fosse la signora, quando con un sospiro di sollievo la vide approssimarsi al portone, tenuto aperto per lei, con un uomo sconosciuto dall’aspetto giovanile.
Ecco svelato il motivo del ritardo. Sembra un bell’uomo e per di più giovane”. Maria rifletteva in silenzio, mentre le andava incontro col lume acceso. Entrate, chiuse il battente con discrezione senza troppo rumore per non svegliare le persone della casa, poi le fece strada con la luce tremolante della lucerna.
Maria, grazie per avermi aspettata. Sono stata sciocca a non avvertirvi che facevo tardi, ma la giornata è stata troppo intensa per trovare un istante per un messaggio. E’ stato un giorno fantastico. Ora sono troppo stanca e desidero coricarmi al più presto. Domani, chiamatemi di buona ora, perché ho molto lavoro allo studio”.
La fantesca con solerzia e sottovoce cominciò a parlare, mentre salivano silenziosamente lo scalone che portava al piano nobile.
Mia signora, avevo tenuto in caldo il pasto serale nella vostra stanza, ma vista l’ora credo che abbiate già cenato e lo riporterò nelle cucine. Avete bisogno di aiuto per togliere i vestiti? Avete necessità di acqua calda prima di coricarvi? Il letto è già caldo, come la camera, dove nel camino arde un bel ciocco di legno”.
Vi ringrazio per la premura che mi state usando. L’acqua calda per lavarmi prima di coricarmi mi serve come un aiuto per togliere gli abiti”.
Mentre Angelica rispondeva con queste parole appena sussurrate, rapidamente salirono al primo piano per raggiungere la stanza da letto senza essere viste. Questa era calda e ben illuminata da diversi candelabri. Su una sedia accanto al camino erano riposte la camicia da notte bianca ricamata e una pesante veste da camera, riscaldate dal tepore del fuoco scoppiettante. Si spogliò in fretta, aiutata dalla domestica, fece qualche abluzione, prima di indossare la veste per la notte.
Si pose sull’inginocchiatoio recitando due Pater Noster, cinque Ave Maria, una Salve Regina e alla fine il Confiteor, sentendosi sollevata per i peccati commessi nella giornata. Pensò che queste preghiere avevano lo stesso valore di una confessione con il suo confessore personale. Non percepiva sensi di colpa per essersi abbandonata ai piaceri della carne con un uomo che non era suo marito. Con l’animo in pace si infilò velocemente sotto le coperte, mentre il caldo tepore del letto la fece scivolare nel mondo dei sogni dolcemente. La stanza diventò più buia con lo spegnimento di alcuni candelabri, mentre la serva uscì in silenzio, richiudendo con dolcezza la porta.
Pochi istanti più tardi si udì solo il respiro regolare e rilassato di Angelica, interrotto dal crepitio della legna nel camino, che si trasformava in braci ardenti.
Bagliori rossastri illuminavano la stanza creando sui muri e sul soffitto immagini fantastiche di animali e uomini, mentre il fuoco si andava lentamente spegnendo.
Maria con una bugia di rame entrò silenziosa per accertarsi che la sua signora stesse dormendo, rimboccò la coperta e sistemò la veste da camera sulla sedia.
Era tempo che non la vedevo dormire così tranquilla e serena. Quel giovane evidentemente ha avuto il potere di trasformarla” rifletté Maria, spegnendo l’ultimo candelabro rimasto acceso.
Come era entrata, uscì in silenzio senza disturbare il sonno regolare di Angelica.
Ora era tutto silenzio e buio a parte il leggero sibilo del respiro regolare della dormiente.
Una bellissima giornata di sole accolse i due amanti in un giardino con grandi aiuole di rose e prati verdi. Era un posto sconosciuto per lei ma si sentiva felice perché lui le era accanto disteso sull’erba color smeraldo.
Wolfgang, siete bello e adorabile. Vorrei donarvi la mia anima e sentire la vostra mano calda sul petto, così che possa assaporare la sensazione di calore che voi emanate. Venite accanto a me e tenetemi la mano, come solo voi sapete fare”. Angelica, seduta su una panchina sotto l’ampia chioma di un tiglio, lo invitava col ampi gesti della mano di avvicinarsi a lei e stringerla forte con le braccia.
Goethe accolse l’invito, alzandosi dal prato, le prese la mano e tenendola tra le sue la fece accomodare accanto a lui, mentre Angelica appoggiava la testa sulle gambe.
La donna si sentiva sicura e felice vicino al poeta, mentre il cuore batteva veloce e impetuoso e la mente volava leggera.
Osservava il prato illuminato dal sole dove le farfalle si posavano delicatamente sui minuscoli fiori che ornavano quel pezzo di giardino, mentre tutto intorno c’era pace e calma.
Wie ich dich liebe
mit warmen Blut,
die du mir Jugend
und Freud und Mur1
Sentiva il poeta recitare un frammento di poesia: “Vi piace, mia adorabile Angelica? Voi siete luce per i miei occhi e stimoli per i miei sensi. Alzatevi e camminiamo su questo verde prato, come sanno fare i giovani innamorati”.
Goethe si alzò tenendo per mano Angelica e iniziarono una passeggiata nel giardino. Colse una rosa, che infilò tra i capelli di lei, dandole un leggero bacio sul collo.
Un brivido di piacere percorse il corpo della donna, che nel sonno emise sospiri di gioia e di piacere mentre abbracciava con più vigore il guanciale, come se fosse il giovane amante.
Giunsero ad una panchina posta all’interno di un gazebo ricoperto di gelsomino selvatico in fiore e si sedettero uno accanto all’altro tenendosi per la mano.
Goethe la prese dolcemente per la spalla baciandole delicatamente la bocca, immediatamente ricambiato da Angelica, che si lasciò trasportare dalla voluttà di quel bacio.
Dentro di sé provava il piacere lasciato dalle labbra del poeta sulle sue, dalle mani che la stringevano, dalle fantasie che come folletti agitavano il desiderio di un’unione carnale. Quando si svegliò, capì che era stato semplicemente un meraviglioso sogno e rimase immobile per la delusione.
I suoi occhi vedevano solo buio senza distinguere nulla, finché non si abituarono all’oscurità percependo le forme famigliari della stanza. Era delusa, perché quella visione onirica era svanita nel nulla, lasciandole una sensazione di vuoto e di passione insoddisfatta.
Rifletté e disse in modo impercettibile: “Sono stata punita per avere chiesto troppo al desiderio e alla passione, interrompendo quel sogno inebriante. Sento dentro di me i germi dell’amore che sbocciano con violenza e irruenza. Saprà, Wolfgang, contraccambiarmi allo stesso modo? Ob du mir liebst, weiß ich nicht!2
Lentamente quelle sensazioni piene di piacere sensuali si attenuarono, mentre i battiti decelerano fino a diventare impercettibili e regolari. Però dentro di lei continuava a provare piacevoli emozioni che il risveglio non aveva placato.
Quando si è giovani, l’innamoramento è piacevole ed esaltante, ma alla mia età può presentare degli aspetti meno gradevoli e meno eccitanti. Lui è più giovane di me ed è un personaggio noto e conosciuto da tutti. Ho sacrificato molto di me stessa per donarla solo all’arte. Quindi sono molti gli aspetti non vissuti della mia vita tra cui spicca l’amore, che è rimasto sempre in disparte. La passionalità serve il mio intimo e lo soddisfa. Per me sono ora una cosa unica”.
Angelica ragionava in siffatta maniera sul rapporto che aveva avviato con Goethe, mentre immobile si guardava intorno, rimanendo sveglia fino al mattino, perché desiderava di rivederlo al più presto. Il tempo non scorreva mai, sembrava fermo da un’eternità.
Con grande gioia mista ad ansia vide uno spiraglio di luce affacciarsi dalla porta, era Maria che cautamente entrava a svegliarla.

1Così ti amo
con sangue ardente
tu che mi dai gioventù
gioia e slancio
2Se tu mi ami, non lo so

Capitolo 6 – La prima volta

La lunga passeggiata aveva lasciato dentro di lei delle sensazioni di meravigliosa leggerezza, perché aveva capito che il loro rapporto travalicava la semplice amicizia. Angelica, sempre combattuta tra la rigida educazione cattolica ricevuta dalla madre e la voglia di trasgredire, di dare respiro alle emozioni che crescevano impetuose dentro di lei, non sapeva come poteva esternarle senza avvertire quel peso che le ipocrite convenzioni dell’epoca le imponevano.
Pagato il fiaccheraio per la lunga corsa, Goethe prese la mano di Angelica e la baciò con passione, mentre si accomiatò da lei senza proferire parola.
A passo svelto si diresse verso piazza di Spagna, sparendo ben presto dalla vista della donna, che salita nello studio si abbandonò su un divano piangendo a dirotto.
Ormai l’incanto è svanito e nulla più potrà ricreare l’atmosfera precedente. Sono stata troppo fredda nei suoi confronti e questo mi ha persa. Ahimè, come potrò finire il ritratto di lui?” disse ad alta voce tra i singhiozzi guardando il quadro appena abbozzato, che stava triste sul cavalletto “Che ne faccio di questa tela?”
Un bellissimo tramonto romano illuminava di rosso la stanza, creando effetti ottici e cromatici insoliti sulle pareti ma per lei era come se ci fosse buio, sprofondata com’era nella tristezza dell’abbandono.
Angelica si riscosse, si asciugò le lacrime, si mise il mantello e si preparò a uscire per il ritorno a casa, quando sentì picchiare con decisione alla porta.
Chi sarà quel cavaliere che bussa a quest’ora? Non aspetto nessuno e la giornata volge al tramonto. Devo aprire per guardare chi è oppure fingere che qui non ci sia nessuno” pensava, mentre qualcosa la incitava a dischiudere l’uscio.
Il bussare divenne più insistente, mentre le parve di udire una voce ben conosciuta.
Non è possibile!” pensò. “Se ne è andato senza proferire parola! Forse la stanchezza della lunga passeggiata mi fa udire dei suoni familiari che non lo sono. Apro oppure no?”
Si avvicinò alla porta e con voce tremula chiese: “Chi bussa alla porta?”
Sono Wolfgang. Vi scongiuro di aprirmi. Vorrei porgere le mie più devote scuse per essere stato così villano poco fa, andandomene senza salutarvi adeguatamente”.
Col cuore in tumulto e la mente offuscata dall’ansia aprì il battente della porta e lo vide lì immobile avvolto dall’ampio mantello bianco con l’immancabile cappello a tesa larga in testa.
Angelica si precipitò fuori baciandolo sulla bocca, mentre il poeta la strinse a sé e la spinse con dolcezza, ma con fermezza dentro lo studio, chiudendo la porta.
Lei, senza opporre resistenza, si lasciò sfilare il mantello, che fu gettato su una sedia insieme a quello di lui e al suo cappello, mentre la conduceva all’ampio divano posto dinnanzi ad una finestra.
Fromm sind wir liebende, still verehren wir alle Dämonen,
Wünschen uns jeglichen Gott, jegliche Göttin geneigt.
Und so gleichen wir euch, o römische Sieger!
Goethe pronunciava queste parole mentre si accomodavano sul divano. Angelica rapita si lasciava trasportare dai sensi e lo baciava con ardore, dicendo dolci parole amorose.
Così i due amanti, incuranti del buio incipiente, consumarono il rapporto carnale tra baci, sussurri appena accennati e dolci promesse di amore senza sentire né i morsi della fame, né il freddo pungente della stanza.
Era ormai sera inoltrata quando uscirono dallo studio avviandosi verso la trattoria per consumare la cena serale.
Entrati si sistemarono in un tavolo d’angolo appartato e discreto, lontano dagli altri commensali, mentre un grande frastuono sovrastava le loro voci. Erano suoni allegri e alterati dalle abbondanti libagioni, mentre nel camino accanto ai due amanti la legna scoppiettava piacevolmente, riscaldando l’ambiente.
I loro cuori erano caldi, come i corpi, mentre i sensi erano appagati.
Parlavano sottovoce della giornata trascorsa, mentre lei ripeteva i versi che il poeta aveva declamato durante la passeggiata e nello studio.
Il poeta chiese all’oste della carta e una matita per trascrivere quelle rime prima che svanissero dalle loro menti.
Lei era felice per il rapporto amoroso appena consumato, essendo ormai da molto tempo che il suo corpo non aveva goduto delle gioie del sesso.
Tutti i dubbi erano svaniti e i timori per il tradimento compiuto si erano disciolti nel piacere della carne, lasciando il posto alla volontà di continuare questa relazione amorosa anche nei prossimi giorni, nelle settimane successive, finché la comunanza degli affetti non sarebbe cessata. Angelica era talmente presa da quel fiume di pensieri straripante che faticava ad ascoltare Goethe e quello che le diceva.
Rispondeva a monosillabi, generando in lui stupore ed incredulità, perché non si aspettava una simile reazione, come se non ascoltasse le sue parole.
Ob ich Dich liebe weiß ich nicht;
Seh ich nur eimal dein Gesicht,
Seh Dir in’s Auge nur einmal,
Frei wird mein Herz von aller Qual;
Gott weiss, wie mir so wohl geschicht!
Ob ich Dich liebe weiß ich nicht.
Questa breve poesia l’ho composta quando avevo 21 anni e ora la dedico a Voi, che mi fate compagnia e allietate la mia vista. Voi siete splendida e dolce, dalla personalità intensa e forte, come tanti amici comuni vi avevano descritta”.
E’ bella. Come s’intitola? O non ha nome?” chiese Angelica, “Siete veramente bravo e ispirato nelle composizioni poetiche. Sapete dove cogliere i fiori del bello nel mio giardino!”
L’oste guardava di sottecchi i due amanti, che invece di gustare i suoi piatti parlavano fitto tra di loro in una lingua che non capiva. Aveva visto lui altre volte in compagnia di uomini e di donne, ma lei era un volto sconosciuto.
E’ bella quella donna!” pensava l’oste appoggiato al bancone ben attento a correre per servire i commensali, “Chi sa da dove viene. E’ la prima volta che entra nella mia osteria. Ha un tocco di classe ben superiore a lui, che mi sembra più giovane. Però sono una bella coppia affiatata da come parlano e si guardano”.
Non avevano appetito, toccando a malapena i cibi preparati, perché la fame era stata appagata prima nello studio di Angelica.
La serata svolgeva al termine mentre nella sala fumosa erano rimasti in pochi: loro e un paio di persone alticce per il molto vino bevuto, che parlavano a voce alta coi toni striduli e impastati dell’ubriaco. Chiamato l’oste per pagare il conto, Goethe si alzò aiutando Angelica a indossare il mantello e l’ampio cappello ornato di fiori.
La donna accettò volentieri che il poeta l’accompagnasse verso la casa, perché la strada era mal illuminata da lampioni ad olio, che emettevano luce fioca e spettrale.
Come fantasmi scivolarono via lasciando una pallida ombra sui muri, finché giunti sull’uscio di casa si scambiarono l’ultimo bacio della giornata prima che il portone si chiudesse alle spalle di Angelica.