Arriva il 2015

anno vecchio se ne va
Un altro anno trascorso lietamente insieme a voi sta per terminare e la norma chiederebbe di fare un bilancio. Niente numeri, niente di niente. Solo parole come il motto del blog impone.
Ho conosciuto nuovi blogger, qualcuno se perso per strada. Pazienza, non si può pretendere tutto dalla vita.
Diversi follower si sono aggiunti alla schiera dei vecchi. Io li ringrazio pubblicamente. Ogni nuovo follower è stat visitato e se giudicavo il loro blog adatto alla mia filosofia di blogger non ho mancato di iscrivermi e di ricevere le notifiche dei loro post, di passare da loro con regolarità e di commentare se avevo qualcosa da dire. Quelli che non sono stati aggiunti non devono pensare che sia spocchioso. Non amo fare collezione di numeri (leggi follower) e poi non passare mai da loro a leggere i loro post e a commentarli. Mi sembra una mancanza di riguardo nei loro confronti più grande che non ricambiare l’iscrizione.
Ebbene per non tediarvi con ulteriori parole, passo agli auguri.

Desidero per tutti voi che il 2015 sia sereno, lieto, prosperoso e pieno di salute. Chiedo molto? No, chiedo solo quello che penso che sia giusto.

Coi fuochi d’artificio

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auguro un felice
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La notte di San Giovanni – parte ventesima

tratto da fictionitaliane.com
tratto da fictionitaliane.com

“Vieni Miao. Torniamo a San Giovanni in Marignano. Ci siamo rifocillati e non abbiamo sonno” disse Deborah al gatto nero, che rispose con un Miauu di assenso.

Recuperata la macchina, la ragazza raggiunse il paese in breve tempo. Dopo aver parcheggiato nella piazza principale, cominciò ad aggirarsi alla ricerca del posto dove aveva lasciato i bacili. Lo sguardo vagava a destra e a sinistra nella speranza di trovare qualche appiglio per ricordare. Con la luce del sole tutto le sembrava diverso rispetto alla notte appena trascorsa. Si muoveva in maniera confusa, prima che il gatto non assumesse le redini della direzione da prendere. In un attimo li rintracciò, esattamente come li aveva lasciati qualche ora prima. Erano all’ombra di un grande albero, vicino alla panchina dove aveva chiacchierato con Alex.

Grazie, Miao” disse Deborah, accarezzando il micio, che rispose con uno sbadiglio di approvazione.

Intinse le mani nel recipiente coi fiori di iperico. Percepì la frescura dell’acqua, che portò al viso. Ripeté l’operazione due volte per essere sicura che operasse con i suoi benefici effetti. Non ci credeva molto ma in cuor suo ci sperava.

Vuoi essere bagnato, Miao. Rimarrai sempre giovane e bello come me” fece la ragazza ma un Miaoooo deciso le fece intendere che non accettava l’offerta. Rise, mentre lo lisciava sulla gola e sulla testa.

Ora diamo uno sguardo all’altro” disse, spostando la vista sul secondo, che conteneva la cera sciolta.

Osservò con cura l’immagine che dondolava lievemente sul pelo dell’acqua. A lei non diceva nulla. Erano solo grumi di cera rappresa. Strinse gli occhi nel tentativo di scorgere qualcosa. Provò a usare l’immaginazione ma nemmeno questa venne in suo soccorso. Stava per rinunciare, quando si spostò sull’altra gamba ed ebbe una folgorazione.

Sajana, l’indovina, mi aveva avvertita. Puoi notare il profilo di una persona ma anche gli strumenti del suo lavoro” fece, accoccolandosi sui talloni.

Il gatto si strusciò sulle sue gambe, come per confermare che l’intuizione era quella giusta.

Ci siamo, Miao!” disse Deborah, facendo scivolare la mano sul morbido pelo del micio.

Vedo la sagoma degli strumenti. Però non conosco nessuno che faccia quella professione” continuò a dialogare col gatto.

Miaou”.

Dici sul serio?”

Miaoo”.

Vieni che ti stringo a me!” fece la ragazza allungando le braccia per prenderlo. Il micio nero lasciò fare, mentre strofinava la testa sul collo della ragazza.

Torniamo a Cattolica” disse Deborah, rimettendolo a terra. Raccolti i due bacili, tornarono indietro.

Si pose il quesito, se l’hotel avrebbe accettato la presenza del gatto. Non era sicura ma molti alberghi non volevano animali come ospiti.

Se non gradiscono il micio, faccio i bagagli e me ne torno a Milano. Accorcerò di qualche giorno la vacanza ma a lui non rinuncio. Vero, Miao?” fece Deborah, mentre guidava. Un sonoro Miaooo di assenso, suggellò l’accordo.

Milano non è esattamente la stessa cosa. Qui puoi girare come vuoi e dove vuoi. Là sei molto più limitato nel muoverti”.

Un nuovo Miaooo confermò che aveva compreso il messaggio.

Vivo in un bilocale in posizione centrale, all’ultimo piano con un minuscolo terrazzo. Se ti va, sarai il benvenuto” proseguì la ragazza nel suo dialogo col gatto, che stava tranquillo acciambellato sul sedile davanti.

Miaou”.

Affare fatto! Sono felice di accoglierti nel mio appartamento!” fece allegra Deborah. Il micio spalancò le sue fauci e tornò a ronfare con un occhio aperto e le orecchie usate come antenne, pronte a captare le chiacchiere della ragazza.

Arrivati all’hotel, prese la chiave della stanza, seguita dal felino nero, che teneva dritta la coda e le orecchie. Nessuno obiettò qualcosa o forse non se ne erano accorti. Deborah, una volta che fu nella stanza, si spogliò e fece una doccia calda per sciogliere la stanchezza, che affiorava sulla pelle.

Miao si sistemò sul letto, apparentemente addormentato ma sempre vigile, pronto a seguire la ragazza.

Vieni in spiaggia con me?” fece Deborah, mentre indossava un bikini assai ridotto, che metteva in risalto la doratura della pelle.

Il gatto aprì un occhio, lo richiuse subito e non si sforzò di emettere un qualche miagolio né di assenso, né di dissenso. Restò immobile e in silenzio.

Ho capito. Preferisci poltrire qui” disse la ragazza, ridendo.

Giunta in spiaggia, quando ormai era quasi mezzogiorno e la sabbia era infuocata, si sistemò sul lettino al sole. Sbirciò alla sua destra ma Gina e Giuseppe non c’erano.

Forse sono già andati via” pensò, mentre chiuse gli occhi per la stanchezza accumulata durante la notte precedente. Fu un sonno senza sogni, nero e vuoto, che fu interrotto da un Miaooo, che ben conosceva.

Grazie, Miao! Mi sono addormentata!” fece Deborah, alzandosi dal lettino.

Sorrise per la battuta veramente sciocca. Guardò l’ora nel grande display del bagno e si accorse di aver dormito per tre ore.

Vieni” e fece un cenno al gatto, “andiamo al bar a prendere qualcosa”.

La sabbia scottava e il sole picchiava duro.

Una piadina al prosciutto e rucola. Un mezzo litro di acqua naturale fredda e una bella ciotola di latte tiepido per Miao” disse Deborah al barista, che osservò il gatto senza fiatare.

Rimasero all’ombra per un’ora prima di decidere il ritorno all’ombrellone. Miao non aveva nessuna intenzione di camminare sulla sabbia rovente e Deborah lo prese in braccio. Trovarono Gina, che si stava ungendo per bene. Aveva il viso corrucciato e un atteggiamento scontroso. Di Giuseppe non c’era traccia.

Che strano” si disse, mentre il gatto si sistemava all’ombra su un telo da spiaggia.

Ben presto si addormentò di nuovo. Stava tranquilla, perché sapeva che Miao avrebbe fatto buona guardia. Il pelo nero lucente, gli occhi arancioni tendenti al giallo lo facevano sembrare innocuo ma quando soffiava con le fauci aperte, metteva paura a chiunque. Quei denti aguzzi e quegli artigli affilati erano un buon motivo per girargli al largo.

Dormì senza sogni. Un sonno buio, pesante. La notte insonne presentava il conto. Rumori e voci famigliari la risvegliarono dall’abisso nero dove si era calata. Aprì un occhio e poi l’altro. Si volse verso la sorgente e vidi con sorpresa Giuseppe per mano a Monica. Si drizzò a sedere e si mise ad ascoltare. Entrambi erano bagnati come se fossero usciti dal mare. Forse avevano fatto il bagno. Si domandò il motivo per cui Gina aveva richiamato la ragazza.

Che domanda sciocca mi pongo” si disse, mentre Miao con un balzo si sistemò sul lettino.

Mamma, allora per stasera?” chiese il bambino senza lasciare la mano della ragazza.

Resti con me. Non possiamo importunare ancora Monica” fece la madre visibilmente scocciata.

Se vuole…” accennò Monica coi capelli a tagliatella che gocciolavano sulle spalle.

Sei molto carina nell’offrirti ma non puoi dedicare il tuo tempo a Giuseppe” replicò Gina senza molta convinzione.

Ma posso, se vuole. Stasera resto in casa. Non saprei dove andare” disse la ragazza.

Ma dai! Una bella ragazza come te resta in casa da sola?” fece la madre.

Gli amici sono via e tornano fra qualche giorno” concluse Monica.

Mammina, ieri sera mi sono divertito moltissimo” implorò Giuseppe.

Gina si trovò a corto di argomenti e acconsentì che il ragazzino passasse la sera con Monica. Lei avrebbe trovato il modo di passarsi il tempo. Raul era fuori discussione. Il film all’Arena Sole l’aspettava.

Però alle undici torni in albergo” dichiarò senza mezzi termini la donna.

Alle undici Giuseppe sarà all’hotel” promise Monica.

Deborah sorrise, ricordando il dialogo della mattina.

Vieni, Miao. Torniamo in albergo” e presolo in braccio si avviò.

Gina non era molto felice nell’esaudire il desiderio del figlio ma sospirò sconfitta. Monica doveva sparire dalla sua vista, perché gli ricordava troppo Raul.

BUON NATALE

Foto di Yelling Rose
Foto di Yelling Rose

Il blog va in vacanza fino a domenica 28.

Auguro a tutti

Felici e seren festività

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La notte di San Giovanni – parte dicianovesima

Dal web
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“Andiamo” disse Mazapègul, prendendola per un braccio.

“Dove?” domandò smarrita Deborah che avvertiva ancora la tensione del viaggio tra le due sponde dell’Atlantico.

“Da Sajana, la cartomante, e dalla Vecia d’e poz, che ti sta aspettando”.

La ragazza lo guardò stranita e stava per replicare ‘Chi sono queste due?’, quando le sovvenne il ricordo. Ormai era in totale confusione e faticava molto a dare un senso agli avvenimenti della notte. Era immersa in questi pensieri, mentre seguiva il folletto come un automa, quando udì un vociare familiare. Si volse e li vide. Erano i due amanti che abbracciati li stavano seguendo.

“Non è possibile!” si disse, tornando a guardare avanti. Aveva rischiato di inciampare più di una volta per osservarli.

“Ma chi sono quelli che ci seguono?” domandò Deborah a Mazapègul.

“Non li riconosci?” fece il folletto con un sorriso stirato sulle labbra.

“No!” rispose la ragazza.

“Cheicatrop, il mio compare, e Bartuleta, la strega stravagante!”

Quei due nomi non dissero nulla alla ragazza, che ne aveva memorizzati fin troppi nella serata per poterli ricordare. In un lampo furono la dove lei aveva lasciato il teschio, i bacili e il gatto nero, che faceva la guardia agli oggetti.

“Non vedo nessuno” fece Deborah, osservando il luogo del tutto sgombro.

Mazapègul si grattò la testa, perché gli accordi non erano questi. Loro dovevano aspettarli fino al ritorno ma apparentemente non era così. Provò a chiamarle ma i nomi si persero nel buio. Avanzò fino a dov’era il banchetto della signora dai capelli bianchi ma trovò il vuoto. Ritornò verso il gatto nero, che soffiò minaccioso al suo avvicinarsi.

“Buono, Belzeblù!” disse il folletto, senza ottenere un significativo successo.

Deborah rise. Il micio come animale da guardia era davvero formidabile. Si accostò per accarezzarlo.

“Fa attenzione! Non è un gatto qualsiasi!” la informò Mazapègul. “Ha degli artigli che straziano le carni e dei canini affilati come lame”.

“Non ti preoccuparti! So come ammansirlo” replicò la ragazza, che si piegò per lisciargli la testa.

Belzeblù non estrasse le unghie ma si lasciò accarezzare da Deborah con un ronfare tranquillo. “Per me sarai sempre Miao!” disse la ragazza, che ottenne in risposta un ‘Miaooo’ di soddisfazione.

Cheicatrop e Bartuleta continuarono a limonare come due ragazzini, fregandosene di tutti, finché la strega non sbottò. “Noi ce ne andiamo. Qui non c’è nessuno” e senza attendere risposta, sparirono nel buio. Si udì per un po’ solo le loro risate e qualche parola smozzicata. Poi calò il silenzio, rotto dal rumoroso ronfare di Belzeblù.

“Che facciamo?” domandò Deborah, che cominciava a spazientirsi.

“Nulla. Ognuno per la sua strada” fece serafico Mazapègul, che in un amen si dileguò, lasciandola.

La ragazza era ancora inginocchiata accanto al gatto nero, quando sussultò impaurita. Una mano si era posata sulla sua spalla, quando era convinta di essere rimasta sola. Si girò di scatto e trovò a pochi centimetri il viso di Alex, che la baciò sulle labbra. Belzeblù soffiò minaccioso in difesa della nuova padrona, che sembrava minacciata da qualcuno.

“Piaciuto?” domandò il ragazzo, sorridente.

La mano di Deborah scattò velocissima e si abbatté con furia sulla guancia di Alex.

“Non permetterti mai più!” gridò inferocita la ragazza.

“Non ti scaldare! Era un semplice bacio!” protestò il ragazzo, lisciandosi la guancia.

“Sarà come dici tu ma non ci provare una seconda volta!” ringhiò Deborah.

“Bé, visto che sei incavolata come quella bestiaccia nera, ti saluto”. Fece per andarsene indispettito, quando fu fermato dalla voce della ragazza.

“Mi daresti una mano per portare tutto questo alla macchina” disse, indicando gli oggetti distesi per terra.

Alex si mise a ridere. Sembrava non volersi più fermare.

“Che c’è da sghignazzare come uno sciocco?” fece Deborah, che non comprendeva l’ilarità del ragazzo.

“Quei due bacili fino all’auto ci arrivano. Ma l’acqua alla prima curva ti allaga l’abitacolo”.

“E come posso fare?” domandò, perché in realtà aveva ragione.

“Lasciali lì. Finiscono di prendere la guaza ad san Zuan e domani li torni a prendere”.

Cosa cambia domani? Il problema resta lo stesso” argomentò Deborah.

Nulla, in effetti. Però con l’acqua miracolosa ti puoi bagnare il viso e con l’altra vedere il futuro amore. Poi puoi versare il tutto nell’erba” spiegò Alex.

Ma domani li troverò?”

Certamente!”

Il ragazzo raccolse il candelabro e si avviò, seguito dalla ragazza, che stringeva il pacco col teschio, e dal gatto nero.

Deborah cercava di non perdere di vista Alex, che pareva conoscere dove aveva lasciato l’auto. Sentì battere le ore e si stupì nuovamente. Quattro rintocchi solo. ‘Il tempo sembra andare di fretta, stanotte’ pensò, mentre vide in lontananza la macchina, parcheggiata sotto un grande albero.

“Siamo arrivati” disse Alex.

“Grazie. Senza il tuo aiuto avrei girato a vuoto alla ricerca del punto dove l’avevo posteggiata” fece Deborah ringraziandolo.

Il ragazzo alzò le spalle senza rispondere e in breve sparì alla vista della ragazza. Il cielo cominciava a schiarirsi e tra non molto sarebbe sorto il sole.

Deborah, niente affatto stanca per la grande veglia notturna, si mise in cammino verso Cattolica. Lungo la strada osservò i primi esercizi aperti o che stavano sollevando le saracinesche. Si fermò all’ingresso in paese. Un bar stava aprendo.

“Un caffè e un bombolone alla crema caldo lo mangio volentieri” disse scendendo dall’auto col teschio ben stretto al petto e il gatto nero al seguito.

Si sedette a un tavolo appena dentro l’esercizio. L’unico che era agibile.

“Cosa vuole?” disse un uomo non più giovane.

“Un caffè forte e bollente, due bomboloni caldi e una ciotola di latte tiepido per il micio” fece Deborah indicando il gatto nero acciambellato ai suoi piedi.

Il barista sollevò un sopracciglio e si allontanò per soddisfare l’ordine.

Una nuova giornata si preannunciava calda e serena.

La notte di San Giovanni – parte diciottesima

dal web - www.worldpaytv.blogosfere.it
dal web – www.worldpaytv.blogosfere.it

Raul e Gina, dopo aver fatto colazione, fecero il breve tragitto che li separava da Cattolica in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. La giornata si preannunciava calda e soleggiata col cielo terso e senza un alito di vento. Deborah, seduta sul sedile posteriore, osservava i due amanti. Pareva che fossero a corto di parole e la tensione era palpabile.

Lesse sul volto del ragazzo la preoccupazione di qualcosa che non riusciva ad afferrare pienamente. Si domandò cosa lo crucciava da mostrarlo con tanta chiarezza.

“É vero che Gina ha fatto avance esplicite. In modo diretto e senza tanti giri di parole gli ha detto che vuole uscire con lui. Però non credo che sia questo il motivo sufficiente a metterlo di cattivo umore. Cosa dunque?” si disse Deborah.

Erano appena entrati nell’abitato di Cattolica, quando Raul riacquistò l’uso della parola.

“Ti lascio a qualche isolato prima dell’albergo” fece il ragazzo, accostando al marciapiede.

“E Giuseppe?” disse Gina, amareggiata, perché la voleva scaricare senza tanti complimenti.

“Lo porta Monica. Anzi le telefono per avvertirla”.

“Dunque stasera non ci vediamo?” chiese la donna con la voce un po’ tremula.

Raul non rispose, mentre armeggiava col telefono.

“Monica?”

“…”

“Vesti Giuseppe e accompagnalo all’hotel Admiral. Sua madre lo aspetterà nella hall” e chiuse la comunicazione.

“Non hai risposto alla mia domanda” fece Gina, che immaginò il motivo. Non aveva nessuna intenzione a uscire con lei ma non rinunciò all’ultimo assalto disperato, prima di alzare la bandiera bianca.

“All’Arena Sole stasera danno un film, che ho perso, quando è uscito” fece la donna, osservando l’espressione del volto di Raul, che non tradiva il minimo interesse.

“Harrison Ford e l’ultimo episodio della saga di Indiana Jones. Il regno del teschio di cristallo” aggiunse, aspettando una risposta che non arrivò.

Deborah sussultò. Quel titolo risvegliò in lei qualche reminiscenza. Si parlava di Maya ma era ambientato nell’America del Sud. Aveva una trama incredibile al limite del surreale dove tutto ruotava attorno a un misterioso teschio di cristallo dai poteri sopranaturali. “É quella la chiave di volta che aggancia questi due amanti con la storia che sto vivendo?” si disse, prima di ascoltare la proposta per la parte finale della serata.

“Al termine della proiezione si spostiamo al Nuovo Fiore per gustarci uno di quegli splendidi gelati che offrono” concluse Gina nella speranza di smuoverlo dal diniego della frequentazione serale.

“Ho un impegno stasera” disse Raul rimanendo nel vago. “Poi Harrison Ford, proprio non riesco a sopportarlo” mentì per dare maggiore forza al suo rifiuto.

“Ho capito. Dovrò andarci da sola, se trovo una babysitter per Giuseppe” disse Gina, scendendo dall’auto, seguita da Deborah.

Non un bacio di commiato. Non una semplice carezza. Solo una sbattuta violenta della portiera lato passeggero. La donna si allontanò velocemente, mentre Raul sgommava con violenza.

Deborah stava dietro a Gina, quando vide un bambino che le correva incontro.

“Mammina! Mammina!” urlava pazzo di gioia, mentre poco discosta stava una ragazza minuta dai capelli stopposi per la salsedine. Sembrava quasi un’adolescente di quattordici o quindici anni, che stava trasformandosi in donna. In costume da bagno con il pareo variopinto, avvolto sui fianchi acerbi, stava immobile con uno zaino della Nike in mano. Il seno era appena accennato, come lo può essere nell’età della prima pubertà.

Gina lo prese in braccio, baciandolo. La ragazza si avvicinò senza fretta.

“Mamma, questa è Monica. É una gran…” cominciò Giuseppe senza riuscire a concludere la frase. La madre gli aveva chiuso la bocca con un bacio.

“Signora, questo è lo zainetto di Giuseppe. É un bambino dolcissimo” fece Monica, allungando la mano.

“Grazie, Monica. Mi dovrò sdebitare con te per aver accudito a Giuseppe”.

“Ma è stato un piacere. Non ha mai fatto un capriccio. Un bambino davvero delizioso” disse la ragazza, prima di allontanarsi.

“Mamma, vorrei andare da lei anche stasera! Dormire con lei nel suo letto. É stato molto divertente” fece il bambino, che camminava a fianco della madre.

“Non è possibile. Mi ha fatto un piacere, tenendoti per una sera. Se oggi fai il bravo, puoi venire nel letto con me” disse Gina con poca convinzione, alquanto infastidita dall’affermazione del figlio.

“Uffa! Non è la stessa cosa!”

Mentre loro si infilavano nella hall dell’hotel, Deborah si ritrovò al culmine della festa. Al suo fianco stava Alex, che non pareva essersi mai mosso da lì. La confusione regnava sovrana, mentre tutti si spostavano vocianti verso il centro del paese per assistere ai fuochi pirotecnici. La ragazza non disse nulla e seguì il flusso della folla.

“Hai parlato con la signora?” fece Alex, prendendola sottobraccio.

“No. A proposito di cosa?” disse Deborah colta in contropiede da quella domanda.

Una breve risata scandì il tempo prima della risposta.

“Ma come? Non volevi ascoltare la storia del teschio che hai comprato?”

“Sì ma”.

“Dunque non conosci il significato simbolico del teschio?”

“Direi di no. A dire il vero non comprendo nemmeno le connessioni con questa notte dove tutti pensano solo a far baldoria!”

Deborah si fermò e guardò dritta negli occhi Alex. Cominciavano a darle sui nervi tutti questi misteri. Da quando era arrivata a San Giovanni in Marignano si era trovata coinvolta in avvenimenti che sfuggivano al suo modo di essere razionale. Eppure in mezzo a tutti quegli eventi c’erano dei riscontri concreti: il teschio era reale, i bacili pure. Il resto invece no. Sembravano più il frutto di fantasie sfrenate che di una realtà solida e autentica. Percepiva la destabilizzazione della sua personalità, come se si fosse decomposta in molte anime differenti tra loro.

“Che ore sono?” chiese a Alex, riscuotendosi dalla sue riflessioni.

“Mancano pochi minuti a mezzanotte” fece il ragazzo, osservando l’orologio che aveva al polso.

“Non è possibile!” esclamò la ragazza.

“Perché?”

“Solo pochi istanti fa il campanile ha battuto dieci rintocchi”.

“Forse hai conteggiato male il segnare delle ore” disse Alex, diventando serio.

Deborah scosse il capo ma non voleva impegnarsi in un duello col ragazzo sul tempo. ‘Non è possibile che esso rallenti o acceleri seguendo il ritmo della festa’ si disse, fermandosi nel centro della piazza, appena in tempo per vedere l’apertura dei fuochi artificiali.

Alex le circondò le spalle con le sue braccia, mentre lei docilmente lasciò fare.

“Bum! Bam!” Le girandole scoppiettavano allegre nel cielo, rischiarandolo di verde, di rosso, di giallo e di bianco in un impressionante caduta di braci rossastre.

Deborah si perse nuovamente nel tempo e nello spazio.

La conferenza stampa di Dorland aveva chiuso la stagione delle analisi. Anna era pentita di aver ceduto al dio denaro, disobbedendo alle richieste di Mike.

“Però senza quel pacco di dollari non avrei saputo dove sbattere la testa per sbarcare il lunario” si disse la donna, comodamente seduta in prima classe sul Jumbo Jet della Pan-Am durante il viaggio da New York a Londra.

Deborah viaggiava accanto a lei e ascoltava il suo respiro e intuiva i suoi pensieri. Ancora una volta si stupiva di queste capacità, che non le sembrava di avere mai posseduto. ‘Se queste facoltà le avessi avute a disposizione prima, sarei una giocatrice di basket di primo livello. Invece’ si disse con un sorriso amaro. Intuire quello che l’avversaria avrebbe voluto fare, le avrebbe consentito di usare strategie differenti nel gioco. Sarebbe stata in grado di anticiparne le mosse e di rimanere un imprevedibile folletto per le avversarie. Sospirò e pensò che sarebbe stato bello se al suo ritorno a Milano avesse conservato queste capacità.

Anna si rilassò chiudendo gli occhi per un breve sonno. Avvertiva l’aura misteriosa del teschio nascosto tra i bagagli della stiva. Ripensava a questa esperienza americana, tanto diversa da quelle vissute molti anni prima nella foresta pluviale del Belize. Sognò il padre adottivo, alto e taciturno, che amava profondamente. Gli mancava. Era un vuoto che non era riuscita a colmare.

“Scusami, Mike ma stavo finendo i soldi che mi avevi lasciato. Da questo momento in poi il teschio rimarrà chiuso dentro la sua teca trasparente nel salotto e nessun’altra mano, fuorché la mia, lo toccherà”. Erano questi i pensieri che la donna, ormai avanti negli anni, faceva del dormiveglia, mentre sotto di lei c’era la distesa grigia dell’oceano Atlantico.

Si pregano i signori passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza. Stiamo entrando in un’area di turbolenze‘. Era la voce asettica di una hostess che comandava di assicurarsi al sedile. Dopo non molto Deborah percepì che l’aereo stava gemendo sotto la sferza di venti gelidi e impetuosi. Il cielo era diventato buio. L’apparecchio si muoveva come se una mano l’avesse afferrato per scuoterlo con vigore. La ragazza si guardò intorno smarrita, cogliendo negli sguardi degli altri passeggeri paura e angoscia. L’unica che continuava imperturbabile a dormire era Anna, che pareva rassicurata dalla protezione del teschio.

“É forse la maledizione del teschio che ha scatenato la furia degli elementi?” si domandò, sentendosi in pericolo.

Il comandante si scusa coi passeggeri ma siamo incappati in una vasta area di perturbazioni violente. Atterreremo a Gatwick con circa mezz’ora di ritardo‘.

La donna al suo fianco continuava a dormire placidamente senza avvertire la tensione che stagnava nella cabina.

Il tempo non passava mai, mentre i passeggeri erano sempre più impauriti.

“Ci scommetto che se sapessero che nella stiva dei bagagli c’è il teschio di cristallo uguale a quello del British Museum si sentirebbero ancora più inquieti” fece tra sé e sé Deborah.

Come la perturbazione era giunta senza alcun preavviso, così cessò di colpo, lasciando il posto a un cielo stellato privo di luna.

La notte di san Giovanni – parte diciassettesima

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La confusione era grande tra voci e suoni inarticolati.

Deborah si volse verso Alex. “Dove ti eri cacciato? Quando ho bisogno di te, non ci sei mai!” Fece acida.

Sono sempre stato al tuo fianco” rispose serafico il ragazzo. “E poi non sono per nulla la tua ombra, che ti segue ovunque vai”.

La ragazza lo incenerì con occhiate di fuoco. Poi preferì tacere e raccogliere le idee. Ci sarebbe stato il tempo per chiarire tutto. ‘Ma c’è qualcosa da spiegare tra noi?” si disse silenziosamente, serrando con forza le labbra.

Hai perso la parola?” Fece ironico Alex.

No, ma non mi va di risponderti. Non amo fare polemiche inutili e sterili” rispose piccata Deborah.

Dove andiamo, padrona?” disse il ragazzo, sfottendola.

Non sono la tua padrona, per tua norma e regola. Non so nemmeno che cosa ci leghi. Non conosco nulla di te, né tu conosci nulla di me”.

La leggera risata del ragazzo la infastidì. Se lei era di cattivo umore, questa conversazione non l’aiutava di certo.

Eppure pochi istanti fa…” proseguì Alex, ignorando la volontà di mettere fine al battibecco della ragazza.

Alex cominciava a darle sui nervi. Deborah gli voltò le spalle indispettita e si immerse nella folla sempre più fitta, come se volesse fuggire da lui. Sentì una mano insinuarsi sotto il suo braccio. Si girò di scatto, pronta a mangiargli la faccia, quando vide con sorpresa il volto di Mazapègul.

Ti avevo perso nella calca” fece il folletto.

Ah!” disse la ragazza, che si era dimenticata della sua presenza e di conseguenza della sua assenza.

Vieni! Ho fame” disse con tono d’imperio.

Ma io no!” rispose Deborah.

Non importa. Mangerai qualcosa con me. Mi tieni compagnia. Non mi piace mangiare da solo”.

La ragazza si lasciò trascinare, fendendo la folla come fa il coltello nel burro. Si stupì che nessuno avesse protestato, quando, superati tutti quelli che erano in attesa di ordinare una piadina, loro si piazzarono davanti alla piadinara. Pareva quasi che fossero invisibili a tutti fuorché a chi li doveva servire.

Due piadine rucola e prosciutto. Abbiamo una fame da lupi! Due calici di Albana secco fredda e una bottiglia di acqua frizzante” disse con un tono autorevole, che non ammetteva repliche.

La donna fece un cenno d’assenso e in un battibaleno diede loro quanto ordinato. Tutti i tavolini erano occupati ma Mazapègul senza troppi complimenti fece sloggiare una coppia. “Avete già consumato. Ora via. Il tavolo è nostro” disse il folletto senza molta diplomazia. I due si alzarono in fretta, cedendo il posto senza fiatare, come se fossero stati intimoriti alla vista di Mazapègul.

La ragazza non comprendeva perché nessuno osasse rispondergli per le rime. Lo osservò e forse capì. ‘Ma no! Non può essere’ si disse scuotendo il capo. Senza dubbio quel corpo sgraziato e quel capellino rosso lo rendevano buffo e allo stesso tempo temibile. Tuttavia i motivi andavano ricercati altrove. Nelle credenze popolari sulla famiglia dei Mazapègul. Mentre Deborah rifletteva su queste stranezze, lui in un baleno divorò l’intera piadina e ingurgitò vino e acqua. Lei nel frattempo ne aveva appena assaggiato un pezzetto.

Non so come ma sei sparita. Sembravi volatilizzata. Non riuscivo a trovarti” fece Mazapègul apparentemente mortificato. “Non mi era mai capitato di perdere una ragazza bella come te”. Rise allegro alla sua esternazione.

Deborah sorrise, mentre un lieve cenno di rossore compariva sulle guance. Quel complimento era giunto del tutto inaspettato.

Non lo capisco nemmeno io. Camminavo, pensando che tu fossi dietro di me. Invece voltandomi, mi sono accorta che non c’eri più” disse la ragazza, dissimulando la bugia. In effetti non poteva confessargli che aveva attraversato la sua personale porta girevole ed era piombata in altro mondo. Non era in grado di prevedere come avrebbe accolto la sua confessione.

Ho provato a cercarti ma inutilmente” proseguì Deborah nel tentativo di dare consistenza alla sua affermazione.

Non importa! Quello che conta è che siamo di nuovo insieme”.

Sì!” affermò la ragazza con la bocca piena.

Svelta! Svelta! Finisci la tua piada. Non possiamo rimanere qui in eterno” esclamò, mettendole fretta.

Se vuoi, andiamo a pagare. Posso mangiarla tranquillamente, mentre camminiamo” disse la ragazza, accennando ad alzarsi.

Non serve. É tutto omaggio del chiosco La Piada” disse Mazapègul per nulla preoccupato.

Omaggio?” domandò incredula Deborah.

Che c’è di strano? Le ho reso tanti di quei servizi, che dovrebbe impiegare una vita per controbilanciare i vantaggi ottenuti”.

Tutto le sembrava irreale ma si domandò cosa non c’era stato di strano in queste poche ore. ‘Forse è il contagio della festa o forse sto facendo un sogno ingarbugliato, se sto vivendo emozioni e sensazioni incredibili’ disse fra sé, seguendo Mazapègul con la piadina in mano.

Dove andiamo?” domandò Deborah che stentava a tenere il passo del folletto.

Facciamo un giro alla balera”.

Ancora a ballare? Ma non hai visto che razza di frana sono?” disse la ragazza, che non aveva molte intenzioni di cimentarsi in balli dai nomi assurdi.

Mazapègul rise di gusto.

Osservami e vedrai che ci riuscirai”.

Deborah scosse la testa, muovendo i folti ricci ramati che incorniciavano il viso.

Posso guardarti un milione di volte ma se non sento la musica e non seguo il ritmo, i risultati sono quelli che hai già ammirato” replicò con decisione.

Non importa. Mi piace ballare e tu sarai la mia partner”. E la trascinò sulla pedana, dove l’orchestrina continuava a suonare per pochi intimi.

Cos’è la mazurka?” domandò Deborah, cercando di imitare i passi del folletto.

No! É una polka!” disse ridendo.

Una polacca?”

Non hai capito nulla! Ho detto polka!”

Sarà ma mi sembrano balli stravaganti che non ho mai sentito!”

Stavano discutendo nel centro della pedana, quando sentirono un voce imperiosa che gridava qualcosa. ‘Vai col liscio!‘ e a seguire delle note sincopate Zum-pa-ppa Zum-pa-ppa Zum.

Come per incanto la pista da ballo si riempì di ballerini che si misero in posa per scatenarsi al suono del clarinetto solista.

Che altro ballo è il liscio?” domandò Deborah.

Quello che stanno ballando” rispose Mazapègul, come se fosse un’ovvietà.

La ragazza si fermò, osservò quell’esercito di coppie che si muovevano agili al suono del resto degli strumenti. Il ritmo era travolgente e coinvolgeva tutti con quelle sonorità allegre e solari.

Deborah si trovò proiettata indietro nel tempo, quando alla fine dell’ottocento un violinista romagnolo Carlo Brighi detto Zaclèn (anatroccolo) a Gatteo all’interno di una struttura dirigeva una famosa orchestra da ballo. La pedana in terra battuta, coperta da un semplice tendone, era pieno di persone vecchie e giovani che strusciavano le suole delle scarpe, sollevando la polvere.

La ragazza osservava a bocca aperta i ballerini che si muovevano con agilità, seguendo quelle sonorità prorompenti. Non avrebbe mai creduto che un ballo fosse così amato e seguito da una moltitudine di persone di ogni età.

Qualcuno la prese per un braccio. Si ritrovò a guardare questi altri ballerini che facevano saltellare i piedi e volavano leggeri. ‘Punta e tacco‘ al ritmo della musica.

Non ci riuscirò mai!” esclamò Deborah.

Mazapègul rise a quell’esternazione. La prese per un braccio strattonandola fuori dalla mischia dei danzatori.

Ho voglia di un gelato. Questi balli mi hanno messo caldo” fece il folletto, guardandosi attorno alla ricerca di una gelateria.

Però pago io, questa volta” fece la ragazza.

Non puoi”

Perché?”

La piadina non l’ho pagata” rispose pronto Mazapègul.

Appunto! Visto che l’hai scroccata, questa volta offro io” disse Deborah con cipiglio determinato.

Come vuoi!”

E si diressero verso un locale stracolmo di gente.

Il perizoma nero

Nuovo post su Caff4 Letterario dal titotlo intrigante Il perizoma nero. Niente erotismo ma … lascio alla vostra curiosità scoprire di cosa si tratta.

La notte di San Giovanni – parte sedicesima

dal web
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Deborah si guardò intorno. C’erano poche persone ad ascoltare quell’obbrobrio. Si allontanò e cominciò a girare fra i banchi. Aveva fame. Non aveva mangiato nulla da mezzogiorno. Si fermò presso un chiosco di piadine e ne ordinò una allo stracchino e rucola. Calmato lo stomaco, che smise di brontolare, riprese a girovagare un po’ annoiata per la piazza, dove maggiormente si stava accalcando la folla.

La ragazza era distratta. Pensava sempre alla storia del teschio di cristallo, perché aveva molti punti oscuri, che non riusciva a decifrare. Aveva vissuto diverse esperienze dal suo ritrovamento, la data non la ricordava, all’asta del 1943.

Ma ho solo sognato oppure sono stata una spettatrice autentica?” si domandava inquieta, mentre toccava un oggetto su un banco di vecchie cianfrusaglie in modo meccanico.

Questo era il dubbio che le frullava nella testa senza trovare una risposta soddisfacente. Adesso lei ne possedeva uno, ricevuto in maniera che non aveva una spiegazione logica.

Chi è in realtà quella signora dai capelli candidi che me lo ha venduto per cinquanta euro? Perché appare e poi scompare?” Domande alle quali Deborah faticava a trovare una risposta convincente.

Però gli aspetti più inquietanti, che la mettevano in apprensione, erano gli effetti che produceva la presenza del teschio. Erano eventi che avrebbe potuto catalogare come isterie o superstizioni, perché erano solo dei discorsi che aveva ascoltato, senza averli vissuti in prima persona. Si chiedeva se era corretto liquidarli sbrigativamente in questa maniera. Qualcosa di vero ci doveva essere, vista l’estrema cautela che usavano nel maneggiarlo.

Però era su un punto che rifletteva con attenzione. “Il mio teschio è autentico oppure una copia ben fatta?” Non si rendeva conto se avesse un grande valore oppure no. Considerato il prezzo di acquisto, era plausibile che fosse una semplice copia. Anche se lo fosse, sembrava un originale.

Ma il prezzo era solo simbolico oppure ero la reale destinataria del teschio?”

Era immersa in questi pensieri, quando si accorse che era finita in una casa, che già conosceva. Ebbe un sussulto, perché gli avvenimenti delle ultime ore erano come se lei varcasse una porta girevole, una sliding door, passando in un mondo parallelo che interagiva con quello presente.

Si trovava nuovamente a Londra in un epoca più recente rispetto l’ultima volta. Le tracce della guerra erano scomparse. La vita era caotica come il traffico in Bolton Street. Varcò la soglia dell’appartamento senza apprensioni. Sapeva cosa avrebbe trovato.

Mike era disteso sul letto, mentre Anna era al suo capezzale.

Chiama un notaio. Voglio fare testamento. Sbrigati!” disse con un filo di voce l’uomo.

Sì” gli rispose la donna.

Deborah osservò le due persone e notò come erano cambiate. Anna era sfiorita. Si era rinsecchita rispetto alla prima volta che l’aveva vista nella giungla americana. Non era in grado di attribuirle un’età ma sicuramente i capelli di un bianco ingiallito stopposo non contribuivano a migliorare l’immagine. Mike appariva sofferente. Sempre più magro e con un colorito del viso per nulla rassicurante. Il respiro affannoso era più un rantolo che un soffio di vento.

Deborah si sistemò sull’unica sedia libera e attese paziente il ritorno di Anna. Osservando il malato, si domandò se avrebbe resistito fino all’arrivo del notaio. Aveva forti dubbi, perché il respiro si era fatto più rantolante e gli occhi erano ridotti a una fessura. Sentì lo scalpiccio affrettato e il parlottare fitto di tre persone.

Mike. Ecco il notaio” disse Anna, entrando seguita da un signore austero e un giovanotto impomatato.

Mi dica signor Mitchell Hedges” fece compunto l’uomo, vestito con un tight nero, tenendo una tuba in mano. Sembrava più un personaggio delle pompe funebri che un notaio. Deborah guardava affascinata quel copricapo del tutto insolito ma si riscosse in fretta sentendo la voce del malato.

Vorrei fare testamento” fece Mike con un esile filo di voce.

L’uomo in nero, deposta la tuba sul tavolo coi guanti, fece un cenno al giovanotto che portava una borsa di cuoio. Estrasse dei fogli bianchi da una cartella chiusa con elastici. Si sedette su una sedia accanto al letto e cominciò col solito rito delle domande. Infine stillò il testamento, che fece firmare a Mike.

Io, Frederick Albert Mitchell-Hedges, detto Mike, nato il 22 ottobre 1892 a Londra, nel pieno delle mie facoltà mentali dispongo che tutti i miei beni siano conferiti alla signorina Anna Mitchell-Hedges, ovvero Marie Guillon, nata Ottawa Canada il 1 gennaio 1907, mia figlia adottiva. In particolare le affido in custodia il teschio di cristallo di mia proprietà. Lo dovrà conservare sempre con lei, senza consentire che qualcuno lo tocchi. Quando sarà il suo turno di lasciare questa terra, lei saprà individuare la persona che custodirà il teschio.

In fede

Frederick Albert Mitchell-Hedges

Testimone signor Mark Smith

Notaio dottor John John Ludmille

Londra 1 giugno 1959

Il documento, controfirmato dal testimone e sigillato in un busta gialla, venne riposto nella borsa che Mark Smith portava con sé.

Deborah provò un brivido e un rapido pensiero attraversò la sua mente. Seguì con lo sguardo l’uscita di quel signore, che pareva uscito da un album di fotografie ingiallite, tanto appariva fuori moda.

Anna rimase accanto al letto per assistere il padre adottivo. Non l’aveva mai chiamato ‘padre’ ma sempre e solamente Mike. Lilian Agnes, la madre adottiva, era morta da diverso tempo ma era col padre che aveva il sodalizio più vincolante. Per lui avrebbe attraversato una barriera di fuoco o camminato sui carboni ardenti. Adesso che la sua vita era appesa a un esile filo, avvertiva il vuoto che la sua morte avrebbe portato dentro di lei.

Il piccolo appartamento di Bolton Street, che occupavano da oltre vent’anni, le apparve un deserto immenso e arido. Il pensiero dei lunghi inverni londinesi pieni di smog e freddi la fecero rabbrividire. Sapeva che avrebbe dovuto affrontare una strada lunga e solitaria.

Pochi giorni dopo la visita del notaio per il testamento, Mike se andò senza un lamento nella notte.

Anna, nominata erede universale, passò tutta l’estate a catalogare i cespiti dei quali era diventata la padrona.

Molti libri, diversi oggetti e un conto con qualche migliaia di sterline erano i beni che il padre adottivo le aveva lasciato. Non era molto ma le avrebbero consentito un’esistenza dignitosa per qualche anno. Poi col tempo avrebbe alienato qualcosa per sopravvivere alla povertà. Per fortuna l’appartamento era loro e non ci sarebbero stati problemi per avere un tetto sopra la testa. Si rendeva conto che i diversi libri che il padre adottivo aveva scritto gli avrebbero fruttato poche sterline l’anno come royalties. Tenne qualche conferenza sui maya, scrisse qualche articolo di giornale sui teschi di cristallo e sostenne qualche intervista. Però non accettò mai, come le aveva chiesto esplicitamente il padre, che qualcuno toccasse l’oggetto, che stava in una teca in salotto. Dunque l’oggetto rimase in possesso di Anna dopo la morte del padre adottivo e nessuno ne avrebbe contestata mai la proprietà.

Hewlett & Packard, nota azienda americana specializzata in strumentazioni elettroniche ed apparecchiature informatiche, riuscì a convincerla dopo una lunga trattativa a consentire che il teschio fosse trasportato presso i loro laboratori per essere sottoposto a una lunga serie di rigorosi esami, tesi a smantellare l’alone di mistero che lo accompagnava. In cambio riceveva un bel pacco di dollari, che le avrebbero permesso di vivere con minori angustie il resto della sua vita.

Il 27 Ottobre 1970 Anna e il prezioso oggetto arrivarono a Santa Clara, California, presso il laboratorio specializzato nell’analisi di quarzi e cristalli.

L’americano Frank Dorland, esperto di gemmologia, era stato artefice del miracolo e assistette a una serie di approfonditi esami, che furono pubblicati sulla rivista di HP. I risultati furono sconcertanti e lasciarono stupiti tutti quando l’esperto con accanto Anna tenne la conferenza stampa al termine delle analisi.

“Signore e signori. Buon giorno e grazie per essere intervenuti in modo massiccio a questa conferenza” esordì l’americano con la voce incrinata dall’emozione. “Con molto rispetto ringrazio Anna Mitchell-Hedges di aver consentito l’esame del teschio di cristallo di sua proprietà. Alla Hewlett & Packard, che ha fornito il supporto tecnico a questa indagine, va il mio più sincero ringraziamento. Senza di loro non potrei essere qui a illustrarvi gli esiti”.

Deborah era seduta in prima fila e ascoltava con attenzione quello che Dorland andava esponendo.

“Dal punto di vista tecnico il teschio è un oggetto impossibile, un manufatto che non avrebbe dovuto esistere”. Un mormorio di sorpresa si levò dalla sala. Erano affermazioni importanti e incredibili da udirsi.

“Anche con le strumentazioni odierne sarebbe estremamente difficile realizzarlo. Vi ricordo, ma credo che sia superfluo visto l’auditorio qualificato che ho di fronte, che l’indice di durezza del quarzo è di poco inferiore a quello del diamante. Pertanto costruire un qualcosa di così rifinito è cosa tutt’altro che agevole”.

Per illustrare la prima sorprendente conclusione del laboratorio Hewlett-Packard mostro una diapositiva a colori.

“Il teschio è stato inciso, procedendo in senso contrario rispetto all’asse naturale del cristallo, ovvero all’orientamento dei suoi piani di simmetria molecolari. Questo procedimento è molto rischioso, anche se consente una lavorazione più fine e la realizzazione dei piccoli particolari con molto più dettaglio, perché significa un costante pericolo. Un colpo non preciso dello strumento, usato per sbozzare l’oggetto, causerebbe la sua frammentazione. E non lo sfaldamento in lamelle”.

Gli astanti si guardarono stupiti e mormoravano la loro sorpresa nell’udire queste informazioni. Dorland, dopo una brevissima pausa, riprese il suo discorso.

“É per questo motivo che gli intagliatori attuali rispettano sempre i piani di simmetria dei cristalli. Appare ovvio ritenere che l’oggetto non sia stato scolpito di recente”.

“Ma se non è stato realizzato di recente, come i Maya avrebbero potuto crearlo con le scarse cognizioni della loro epoca?” domandò una studiosa seduta accanto a Deborah.

“Grazie, signore, per aver posto questa domanda, perché mi permette di accennare alle analisi dei tecnici della Hewlett-Packard. Questi hanno esaminato con accuratezza al microscopio la superficie del teschio senza che siano riusciti a trovare tracce di graffi, che comprovino l’uso di strumenti meccanici per la levigazione e lo sbozzo del blocco quarzifero. Questa circostanza mi meraviglia molto e mi incuriosisce. Non riesco a darmi spiegazione razionale quale tecnica di lavorazione sia stata utilizzata. Ricordo che i Maya era una popolazione che non conosceva l’uso del ferro. Ai giorni nostri questo sarebbe stato possibile con l’uso della tecnica laser, che sappiamo era del tutto sconosciuta a quel popolo”.

Nuovi mormori di incredulità si levarono dalla sala. Quello che Dorland stava dicendo rasentava la pazzia.

“Dunque lei afferma che non ci sono tracce di lavorazioni meccaniche, come se si fosse usata una tecnica laser, che solo da pochi anni è uscita dai laboratori sperimentali. Cosa ipotizza come procedimento di lavorazione?” domandò un signore grasso, qualche file più indietro di Deborah.

Lei si stupiva che era in grado di capire quel linguaggio tecnico, come se fosse un’esperta. Ancora una volta si ritrovava delle capacità del tutto sconosciute.

Dorland bevve un sorso d’acqua prima di rispondere.

“Sono giunto all’ipotesi che il blocco sia stato dapprima sgrossato con diamanti e che poi sia stato levigato pazientemente con della sabbia quarzifera bagnata”.

Il gelo calò su l’auditorio, finché un signore non prese la parola.

“Ma se davvero è andata come immagina lei, mister Dorland, allora scolpire questo teschio dovrebbe essere stata un’impresa titanica! Sarebbe dovuta durare svariati anni!”

“Sì, ha ragione perfettamente. Ho calcolato che l’operazione di taglio e rifinitura avrebbe richiesto fino a trecento anni di lavorazione continua!” Fece Dorland, sollevando un oh! di stupore da parte di tutti.

“Ma le sorprese, miei pazienti ascoltatori, non sono finite. Altro elemento incredibile è che l’oggetto sembra avere al suo interno una serie di lenti e prismi che gli consentono di riflettere la luce in modo particolare quando ne viene attraversato. Il quarzo allo stato naturale non riuscirebbe a produrre i giochi di luminosità che il teschio riesce a generare. Un lavoro enorme, quindi, che rivela una grandissima padronanza tecnica. Un lavoro che lascia senza parole quelli che lo hanno esaminato. Al termine di queste analisi non abbiamo compreso a pieno quali procedimenti siano stati utilizzati. Signore e signori vi ringrazio a nome della Hewlett&Packard per la paziente cortesia che avete usato per ascoltarmi”.

Dorland abbandonò il palco seguito da Anna, mentre Deborah rimaneva seduta al suo posto.

Stava pensando a tutto quello che aveva udito e alzandosi spinse la sua personale sliding door e si ritrovò in piazza nel pieno della festa, mentre camminava accanto a Alex.

La notte di san Giovanni – parte quindicesima

dal web
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Ma tu sei Mazapègul?” gli domandò Deborah.

No! Sono solo Alex” rispose il ragazzo, ridacchiando.

La ragazza non era molto convinta della risposta. Presumeva che la stesse prendendo in giro. Mazapègul e Alex avevano lo stesso viso, anche se la voce e il resto del corpo differivano di molto. Non insistette. Aveva compreso che sarebbe stato inutile.

Deborah voleva conoscere il segreto del teschio di cristallo. Aveva visto e ascoltato troppi eventi inspiegabili e misteriosi, che avevano destato in lei timori e paure. Tutti dicevano di conoscere la storia ma nessuno gliela spiegava. Alex le aveva detto di rivolgersi alla signora dai capelli candidi. Con lo sguardo era alla sua ricerca ma vedeva solo oscurità. Si rivolse al ragazzo per chiedere lumi ma si accorse che era rimasta sola. Si guardò intorno. Non c’era anima viva. Mosse un passo in avanti ma poi ritornò indietro. Si girò di scatto. Aveva udito un fruscio ma notò solo buio. Buio fitto. Strinse i pugni per non cedere alla tentazione di scappare il più velocemente possibile. Avvertì qualcosa di morbido strusciare sulle gambe. Lanciò un urlo che non uscì dalla bocca. Si chinò tremante e sentì una morbida pelliccia. Era un gatto nero di cui si notavano solo gli occhi gialli. Sospirò e chetò il battito del cuore.

Alex dove ti sei nascosto? Dai, non essere in collera con me. Lo so che poco fa sono stata sarcastica ma esci dall’oscurità. Fatti vedere!” supplicò la ragazza, mentre il gatto si era accoccolato sui suoi piedi.

Deborah tornò alla panchina, seguita dal micio nero. Le sembrò di avere camminato a lungo ma era solo l’impressione del silenzio del posto. Si sedette esausta, mentre il felino con un balzo si sistemò in grembo a lei. Cominciò a lisciare la morbida pelliccia, mentre quello ronfava soddisfatto. Il teschio era ancora lì, esattamente dove l’aveva lasciato, quando Mazapègul l’aveva presa sottobraccio. Emise un profondo respiro e si appoggiò allo schienale. Tutto le pareva assurdo. Il suo vedere senza essere vista. Lo spostarsi da un posto all’altro senza mai muoversi. Il suo rimescolare il tempo senza che questo lo sia veramente.

Ma quante ore sono passate da quando sono arrivato qui?” si disse ad alta voce per rincuorarsi. Udì i rintocchi del campanile.

Cominciò a contare le ore. “Uno, due, tre, quattro… otto, nove e dieci”. Poi tutto tacque di nuovo. “Solo le dieci?” fece sbigottita. Non le pareva vero. Forse aveva saltato qualche tocco. Se fossero solo le dieci, era da due ore in questo paese del quale aveva già dimenticato il nome.

Non è possibile. É un nuovo inganno della mia mente” disse scuotendo la testa, mentre ascoltava il lieve ronfare del gatto, acciambellato sulle sue gambe.

Anche questo evento le sembrava singolare. Per quello che ricordava non aveva mai familiarizzato con nessuno di loro. Però questo l’aveva adottata e accettava le sue carezze. ‘Che sia Alex sotto mentite spoglie?’ si disse per darsi un po’ di coraggio.

Era immersa nel buio e il terrore di essere sola stava sparendo per la presenza tranquillizzante del gatto nero. In lontananza osservava il chiarore della festa e i suoni ovattati, trasportati dalla brezza notturna. Fino a quel momento non aveva vissuto l’allegria della serata. Decise che era giunto il momento di immergersi tra la folla. Stava decidendo di alzarsi, quando ricordò che poco distante dovevano esserci due bacili: uno con fiori di iperico, con spighe di lavanda e altre erbe, l’altro con la cera colata da una candela. Si levò in piedi, mentre il gatto sbadigliava e si stirava, come se si fosse risvegliato dopo un lungo sonno. Ancora una sorpresa. Vedeva chiaramente al buio come se ci fosse la luce solare. Si mosse sicura verso il luogo dove stava la cartomante. Notò sul ciglio erboso al limitare della strada le due vaschette piene d’acqua. Esattamente dove le aveva posate la donna.

Tirò un sospiro di sollievo. “Dunque non sono pazza” si disse, mentre il gatto passava e ripassava tra le le sue gambe.

Come ti chiami?” Si chinò, accarezzandolo.

Miao” fu la risposta, che le strappò una risata allegra.

Ben mi sta a fare domande assurde!”

Depose accanto ai bacili il pacchetto col teschio e l’oggetto che dicevano essere un candelabro, la cui funzione nessuno glielo aveva spiegato.

Fa buona guardia” disse rivolgendosi al felino.

Miaou” rispose come se avesse compreso cosa doveva fare. E subito si acciambellò fra gli oggetti sull’erba.

Torno presto a prenderti insieme al resto” fece, mentre si allontanava verso la festa.

Miao” fu la risposta.

Deborah camminò per un tempo, che le parve infinito, verso le luci e i suoni. Con sua grande sorpresa non raggiunse la festa ma si trovò in un altro ambiente.

Gina era davanti allo specchio per truccarsi, mentre Raul fischiettava, infilandosi i vestiti.

Io sono quasi pronto” disse il ragazzo, chiudendo la zip dei jeans.

Io no” rispose la donna, ancora in mutandine.

Ho fame” fece Raul, sedendosi sulla sedia.

Devi pazientare”.

Ma quanto tempo ci mettete voi, donne!”

Gina non rispose alla battuta sarcastica del ragazzo e continuò con metodica precisione a valorizzare gli occhi con una matita grigia.

Cosa fai oggi?” gli chiese, cambiando argomento di conversazione.

Non lo so. Ho solo fame” replicò lievemente spazientito il ragazzo.

Stasera dove mi porti?” gli domandò Gina, mentre si metteva un po’ di fard sulle guance.

Da nessuna parte” rispose pronto Raul, che cominciava a sbuffare spazientito. ‘Cosa pensa? Di dare un seguito? Basta questa notte” rifletté senza esternare il suo malumore.

Non conosci qualche posto romantico per trascorrere alcune ore insieme?”

E Giuseppe dove lo metti? Viene con noi?” domandò ironico il ragazzo.

No. C’è Monica!” fece Gina ridendo.

Raul ammise che lo aveva affondato con quella risposta in replica alla sua di ieri pomeriggio. Rimase in un silenzio carico di eloquenti motivi. Non era sua intenzione proseguire la tresca con lei. Si doveva smarcare con eleganza senza suscitare l’astio della donna. ‘Come?’ si chiese senza trovare un giusto argomento per controbattere la sua richiesta.

Non sento più nulla. Ci sei?” Gina domandò con un pizzico di apprensione.

Non sono scappato”.

Allora perché non mi hai risposto?”

Stavo pensando” mentì Raul.

A cosa?”

A quello che hai detto”.

Allora?”

Non posso ancora risponderti. A pancia vuota le sinapsi girano a vuoto” disse per prendere tempo con la speranza di inventarsi una qualsiasi bugia credibile e smarcarsi da lei.

Deborah, seduta sul letto disfatto, assisteva alle schermaglie dei due amanti. Aveva un senso di vergogna nell’essere spettatrice non vista. Le pareva appropriarsi della loro intimità e si chiese per quale motivo era lì a rubare le parole e le carezze che si erano scambiati.

Che legame c’è con la storia del teschio di cristallo?” si domandava inquieta, mentre Raul e Gina continuavano a parlarsi attraverso la porta del bagno.

Non riusciva a rintracciare nessun nesso. Eppure doveva esserci.

Vide uscire la donna, che le apparve splendida nella sua nudità.

Sono pronta” disse.

Esci in mutandine?” fece il ragazzo con ironia.

No!” E si infilò il vestitino molto sexy, indossato, quando sono partiti da Cattolica.

Raul emise un fischio di ammirazione, mentre la prendeva per un braccio per uscire dalla stanza.

Aspetta! Che fretta. Raccolgo le mie cose e le metto nella sacca”.

Deborah si levò per seguirli nella hall.

Pago la notte” disse Raul alla reception.

Il sole illuminava la strada e mitigava il fresco della notte.

Non volevi fare colazione?” domandò Gina.

Certo. La facciamo là in quel caffè, dove ci sono dei bomboloni alla crema spettacolosi”.

Si sedettero all’aperto, ordinando cappuccino e bombolone. Deborah avvertì un certo languore e si accomodò sulla sedia accanto alla donna.

Come faccio a ordinare qualcosa?” fece la ragazza.

Mentre stava pensando a come fare, l’immagine si dissolse e si ritrovò sotto un palco, dove un’improvvisata band stava straziando un pezzo dei Bee Gees.