25° giorno di scrittura collettiva

Eccomi!
Eccomi!

La madre non capiva né l’eccitazione di Sofia, né quel ghigno quasi di soddisfazione, mentre infilava le scarpe e prendeva al volo la borsa. “Cosa è successo, diamine, me lo puoi spiegare?” chiese Jessica allarmata e innervosita dal comportamento della figlia. Lei non rispose, alzando le spalle: ci sarebbe stato tempo per le spiegazioni nel taxi, che stava chiamando indispettita, perché non rispondeva nessuno.

La storia completa in evoluzione la trovate su ScrivereCollettiva.wordpress.com
 
Ecco il quarto pezzo, scritto da me, per la storia di Sofia, un racconto composto da 14 mani e sette teste.

Incubo

In sostituzione di Nunzia, ecco il nuovo racconto di Caffè Letterario.
Buona lettura

La notte di San Giovanni – parte trentesima

dal web
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Deborah rientrò a Milano dalla tournée sudamericana, stanca e debilitata. Aveva deciso che avrebbe dormito ventiquattro ore per riprendersi. Senza mangiare né muovere un muscolo. Non disfò nemmeno il trolley. Si gettò sul letto, indossando un semplice baby doll. Si addormentò di colpo. Non sognò nulla e non sentì il telefono, che squillò più volte. Il sonno era pesante, come la fatica di aver sopportato un volo di quasi sedici ore, passando per Londra. Nemmeno una scossa di terremoto l’avrebbe svegliata.

Mentre Deborah dormiva, Miao, soddisfatto per il ritorno a casa, ne riprese possesso. Esaminò con cura ogni angolo alla ricerca delle sue tracce. Miagolò, soffiando indispettito, quando avvertì un odore differente sulla sua poltrona preferita. Qualcuno aveva osato infrangere il suo territorio. Poi si quietò, perché lo aveva riconosciuto: era quello di Alex.

Erano quasi le ventuno, quando il gatto decise di svegliare Deborah, visto che lei non ne aveva intenzione. Non poteva saltare il rito della candela. ‘Prr Prr Surf‘ fece il gatto, alitando sul viso della ragazza. Lei pareva non rispondere agli stimoli di Miao, che moltiplicò gli sforzi, finché non reagì, alzando a fatica le palpebre.

Che c’è?” disse stentando ad aprire completamente gli occhi. “É già mattina? Ma possiamo dormire ancora a lungo. Siamo a casa nostra. Non abbiamo impegni per oggi e per i prossimi giorni”.

Miaoouu” insistette, deciso a destarla.

Non ho voglia di svegliarmi!” protestò Deborah, tentando invano di mettere a fuoco chi stava stimolando il risveglio.

Miao si strofinò sul viso della ragazza, che lo riconobbe.

Che vuoi? Vuoi uscire? Hai fame?” borbottò con la voce impastata dal sonno e dalla stanchezza.

Miaoo”.

No? Allora voglio dormire” fece Deborah, tentando di mettere la testa sotto il cuscino. Avvertì le zampe di Miao, che lo raspavano con violenza.

Non hai pietà di me?” disse la ragazza, mettendosi eretta con gli occhi socchiusi.

Miaoo”.

Ho capito. Mi alzo. Mi alzo” ammise sconfitta Deborah, mettendo i piedi giù dal letto.

Con un balzo si mise davanti con la coda dritta come un fuso, come per dirle ‘Ciao, dormigliona! Non credi che sia giunto il momento di alzarti! Ti aspetta un compito!‘.

La ragazza si sfregò con violenza le palpebre per togliere quella pellicola che impediva loro di sollevarsi e che li teneva incollati per le ciglia. A tentoni cercò l’interruttore della luce. A piedi scalzi seguì il gatto. Distrattamente alzò gli occhi verso l’orologio della cucina e sobbalzò.

Accidenti! Grazie, Miao!” fece, inginocchiandosi per accarezzarlo. Di colpo aveva riacquistato lucidità e vigore. “Ero talmente stanca che stavo dimenticando l’impegno serale”.

Tutto era pronto come le sere precedenti. Ringraziò mentalmente Alex, che prima di sparire aveva predisposto tutto. Lui sapeva che Deborah sarebbe stata troppo debilitata dal viaggio e che non avrebbe avuto le forze per farlo in autonomia.

Mentalmente calcolò che aveva riposato non più di due ore da quando si era buttata sul letto. ‘Troppo poco per potermi riprendere’ si disse, scacciando i morsi della fame. Prima del ritorno a letto preparò una scodella di latte per Miao, perché lui era affamato e per nulla stanco.

Marco aveva provato più volte a chiamare Deborah senza risultati pratici. Voleva invitarla a mangiare nel ristorante all’ultimo piano della Rinascente di Piazza Duomo. Era parzialmente deluso ma sapeva che quelle sedici ore notturne erano micidiali. Lo ricordava bene il viaggio di ritorno. Scrollò il capo e si rassegnò. ‘La chiamerò domani. Sicuramente mi risponderà’ concluse, avviandosi all’uscita della redazione del giornale.

Sì, ci sono molti anni di differenza ma quella ragazza mi piace. Ha un non so che di misterioso che mi ha affascinato fin dalla prima volta che l’ho vista” si disse, infilandosi nella macchina con autista, che lo stava aspettando.

Quella sera di fine luglio era appena entrato nella sala attesa dei transiti a Francoforte, quando fu colpito da una ragazza di corporatura robusta ma tonica, tipica di una sportiva, abbandonata su una poltroncina come se fosse morta. Nessuno dei presenti apparentemente non l’avevano notata. Le passavano accanto, la sfioravano ma non gettavano uno sguardo su quella donna riversa e quasi immobile. Pareva che respirasse a fatica o in maniera impercettibile. Teneva le braccia in modo strano, come se avesse qualcosa da stringere o da proteggere. Tuttavia non c’era nulla sul suo grembo. Marco pensò che stesse dormendo, come spesso aveva visto fare in circostanze simili e si sedette su un’altra poltroncina. Stava aprendo la bozza della sua rivista per osservare come si presentava, quando con la coda dell’occhio si accorse che il petto si muoveva in maniera appena accennata. Si girò verso di lei per osservarla meglio. ‘Eppure non ha ancora cambiato posizione. Sempre lì, immobile. Che si sia sentita male?’ si disse, adocchiando un posto libero accanto alla ragazza. Era incerto se avvicinarsi oppure no. “Se riapre gli occhi e mi vede accanto a lei, cosa penserà? Che sia un vecchio sporcaccione? Se però in effetti avesse avuto un malore, cosa penserò di me? Che non ho fatto nulla e l’ho abbandonata al suo destino con indifferenza” rifletté, prima di prendere la decisione di sistemarsi vicino. Si alzò e si era appena seduto accanto a lei, quando la ragazza aprì un occhio con grande fatica. Marco notò il suo disappunto nel ritrovarsi uno sconosciuto vicino. Doveva rimanere neutro per non incorrere in quale reazione sproporzionata da parte sua.

Tutto sommato mi è andata bene. Non ha reagito in maniera isterica alla mia presenza. Anzi mi è sembrato che avesse gradito la mia persona” disse, mentre la macchina veniva inghiottita dal parcheggio sotterraneo del suo appartamento in zona San Siro.

Alex rimase sollevato, quando si ritrovò libero di muoversi senza vincoli. Mentalmente diede l’addio a Deborah, perché non aveva alcuna intenzione di tornare in quella grotta umida e buia.

Sajana si complimentò con lui per come aveva gestito il mese in casa della ragazza e gli disse che era libero di andare dove voleva.

Un’unica limitazione. Gira al largo da Deborah. Sei stato diffidato e ammonito. La prossima volta rischi di finire fuori dal nostro giro” fece la strega.

Messaggio ricevuto. Non ho alcuna intenzione di essere espulso” rispose Alex sorridente.

Deborah si svegliò a metà pomeriggio in un lago di sudore. La calura di Milano era micidiale e tutte le finestre chiuse di certo non aiutava a tenere fresca l’appartamento. Si ricordò che, entrando la sera precedente, non aveva aperto l’aria condizionata. Accese la luce e notò che Miao dormiva senza problemi in fondo al letto. Sorrise. ‘Senza di lui non so come avrei fatto a spostarmi dal Sud America a Milano’ si disse, alzandosi a fatica.

Avvertiva un certo languore. ‘Ci credo bene! Sono quasi ventiquattro ore che non mangio’ rifletté, rabbuiandosi immediatamente. Il frigo l’aveva lasciato vuoto alla sua partenza per Rio. Il freezer era stato svuotato per precauzione, ricordando il macello dell’anno precedente, quando era mancata la corrente ed era successo un macello. Tutto finito in malora e una puzza indescrivibile. Quindi avrebbe dovuto uscire per procurarsi qualcosa da mangiare. Questa prospettiva non l’entusiasmava per nulla. Guardò l’ora e scosse la testa. ‘É troppo presto per telefonare a Biopizza per pizza e birra’ si disse.

Si avviò per andare in sala. Accese l’aria condizionata e si spostò in cucina. Rimase stupita nel vedere il frigo ben rifornito. Eppure avrebbe dovuto accorgersene la sera precedente quando aveva preparato la scodella di latte per Miao. Tuttavia era troppo rintronata per capirlo. Sorrise e ringraziò Alex mentalmente. ‘Solo lui potrebbe essere stato così premuroso’ ragionò felice.

Sollevò gli occhi fino alla teca che era nello stesso posto dove l’aveva lasciata un mese prima. Non c’era un filo di polvere, mentre il teschio di cristallo pulsava quietamente. Notò anche il post-it con il suggerimento di cambiare serratura. ‘Perché?’ si chiese, non comprendendo il motivo di quell’avvertimento. Si ripromise che lunedì avrebbe provveduto al cambio, come suggeriva il messaggio. Aveva imparato a dare ascolto ai suggerimenti del teschio, anche quando questi consigli apparivano strampalati.

Si preparò un tramezzino con prosciutto crudo e insalata. Mise a tostare un paio di fette di pane nero. Si versò due dita di vino rosso. E mise a tacere lo stomaco.

Rifletté su come era cambiata la sua vita da quella fatidica sera di San Giovanni e si chiese perché la scelta era caduta su di lei. Non trovava una spiegazione razionale a tutti quegli avvenimenti. Troppi eventi inspiegabili, troppi personaggi, che parevano usciti da un romanzo di fantasy, apparivano e sfumavano in un caleidoscopio di immagini e circostanze, che si modificavano in continuazione a un semplice giro di lancette.

Era immersa in questi pensieri, quando sentì suonare il campanello di casa. Miao si materializzò all’istante, mentre Deborah si avvicinò al videocitofono.

Rimase di stucco nel vedere quella faccia.

La notte di San Giovanni – parte ventinovesima

dal web
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La settimana passò in fretta tra allenamenti e partitelle varie. Marco era sempre tra i piedi col fotografo a cogliere immagini e parole. Tutte si sentivano a disagio, perché dovevano porre attenzione nel parlare, come si muovevano. Insomma la tensione era palpabile e il coach furioso. Più di una volta cercò di far ragionare Alberto sull’inopportunità della presenza di quel giornalista tanto ingombrante, senza riuscire a farlo recedere dalla posizione presa.

Finalmente Marco prese il volo di ritorno e la serenità tornò tra le ragazze. L’unica dispiaciuta era Deborah, anche se non lo manifestava apertamente. Marco l’aveva colpita fin dal primo istante ma non osava mostrarlo palesemente. Aveva già qualche problema in squadra e non intendeva aggravarli. Miao rimaneva indifferente e l’aiutava solo a raggiungere Milano per il rito della candela alle ventuno. La ragazza avvertiva giorno dopo giorno la fatica e lo stress del gesto e il suo rendimento non era all’altezza delle aspettative.

Ti vedo strana” disse Anna una sera al termine di una partita. Deborah era rimasta praticamente in panchina, dopo che era stata inserita nel quintetto iniziale per pochi minuti senza combinare nulla di buono.

Mi sento stanca” ammise la ragazza, cercando di dissimulare la grande debilitazione fisica, che ne condizionava il rendimento.

Qualcosa che non va?”

No. Però da quando siamo partite, non sono riuscita a recuperare nel fisico una condizione accettabile. Pare che il mio orologio biologico voglia rifiutare i nuovi orari”.

Però ho visto il coach alquanto irritato per questo”.

Lo so ma non riesco a rendere più di così”.

Lo sai che rischi grosso?” disse Anna, terminando di vestirsi. Non voleva spaventarla con certe voci captate di straforo tra il coach e il general manger. La volevano mettere sul mercato e prendere un’ala piccola più prestante. Tuttavia nicchiavano, perché di italiane libere migliori di Deborah non ce ne erano. Lei poteva giocare indifferentemente in posto 2 come guardia tiratrice o come playmaker. Erano dell’idea che fosse folle rinunciare a una delle due pivot americane per far posto a una straniera con le sue medesime caratteristiche.

Deborah fece spallucce. Era conscia che il momento era delicato ma quel volo a Milano la stava prosciugando. Non era in grado di recuperare fisicamente tra i duri allenamenti, le partite e il rito della candela. Rimaneva nel bilocale solo il tempo strettamente necessario all’accensione per non sprecare troppe energie. Tuttavia faceva sempre più fatica a riprendersi e il rendimento sportivo calava giorno dopo giorno.

Un fatto le rimaneva strano. Dopo molte volte che era volata nella sua casa non aveva mai intravisto Alex né ne aveva percepito la presenza. ‘Di certo c’è, perché altrimenti non avrei trovato tutto pronto. Fiammiferi compresi. Mi domando perché non l’ho mai incontrato?’ si domandò un paio di giorni prima di prendere il volo di ritorno. Non era questo tuttavia un mistero che l’appassionava più di tanto e accantonò ogni pensiero su questo punto.

Dopo l’ultima amichevole la squadra tornò a Milano per godere due settimane di riposo. Un ‘rompete le righe’ salutare per affrontare gli impegni che tra qualche settimana le avrebbero tenute in tensione per otto mesi. Il dieci settembre si sarebbero ritrovate tutte in palestra per preparare la prima partita di campionato, prevista per i primi di ottobre.

Alex era dispiaciuto al pensiero che domani Deborah sarebbe tornata definitivamente a Milano e che lui avrebbe dovuto traslocare. Si chiedeva dove sarebbe finito. ‘Nella grotta oppure sarò perdonato e potrò tornare libero?’ Questa era l’ultima sera che avrebbe dormito lì. Passò in rassegna i vari locali per eliminare le tracce della sua permanenza. Sistemò i libri che aveva preso esattamente dove erano collocati prima del suo arrivo. Preparò un biglietto, anonimo, col suggerimento di modificare la serratura e la porta blindata.

Per Deborah. Ti suggerisco di cambiare la serratura con una più moderna a prova di ladro. Questa si apre senza nessuna difficoltà. Controlla la solidità della porta blindata, che non pare adeguata al ruolo che deve svolgere.

Mise per l’ultima volta un cero rosso sul candelabro e aspettò con impazienza l’arrivo della ragazza.

La relazione fra Simone e Gaia stentava a decollare. Adesso lei lo trovava inadeguato al suo schema mentale. Nemmeno la settimana trascorsa a S. Moritz a cavallo di ferragosto era riuscita a ricreare lo spirito del mese di giugno. Gli oltre dieci anni di differenza adesso si facevano sentire ma non trovava il pretesto per chiudere. Non aveva trovato un valido sostituto e per questo si accontentava per non rimanere sola.

Simone avvertiva il clima di freddezza che gli usava Gaia. Aveva compreso che qualcosa si era inceppato nel meccanismo in quella notte di San Giovanni. Stentava ancora a credere, quanto lei aveva affermato. Gli sembrava inspiegabile che Deborah avesse potuto essere in contemporanea in due posti lontani centinaia di chilometri.. Nonostante tutti i suoi tentativi percepiva che la crepa anziché chiudersi si allargava.

Marco era tornato a Milano con un bel po’ di materiale fotografico e informativo. Avrebbe potuto scrivere un bel articolo di gossip, descrivendo rivalità e gelosie negli spogliatoi di una squadra femminile. Tuttavia era frenato dal pensiero verso Deborah, che l’aveva colpito per il suo modo di porgersi, sempre pronta a sorridere anche di fronte a un disastro. Lei non aveva una bellezza prorompente, un fisico da pin-up come molte altre sportive da prime pagine ma dal punto di vista fotografico rendeva molto bene e non sfigurava di certo con loro. Trasmetteva nelle immagini un senso di pulizia, che si trasformava in feeling quasi all’istante. Quindi decise un cambio di rotta drastico. Anziché il solito pezzo gossiparo avrebbe costruito l’articolo serio intorno alla figura di questa ragazza, che appariva semplice nella vita privata e brava come giocatrice di pallacanestro. Al suo ritorno aveva parlato con diverse persone dell’ambiente cestistico, tecnici e giornalisti sportivi. Non sentì nessuna voce difforme, perché concordavano che, se avesse confermato i progressi dell’ultimo campionato, sarebbe stata un valore aggiunto per qualsiasi squadra. Vista la giovane età, le persone consultate la consideravano una talentuosa e promettente guardia tiratrice con un futuro luminoso. La naturalezza dei movimenti e la mano morbida la rendevano pericolosa dall’arco dei tre punti. Tutti giuravano che sarebbe finita di certo nel giro della nazionale maggiore. Marco aveva pure indagato sulla sua vita privata senza scoprire scheletri imbarazzanti nell’armadio. Frequentava l’università con buon profitto. Aveva avuto fino a giugno un ragazzo, anche lui giocatore di basket, che però non aveva mantenuto le promesse giovanili, finendo nell’anonimato. La differenza stava nell’impegno sportivo. Lui un po’ farfallone, pronto a inseguire qualsiasi ragazza. Lei per contro conduceva una sana vita da atleta. Adesso lui stava con un’ex giocatrice di pallavolo, molto più vecchia. Lei invece dopo la rottura era rimasta single. Marco concluse che l’articolo su Deborah sarebbe stato un bel colpo tra le molte notizie di livello scadente delle quali era zeppo il suo settimanale. Con la prima di campionato avrebbe pubblicato il pezzo con tanto di copertina dedicata alla ragazza. Era sicuro che il suo intuito non l’avrebbe tradito.

Il blog spegne cinque candeline

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Che gentile! Suff! e spengo le cinque candeline.
Buon compleanno blog!

La notte di San Giovanni – parte ventottesima

basket fimminileMancavano pochi minuti alle sedici, quando Deborah abbandonò il gruppo per salire in camera. Doveva concentrarsi ma si sentiva stanca. Lo sforzo della sera precedente non era stato smaltito completamente, anzi si faceva sentire ancora di più dopo il lungo viaggio e per il necessario adattamento del fisico al nuovo fuso orario.

Miao si strofinò con vigore sulle sue gambe e poi si fiondò sul letto, come per indicarle cosa dovesse fare.

“Dici che mi dovrei sdraiare qui?” domandò Deborah con lo sguardo interrogativo.

Miaouuoo” le rispose il gatto.

“Ho capito. Ora lo faccio”. E si mise supina sul letto.

“Però mi sento stanca, come se fossi stata svuotata dentro” fece Deborah, provando a rilassarsi. Il cuore batteva forte e un forte cerchio oppressivo le fasciava la testa.

Chiuse gli occhi. Si concentrò ma desistette. Raddoppiò l’intensità di uscire dal proprio corpo e volare a Milano per il rito della candela.

“Non posso mancare alla promessa!” si disse, mentre crollava esausta sul cuscino.

Alex aveva aperto il frigo e prese un pacchetto. Doveva contenere del prosciutto di Parma. Non l’aveva acquistato ma sapeva che c’era. Tolse un set all’americana dal cassetto della cucina e lo dispose sul tavolo con l’affettato, acqua, vino e pane. Mangiò di buon appetito, anche se rimpiangeva le piadine di Romagna. Guardò l’ora. Doveva sbrigarsi per non farsi cogliere da Deborah, mentre era ancora a tavola. In un batter d’occhio rassettò la cucina, mise sul candelabro la consueta candela rossa e si mimetizzò in un angolo. Le ventuno stavano scoccando.

Simone era riuscito alla fine a sbloccare Gaia dalle sue posizioni di chiusura e di rifiuto. Dopo quasi un mese di inutili tentativi ce l’aveva fatta: l’aveva convinta a uscire. La meta era un club privato ed esclusivo nel centro di Milano.

“Finalmente insieme! Non sai quanto mi sei mancata” disse il ragazzo, enfatizzando le parole.

Gaia lo guardò scura in volto e poi proruppe in un’allegra risata.

“Non dire sciocchezze, Saimon! Non credo di esserti mancata più di tanto. Se fosse come dici, saresti stato più assiduo nel cercarmi” fece la ragazza, mettendo un dito sulle sue labbra. “Parliamo d’altro. É meglio”.

La ragazza aveva letto proprio stamattina su La Gazzetta dello Sport che il club della EX, si rifiutava di chiamarla per nome, era partito la sera precedente da Malpensa diretto a Rio per una tournée sudamericana, che sarebbe durata un mese. Questa informazione l’aveva messa di buon umore e l’aveva indotta a rispondere alla chiamata di Simone. Il pensiero di vedersela piombare all’improvviso, come l’ultima volta, l’atterriva. Sospettava che fosse una strega, capace di materializzarsi quando lei non se lo aspettava. E poi quel gattaccio nero, che dicono porti sfiga, nella sua camera da letto! Le mancava solo la classica scopa e poi il quadro era completo. Si sentiva più rilassata, sapendola lontana, quando entrarono nel club privato per mangiare e per ascoltare il piano bar in completo relax.

Deborah si sarebbe messa a piangere, perché comprendeva che questa sera, come le prossime, non sarebbe riuscita a trasferirsi a Milano nel suo bilocale.

Sajana le aveva detto che Alex, per punizione, sarebbe stato costretto a vivere per tutta la trasferta sudamericana nel suo appartamento. Tuttavia ieri sera non l’aveva visto né aveva percepito la sua presenza. Cercava di rallentare i battiti cardiaci per affrontare l’ennesima prova di uscire dal corpo e trasferirsi altrove. Si domandò, se Simone avesse fatto la pace con quella donna, che aveva intravvisto la notte di San Giovanni. Tutti questi pensieri non funzionavano questa volta per volare a Milano. Lei continuava a rimanere distesa sul letto. Guardò la sveglia digitale sul comodino e fu colta dal panico. Mancavano pochi minuti all’appuntamento delle ventuno, mentre lei era sempre lì, a Rio, e non là, a Milano. Avvertì sul petto il morbido pelo di Miao e lo abbracciò.

“Concentrati” si disse e sentì fluttuare il suo corpo.

Sull’orologio della sua cucina scoccavano le ventuno e lei, leggera con Miao stretto al petto, si avvicinò al quel candelabro sghembo, dove troneggiava una candela rossa. Prese la scatola e accese un fiammifero. Una fiammella guizzò dinnanzi a lei.

Si guardò intorno. Eppure qualcuno doveva aver provveduto a mettere una candela nuova al posto di quella consumata la sera precedente. Ricordava che ne aveva scelto una argentata. Eppure l’appartamento appariva silenzioso e vuoto. Non si avvertiva la presenza di qualcuno. Si chiese dove fosse nascosto Alex, visto che lo doveva custodire. Non poteva indugiare di più: il tempo stava per scadere e ritornò nella stanza dell’hotel a Rio.

Alex rideva sotto i baffi. ‘Mi sono mimetizzato bene’ si disse, riprendendo l’aspetto abituale. Si era trasformato in fiore di iperico, del tutto improbabile sia come momento di fioritura che come collocazione. Tuttavia Deborah era rimasta ingannata. Adesso poteva tornarsene in sala a leggere qualcosa.

“La biblioteca di Deborah è ben fornita. Un bel mix di grandi autori e altri semi sconosciuti” fece prelevando un libro dallo scaffale.

“Chi sarà mai questa Alessandra Bianchi? Eppure qualcosa mi dice che sarà interessante la lettura”. Cominciò a sfogliare Alex Alliston.

Gaia avvertì un brivido correrle lungo la schiena. Il pranzo era stato ottimo e l’atmosfera era rilassata e allegra. Eppure aveva avvertito qualcosa di strano. ‘Non sarà mica ancora quella strega che ha deciso di farmi andare di traverso la cena?’ si disse, stringendo la mano di Simone.

Il ragazzo la guardò sorpreso.

“Qualcosa che non va?” chiese premuroso.

“No. La cena era veramente eccellente ma ho avuto una sensazione strana. Un attimo. Ma è stata chiara e netta” disse Gaia, cercando il conforto del ragazzo.

“Non mi dirai che..” aggiunse, aggrottando la fronte.

“Dici la tua ex?”

“Sì, proprio lei”.

“No. Non ho avuto visioni. Ho percepito un’ombra che mi scivolava di fianco” fece Gaia, sottolineando col tono della voce il suo disagio.

“Ancora un fantasma!” esclamò Simone, cercando di dissimulare la tensione. L’ombra di Deborah pareva incombere nuovamente su di loro in maniera spettrale e angosciante.

“Non so, se era un fantasma o un banale spiffero. Quello, che so per certo, è che ho avvertito lo sfioramento di qualcosa di etereo” disse Gaia.

“Cambiamo posto. Spostiamoci più verso il centro. Forse siamo troppo vicini a una bocchetta dell’aria condizionata” fece Simone per chiudere la vicenda senza creare troppe perplessità.

Dopo essersi spostati, Gaia pensò che c’era troppo stress dentro di lei. Questa le faceva percepire delle sensazioni false. Nonostante questi pensieri distensivi rimase in tensione, finché non rincasarono.

Deborah si ritrovò esattamente dove aveva lasciato il suo corpo. Stringeva ancora Miao al petto e respirava con affanno. Doveva calmarsi prima di scendere nella hall per unirsi alle compagne e poi trasferirsi nel palazzetto per la partita allenamento. Tuttavia la respirazione non aveva nessuna intenzione di tornare alla normalità, come il battito cardiaco, che era fuori controllo. Lo stress era stato quasi insopportabile.

Aveva gli occhi chiusi col respiro ancora ansimante, quando sentì bussare alla porta.

“Deb, tutto bene? Mi apri la porta?” chiese Anna.

“Sì. Mi alzo e ti apro” disse Deborah, faticando a mettersi eretta.

La compagna l’osservò e non disse nulla. ‘Beh’, pensò, ‘non mi pare proprio’. Si avvicinò e notò il viso grigiastro di Deborah.

“Sei sicura di sentirti bene?” tornò a chiedere Anna.

“Sì”.

“Ma ti sei vista allo specchio?”

“No. Ma non mi sono ancora ripresa dal cambio di fuso orario” specificò Deborah.

“Vuoi che dica al coach che non ti senti bene e resti in camera?” fece Anna, aiutandola a sedersi su una poltroncina.

“No! Una rinfrescata al viso e un tè mi rigenereranno perfettamente” assicurò Deborah.

“Se lo dici tu” replicò la compagna in tono dubbioso.

“Se mi aspetti, tempo un minuto e sono pronta”.

“Ah! Mi stavo scordando. Nella hall ci aspetta anche quell’uomo.. sai quel giornalista..”.

“Marco?” esclamò stupita Deborah.

“Sì, credo che sia proprio lui”.

“Che vuole?”

“Ha chiesto e ottenuto di seguirci in questa settimana a Rio. Dice che vuol ricavare del materiale per un prossimo articolo ‘Al seguito di una squadra di basket femminile. Voci e riflessioni durante una tournée‘. Più o meno questo il titolo. Visto il genere di settimanale, c’è da aspettarsi di tutto” concluse Anna, scuotendo il capo.

“E il coach cosa dice?” domandò Deborah, mentre si umettava il viso.

“Ha storto il naso e stava per dire di no, quando Alberto, il general manager, ha detto un sì pieno di entusiasmo. Afferma che il main sponsor sarà contento della pubblicità gratuita su una rivista che tira cinque milioni di copie”. Anna fece una smorfia di disgusto, quando finì di parlare.

“Bene, sono pronta. Possiamo scendere” disse Deborah, che pareva essersi ripresa.

Aveva appena messo piede nella hall, quando un flash l’accecò.

“Finalmente sei arrivata!” disse Marco, andandole incontro.

Sul viso di Deborah si stampò un sorriso stirato, accettando la mano dell’uomo.

Il coach guardò l’orologio e fece una faccia che non prometteva nulla di buono. Si avviò senza profferire verbo verso l’uscita, dove un pulmino stazionava in attesa della squadra e degli accompagnatori.