L’amica Ale in arte Musa in un suo commento al post su Caffè Letterario risponde così a una mia osservazione
Perfettamente logico non ammette repliche
Ovviamente il perfettamente logico vale per me e non per gli altri. Quindi scrivo questo piccolo pezzo per spiegarlo. Tuttavia prima di addentrarmi nella riflessione devo fare alcune premesse doverose.
La prima mi piace scrivere ma non sono uno scrittore La spiegazione va da sé.
La seconda è che le mie storie nascono da spunti, idee o pensieri, raramente indotti da altri, come nel caso Il mazzo di fiori. Non riesco a programmare qualcosa a tavolino.
La terza è che conosco l’inizio e la fine della storia. Quello che sta in mezzo è un mare ignoto e segue le regole della fantasia. Anche questo depone a favore della prima premessa.
La quarta è che non racconto mai storie personali. Questo non significa che non possa inserire nel contesto pensieri, sensazioni, situazioni o eventi personali oppure descrivere luoghi che conosco perfettamente.
Veniamo al post che ho pubblicato su Caffé Letterario in tre parti (prima, seconda e terza). Spulciando tra i tanti appunti, ho trovato una vecchia traccia, poche righe di un incipit mai andato oltre, e ho deciso di svilupparlo in tre parti per Caffè Letterario – tre erano le date da coprire. Ho scritto subito, come faccio di solito, le righe finali, giocando sui due personaggi: Dario, la voce narrante, e Antonella, la voce virtuale. Perché ho scritto quel finale, senza conoscere cosa stava tra l’inizio e la fine? Primo ho pensato a Dario, come un uomo sposato felicemente e con prole. Secondo Antonella è una donna dal carattere impulsivo e che ama ottenere quello che desidera e non accetta le sconfitte. Con queste tracce dei due personaggi era possibile un finale diverso? Certamente, e forse in linea col mondo di ragionare dei ragazzi d’oggi. Come? Dario lascia la famiglia e si butta tra le braccia di Antonella. Però che prospettive potevano esserci per loro? Nessuna. Sarebbe finita come finiscono tante storie di oggi. Litigi, separazioni e dolori in quantità.
Vediamo il percorso logico dei due personaggi. Lo scatto iniziale di Antonella è sicuramente dovuto al fatto che ha compreso che Dario non può essere il suo uomo. Quindi non sarebbe riuscita a raggiungere il suo obiettivo. Dario ha con quel finale il sussulto di riprendere la sua vita per i capelli, prima che sia troppo tardi. Quello che sta in mezzo è il percorso razionale che spiega l’incipit e la fine. Naturalmente io, calato nei panni di Dario, avrei fatto quello che ho scritto nel finale. Ecco il perfettamente logico spiegato.
Una storia come tante. Al tempo del web – parte terza
Non passava giorno – cap. 1

Non passava giorno che lo scoiattolo se ne andasse in giro allegro e spensierato per il bosco con la sua grande coda imponente, della quale era molto orgoglioso. Era un tipetto strano e pieno di risorse ma totalmente imprevedibile. Al mattino capitava sovente di lasciarsi cadere sul morbido muschio ai piedi dell’abete preferito, rimbalzando per la gioia con una grande capriola. Se era ispirato dalla natura, volava dalla punta di un ramo per finire nel torrente, che scorreva allegro nel bosco. Qualche volta non cadeva nell’acqua ma sul dorso di una libellula, che passava casualmente di lì e che lo traghettava sull’altra riva. Quando incontrava una strada, prendeva sempre la prima, che vedeva, senza pensarci su due volte. Se poi incrociava un sentiero laterale lo infilava, e se aveva dei progetti per la giornata, se li scordava regolarmente. Ma nulla poteva modificare il suo carattere allegro e giovale, pronto a dare il suo aiuto senza secondi fini nascosti. Questa mattina, di buon’ora, stava andando dall’orso bruno, che traslocava dalla sua tana. Aveva chiesto aiuto alla comunità del bosco per farsi aiutare. Percorreva spensierato il sentiero, quando vide un tratturo umido per la rugiada della notte, che serpeggiava tra abeti e faggi, e naturalmente lo prese senza esitazioni. All’imbocco c’era un cartello un po’ scolorito che diceva «STRADA VERSO….» e niente altro. ‘É lì che devo andare!’ pensò lo scoiattolo tutto allegro. Con grande rammarico dopo pochi saltelli incontrò un’altra deviazione…
Laura stava leggendo l’inizio della fiaba, che aveva scritto tanti anni prima, quando era sedicenne. In realtà quella mattina, fredda e serena di marzo, era salita nel sottotetto alla ricerca del vestito rosso, dismesso da tempo. Non sapeva nemmeno lei, perché aveva intrapreso quella ricerca tanto stramba quanto insolita. In realtà voleva semplicemente ingannare se stessa, perché ne conosceva perfettamente il motivo.
Il giorno precedente aveva trovato una fotografia, che era scivolata fuori maliziosamente da una scatola piena di ricordi. Subito il cuore aveva preso a pulsare come un metronomo impazzito.
«Accidenti!» esclamò eccitata, mentre la raccoglieva da terra «Come ero bella! Ero la più bella del gruppo».
Aveva osservato quella vecchia istantanea a colori, che la ritraeva con uno splendido vestito rosso, abbracciata a Marco. Non era riuscita a calmare il senso di ansia per il groppo alla gola, che le impediva di respirare.
Era una fotografia, quando lei con altri compagni di università costituivano un gruppo affiatato, unito, spensierato e allegro. Le ricordava un momento felice e importante della sua esistenza.
La vista di Marco, del vestito rosso riaccese dentro di lei un fuoco mai spento, che covava sornione da mesi sotto le ceneri. Sapeva che la ricerca di quel abito avrebbe riaperto una ferita mai sanata, che avrebbe ripreso a sanguinare dolorosamente. I ricordi di quegli anni erano troppo freschi per poterli cancellare con un semplice tratto di penna o più banalmente chiudendo gli occhi e fingendo che non fossero mai esistiti. Aveva deciso che sarebbe salita nel sottotetto a cercarlo e non sarebbe scesa, finché non l’avesse trovato.
Rovistando nei cassetti di un vecchio cassettone, aveva trovato dei fogli un po’ ingialliti, stropicciati e scritti a mano, dei quali aveva perso la memoria. Si era fermata a leggerli, dimenticando per un momento il motivo per il quale era lì. Era ritornata l’adolescente che aveva sperato di diventare un giorno una scrittrice di successo mondiale.
Aveva sognato di scrivere romanzi, racconti da trasformare in best seller, giovane emula di J.K. Rowling o celebre come Virginia Woolf, che erano i suoi miti giovanili. Alla sua età si fantasticava gloria e luci della ribalta. Laura si era cullata nell’illusione di ottenere fama e prosperità attraverso la scrittura. Ben presto abbandonò ogni velleità letteraria, perché aveva capito che non aveva imboccata la strada giusta. Chiusi gli scritti in una cartellina gialla a copertina rigida, li mandò in soffitta come sogni accarezzati e inseguiti vanamente. Tuttavia per magia erano ricomparsi.
Per un connubio tra passato remoto e quello recente la mente cominciò a divagare, ripercorrendo gli eventi degli ultimi otto mesi, che l’avevano segnata profondamente nello spirito e nel corpo.
Il primo pensiero fu per Marco, che aveva sperato di dimenticare e rimuovere per sempre. In realtà non era così, perché era tornato a galla con prepotenza. Con amarezza ricordò il suo “ADDIO”, che le era apparso tanto angosciante quanto misterioso e incomprensibile. Poi ripercorse le penose settimane che seguirono. Gli sembrarono una muro di tenebre, dalle quali riemerse a fatica e con lentezza. Per fortuna aveva trovato un lavoro che le stava dando molte soddisfazioni sia materiali che professionali. Rifletté sulla corte assidua e discreta di Paolo, su Sofia, la fedele amica, che aveva trovato l’amore in maniera del tutto casuale.
Marco era stato il suo ragazzo durante quei cinque meravigliosi anni di università. Un giorno le disse, senza lasciarle scampo: «Laura, sei una ragazza stupenda, con la quale sono stato felice in questi anni. Il tempo ha spento il fuoco dentro di me e non voglio ingannarti. Siamo cresciuti e maturati, ci siamo laureati con ottime votazioni, stiamo cercando lavoro per dare un senso al nostro futuro. Tuttavia le nostre strade si devono per forza separare. Sono certo che troverai l’uomo dei tuoi sogni, con il quale potrai condividere le gioie e i dolori della tua vita. E’ arrivato il momento di dirci addio».
A quelle parole le era parso che il mondo le fosse caduto addosso. Era rimasta in silenzio e ammutolita da non riuscire nemmeno a piangere.
Ricordò che stava per aprire bocca, quando Marco le pose un dito sulla bocca. «Non dire nulla. Non serve. Diciamoci solo addio e poi ognuno segua la propria strada». Si era girato, allontanandosi deciso senza aggiungere nient’altro. Lei aveva continuato a rimanere muta e pietrificata, come se una misteriosa mano le avesse reciso le corde vocali. Era stata incapace di reagire, di inseguirlo per avere delle spiegazioni che non aveva udito e che lui non aveva mai pronunciato.
Era rimasta ferma sulla panchina all’ombra del grande cedro del Libano, che aveva visto e ascoltato tante storie simili alla sua. Laura era rimasta seduta per un tempo non quantificabile, perché aveva indugiato a lungo prima di alzarsi. Pareva che le lancette si fossero fermate.
I ricordi continuarono a scorrere fluidi. Tornata a casa, aveva aperto l’armadio e aveva tolto il vestito rosso, che conservava gelosamente. Le ricordava un episodio felice e importante di cinque anni prima, quando Marco aveva dichiarato con dolcezza: “Laura, ti amo!”. Suggellò la dichiarazione con un bacio appassionato. Dopo averlo impacchettato in una custodia trasparente, era salita nel sottotetto per nasconderlo alla vista, perché era impregnato dell’amore che provava per lui.
Del vestito rosso se ne dimenticò ma Marco no. Lui era sempre presente giorno e notte nei suoi pensieri, nei suoi sogni, che assomigliavano a incubi.
Non era riuscita a darsi pace, né a capacitarsi delle ragioni per le quali le aveva detto “addio”, perché non aveva spiegato nulla con un discorso banale e generico. Tutto sembrava filare liscio, senza intoppi, né litigi o motivi di attrito, sempre felici di stare insieme.
Quel giorno le era sembrato che fosse scoppiato un temporale senza nessuno preavviso, all’improvviso, gettandola nella depressione.
I ricordi di quei giorni tornavano a galla, come gli avvenimenti che avrebbero segnato i mesi successivi.
Per giorni non aveva voluto vedere nessuno, nemmeno Sofia, la più cara amica, la confidente con la quale condivideva tutti i segreti più riposti. Si era negata al telefono, senza rispondere né a SMS, né a messaggi di posta. Pareva sparita dalla terra, inghiottita da un buco nero con grande disperazione dei genitori, che inutilmente avevano cercato di consolarla e sostenerla psicologicamente. Si era rinchiusa nella sua stanza, rifiutando di uscire o di mangiare. Era una sepolta viva.
Lentamente nei giorni successivi era uscita dal limbo, in cui era precipitata, una caduta senza fine, riprendendo a vivere e mangiare.
Aveva risposto al telefono, il cui suono le aveva trafitto la testa. Era Sofia, preoccupata per il lungo e prolungato silenzio.
«Laura! Finalmente!» iniziò. Proseguì senza darle tempo di rispondere che avrebbero passata insieme la serata e che si sarebbe fermata a dormire da lei, «Hai capito? Niente se, niente ma!». Sofia, prima di tacere, aveva parlato sempre lei senza dare scampo a Laura, che non era riuscita a emettere un solo lamento.
«Sofia» era stata l’unica parola che era riuscita a pronunciare, prima di scoppiare in un pianto a dirotto.
«Laura!» aveva esclamato irata «Non piangere! Non riesco a sentire quello che dici! Non sopporto le donne che piangono per nulla! Alle sei in punto suono e fatti trovare pronta! Non tollero aspettare! Ciao. A dopo».
La comunicazione si era interrotta bruscamente, mentre lei con il telefono in mano e con grosse lacrime, che rigavano il viso, stava seduta inebetita sulla poltrona.
Si era riscossa, aveva guardato l’ora ed era trasalita. Erano le cinque passate. Se voleva essere puntuale, aveva pochissimo tempo a disposizione. Doveva sbrigarsi, perché Sofia avrebbe fatto una sfuriata delle sue, se non era già sull’uscio alle sei in punto.
Alzatasi, si era fiondata come una freccia nella sua stanza alla ricerca di qualcosa di carino da indossare e a preparare la borsa per la notte. Quella telefonata l’aveva fatta rinascere. Non voleva sprecare l’occasione. Doveva dimenticare le pene dell’anima l’addio di Marco.
Quello era stato un pianto liberatorio, perché si sentiva meglio, più sollevata.
Non aveva tempo di riflettere ulteriormente.
Una storia così anonima – parte ventunesima

Bologna, 22 febbraio, 2015, ore nove
Luca e Vanessa sono svegli dalle cinque e mezza. Non è che abbiano dormito un granché. Prima c’è stata quella telefonata inquietante, poi uno squillo del campanello e infine la visita che ha messo fine alla notte. Hanno letto delle altre pagine del manoscritto del settecento. Nuove informazioni, nuovi dubbi si affacciano nella loro testa.
“Un caffè?” dice Luca, che si stiracchia vistosamente e sbadiglia senza ritegno.
“Potresti metterti una mano davanti alla bocca, affinché non possa valutare la tua dentatura” fa Vanessa in tono di rimprovero.
Il ragazzo alza le spalle e si avvia in cucina. Questa è la seconda notte che dorme poco e male. Per l’educazione ci penserà un’altra volta. La ragazza lo segue, coprendosi per bene. Il riscaldamento è spento e la casa gela. ‘Dovrò riaccenderlo, se non voglio buscarmi un malanno’ si dice, mentre traffica con la caldaia. L’amico pare non sentire le punture di freddo. Cammina a piedi scalzi e indossa solo boxer e maglietta con le maniche corte. Lei lo ammira, perché sa di essere alquanto freddolosa. Questa volta è lui ad armeggiare con la moka. Si muove come se fosse a casa sua. Apre gli sportelli, cerca le tazze e lo zucchero di canna. Sbuffa, perché non lo trova.
“Allora il nostro monaco guerriero è in Francia per una missione che non appare chiara. Tu pensi che andrà direttamente a Poitiers oppure farà una deviazione?” le chiede Luca, mentre chiude il gas e versa il caffè.
“Uhm, uhm” mugola Vanessa, che tenta di bere senza scottarsi il palato.
Il ragazzo ride per la mancata risposta. Sorseggia il suo e rimanda a dopo la discussione. ‘Non risponderebbe. É troppo impegnata per ascoltarmi’ riflette. Tuttavia si sbaglia, perché un istante dopo depone la tazzina.
“Non credo” dice la ragazza, che preferisce che il bollore si raffreddi. “Penso che la missiva contenga delle istruzioni precise sul cammino da intraprendere. Perché il messaggio era ancora chiuso col sigillo. Che senso avrebbe avuto tenerlo nascosto, se fosse stato un semplice ordine di arrivare a Poitiers?”
“Anch’io mi sono fatto la medesima convinzione. Se non contenesse delle direttive particolari, Pietro non sarebbe rimasto stupito” ammette il ragazzo, che beve con calma a piccoli sorsi il suo caffè.
Luca depone la tazzina e ha un lampo negli occhi. “Cosa ne pensi se partiamo per Parigi e ripercorriamo la strada che il templare seguirà partendo da Sens?”
“Quando?” chiede Vanessa con gli occhi che brillano.
“Anche subito. Prepari i bagagli e passi dal bancomat. Poi un salto a Ferrara per raccogliere qualcosa per me. Si parte senza indugi per la Francia. Possiamo essere a Lione per la sera. Domani possiamo metterci sulle tracce di Pietro da Bologna” afferma deciso il ragazzo.
“Ci sto!” esulta la ragazza.
Luca osserva l’orologio della cucina. Segna le sei. Fa un rapido calcolo. ‘Se si sbriga, alle otto siamo di partenza per la Francia’ si dice, finendo caffè.
“Vado. Mi faccio una doccia e riempio il trolley” fa Vanessa, deponendo la tazzina nel lavello. “Tu nel mentre rigoverni la cucina, lavi le tazzine e la moka. Poi rifai il letto”.
Il ragazzo sbuffa e mentalmente la manda a quel paese. “Mi raccomando non mettere nel trolley l’intera casa” afferma sarcastico, mentre sistema le stoviglie usate nei pensili.
“Spiritoso” urla, mostrandogli la lingua.
La speranza di partire per la Francia alle otto svanisce rapidamente: alle nove sono in partenza per Ferrara. Fanno una rapida sosta per recuperare qualche indumento da mettere in una borsa, una pen-drive, lo scanner portatile e la key per il collegamento a Internet. Di corsa all’ingresso dell’autostrada A13 di Ferrara Sud. Naturalmente sono oltre le dieci.
“Dobbiamo volare e sperare di non trovare troppo traffico” dice Luca, che fa il primo turno di guida.
“Perché?” domanda Vanessa, mentre smanetta inutilmente con la radio. “Che vecchio catorcio! Roba da museo delle cere”.
“É quello che passa il convento. Non sono un possidente come te” replica il ragazzo ironicamente. “Perché dobbiamo volare? Sono all’incirca settecento chilometri. Tenendo la media dei novanta, servono più o meno otto ore senza fermate per pisciare o far rifornimento”.
La ragazza legge l’orologio digitale della macchina e fa un rapido calcolo.
“Otto ore senza fermarsi? Sei un negriero! Questa bagnarola non ha nemmeno i servizi a bordo. Quindi, se non vuoi vederti allagato l’interno, ti fermerai, quando te lo ordino” afferma secca Vanessa.
“Agli ordini, subcomandante Van!” esclama con grande ironia Luca.
“Fai pure lo spiritoso ma chi comando sono io” dice con tono duro la ragazza.
“Ma certamente! Il subcomandante sei tu! Io eseguo gli ordini” afferma con sarcasmo il ragazzo, portando la mano alla fronte. “Però dobbiamo volare lo stesso”.
Arrivati a Piacenza fanno una breve sosta per mangiare qualcosa con cambio di guidatore e per una visita ai servizi. Il viaggio prosegue tranquillo sulla A21 fino a Torino dove i due ragazzi si immettono sulla A32 per raggiungere il traforo del Frejus. Fa buio presto. La giornata in febbraio è ancora corta. Complice un cielo nuvoloso sembra che la sera sia arrivata in anticipo. Fanno una nuova sosta nell’area di servizio poco prima dell’imbocco del traforo. Un caffè, un rapido giro ai servizi, un nuovo rifornimento e poi via per l’ultimo balzo verso Lione.
“Quanto manca per arrivare a destinazione?” chiede Vanessa, che si massaggia i glutei, prima di salire nell’auto.
“Poco più di duecento chilometri. Circa tre ore di viaggio” risponde Luca, mentre imbocca il traforo.
“Ma conosci la strada? Questo straccio di macchina manco il navigatore ha!” dice indispettita la ragazza.
“Il navigatore? Non serve! É tutto qui!” esclama il ragazzo battendo con la mano la fronte.
“Non farmi ridire! Ci scommetto che ti perderai cento volte” replica Vanessa ridendo.
“Cosa metti in palio?” le domanda Luca.
“Quello che vuoi” dice la ragazza, facendo spallucce.
“Sicura?”
“Come è vero che sono accanto a te”.
“Bene” fa Luca, che aggrotta la fronte. “Se non mi perdo, prendiamo una matrimoniale. Viceversa due stanze singole. Qua la mano”.
“Ma smettila di fare il buffone. Tanto vinco io per manifesta inferiorità dell’avversario. Comunque tu paghi tutti i conti, visto che l’idea di venire in Francia è tua” dice Vanessa sicura, mentre stringe quella del ragazzo.
“Ma tu non hai opposto obiezioni, mi pare. Anzi eri più entusiasta di me. Quindi collabori” fa il ragazzo per nulla intimidito dalle affermazioni della ragazza.
Luca fischietta allegro. É sicuro di arrivare a Lione senza una sbavatura di percorso. Ha memorizzato il tragitto e poi non si è mai perso.
I due ragazzi restano per un po’ in silenzio, prima che Vanessa non lo rompa. “Ma hai già prenotato l’albergo?” fa, riscuotendosi dal quieto mutismo in cui era caduta.
“No. E chi ha avuto tempo? E poi non conosco il francese” replica Luca.
“Siamo messi bene! Il mio francese elementare sarà di scarso aiuto” dice Vanessa, ridendo.
“Che problema c’è? Quando siamo a Lione, chiediamo informazioni oppure sfruttiamo la tecnologia” afferma sicuro il ragazzo. “Non mi pare un gran problema”.
“Dove pensi di alloggiare? In centro o fuori?” prosegue la ragazza con le sue domande.
“Se si trova qualcosa, nel centro. Almeno possiamo fare un giretto dopo il viaggio”.
“Perché hai voglia di camminare a piedi?” domanda Vanessa, spalancando gli occhi verdi. “Io vorrei dormire e basta”.
“A letto senza cena?” fa Luca ironico.
“Beh! No. Qualcosina si mangia” ammette la ragazza.
Il ragazzo guida con attenzione, finché all’ennesimo casello paga il pedaggio.
“Eccoci arrivati a Lyon, l’antica Lugdunum. Come vedi non mi sono perso. Stasera paghi dazio” fa Luca con un sorriso smagliante.
“Ma non siamo ancora arrivati a destinazione” dice un po’ acida Vanessa, che non vuole ammettere di aver perso.
“Certamente! Accosto e cerco l’albergo” afferma il ragazzo, trovando una rientranza. Prende il computer e cerca hotel a Lione. Sul sito Lyon-France trova la lista degli alberghi. Una rapida scorsa all’elenco e poi sceglie Hotel Bayard-Bellecour. «Idéalement situé en plein centre de Lyon, sur la place Bellecour, l’hôtel vous propose ses chambres familiales et ses chambres doubles en catégorie Charme, Deluxe Patio, Authentic Deluxe ou son unique chambre Prestige Deluxe.»
“Questo mi gusta!” esclama convinto, dopo aver visionato il sito di presentazione. “Questi cugini d’oltralpe parlano solo francese”.
“Fammi vedere” dice Vanessa, strappandogli il computer. “Ma no! Parlano anche in inglese. Dammi il tuo telefono che li chiamo”.
“Perché tu non ce l’hai?” chiede indispettito Luca.
“Sì, ma chiamo a nome tuo”. Ride la ragazza, mentre digita il numero. “Bonsoir. Hotel Bayard-Bellecour?”
“Oui”
“Je désire une chambre deluxe Bellecour pour une nuit”
“Il est le dernier libre. Quand pensez-vous arriver?”
“Nous sommes … Dove cavolo siamo?” chiede innervosita Vanessa.
“Boh! Pagato il pedaggio al casello, abbiamo preso la prima uscita. Indicava aéroport Lyon-Bron” risponde Luca.
La ragazza fornisce le indicazioni nel suo francese scolastico. Ascolta e finge di aver capito tutto. Infine saluta.
Il ragazzo ride sommessamente, perché capisce che Vanessa non ha compreso quasi niente delle spiegazioni per raggiungere Place Bellecour.
“La navigatrice cosa ordina” la sfotte Luca.
“Solito spiritoso! Oro ti voglio vedere raggiungere l’hotel” replica picata.
“Presto fatto” dice il ragazzo, che esamina con cura la mappa di Lione. “Si parte. Tra mezz’ora siamo a destinazione”.
“Vediamo” fa Vanessa laconica. Finora non ha sbagliato nulla, si dice.
Una storia come tante. Al tempo del web – parte seconda
Una storia così anonima – parte ventesima

Paris, Châtelet, 11 novembre, 1307, ora sesta – anno secondo di Clemente V
Guillaume de Nogaret osserva infastidito quella pergamena, suggellata dalla ceralacca rossa. Gli è stata consegnata poco prima da un messo dell’arcivescovo di Sens. Sigillo e firma sono autentiche, perché le conosce bene.
Legge nuovamente il testo. Non può mettersi contro Roland de Bernard, perché in questo momento il clero parigino è incerto e diviso sull’operazione, messa in moto il 13 ottobre nei confronti dei templari francesi. La posizione del guardasigilli non è ancora consolidata in modo stabile e lo scontro potrebbe rivelarsi pericoloso per lui. L’inchiesta sta muovendo i primi passi. É ancora gracile e ha necessità di sostegni forti e autorevoli. Mettersi contro le alte gerarchie della chiesa potrebbe rivelarsi controproducente in questo frangente. É vero che esistono molte confessioni ma sono prove deboli, perché estorte con la tortura e quindi possono essere ritrattate. É meglio agire con calma e lasciare libero il templare bolognese, perché tutto sommato è un pesce piccolo, che non avrebbe mai confessato o non avrebbe rilasciato dichiarazioni compromettenti contro il Gran Maestro, Jacques de Molay. Lo farà seguire con discrezione per osservarne le mosse. Ormai ha deciso. Rispetterà l’ordine dell’arcivescovo, Roland de Bernard, che lo vuole presso di lui entro il vespro.
Chiama il capitano delle guardie per disporre la liberazione di Pietro da Bologna. “Che sia trattato bene. Ridategli la sua cavalcatura e scortatelo fino a Sens. Poi lo affidate all’arcivescovo” ordina Guillaume. “Fate in modo che il prigioniero sia lì poco prima del vespro”.
Riflette su chi dovrebbe avere il compito di seguire il templare dal momento che lascerà Sens e il vescovado. É un compito delicato, perché non si deve far scoprire ma nemmeno perderlo di vista. Alla fine opta per Luis de Chavelier, un giovane abile e capace.
‘Perché questo frate è finito sotto la protezione dell’arcivescovo Roland? Quale missione segreta deve compiere?’ si dice, arricciando la barba. ‘Non si chiede a un templare lombardo di compiere un viaggio così lungo e pericoloso, se non deve portare a termine un’operazione importante e delicata. Di certo non è la parte del tesoro del Tempio, che Jacques de Molay è riuscito con molta abilità a trasferire altrove. Dev’essere qualcosa che un cavaliere può portare con sé senza dare troppo nell’occhio. Ma cosa?’
Mentre Guillaume de Nogaret tenta di comprendere il senso della missione di Pietro da Bologna, il frate sta pregando con la schiena voltata verso la porta della cella, nell’attesa di comparire dinnanzi al guardasigilli. Sente girare il chiavistello e cigolare i cardini ma continua nelle sue orazioni.
“Messere, siete libero” dice una voce alle sue spalle.
Pietro si gira con lentezza, pensando a uno scherzo del destino o a una fine trappola di Guillaume de Nogaret.
“Venite. Nel cortile interno vi aspetta il vostro cavallo e un drappello di scorta. Vi accompagnerà fino a Sens” continua quella voce che gli appare sconosciuta.
“Perché a Sens?” chiede il templare stupito e diffidente.
“Siete sotto la protezione dell’arcivescovo Roland de Bernard. Dobbiamo assicurarvi che giungiate a destinazione sano e salvo” risponde la guardia. “Andiamo. Non possiamo indugiare oltre se volete essere per il vespro a destinazione”.
Pietro è convinto che questa liberazione nasconda un tranello. Non si sente tranquillo. Tuttavia raccoglie le poche cose che ha nella cella, indossa il mantello e segue la guardia fino al cortile interno, dove trova il suo bardo e sei cavalieri, che lo attendono.
Usciti da Châtelet, il gruppo prende la strada per Sens, lasciando alle spalle Paris. Un cavaliere avvolto in un mantello grigio li segue a discreta distanza. Questa prima fase è agevole, perché sa dove finirà il gruppo. Il difficile comincerà dopo, quando avrà lasciato Sens. La destinazione più probabile è Poitiers, perché era la meta primitiva. ‘Sarà così?’ s’interroga il cavaliere senza trovare una risposta.
Sens, 11 novembre 1307, vespro – anno secondo Clemente V
Pietro è dinnanzi all’arcivescovo, Roland de Bernard.
“Benvenuto nella casa del Signore” fa il prelato, che lo chiama a sé. “Siete stato trattato bene, frère Pierre?”
“Sì, come può esserlo un prigioniero” risponde il frate, “mi è mancato molto il sacramento della comunione”.
L’arcivescovo sorride. Non è da tutti mantenere la serenità dopo aver conosciuto le prigioni francesi.
“Quando volete, potete scendere nella mia cappella privata e comunicarvi” gli dice Roland.
Pietro vorrebbe scendere subito per mondarsi dei suoi peccati ma aspetta che l’arcivescovo gli conceda il permesso di allontanarsi.
“Pazientate ancora un poco” fa il prelato, che prende da un cassetto una missiva. La apre e dopo una scorsa veloce riprende a parlare. “Sua eminenza, il cardinale Caetani, ha affidato nelle mie mani la vostra sorte e mi detto di consegnarvi questa pergamena”.
Prende dal cassetto un secondo rotolo, chiuso col sigillo papale. “Non ne conosco il contenuto ma si è raccomandato di consegnarvelo di persona”. Detto questo lo allunga al frate, che lo prende e controlla il sigillo. Pare intatto e autentico.
“Nelle stanze, dove riposerete, troverete una vecchia conoscenza. Il chierico Philippe de Laurent, che vi terrà compagnia nel viaggio verso Poitiers” conclude l’arcivescovo, congedandolo.
Pietro infila il rotolo sotto il saio e dopo aver baciato l’anello vescovile, esce dalla stanza.
Alphonse de Mullins lo osserva con astio. É riuscito a origliare qualcosa ma non tutto. Non ha compreso se de Bernard abbia consegnato qualcosa di importante al frate oppure solo la missiva del chierico. Lo maledice, perché è stato la causa di una dura rampogna. Deve scoprirlo, perché il cardinale Colonna gli ha detto che al prossimo passo falso lui salta. ‘Devo recuperare la sua fiducia. Tornare a Annency? Non ci penso per nulla!’ si dice, seguendo con discrezione il frate.
Pietro ha notato le manovre del monaco e il suo sesto senso gli suggerisce che può essere una vipera. Finge di perdersi nei corridoi. Girando più volte su se stesso. Si nasconde dietro un tendaggio e osserva il monaco che si guarda intorno interdetto.
“Cercate me?” gli dice materializzandosi alle sue spalle.
Alphonse ha un sobbalzo, come chi è stato colto con le mani nella marmellata. Borbotta qualcosa e si avvia scuro in volto verso la sua stanza ma il frate lo ferma con voce perentoria.
“Non siete il segretario dell’arcivescovo, Roland de Bernard?” gli chiede, bloccando la sua fuga precipitosa.
“Sì” risponde con un monosillabo.
“Allora saprete sicuramente indicarmi la via della cappella privata dell’arcivescovo” dice con tono vagamente ironico Pietro.
Alphonse di malagrazia gli fornisce le indicazioni richieste e poi gli volta le spalle. Pietro sorride e si avvia verso la cappella. ‘Dovrò confessare anche questo peccato. Ho dubitato della buonafede del mio prossimo” si dice, facendosi il segno della croce.
Confessato e assolto dai peccati con la comunione, il frate si avvia verso la stanza assegnatagli. Si sente più leggero e vicino a Dio e a Maria Maddalena. Spera d’incontrare il chierico per abbracciarlo. Ha questi pensieri, quando ode alle sue spalle una voce che grida ‘Frare Pierre! Frare Pierre’. La riconosce, anzi la individuerebbe tra mille. Si gira e abbraccia con calore Philippe.
“Non mi avete ancora accompagnato a Poitiers da Clemente V” dice Pietro allegro.
“Avete ragione, Frare Pierre! Non ho mantenuto l’impegno preso: quello di condurvi alla corte papale. Ma presto colmerò questa lacuna” afferma il chierico.
“Certamente, quando l’arcivescovo mi darà il permesso di partire, ci dirigeremo verso Poitiers, sempre che voi non dobbiate andarvene prima” replica Pietro.
“Non avrei mai detto di potervi rivedere, dopo che ci siamo separati a Lugdunum” conclude Philippe.
“Ma ditemi. Come avete saputo che ero finito a Paris?” gli domanda il frate, che cammina spedito verso le sue stanze.
“Una storia lunga. Tuttavia dopo le orazioni della prima vigilia e il frugale pasto alla mensa dei poveri, vi racconterò tutto” gli dice il chierico. “Vedo che non avete perso buon umore e capacità di cogliere i particolari e schivare le insidie”.
Pietro sorride, pensando che anche Philippe avrà buon senso e furbizia con un po’ di esperienza.
“Se l’istinto di sopravvivenza non funzionasse bene, sarei già morto da molto tempo” replica Pietro, mentre entrano nelle stanze loro assegnate.
Un storia così anonima – parte dicianovesima

Bologna, 22 febbraio 2015, ore 3
“Decisamente non vogliono farci dormire” dice Luca, che accende il computer.
“Sei il solito brontolone! Chi dorme, non piglia pesci” lo rimbecca Vanessa.
“Ma chi vuol diventare pescatore?” afferma con ironia il ragazzo. “Mi basta dormire solo un poco. Il sonno del giusto”.
“Dormiglione oltre che brontolone!” fa la ragazza che gli prende il PC e comincia a digitare sulla tastiera. Va alla ricerca da dove riprendere la lettura.
“Sai” comincia Luca “trovo davvero strano sia la telefonata che lo squillo di campanello”.
“Perché?” fa la ragazza, senza alzare gli occhi dallo schermo.
Il ragazzo la guarda basito. Si domanda il motivo, dice in silenzio, mi sembra ovvio il senso delle mie parole. E accenna a un moto di sorpresa.
Vanessa distoglie lo sguardo dal computer e fissa negli occhi Luca. Si aspetta una risposta che tarda ad arrivare.
“Perché? Li trovo inquietanti. C’è una coincidenza insolita in quello che è accaduto stasera. Leggiamo un testo del settecento che riporta notizie vecchie di quattrocento anni. Una voce al telefono mi dice ‘lascia perdere’. Poi alle due di notte, qualcuno si diverte a svegliarci vestito come un templare” fa il ragazzo, che appoggia il mento sulle palme aperte.
“La telefonata?” Vanessa fa una pausa prima di riprendere a parlare. “La telefonata è stata un errore”.
“Sarà ma non ci credo. Cosa devo lasciar perdere?” replica Luca poco convinto delle spiegazioni della ragazza.
“Se non lo sai tu, come faccio a indovinarlo? Forse hai rotto le scatole a qualcuno. Forse hai importunato una ragazza e il suo compagno ti minaccia. Anzi ti consiglia di darci un taglio. Sei uno specialista in questo genere di attività” afferma la ragazza.
Lui la guarda sorpreso e arrabbiato. La battuta non gli è piaciuta per niente. “Per tua norma e regola non rompo nessuno e non importuno nessuna tenera e dolce fanciulla!” rimbecca offeso.
“Perché l’altra sera cosa hai fatto?” dice seria Vanessa.
“Ma è stato a fin di bene! Ti saresti annoiata con quel bradipo!” fa Luca sarcastico.
“Questo lascialo dire a me. Comunque hai finito di lamentarti?” domanda la ragazza che è tornata sul testo che stanno leggendo.
Il ragazzo scuote la testa. Con lei c’è poco da fare. Ha sempre l’ultima battuta. Si sistema accanto per seguire la lettura della cronaca di Pietro da Bologna.
“Tosto il templare!” esclama la ragazza, mentre scorre la storia.
“Sembri tu!” esclama il ragazzo, che non minimizza il tono ironico.
“Mi stai prendendo in giro?”
“Assolutamente no! Ti sto facendo un complimento! Mi pare che Pietro, nonostante tutto, tenga testa validamente a Guillaume de Nogaret senza perdere mai la bussola del ragionamento” dice Luca, abbassando il tono della voce.
“Ti sei salvato in corner!” ride Vanessa. “Adesso bando alle ciance. Si legge e si cerca di capire dove cavolo è finito il tesoro della commenda bolognese”.
“Non demordi, Van!”
“E perché mai?”
Ridono e continuano la lettura. Non passa molto tempo, quando stanchezza e sonno aprono una breccia nelle loro menti. Si addormentano l’uno appoggiato all’altra, mentre lo schermo si oscura.
Luca si trova in una Parigi che non riconosce. La gente veste in maniera inusuale. Le strade sono fangose e non vede automobili circolare. Solo gente a piedi o a cavallo. Avverte una sensazione di essere nel luogo sbagliato in un tempo che non gli appartiene. Cammina invisibile tra persone che lo ignorano. Vede un edificio di pietra grigia che sovrasta le case basse. Ha una forma quadrata con quattro torri sui quattro spigoli, di cui una è leggermente più piccola. É imponente e altrettanto inquietante. Il cielo grigio carico di pioggia rende ancora più spettrale quella vista. Si domanda che edificio sia questo e a chi appartenga. É stato di recente a Parigi ma non ricorda di averlo visto. Si sta avviando verso di esso, quando si sente strattonare da qualcuno accanto a lui e chiamarlo per nome.
“Luca, Luca!” Sente una voce familiare che attraversa i fumi del sonno. “Luca, svegliati!”
Il ragazzo si riscuote, si mette eretto un po’ barcollante e si guarda intorno spaesato. La visione è totalmente diversa da quella di pochi istanti prima. É in una stanza debolmente illuminata da un abat jour e accanto a lui c’è l’amica di tante avventure vissute insieme.
“Luca, qualcuno tenta di entrare in casa!” grida Vanessa.
Questa frase lo desta completamente e gli fa ricordare che è a Bologna e non a Parigi. “Cosa?” dice il ragazzo con la voce impastata dalla stanchezza e dalla voglia di dormire.
“Sento armeggiare intorno alla serratura” dice concitata la ragazza.
Luca scende dal letto e a piedi nudi si avvia all’ingresso. Adesso avverte anche lui rumori sospetti.
“Chiama il 113, mentre io vado a vedere” fa il ragazzo che allontana.
“Non fare l’eroe! Quelli di solito muoiono. Tu mi servi vivo” afferma premurosa la ragazza, mentre afferra il telefono.
Il ragazzo alza le spalle. ‘Quando ha bisogno di me, è tutto latte e miele. Non appena cessa il pericolo, mi rifila un calcione per mandarmi via’ si dice, mentre va verso l’ingresso. Accende le luci e si avvicina all’uscio per controllare. I rumori cessano. La sensazione è di udire un leggero scalpiccio di passi, che si allontanano. Dall’occhio magico vede solo buio. La tentazione di aprire la porta blindata e controllare, se ci sono segni esterni, è forte ma la prudenza lo ferma. ‘Ci guarderò più tardi, in mattinata’ riflette, mentre si assicura che tutto sia in ordine.
Tornato in camera, Luca trova Vanessa col telefono in mano e gli occhi sbarrati per la paura. Torna sotto le coperte accanto a lei.
“Hai chiamato?” le domanda il ragazzo.
“No”.
“Bene. Lascialo impostato se dovesse servire. Ma credo che per stanotte dovremo essere tranquilli” afferma Luca con decisione.
“Cosa te lo fa credere?” gli chiede la ragazza.
“Sensazioni. Quando ha avvertito la mia presenza vicino alla porta, se ne è andato” dice il ragazzo con tono rassicurante. “Ora comprendi le motivazioni del mio turbamento per la telefonata e per lo squillo misterioso?”
Vanessa non replica. Sa di aver riso alle preoccupazioni dell’amico senza dare il giusto peso a quelle anomalie.
“Mi chiedo chi possa essere?” riprende a esternare Luca “Chi conosce i nostri obiettivi? Come li ha scoperti?”
“Non saprei come risponderti, Luke. Io non ho parlato con nessuno. Lo sai benissimo. Contatti con persone estranee zero, a parte la bibliotecaria di Sala Borsa. Proprio non saprei darti una risposta”.
Il ragazzo non è molto convinto della difesa dell’amica. Non perché creda, che in qualche modo si sia lasciata sfuggire il motivo delle loro ricerche ma perché sa che il suo numero di telefono non è facile da conoscere. Lui non ama fornirlo a tutti. Quindi a rigore di logica dovrebbe essere qualcuno della sua cerchia di conoscenze. ‘Ma chi?’ si dice. “La visita notturna potrebbe essere qualcuno che ha ascoltato le nostre chiacchiere e ha deciso di metterle a frutto” afferma. “Ma la chiamata non è casuale. E quel ‘lascia perdere’ non è stato detto così per caso. No, c’è qualcosa che sfugge alla mia comprensione”.
É un Luca dubbioso, ripiegato su di sé, quello che parla, Vanessa lo comprende chiaramente, mentre legge l’orario sulla radiosveglia.
“Diamine, già le cinque e mezza!” esclama la ragazza. “Anche stanotte abbiamo dedicato al sonno solo qualche briciola di tempo. Che facciamo”.
“Un caffè per darci la giusta carica per la nuova giornata” la esorta il ragazzo.
Vanessa indossa sulla camicia da notte una vestaglia di flanella, mentre Luca infila i jeans e un maglione.
“Quel ‘lascia perdere’ continua a ronzarmi nella testa” afferma il ragazzo, che osserva l’amica nella preparazione della moka.
“Ma quella voce era maschile o femminile?” domanda la ragazza, mentre accende il fornello.
“Maschile, maschile. Era cavernosa e lontana” risponde Luca, che mette sul tavolo le due tazzine e lo zucchero di canna.
“Non mi dire che era un fantasma riemerso dal passato!” dice Vanessa, mentre versa il caffè nelle tazzine.
“Beh! A dire il vero ci avevo pensato” replica divertito il ragazzo. “Ma non mi risulta che personaggi vissuti settecento anni fa possano conoscere le moderne tecnologie! Però a questo punto sto cambiando idea”.
“Cerca di essere serio, almeno una volta!” esclama la ragazza, che agita i capelli rossi.
“Lo sono”.
Vanessa ride. É incorreggibile ma proprio per questo vado d’accordo con lui. Non perde mai il buon umore, si dice, mentre sorseggia il caffè.
“Non hai un’idea a chi hai pestato i piedi?” gli domanda la ragazza.
“Assolutamente no!” risponde Luca. “Anzi sì”.
“E chi sarebbe?” gli chiede curiosa Vanessa.
“Non ti metti a ridere, se te lo dico?” fa il ragazzo, diventato serio.
“Lo prometto” e mette gli indici incrociati sulla bocca.
“É un frate domenicano. Fra’ Bartolomeo da Ravenna” esterna compunto Luca.
“Un frate? E cosa gli hai fatto?” dice stupita la ragazza.
“Io nulla”.
Vanessa lo guarda come se di fronte a lei ci sia un alieno.
“Personalmente nulla. Ma l’ho risvegliato dopo un sonno di trecento anni” esclama il ragazzo sorridente.
La ragazza dopo un primo momento di smarrimento ride di gusto.
“E al frate cosa hai fatto di così grave da minacciarti?” gli chiede divertita.
“Ho letto la cronaca, quando nel settecento ha cercato invano il tesoro che Pietro da Bologna ha nascosto abilmente” risponde il ragazzo serioso.
Vanessa lo abbraccia di slancio. “Sei uno spasso!” gli dice, mentre lo bacia.
“Grazie! Tutti questi baci mi hanno fatto venire fame. Facciamo la colazione?” fa Luca, osservando l’orologio della cucina.
Una storia come tante. Al tempo del web – parte prima
Una storia così anonima – parte diciottesima
Sens, 10 novembre 1307, ora terza – anno secondo di Clemente V
Il chierico Philippe è nella stanza del segretario dell’arcivescovo di Sens e attende di essere ricevuto. Il segretario, il monaco benedettino, Alphonse de Mullins, insiste per farsi consegnare il messaggio ma il chierico è irremovibile.
“Sua santità, Clemente V” mente Philippe “si è raccomandato. Devo consegnarlo di persona. Nelle mani di Monseigneur Roland de Bernard”.
“Ma Monseigneur Roland è impegnato con le orazioni mattutine. E poi…” continua ostinato il monaco.
“Aspetterò tutto il tempo necessario. Anche l’intera giornata” tronca di netto il chierico, inginocchiandosi davanti all’effigie della Madonna per pregare.
Passano le ore e il chierico è sempre lì, genuflesso davanti all’effigie di Maria. Non demorde, è paziente. Sa che la sua costanza sarà premiata.
Il segretario lo osserva, non pronuncia parola. Gli ordini sono precisi e categorici: tutta la corrispondenza per l’arcivescovo deve essere intercettata, letta e copiata per essere trasmessa a Paris. L’ostinazione di questo giovane prelato lo sta innervosendo ma non può con la forza costringerlo a consegnare il messaggio. Rischia di scoprire il suo gioco e sa che nessuno verrebbe in suo aiuto. Chiamare un sicario per assassinarlo sarebbe la soluzione peggiore. Spera che il chierico, persa la pazienza, si rassegni ma vista la cocciutaggine di non voler cedere alle sue richieste dubita che riesca nel suo intento.
É l’ora nona e la situazione non si è sbloccata, quando un evento inaspettato sconvolge tutto.
Paris, Châtelet, 10 novembre 1307, ora terza, anno secondo di Clemente
Pietro da Bologna è di nuovo davanti a Guillaume de Nogaret e non ha perso la baldanza iniziale. Risponde e controbatte. Puntualizza e fa rettificare i verbali. Mette a dura prova la tenuta nervosa del guardasigilli, che pensava a una passeggiata, mentre si trova spesso in difficoltà.
“Spero che nella notte abbiate avuto modo di riflettere sulle questioni di ieri. MI auguro che finalmente diciate la verità” afferma in modo sibillino Guillaume.
“Ho sempre detto il vero. Se giuro sulla Bibbia, sono conscio che lo spergiuro sia un peccato capitale” ribatte senza abbassare la vista Pietro.
“Eppure non siete sincero sulla cerimonia di iniziazione degli aspiranti monaci” insiste il guardasigilli.
“Non credo. Quello che ho descritto è quanto conosco” replica con tono fermo il templare.
Guillaume capisce di essere in un vicolo cieco. Più si ostina a crederlo un mentitore, più Pietro si arrocca nella sua versione, che non ha modificato di una virgola rispetto alla prima volta. Deve trovare il modo per scardinare quella difesa tanto ostinata quanto efficace. Chiama il segretario per farsi consegnare un documento. Spera che sia l’arma finale per mettere fine a questo interrogatorio che non lo porta da nessuna parte.
“Perché siete venuto a Paris?” gli chiede il guardasigilli, sapendo che non è vero.
“Io non avevo nessuna intenzione di venire a Paris. Mi hanno costretto con la forza i suoi sgherri” risponde con pacatezza il frate, che non è caduto nel tranello.
“Veramente non mi risulta così” esclama Guillaume, mostrando una sorpresa che non ingannerebbe neppure un bambino.
Pietro ride e pensa che trappole così infantili sarebbero scansate da chiunque. A volte mi sembra un ingenuo, altre un furbacchione maldestro, altre volte un misero idiota, si dice ma per contro non lo ritiene uno sprovveduto ma un abile commediante.
“Ho forse fatto una battuta comica?” fa Guillaume visibilmente infastidito dal comportamento di Pietro.
“No. Ma ho sorriso perché la ritengo una persona intelligente, dotata di una capacità cognitiva superiore alla media” dice il frate, riacquistando la seria compostezza che ha adottato dal giorno precedente.
De Nogaret accusa il colpo e sta per replicare velenosamente, quando entra nella stanza il segretario con diverse pergamene legate con un nastro di raso rosso. Rompe il sigillo di ceralacca che le sigillava.
“…Una cosa amara, una cosa deplorevole, una cosa certamente orribile a pensarsi..” così comincia Guillaume a leggere con tono grave.
Pietro immagina che si tratta di un interrogatorio di un confratello ma non ne conosce l’autore. Si fa attento per cogliere ogni minima inflessione della voce.
“…un crimine detestabile, un delitto esecrabile contro Dio e contro la natura. I fratelli del Tempio hanno operato come lupi, travestiti da agnelli. Abbiamo insultato sciaguratamente la religione e la nostra fede. Abbiamo tradito la veste che indossiamo e il giuramento che abbiamo fatto prendendo i voti. Abbiamo costretto i novizi, che aspiravano di entrare nelle Militiae Christi a sputare sulla croce…”. Guillaume fa una pausa di effetto per vedere le reazioni di Pietro. Lui è impassibile, attento e concentrato ma senza dare segni di scandalo. ‘Dunque è vero. Anche lui concorda con quanto ho letto’ si dice il guardasigilli soddisfatto.
“Osservo che voi non negate quanto sta scritto in questo verbale di interrogatorio” esordisce Guillaume.
“Ascolto con attenzione quello che state leggendo ma non sono d’accordo con quanto sta scritto” risponde con calma il frate.
De Nogaret trasale incredulo. Tutte le sue ipotesi sono smentite dalle parole che ascolta.
“Pertanto negate che i novizi siano sottoposti a simili trattamenti?” esclama il guardasigilli visibilmente adirato.
“Nego con fermezza che i novizi della provincia di Lombardia siano costretti a subire queste imposizioni” afferma Pietro con la calma dei forti.
“Dunque negate tutto questo?” dice de Nogaret, che ha riacquistato la compostezza che il ruolo gli assegna. “Sapete chi ha firmato questo verbale?”
“Immagino uno dei nostri confratelli. Se mi sforzassi di comprendere chi è, non lo capirei mai” conclude il frate.
Il guardasigilli ride. É convinto di averlo in pugno. Fa un cenno al segretario di avvicinarsi. “Consegnate questo al frate qui dinnanzi” fa con tono sprezzante.
Pietro legge. Alza un sopracciglio di sorpresa ma nasconde immediatamente lo stupore che lo pervade. Dubita però che la firma sia autentica. Se lo fosse, è certo che queste dichiarazioni siano state estorte con la tortura. Lui non conosce Jacques de Molay ma quello che è giunto alle sue orecchie è di tutt’altro genere. Duro, inflessibile e profondamente legato al giuramento fatto, entrando nell’ordine.
“So chi ha firmato ma non conosco quale sia la sua firma” dice Pietro, soppesando le parole.
Guillaume de Nogaret trattiene a stento la collera. Quel frate dall’aria indifesa l’ha insultato con sottigliezza. Non mi ha dato esplicitamente del mentitore ma ha insinuato che potrei esserlo, pensa, mentre chiama il capitano delle guardie. “Accompagnatelo nella sua cella”.
Sens, 10 novembre 1307, ora nona – anno secondo di Clemente V
“Chi aspettate, Philippe de Laurent?” dice una voce familiare alle spalle del chierico.
“Nessuno. Attendo di consegnare un dispaccio urgete e riservato a sua eminenza, il vescovo di Sens” risponde il chierico, voltandosi.
Il prelato sorride. Sa quanto sia difficile consegnare di persona un messaggio per Monseigneur Roland, specialmente negli ultimi tempi da quando Alphonse de Mullins ha assunto il ruolo di segretario personale dell’arcivescovo.
“Se me lo consegnato, proverò a metterlo alla sua attenzione” fa Bertrand de Mullon, tendendo la mano.
“Grazie per l’offerta ma non posso tradire la fiducia del Santopadre” dice il chierico, che saluta con deferenza il nuovo arrivato.
“Se non sono indiscreto, perché?” chiede Bertrand, che conosce bene, quanto Philippe sia ligio agli ordini ricevuti.
Il chierico si eleva per i suoi quasi quattro piedi di liprando, prima di iniziare a parlare.
“Il Santopadre mi ha fatto giurare sulla Bibbia che avrei consegnato di persona queste pergamene, di cui ignoro il contenuto. Quindi la mia anima sarebbe dannata per sempre, se venissi meno al giuramento prestato”.
Bertrand sorride e prende per un braccio Philippe.
“Siete troppo leale per rompere un giuramento” dice il prelato, che si avvia col chierico verso le stanze dell’arcivescovo sotto lo sguardo atterrito del segretario. “Venite con me. Vi accompagnerò di persona al suo cospetto”.
I due spariscono inghiottiti dai lunghi corridoi dell’arcivescovado.
una storia così anonima – parte diciassettesima

Bologna, 21 febbraio, 2015 – ore 22
I due ragazzi sono rincasati da poco dopo la lunga sosta in pizzeria. Sono allegri e distesi, mentre chiacchierano di tutto e di niente. É stata una lunga giornata e la notte precedente è stata breve.
“Cosa facciamo? Leggiamo altre due righe del tuo cronista settecentesco oppure riprendiamo domani?” dice Vanessa, mentre appende il piumino.
Luca guarda l’orologio e sbadiglia.
“Per me va bene leggere ancora qualcosa” fa, mentre si stiracchia vistosamente.
“D’accordo. Un’oretta e poi a nanna” conviene la ragazza.
Di ore ne passano almeno due ma hanno letto gli ultimi sviluppi della storia. Il ragazzo si appoggia allo schienale della sedia. Vanessa ha gli occhi verdi arrossati e lacrimosi.
“Dunque Pietro deve compiere una missione. Quale?” dice Luca, intrecciando le mani dietro la nuca.
“Uhm!” mormora la ragazza, che si sfrega con vigore le palpebre.
“Pare un intrigo internazionale. Da un lato alcuni cardinali tramano. Dall’altro la fazione opposta intriga. Il re e i suoi accoliti si fregano le mani e dicono ‘grazie’. Pare di vedere la situazione attuale. Ma l’oggetto del contendere cos’è?” continua a interrogarsi il ragazzo, senza trovare una convincente risposta.
“Forse riguarda il tesoro dei templari” azzarda questa ipotesi Vanessa.
“Ma quale tesoro? Quello del Tempio oppure qualcosa d’altro che non conosciamo?” risponde Luca.
“Mi pare azzardata qualsiasi tesi” replica la ragazza. “Ma noi non dobbiamo occuparci del tesoro nascosto dei templari bolognesi?”
“Direi di sì! Ma ho la sensazione che sia legato alla convocazione di Pietro a Poitiers. Così a spanne, a intuito. Forse mi sbaglio ma non di troppo” fa il ragazzo, chiudendo il computer.
Vanessa non replica alle ultime affermazioni dell’amico. Dubita che sia tutto così semplice. Se il cronista riporta i verbali dell’interrogatorio, forse riusciamo a comprendere la vera natura del viaggio, si dice la ragazza, senza esternare i suoi pensieri.
Luca la osserva e si domanda a cosa stia pensando. Ci scommetto, si dice, che il suo pensiero è quello di mettere le mani sulle ricchezze dei templari bolognesi. Ma sono reali o solo virtuali?
Restano in silenzio, seduti sul divano, che la notte appena trascorsa è stato il letto di fortuna. Ognuno sta elaborando le proprie congetture, avendo il timore di dirle ad alta voce.
Stanno per cominciare a parlare, quando il telefono di Luca squilla, o meglio diffonde una breve melodia. Il ragazzo guarda il display ma con sorpresa è un numero sconosciuto, anzi oscurato.
“Chi sarà?” sbotta il ragazzo.
“Rispondi! E lo saprai” gli suggerisce di rincalzo Vanessa.
Luca apre la conversazione non del tutto convinto che sia la mossa giusta.
“Pronto”.
“Lascia perdere” dice una voce, che pare provenire dall’oltretomba.
“Perdere cosa?” chiede Luca basito.
“Lascia perdere” ripete lo sconosciuto prima di chiudere la comunicazione.
Il ragazzo guarda il display che mostra lo screen saver. Sta lì immobile e perplesso, perché è convinto di aver sbagliato nel rispondere.
“Hai visto un fantasma?” gli chiede la ragazza.
Lui non replica. É come in trance. Si riscuote, armeggia con la lista delle chiamate: ‘numero privato‘ è l’unica indicazione.
“Insomma che c’è?” domanda Vanessa inquieta. Non ha mai visto Luca così bianco, che pare un cadavere.
Il ragazzo si riscuote e riacquista l’uso della voce.
“Inquietante” è l’unica parola che riesce a dire.
“Inquietante? Perché? Spiegati. Sei bianco come un lenzuolo. Hai visto forse dei fantasmi?” dice la ragazza, che appare nervosa.
“No!” fa Luca “Anzi sì!”
“Non fare il tuo solito! Ti vuoi burlare di me?”
“No, no! Sono serissimo. L’immagine dei fantasmi no ma la voce sì” afferma con calma Luca.
“Visto che si tratta di fantasmi e i misteri mi piacciono, potresti dirmi in breve cosa ti ha detto?”
“Niente” dice il ragazzo.
“Come niente? Ti contraddici? Eppure ti ho sentito rispondere” esclama Vanessa, alzandosi in piedi leggermente indispettita.
“Lascia perdere” replica Luca, scuotendo il capo.
“Lascia perdere?” fa la ragazza, alzando il tono della voce “Mi dici o non mi vuoi dire cosa hai ascoltato di tanto sconvolgente?”
“Lascia perdere” ripete con timbro monocorde il ragazzo.
“Uffa! Sto perdendo la pazienza! Insomma quello o quella sconosciuta cosa ti ha detto?”
“Lascia perdere. Due volte” fa Luca, riscuotendosi dalla trance nel quale era piombato.
Vanessa rimane a bocca aperta, senza parole. Adesso è lei, che soffre di afasia. Non riesce a credere a quello che ha udito.
“Sì, ha detto due volte ‘lascia perdere‘, scandendo bene le lettere” afferma il ragazzo, che si sta riavendo dallo choc.
“Ma chi era?” domanda incredula la ragazza.
“Vallo a sapere!” replica il ragazzo.
“Avrà pure un numero la chiamata” fa Vanessa, che si risiede sul divano.
“E no!” esclama Luca. “Numero privato” aggiunge laconico.
“Cazzo! Bel colpo! Ma la voce era maschile o femminile?” domanda la ragazza.
Lui sta in silenzio per qualche istante, come se volesse risentire quella voce, prima di parlare di nuovo.
“Maschio, senza dubbio” fa il ragazzo con tono serio.
Vanessa comincia a innervosirsi per le lungaggini dell’amico. Sembra che debba togliergli con le tenaglie le parole dalla bocca.
“Insomma, puoi sveltire il discorso e dirmi tutto senza che debba stimolarti le risposte?” chiede la ragazza, che appare nervosa. “Dunque ha detto ‘lascia perdere‘ due volte. É un maschio. Altre informazioni?”
“Sì. La voce sembrava provenire dall’oltretomba senza inflessioni particolari” esclama Luca. “Mi domando come può avere il mio numero?”
Sull’ultima domanda del ragazzo rimangono in silenzio. Lui col telefono ben stretto nella sinistra. Lei con lo sguardo nel vuoto. ‘Inquietante’ si dice Vanessa ‘veramente inquietante è questa telefonata. Uno sconosciuto telefona nel cuore della notte e pronuncia due parole dall’oscuro significato. O forse no?’ La ragazza si riscuote e sorride.
“Forse ho capito a cosa si riferisce quel ‘lascia perdere‘. Qualcuno non desidera che noi indaghiamo sul tesoro dei templari bolognesi” esclama la ragazza, guardando l’amico.
Luca si gira con lentezza verso di lei, mentre mette via il telefono. C’è qualcosa di poco chiaro in tutto questo e lui lo percepisce chiaramente.
“Ammettiamo che tu abbia ragione. Ma mi domando come è a conoscenza che stiamo indagando su fatti avvenuti settecento anni fa? E poi come conosce il mio numero? E in particolare sulla seconda domanda che sto riflettendo” fa Luca, guardandola in viso.
“Moh! Glielo avrai dato tu…” replica la ragazza.
“A chi? A quale persona avrei consegnato il mio numero di telefono?” dice il ragazzo.
“E come faccio a saperlo? Mica conosco tutte le tue interfacce!” ammette Vanessa, sorridendo.
“La mia è un’esternazione a voce alta. Immagino che tu non conosca tutti i miei contatti ma una telefonata dopo la mezzanotte non è mica usuale. Dal tono della voce, ti assicuro, pareva che fosse a conoscenza che ero a casa tua”.
“Ora non volare con la fantasia, scrittore! Prima dici che è un fantasma, adesso che sa dove ti trovi! Cos’è dotato di sfera di cristallo? Non sei convincente!” afferma la ragazza.
“Hai ragione! Non sono stato per nulla chiaro! Ma la sorpresa della telefonata non mi ha fatto ragionare con lucidità. Quel ‘lascia perdere‘ mi ha destabilizzato!” conclude Luca. “Che ne dici se andiamo a dormire e domani riflettiamo con calma su tutto?”
“Buona idea” fa Vanessa, che sogghigna “se fai il bravo, puoi venire nel lettone. Altrimenti ti rimane solo il divano”.
“Se mai voglio dormire bene, devo fare il bravo per forza” esclama il ragazzo per nulla convinto sugli avvenimenti appena accaduti.
“Dal tono della tua voce sto pensando di essere stata troppo incauta nella proposta” replica la ragazza.
“Non ti fidi?” fa Luca, che si sta riprendendo. “Giurin giurella…”.
“Non fare lo spergiuro. Dai, piaga, che andiamo a dormire” dice ridendo Vanessa.
Chiacchierano, finché la voce si affievolisce nel sonno.
Un trillo del campanello li sveglia.
“Chi sarà?” chiede allarmata la ragazza.
“Vado a vedere” fa Luca, alzandosi.
“Non aprire, mi raccomando” si premura di suggerire Vanessa, che trasale osservando l’ora. La sveglia segna le tre di notte.
“Certamente, no! Nemmeno se fossero i carabinieri” dice il ragazzo che a piedi nudi va a vedere il videocitofono.
“Chi è?” domanda la ragazza, mentre infila le pantofole.
“Non sono riuscito a vederlo bene. Sembrava in maschera con un mantello bianco. Siamo già in quaresima. Il carnevale è finito” afferma con ironia Luca.
“Che facciamo?” chiede Vanessa.
“Non ho più sonno” risponde il ragazzo.
“Nemmeno io. Prendi il computer e torna a letto. Leggiamo qualcosa nell’attesa dell’alba” fa la ragazza, che si infila di nuovo sotto le coperte.
parte diciottesima