Alexia

Correte, correte. Secondo articolo di seguito per Newwhitebear su Caffè letterario.
Anche i commenti sgradevoli sono graditi.
Buona lettura

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Avviso ai naviganti – Uffa che barba 2.0

Faccio il secondo e ultimo intervento sul problema biscottini e poi basta.
In primo luogo dobbiamo chiarirci, e io sono il primo che devo fare chiarezza con me stesso, cosa è quella che è stata chiamata “Cookies Law” mutuandola dal garante della privacy inglese.
Il provvedimento del garante del 8 maggio 2014, che è entrato in vigore il 3 giugno 2015, ‘ Individuazione delle modalità semplificate per l’informativa e l’acquisizione del consenso per l’uso dei cookie‘ è semplicemente un chiarimento sul articolo 122 della legge 196, 30 giugno 2003, ‘Il Codice in materia di protezione dei dati personali‘. Un chiarimento non sempre chiaro, in puro stile garante della privacy. In buona sostanza cosa cerca di trasmettere? Le linee guida da osservare per rispettare la protezione dei dati personali ovvero seguendo le sue indicazioni si è sicuri di rispettare il codice. Questo è per chiarire la portata di quel provvedimento. Che poi semplifichi la vita ai gestori dei siti, questo è tutto da vedere.
In data odierna il garante ha emesso un comunicato stampa, che di certo deluderà le aspettative di molti – se qualcuno pensava che facesse un ‘libera tutti’, si sbagliava e di molto,  ‘Chiarimenti in merito all’attuazione della normativa in materia di cookie‘. Riporto solo le conclusioni finali. Chi vuole se lo può leggere dal link accluso.
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Infine è giusta la nota polemica del garante. Nel 2009 una direttiva della CE, eurozona tanto per essere chiari, ha chiesto ai singoli garanti di recepirla per armonizzare la gestione dei cookies. Fino al 2012 è rimasta nel cassetto del garante italiano, finché. bontà sua, non è stata recepita per decreto – si rischiava la procedura di infrazione con quel che ne consegue. Quindi ha iniziato la stesura del provvedimento, terminata nel 2013. Come di consueto, il garante ha avviato una pubblica discussione durata i consueti sei mesi. E pare che nessuno abbia avuto motivi di doglianze. 8 maggio 2014 diventava ufficiale il testo attuale, dando 13 mesi di tempi per gli adeguamenti dei siti. Ovviamente, in puro stile italiano, nessuno ha agito e tutti hanno cominciato a strapparsi i capelli e stracciarsi le vesti nell’imminenza della sua entrata in vigore. Commenti?
Infine veniamo ai simil-banner che molti blogger hanno messo, pensando di pararsi il deretano. Vorrei ricordare che se il 3 giugno 2015 erano inadempienti, lo erano anche prima, perché il Codice è attivo dal 1998 e non ammette sconti.
Personalmente ho trovato di dubbio gusto accusarsi di distribuire cookies suoi e di terze parti in tutti i PC dei visitatori. Motivo? Non hanno rispettato il codice. Copiare da siti come RAITV o similari, senza nemmeno capire cosa si dichiara pubblicamente è stato un errore di valutazione non piccolo, che potrebbe, in linea teorica, fruttare una denuncia al garante. Molto meglio sarebbe stato o non dire nulla o preparare una paginetta, dichiarando di non installare cookies di nessun genere. Non lo dico con senno del poi ma in diverse risposte a diversi blogger avevo scritto proprio così.
Adesso taccio e mi occuperò solo dei miei blog e della prossima pubblicazione su Caffè Letterario di domenica 7.
E’ vero che è stata una simpatica rimpatriata sulla Privacy, croce e dolore per una dozzina d’anni, facendomi sentire più giovane di diversi anni ma ho capito che nulla è cambiato sotto il sole d’Italia.

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Avviso ai naviganti – uffa che barba

Dovevo pubblicare la dodicesima parte di Un storia così anonima, invece sono costretto a scrivere questo articolo.
Dalle ore 0.0 del 3 giugno 2015 entrerà in vigore la cosidetta Cookies law, partorita da qualcuno che evidentemente non conosce il web. Per farla corta dovrei riempire il blog di scritte, banner e istruzioni sull’uso dei cookies che faccio sul mio blog, come se questo fosse prodotto da me, eccetera, eccetera.
Ora io non uso cookies, perché li odio e quando posso impedisco loro di essere presenti sul mio PC e durano lo spazio di una sessione ovvero si cancellano alla chiusura del browser. Però WP li usa a piene mani, che io voglia oppure no.
Quindi chi naviga nel mio blog senza presentarsi a WP, non becca nessun cookies. Peccato che WP non consenta più a questi utenti anonimi di commentare i miei articoli. Piccola ritorsione nei confronti di costoro. Peccato.
Naturalmente se uno fa il login su WP, si becca tutti i cookies di WP. Ma per il garante, quello sciagurato che ha partorito questo decreto sciocco, è come se li avesse beccati navigando sul mio blog. Pura follia e mostruosità informatica. Quindi ho aggiunto sulla barra del menù una nuova scheda Supporto della privacy, dove rimando i miei lettori alle politiche di privacy di wordpress.org. Comunque sul mio blog e su quello secondario di cookies manco l’ombra. Verificato con un secondo PC e un tracciatore di cookies.
Ci sarebbe un’altra menata: disabilitare Google analytics, che traccia dove andiamo e cosa facciamo. Io l’ho fatto aggiungendo un plugin al mio browser. Google, bontà sua, ne mette a disposzione uno per ogni browser. Questo è il link
https://tools.google.com/dlpage/gaoptout/
In questo link c’è il riassunto della telenovela.
http://www.alfonsostriano.it/cosa-fare-per-adeguarsi-al-cookie-law-in-italia/
Se sono in regola con Cookies Law lo sa solo Iddio e il Garante ma molti impauriti dalle multe stratosferiche hanno deciso di chiudere bottega.
Per il momento resisto e davanti ad ogni articolo metterò un warning, per quello che vale.

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Una storia così anonima – parte undecima

dal web
dal web

Bologna 21 febbraio 2015, ore 14

Quando Luca arriva al civico 16, sotto casa di Vanessa, la trova che lo sta aspettando.

“Potevi camminare più in fretta” lo redarguisce. “Sono qui da un’ora”.

Il ragazzo la guarda come se fosse una persona aliena. Non replica. Sbuffa, mostrando gli innumerevoli sacchetti di plastica, che tiene in mano. Vorrebbe soffiarsi il naso che gocciola come una fontana ma non può. É scuro in volto e più di una volta si è detto ‘Fanculo!‘. Adesso sta in silenzio.

“Per due borse!” dice Vanessa sarcastica.

“Due borse di mia nonna!” replica Luca con la mosca al naso, trattenendosi dal dire parolacce. “E le tre ore al gelo e in piedi, quelle non le conti?”

“Ora saliamo e così ti riscaldi, brontolone” fa la ragazza, mentre prende le chiavi dalla borsa.

Vanessa sorride e apre il portone senza aggiungere nulla. In silenzio salgono al secondo piano con l’ascensore. Luca tiene il muso. Gli pare essere preso per i fondelli e mastica amaro. Se non fosse per il manoscritto l’avrebbe già mandata a quel paese, mettendo le borse per terra.

“Posa le sportine della spesa sul tavolo” gli dice, mentre lo abbraccia e gli scocca un bacio sulla bocca come riparazione delle frecciate di prima.

Il ragazzo addolcisce il viso e si rilassa un pochino ma l’irritazione non è cancellata.

“Prepariamo il sugo coi pomodori acquistati, mentre si cuociono gli spaghetti integrali al kamut” afferma decisa. Prende dal cassetto sotto il piano di cottura due pentole che riempe di acqua.

Luca si è seduto e si massaggia le mani indolenzite e violacee per il freddo.

“Cosa hai trovato in Sala Borsa?” le chiede il ragazzo. “Mi dai Repubblica che leggo l’articolo?”

“No!” replica Vanessa seccamente. “Lo leggiamo insieme. Dopo. Con calma. In Sala Borsa? Un paio di libri, che ho preso in prestito. Non so quanto ci saranno utili”.

“Cosa pensi di Henry de Caron? Hai capito dalla cronaca dell’Anonimo, perché sta alle calcagna di Pietro? Io, no” fa Luca, mentre si soffia il naso vistosamente.

“Neppure io” fa Vanessa, mentre prende fuori dalla pentola in ebollizione i pomodori. “Sbucciali, mentre metto a cuocere la pasta”.

Luca comincia a togliere la pelle, mentre riflette sulla storia.

“Pare che il famoso cunicolo esista per davvero, stando al titolo della locandina” dice il ragazzo.

Vanessa non risponde subito, mentre taglia a tocchetti i pomodori pelati, che mette in una casseruola con olio d’oliva, uno spicchio di aglio e prezzemolo.

“Parrebbe di sì, se il testo conferma il titolo” fa la ragazza che mette sul fuoco la teglia. “Senti la pasta. Mi piace al dente ma non troppo”.
“Ma secondo te, Pietro raggiungerà la corte papale? Dovrebbe farcela, ha un salvacondotto” afferma Luca, mentre assaggia uno spaghetto.
“Non saprei se ce la fa. Il salvacondotto? Allora come oggi non conta nulla. Non badavano tanto alle apparenze di un pezzo di carta. Fair play, rispetto delle regole erano degli optional. Non credo che sia cambiato molto al giorno d’oggi” risponde Vanessa, che assaggia il sugo, dopo aver eliminato lo spicchio d’aglio. “La pasta?”
“Per me è cotta” replica il ragazzo. “Se Pietro ritorna sano e salvo dalla Francia, sicuramente sposterà il tesoro”.
“Non farti illusioni. Trovarlo, ammesso che esista o sia esistito, è come la ricerca di un ago nel pagliaio” afferma con decisione Vanessa, mentre versa gli spaghetti scolati nel sugo di pomodoro. “Lava un po’ d’insalata. E non stare lì impalato col viso meditabondo! Dati da fare, se vuoi mangiare!”
Luca prende due caspi di insalata gentile, uno verde e uno rosso. Toglie le foglie brutte e dopo averle sminuzzate mette il tutto nello scola verdure.
“Però secondo me Pietro non fa un viaggio inutile fino a Poitiers. La convocazione è un semplice pretesto” dice il ragazzo, mentre lava con cura l’insalata sotto l’acqua corrente.
Adesso c’è rimasto solo da cuocere le fettine di vitello‘ pensa Vanessa, mentre prende una tovaglia di cotone da un cassetto.
“Sgombra il tavolo. Passalo con la spugnetta umida. Poi metti la tovaglia, piatti, bicchieri e posate” fa la ragazza, che continua a dare ordini. “Anche secondo me. Se il papa voleva incontrarlo, poteva scegliere un momento più opportuno”.
Uffa! Sempre a comandare!‘ si dice Luca, mentre stende la tovaglia e mette quel che serve sul tavolo. Apre il frigo e prende acqua e il vino. Il pane è fresco. Tuttavia i suoi pensieri sono tutti rivolti a Pietro, che trova furbo come una faina. Ha scoperto il gioco sporco di Henry de Caron, l’ha fregato nella salita verso il Moncenisio e adesso chissà cosa ha escogitato per bidonarlo una seconda volta.
“Pietro è un furbacchione, abile con le parole e svelto col cervello. Mi domando se ha un’idea del motivo per il quale è stato convocato dal papa. É vero che lo conosce personalmente ma la situazione per i templari non si può dire ottimale. Inoltre rischia di assaporare le panche delle prigioni reali francesi” dice Luca, mentre sistema la tavola.
“Anziché chiacchierare, cuoci le due fettine di vitello. Vuoi senape o maionese?” gli domanda Vanessa.
“Solo un filo d’olio” risponde il ragazzo.
“Tieni alla linea?” lo canzona la ragazza. “Sì, Pietro è un tipo tosto. Dubito che finisca in una prigione francese. É troppo abile con le parole ed è sveglio con la mente per lasciarsi ingabbiare”.
“D’accordo con te. Ma quelli erano tempi bui e pericolosi per tutti” afferma Luca, che non risponde alla provocazione della ragazza. Mette sulla piastra le due fettine che cuoce con perizia.
“E adesso tutti in tavola. Bando alle ciance. Lavorano solo le mandibole” fa Vanessa, sedendosi.
Il ragazzo alza gli occhi verso l’orologio. Gli scappa un fischio.
“Che c’è, ora?” domanda la ragazza, che non ha afferrato il senso della sorpresa di Luca.
“Hai visto l’ora?”
“No”.
“Sono già le tre!” fa il ragazzo sorpreso.
“Embé? Devi andare da qualche parte?” esclama Vanessa con la bocca piena di spaghetti.
“No. Il tempo è volato oggi” replica Luca. “Buoni questi spaghetti”.
“Perché dubitavi?” dice la ragazza pronta a ringhiare, se lui avesse osato mettere in dubbio le sue qualità di cuoca. “Dove abbiamo lasciato i nostri eroi?”
“Ah! Ah!” fa il ragazzo, sghignazzando.
“Che hai da ridere, sciocca creatura!” afferma stizzita Vanessa.
“Hai detto che dovevamo mangiare senza pensare alla storia” la pungola Luca.
“Infatti, non parlo della storia. Volevo vedere se eri stato attento nella lettura” lo sfotte con sarcasmo.
Luca vorrebbe rispondere per le rime ma non gli va di rovinare il pranzo con battute e ribattute. Ha fame. Il giorno prima ha mangiato qualche panino annaffiato da litri di caffè. A parte il bombolone della mattina non ha messo sotto i denti nulla.
“Dove li abbiamo lasciati?” dice il ragazzo. “Pietro a … nel paesino dopo il valico e Henry de Caron all’Ospizio”.
“Cosa pensi che abbia scritto il nostro cronista anonimo?” fa Vanessa come se parlasse da sola.
“Non saprei” commenta Luca, alzando le spalle.
“Hai perso tutta la tua fantasia di scrittore?” lo punzecchia la ragazza.
“Ma… veramente io non sono uno scrittore. Non ho mai pubblicato nulla” si schernisce il ragazzo.
“Sei timido. Tutto qui” conclude Vanessa. “Io penso che il cronista punterà le sue fiches sull’inseguimento di Henry de Caron e sulla furbizia di Pietro”.
La ragazza si alza, toglie i piatti sporchi e mette in tavola i dolci.
“C’è un po’ di zuppa inglese” comincia la ragazza.
“Cos’è un residuato delle guerre puniche?” dice Luca, ridendo.
“Ma no. É di domenica scorsa”.
“E quindi cerchi il merlotto che la spazzi via” afferma il ragazzo con sarcasmo.
“E va bene. Me la mangio io. Preferisci il certosino o la ciambella che abbiamo comprato nel panificio?” prosegue Vanessa nell’elenco, senza replicare la battuta.
“Ciambella e vino” concorda Luca. “Sì, sì. Quando riprendiamo la lettura sicuramente troveremo l’inseguimento di Henry de Caron a Pietro. A proposito. Non è ancora il momento della lettura dell’articolo sulla Repubblica?”.
La ragazza mette in tavola la ciambella e la zuppa inglese e poi recupera il giornale.
“Posso assaggiarne un po’ di zuppa inglese?” chiede timidamente il ragazzo.
“Ma non è più il reperto archeologico?” fa di rimando la ragazza, che apre il giornale nella sezione di Bologna.
“’Quel tunnel segreto dei Templari nelle viscere di Strada Maggiore‘ titola un breve articolo” legge Vanessa. “Uffa! Appena poche righe!”.
“Leggile” suggerisce Luca, mentre sbocconcella la ciambella inzuppata nel vino.
“E va bene! Leggo”.
C’è un tunnel segreto dei Cavalieri Templari sotto i basoli appena posati in Strada Maggiore. Lo hanno individuato con il georadar gli archeologi durante i lavori per il Crealis: le analisi del sottosuolo ne hanno evidenziato la presenza in maniera chiara, anche se non è stato possibile toccarlo con mano. Si tratta di un cunicolo che parte dalla “Commenda”, la vecchia casa templare di Santa Maria del Tempio in Strada Maggiore al numero 80, localizzato a circa due metri di profondità. Vi si accedeva dalla vecchia chiesa che sorgeva all’interno della “Commenda”, quasi di fianco a dove oggi sorge la chiesa di Santa Caterina, e proprio per questo può darsi che conducesse ad una cripta sotterranea. Che i sotterranei di Bologna siano un vero reticolo di cunicoli medievali non è una novità, ma questo potrebbe servire a chiarire qualche dettaglio sulla storia dei Templari bolognesi, di cui si hanno ancora testimonianze frammentarie. E non è l’unica scoperta fatta dagli archeologi durante gli scavi in Strada Maggiore. I rilievi del georadar hanno fatto emergere anche la presenza di una cripta circa a metà del portico dei Servi, alla quale si accedeva dalla chiesa. Oltre alle fondamenta di Porta Maggiore e del palazzo dei dazi, dove si pagavano le tasse per l’ingresso delle merci –
Da La Republica – sezione Bologna – del 21 febbraio 2015 – Caterina Giusberti

“Contento? Non mi pare che dica molto. Conferma solo che il nostro cronista anonimo aveva documenti di prima mano e non semplici fantasie o fantasiose ricostruzioni. Nella stessa pagina c’è anche un intervista a un certo professor Cova sui templari. Però è troppo lungo per leggertelo. Lo farai da solo” dice Vanessa, allungandogli il giornale.
parte dodicesima

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Una storia così anonima – parte decima

dal web
dal web

Bologna, 21 febbraio 2015, ore nove

Un suono insistente mette fine all’abbraccio dei due ragazzi, che sono profondamente addormentati sul divano.

Vanessa si scuote e si agita, svegliata di soprassalto da quel rumore fastidioso. Si guarda intorno cercando di capire perché Luca sta dormendo con lei su uno scomodo letto di fortuna. Si sfrega gli occhi verdi, ancora assonnati, nel tentativo di aprirli per bene.

“Chi rompe?” esclama ad alta voce, avvicinandosi al video citofono. Non aspetta nessuno, neppure il postino, che di solito arriva intorno a mezzogiorno. Guarda l’ora. Sono passate le nove da poco.

Quando osserva lo schermo illuminato, la rabbia cresce.

“Stronzo, dovevi pensarci bene stanotte a come parlavi” dice, lasciandolo suonare inutilmente. Adesso deve risolvere un altro quesito. ‘Che cazzo ci fa Luca sul mio divano?’ si dice, mentre un lampo le rischiara la memoria. La telefonata dell’amico nel cuore della notte, il litigio con Franz, la lettura del manoscritto del seicento, la storia dei templari bolognesi.

“Chi sta suonando con tanta insistenza?” domanda Luca, che si è messo ritto sul divano, cercando un improbabile appoggio.

“Uno stronzo” replica seccata Vanessa.

“E che vuole?” insiste il ragazzo, che finalmente sta eretto.

“Non lo so e non m’importa” risponde stizzita la ragazza. “Un caffè?”

“Nero e carico” fa Luca, che traballante si muove verso la cucina.

Il ragazzo si siede pesantemente sulla sedia e osserva Vanessa che appare piena d’energia. Lui si sente come uno straccio. La notte insonne l’ha messo a terra.

“Che facciamo?” chiede Luca, sbadigliando vistosamente.

“Quello che ci siamo detti” afferma la ragazza, mentre accende il fornello.

“Non ricordo” dice il ragazzo, che ha un vuoto di memoria. “Se me lo puoi dire, faccio un refresh delle sinapsi”. Ride della battuta non molto felice.

“Andiamo in Strada Maggiore” fa Vanessa, mentre mette sul tavolo due tazze, lo zucchero di canna e della panna fresca. “Ci sono dei biscotti nella credenza”.

“Uhm! Mi basta il caffè” replica Luca, sbadigliando senza ritegno.

Adesso ricorda tutto. La visita alla biblioteca Ariostea, le fotocopie del manoscritto di straforo, il tentativo di capirci qualcosa, la corsa a Bologna nel cuore della notte e alla fine il crollo per stanchezza. Riflette su quello che hanno letto. Il tesoro dei templari bolognesi è stato nascosto. Pare, senza averne la certezza, che non sia mai stato ritrovato. Ma esiste veramente o è uno dei tanti miti, che gli scrittori hanno alimentato? Si dice, mentre sorseggia in silenzio la sua tazza di caffè.

“Tu che pensi?” gli domanda Vanessa, che non lo ha ancora bevuto, perché pensa alla lettura del manoscritto antico.

“Non lo so. Mi sento confuso. Il tesoro è un mito oppure una realtà che i nostri occhi non vedono” risponde Luca, posando la tazzina vuota.

“Non sei di molto aiuto, a quanto pare” fa la ragazza, che si è decisa di bere prima che il caffè diventi completamente freddo.

Il ragazzo sorride storto. Adesso ricorda quello che si sono detti prima di cadere sul divano abbracciati. É stato un momento di dolcezza sentirla addormentarsi tra le sue braccia. Scaccia subito il pensiero ma il retrogusto dolce rimane.

“Volevo dire…” comincia Luca non troppo convito.

“Sentiamo quale cazzata ti sei inventato su due piedi, perché non credo che ci pensavi prima” fa Vanessa, raccogliendo le tazzine, che depone nel lavello insieme alle altre della notte.

“Volevo dire che ho le idee confuse su questa storia. Il francese ha un compito preciso da assolvere. Ma quale non l’ho intuito” dice Luca, improvvisando la battuta.

Vanessa ride, perché legge con chiarezza negli occhi del ragazzo che la risposta è stata messa in piedi come un frutto improvvisato. Adesso deve correre in bagno, se non vuole lasciare un ricordo umido sul pavimento. Per le battute ci penserà dopo.

“Mi faccio una doccia veloce. Puzzo come un caprone” urla la ragazza da dietro la porta. “Poi se vuoi, la puoi fare anche tu”.

“Che caprone meraviglioso vedo!” esclama Luca, ridendo.

Vanessa esce dal bagno, afferra un cuscino da una sedia e lo tira al ragazzo, che lo agguanta al volo. Poi si dilegua nella zona notte. Luca appoggia il cuscino sul tavolo e chiude gli occhi.

Alle dieci i due ragazzi scendono in strada e si avviano verso le due torri. É una giornata fredda priva di sole. Il cielo è coperto e spira un vento di tramontana. Arrivati in fondo a via Rizzoli, entrano nel bar all’angolo per fare colazione.

“Tu, da dove cominceresti le indagini?” gli chiede Vanessa, che si sta gustando una soffice brioche al miele.

“Dalla commenda” risponde pronto Luca con la bocca piena di un bombolone alla crema.

La ragazza ride, gettando indietro i riccioli rossi che erano scivolati sugli occhi.

“Io no” dice, scuotendo il capo.

Vanessa sorseggia un tè al gelsomino senza dire una parola in più. Luca beve l’ennesimo caffè e aspetta che la compagna parli. Lei continua a tacere.

“Mi chiedi da dove cominciare. Ti rispondo ma non sei d’accordo. Poi resti in silenzio” replica il ragazzo deluso, mentre si avvia alla cassa per pagare.

“Alla commenda non troviamo nulla. Tempo sprecato” dice la ragazza, prendendolo sottobraccio.

“Ma che ci andiamo a fare?” domanda Luca alquanto basito.

“Veramente l’hai chiesto tu stanotte” replica Vanessa sorridente, mentre le cade l’occhio su una locandina dell’edicola vicina.

“Certamente, l’ho chiesto…” comincia il ragazzo, mentre lei si ferma di colpo.

Luca non comprende il motivo dell’arresto improvviso e sta per chiederle il motivo, quando capisce tutto. ‘Quel tunnel segreto dei Templari nelle viscere di Strada Maggiore‘ recitava la locandina fuori dall’edicola. Non c’è nemmeno il tempo di focalizzare e metabolizzare la notizia che Vanessa è già entrata nella rivendita per comprare una copia di La Repubblica. ‘Adesso dobbiamo trovare un posto per leggere in santa pace l’articolo’ si dice il ragazzo guardandosi attorno.

“Vieni” fa la ragazza, strattonandolo. “Arriviamo fino a via Torleone. Il numero 80 è proprio sull’angolo”. Il giornale sparisce nella sua capiente borsa.

Strada Maggiore è un immenso cantiere polveroso e rumoroso. Già camminare è un bel problema tra strettoie e piccole deviazioni. In silenzio arrivano al numero ottanta e vedono un palazzo che li lascia delusi. Scialbo e di certo molto più recente rispetto agli avvenimenti, che l’Anonimo cronista ha trascritto, si presenta ai loro occhi. Leggono la targa ‘Opera pia poveri vergognosi‘. Niente riferimenti ai Templari ma una semplice ASP. Si guardano e per un tacito accordo decidono di fare retromarcia. Nessuna informazione, nessuna luce che si accende nella loro testa suscita la vista di questo palazzo davvero insignificante.

“Facciamo un salto in vicolo Ranocchi per comprare qualcosa da mangiare” dice con tono imperioso Vanessa, mentre guida l’amico per le vie strette del centro di Bologna.

“Posso aiutarti?” le chiede Luca.

“Non è domanda da farsi! É un obbligo. Devi aiutare” esclama la ragazza, infilandosi nel negozio di frutta e verdura.

Ormai è mezzogiorno passato, quando il ragazzo, sbuffando per le numerose borse di plastica che porta, sbuca in Piazza Maggiore, seguito da Vanessa che lo dirige a bacchetta.

“Bene. Finiti gli acquisti di vettovaglie per i prossimi giorni. Faccio un salto in Sala Borsa a vedere se c’è qualche materiale interessante sui templari e in particolare su quelli bolognesi” fa la ragazza, lasciandolo in mezzo alla piazza.

“Ma è aperta anche di sabato?” le urla dietro Luca. Le sue parole si disperdono con vento che soffia freddo sulla piazza. Lui, stanco di aspettare e gelato dalla tramontana, si ripara appena dentro a Sala Borsa. ‘Qui almeno non si gela’ si dice, incapace di soffiarsi il naso che cola come una fontanella.

Dopo quasi due ore Vanessa arriva allegra con sottobraccio diversi libri presi in prestito.

“Ho trovato questi” fa la ragazza, mostrandoli a Luca.

“Io non mi sento più braccia e piedi” replica indispettito il ragazzo.

“Quante storie! Eri qui al calduccio. Che vuoi di più?” dice la ragazza, canzonandolo.

“E ora di corsa a casa!” prosegue Vanessa, avviandosi con passo deciso verso via Indipendenza.

“Se vuoi correre, corri tu. Io arrivo, quando ce la faccio” fa Luca, uscendo di nuovo al gelo. ‘Corri, corri! Di grazia che non schiatti sulla piazza’ si dice, muovendosi con lentezza. Vanessa era ormai persa di vista.

parte undecima

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Una storia così anonima – parte nona

dal fotoalbum di Virgilio
dal fotoalbum di Virgilio

Ospizio del Mont Cenis, 5 novembre 1307, primo albore, anno secondo di Papa Clemente V
Pietro si sveglia al suono della campanella, che chiama a raccolti gli abitanti dell’Ospizio per le preghiere del mattino.
“Sveglia” dice il frate, scuotendo il giovane compagno. “Assolte le preghiere del mattino e mangiato qualcosa di caldo, si parte, tempo permettendo”.
Sbircia fuori nel buio, com’è la situazione. La neve continua a cadere, sia pur con minore intensità. Ha ricoperto il paesaggio sotto una spessa coltre di bianco.
“Frate Pietro, pensate che riusciremo a metterci in marcia?” chiede Philippe scettico sulla possibilità di farcela.
“Con l’aiuto di Gesù Cristo e la protezione di Santa Maria Maddalena, penso proprio di sì” risponde il frate, che infilata la tunica bianca si avvia verso la cappella.
“É ora di mettersi in viaggio” dice Henry, scuotendo i compagni, che per il fastidio grugniscono indispettiti.
Prende qualche pezzo di legna per riaccendere il fuoco e riscaldare un po’ la gelida caverna. Sente il sibilare del vento che fischia tra le rocce. Si avvicina all’apertura e impreca. Il panno è duro come il marmo, la neve accumulata all’esterno sarà alta almeno un braccio e mezzo. Non sarà facile uscire dalla grotta. ‘Di sicuro si sono rifugiati nell’Ospizio. Ritrovare le loro tracce sarà facile’ si dice Henry, mentre ritorna sui suoi passi. Riflette su frate Pietro. Non lo conosceva, nemmeno per sentito dire. Eppure gli sono stati sufficienti pochi scambi di battute per comprendere che sarebbe stato un osso duro da rosicchiare e rendere difficoltoso il suo incarico. Adesso è in ballo e deve ballare.
“Sveglia, dormiglioni. Tra poco si parte” esclama Henry, mentre si scalda vicino al fuoco, che crea sulle pareti ombre misteriose e strane.
Fatta una frugale e fredda colazione, spostano con difficoltà le rocce che avevano messo dinnanzi all’imboccatura. Uno spesso strato di ghiaccio le ha incollate tra loro e la parete. Una piccola valanga di neve, accumulata dal vento, precipita all’interno. All’esterno lo spessore è notevole e rende pericoloso il percorso, perché non si sa cosa si celi sotto. Con molta fatica e qualche apprensione escono per riprendere l’inseguimento.
Pietro si confessa e prende il sacramento della comunione, mentre il chierico lo guarda ammirato. Il frate ha sgomberato la mente da ogni pensiero terreno e rivolge il ringraziamento a Gesù Cristo per averlo assistito fino a quel momento. Di buon umore si sposta nel refettorio per prendere qualcosa di caldo e chiedere lumi sulla strada e sul tempo. Mentre è in attesa che lo servano, pensa al presunto confratello, Henry de Caron, e ai motivi per i quali è alle sue calcagna. Già gli era apparso subito strano che un templare, sfuggito alla retata del re di Francia, avesse rischiato la cattura durante il viaggio per raggiungere la magione bolognese. Perché? Si domanda. Sarebbe stato più logico che si fosse rifugiato in un luogo sicuro, invece di compiere un viaggio di centinaia di miglia per arrivare a Bologna. Deduce che deve avere un preciso incarico da portare a termine e che riguarda la sua persona. Però non trova un collegamento certo tra la presenza a Bologna e il successivo inseguimento, molto discreto nella forma. Anche il falso messaggio del Gran Maestro, Jacques de Molay, stonava nel complesso. ‘Poi dove l’avrebbe portato, se fosse riuscito a mettere le mani sul tesoro della nostra magione?’ si dice Pietro, mentre mangia la zuppa di cavoli e piselli. Troppi punti oscuri sono da dipanare per avere risposte certe.
“Fratello Guilloz sapreste indicarmi la strada per raggiungere il valico e poi scendere nella vallata sottostante?” Pietro chiede lumi al monaco che viene indicato come profondo conoscitore del tempo e delle strade delle Alpi.
Il monaco lo osserva stupito. Gli appare una pazzia mettersi in viaggio con un tempo simile e in particolare senza avere la chiara cognizione della via da percorrere.
“Intendete mettervi in viaggio?” chiede basito il monaco.
“Sì, devo valicare le Alpi e recarmi nella terra dei Franchi” risponde Pietro con calma.
“Ma è una pazzia! La neve è alta almeno du pass ēd trabuch!” esclama Guilloz.
Il frate lo guarda come se fosse un personaggio, uscito da un libro di storia.
“Cosa?” dice Pietro, spalancando gli occhi.
“Ma sì, equivalgono a due piedi liprando ma per noi sono due piedi di trabucco” prosegue il monaco, tutto infervorato a spiegare le misure lineari usate lì.
“Ho capito” fa il frate, fingendo di aver compreso, quanto vale quella misurazione. “Anzi, no! Ma non fa nulla. Intuisco che il manto nevoso sia sufficientemente spesso”.
Guilloz sorride ma prosegue per spiegare come l’impresa di valicare il passo sia un azzardo mortale.
“La strada è diventata invisibile e salire al valico è un’impresa pericolosa”.
Pietro scuote il capo. Nevica e sibila il vento, questo è vero, ma con un minimo di prudenza la salita è possibile, riflette il frate.
“Ma quanto dista?” domanda, tralasciando di approfondire il trabucco e il piede liprando e altre amenità del genere. Tanto non ne avrebbe ricavato nulla di buono a insistere. Meglio lasciar perdere e concentrarsi su altri dettagli.
“Non meno di cinque miglia” risponde il monaco.
“Dunque non siamo molto distanti” dice soddisfatto Pietro.
“No, in condizioni normali. Con la neve tutto diventa difficile. Sia trovare la strada, sia evitare di finire in una buca” afferma Guilloz, scuotendo il capo.
“Ma il tempo tiene oppure peggiora?” insiste il frate, deciso ad acquisire tutte le informazioni.
“Secondo me questo aquilone spazza via tutte le nubi tra un’ora o due al massimo ma le temperature diventano rigide e la neve diventa ghiaccio” sostiene il monaco.
“Grazie per le preziose informazioni” dice Pietro, che ha deciso di partire all’ora terza. Spera di ottenere qualche coperta di lana grezza per proteggersi dal freddo, un po’ di vettovaglie e una pertica per sondare il terreno.
Henry de Caron, prima di abbandonare la grotta, istruisce i due compagni di avventura.
“Messeri, fuori c’è neve in abbondanza e ritrovare la strada per il valico non sarà semplice. Però se voi mi seguirete con diligenza e attenzione, tutto si semplifica. Io starò in testa. Voi starete dietro di me, ricalcando le mie orme. Cammineremo a piedi, tenendo i cavalli per la briglia, facendo la massima attenzione. Ora in marcia”.
Con Henry alla testa del gruppo escono dalla fenditura con prudenza. Il cavaliere sonda il terreno con lo spadone che porta alla cintura alla ricerca del tratto piano tra le rocce. Procede con cautela. ‘Una volta tornati sulla strada, non dovrebbe essere complicato seguire le orme dei due frati, se, come immagino, si sono rifugiati all’ospizio’ si dice Henry che affonda pesantemente nel manto nevoso.
Il tempo scorre, mentre il vento spazza le nubi e mostra l’azzurro del cielo. Il sole fa la sua comparsa ma la temperatura diventa sempre più rigida. Henry de Caron fatica a ritrovare la via che aveva abbandonato ieri sera. Più di una volta è costretto a tornare indietro. Affonda nella neve per mezza gamba e stenta nell’avanzare. É l’ora nona quando intravvede in lontananza le mura dell’Ospizio. Deve decidere, se proseguire oltre col rischio di trovarsi con l’oscurità della notte per strada senza un riparo oppure fermarsi per la notte e riprendere il cammino la mattina successiva. Esiste il pericolo di trovarsi faccia a faccia col frate. Da come l’ha conosciuto, ritiene improbabile questa eventualità. Osserva il viso dei compagni e sceglie di fermarsi.
Pietro, ottenuto quello che voleva, comincia la salita finale verso il passo. La neve è profonda. Procedono a piedi, tenendo i cavalli per le briglie. Con la pertica cerca di intuire se il sentiero sia quello giusto e non presenti insidie nascoste. Sa che deve tenere il piccolo lago ghiacciato alla sua sinistra e il costone roccioso alla sua destra. Avanzano con circospezione, perché alcuni passaggi sono tutt’altro che facili. Come frate Guilloz aveva predetto, il cielo si sgombra dalle nuvole e la neve indurisce. Per un aspetto è un vantaggio, per un altro è un rischio, si dice Pietro. Vede solo roccia e cielo verso l’alto, mentre in basso c’è la conca che racchiude il lago. Superata strettoia, si trovano in un pianoro, dove si fermano per riposare. Osservando il sole, pensa che sia passata da poco l’ora sesta. Devono accelerare se vogliono affrontare la discesa con la luce.
Passato il valico, si dirigono verso il paese di Lens-le-Bôrg passando attraverso un fitto bosco. Il sentiero è ripido e ghiacciato e più di una volta rischiano di scivolare malamente. É buio, quando vedono le prime abitazioni di legno. Ormai sono arrivati. Bussano alla porta di una casa, dal cui camino si leva un filo di fumo.
“Siamo due viandanti diretti a Lugdunum” dice Pietro con la speranza di essere accolti. “Chiediamo ospitalità per la notte per noi e i nostri cavalli”.
Con cautela un montanaro con la barba bianca mostra il suo viso e li accoglie sospettoso. Il fatto che uno di loro porti una grande spada, non lo rende tranquillo.
“Se è per questa” fa Pietro, mostrando l’arma, “non abbiate timori. La lascio fuori dall’uscio. Ripagherò la vostra ospitalità con dei fiorini d’oro”.
Come per magia compaiono delle monete luccicanti nelle mani del frate, che le porge all’uomo.
Henry de Caron, non senza fatica, raggiunge il portone dell’Ospizio, che li accoglie per la notte.
Parte decima

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Grazie Isabella

Ringrazio  la  cara  amica  Isabella, quella della piccola Arianna ,  del  blog https://isabellascotti.wordpress.com/ per  avermi  taggato  ”musicalmente”  su  iniziativa  di  http://ghbmemories.wordpress.com/
REGOLE
Scegliere  almeno  5  tracce  musicali  che  rispecchino  alcune  emozioni  o  stati  d’animo  al  positivo
Taggare  almeno  5  blogger  avvisandoli  di  essere  stati  taggati
Citare  il  mio  blog  indicando  il  link  diretto  sottolineando  che  l’idea  è  nata  in  questo  spazio  htpps://ghbmemories.wordpress.com/
Motivare , se  si  ritiene  necessario  farlo,  le  scelte  musicali.

Copiare le regole e citare chi ha avuto l’idea del tag musicale e chi ti ha taggato l’ho fatto. Però era la parte meno complicata.

Già comincio a essere in difficoltà e in apnea per il resto.
I 5 blogger non li nomino. Non voglio far torti a nessuno. Chi vuole farsi la sua playlist è il benvenuto. Lo ospito volentieri.
Le cinque tracce musicali… ehm, ehm posso farne a meno?
Comunque mi faccio forza, mi tappo le orecchie e spremo le sinapsi alla ricerca di 5 pezzi.
Ovviamente torno indietro nel tempo ma molto indietro.
1 traccia Diana – Paul Anka 1957
https://www.youtube.com/watch?v=TDDgYDQjtEs
Come ho detto si arriva alla preistoria. Però primi balli della mattonella e prime sensazioni – ormoni in subbuglio 😀
2 traccia Oh Carol – Neil Sedaka 1959
https://www.youtube.com/watch?v=e72tG80LmsU

Primi timidi tentativi di ballare movimentato. Canzone bella, ma quanti piedi pestati. Stendiamo un pietoso velo.

3 traccia Il cielo in una stanza – Mina 1960

https://www.youtube.com/watch?v=b6s_kjlhP5U

Ricordi dei primi passi con quella che sarebbe stata mia moglie. Si va avanti negli anni ma sempre lontani nel tempo.

4 traccia Grande grande grande – Mina 1971

https://www.youtube.com/watch?v=Z4MsW-Saves&list=RDZ4MsW-Saves&index=1

Altro pezzo che ricordo con piacere. Mina è grande come il titolo della canzone.

5 traccia Let’s Go Get Stoned (LIVE in Woodstock) – Joe Cocker 1969

https://www.youtube.com/watch?v=gDhDUSmHvHQ

Mi piace e basta.

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Una storia così anonima – parte ottava

dal web
dal web

Val Segusium, 4 novembre 1307, ora prima – anno secondo di Clemente V

Pietro è sempre più inquieto. Quella sgradevole sensazione di avere alla costole dei misteriosi inseguitori diventa sempre più acuta. Il chierico Phillipe non avverte lo stesso pericolo e ammira le colline e i campi su i due lati della strada. I colori dell’autunno si mostrano prepotenti e affascinano la vista. La strada ha un fondo accettabile tale da tenere un buon passo.

Arrivati a Venaus, si fermano a una fonte e fanno bere e riposare i cavalli, che coprono con una panno di lana rustica a protezione del freddo che diventa sempre più pungente. Presa la carrareccia di destra, iniziano a salire verso l’abbazia di Novalesa, dove hanno deciso di fare una breve sosta prima di affrontare il tratto finale della salita. Per quanto cresca la voglia di non perdere ulteriore tempo, pensa che sia improbabile riuscire a superare il valico del Mont Cenisium prima del Vespro, perché fa buio presto e il tempo a disposizione non è molto.

É quasi l’ora sesta, quando, usciti dal bosco, ai due viandanti appare in cima a un rilievo le imponenti mura dell’abbazia, che occupa il loro orizzonte. Il complesso monastico, che agli occhi di Pietro si presenta come un blocco grigio sul cielo plumbeo, si sviluppa alla destra di una chiesa di modeste dimensioni. Superata la ripida salita che conduce alla porta del monastero, accedono a un primo cortile, contornato da un loggiato. Il frate guardiano prende in custodia i cavalli, mentre Pietro e Phillipe sono accompagnati al refettorio.

“Vedo nuvole basse e cariche di neve. Pensate che riusciremo a passare il colle e scendere al di là prima del vespro?” chiede il frate a un monaco benedettino che sta portando loro una zuppa di vegetali fumante.

“Se volete rischiare, penso di sì. Però vi suggerisco di fermarvi per qualche giorno. Il tempo migliorerà verso il cinque di novembre e potrete valicare il colle in tutta sicurezza” risponde deponendo innanzi loro due scodelle odorose e calde.

Pietro non risponde e riflette. Non possiamo sprecare diversi giorni, si dice, con la speranza che il tempo migliori e col rischio che l’eventuale neve caduta impedisca il passaggio. Scuote la testa. Il chierico pare estraniato dalla questione, mangia con avidità quella zuppa di vegetali calda, dove ha immerso tocchetti di pane stantio.

Si è alzato un vento gelido, mentre le nubi si fanno più spesse e più basse. Il frate chiede notizie sul sentiero da prendere.

“É possibile procedere a cavallo oppure solo a piedi?” domanda a un monaco, che gli hanno indicato come profondo conoscitore dell’area.

“La mulattiera è ripida e insidiosa per una cavalcatura, salvo che non usiate i nostri cavalli alpini, i comtois, dal garrese basso e dallo zoccolo ampio e ben modellato. La folta pelliccia li ripara dal freddo. Sono resistenti alla fatica e abituati alla neve” gli risponde il benedettino.

Pietro non è molto convinto dell’affermazione. I cavalli che stanno cavalcando, provengono dall’Appennino. Sono dei Bardi, forti e robusti, abituati a terreni scoscesi e duri. Possono tenere una buona andatura per molte ore senza stancarsi e non temono il freddo.

“Grazie per le informazioni. Se ci indicate la strada, pensiamo di partire al più presto” ringrazia il frate.

Il monaco si stringe nelle spalle. Non ama contrariare gli ospiti. Li ha avvertiti ma, se vogliono agire di testa loro, non sarà certamente lui a polemizzare per modificare quanto hanno deciso.

“La strada si snoda a tornanti fra l’abbazia e Ferrera Cenisio, nel folto del bosco che vedete alle vostre spalle. É coperta dal ghiaccio piuttosto che dalla neve da ottobre ad aprile. Esistono maggiori probabilità di trovar neve nel tratto successivo, che da Ferrera porta al valico. L’ambiente innevato e gli spettrali edifici abbandonati portano il viandante ad immergersi nell’alone di mistero che pervade montagna e via di transito, frequentata anche in pieno inverno da pellegrini a piedi” dice il monaco con grave enfasi.
“Mi hanno detto che esiste un Ospizio quasi in prossimità del passo. É vero oppure è abbandonato?” si informa Pietro.
“Lo trovate in prossimità di un piccolo lago alpino. Un piccolo edificio in muratura, dove potete trovare ospitalità per la notte o riparo in caso di una forte nevicata” conferma il benedettino.
“C’è il rischio di smarrirci?” domanda Pietro, mentre il chierico si avvicina con le loro cavalcature.
“Direi di no, se ascoltate bene quello che vi dico. Il primo tratto è obbligato. Non esiste il pericolo di perdervi nel bosco. Però giunti a Ferrera Cenisio ci sono molti viottoli e il rischio esiste. Arrivati in paese, vi spostate verso le baite raggruppate sulla sponda destra del torrente Cenischia. Qui superata la chiesa, le ultime case e il cimitero, imboccate l’evidente mulattiera, che è fiancheggiata da muretti a secco. Non potete sbagliarvi. Proseguite lungo il tracciato che avanza fra radure e boschi di abeti e larici, mantenendo sempre il fianco sinistro della valle, in direzione ovest. Passata una strettoia, entrate nella Piana di San Nicolas, dove incontrate un lago alpino. Proseguite sulla strada, che sta sulla sponda destra tra la montagna e lo specchio lacustre. Di lì salite verso il valico. La via in discesa è ripida e infida e vi conduce a Lens-le-Bôrg rapidamente, dove potete trovare alloggio” spiega con dovizia di particolari il monaco.
Pietro e il chierico, dopo aver caricate le provviste sui cavalli, escono dall’abbazia per imboccare la strada che conduce al valico. Percorse poche miglia e lasciatesi alle spalle le ultime case del paese di Novalesa, si trovano immersi nel folto del bosco e delle nubi basse. Superati un paio di tornanti, facendo attenzione a risparmiare i cavalli, Pietro avverte nuovamente la presenza oscura di qualcuno alle loro spalle. Visto un viottolo e zittendo il chierico con un dito, si nascondono nel folto di un roveto. Dopo non molto tempo vedono passare tre cavalieri, tra cui il frate riconosce quel Henry de Caron che si era presentato alla magione bolognese qualche giorno prima.
Dunque sono loro che ci stanno seguendo da Bologna. I miei sensi non mi hanno ingannato‘ si dice Pietro, mentre il chierico osserva quelle tre figure basito. Lui non si era accorto di nulla ma il suo compagno sembra avere anche dietro degli occhi e delle orecchie.
Lasciato trascorrere per precauzione un certo lasso di tempo, Pietro e Phillipe riprendono a salire verso Ferrera con cautela e in perfetto silenzio. Il frate comprende che non riusciranno a valicare il passo prima che faccia buio. Decide di raggiungere l’ospizio, dove si fermeranno per la notte. Fiocchi di neve cadano dapprima radi, poi più fitti, imbiancando la mulattiera. Gli zoccoli dei cavalli tendono a non aver presa sul fondo ghiacciato. I due viandanti smontano da cavallo e camminano al loro fianco. Perdere una cavalcatura in questi momenti potrebbe trasformare il loro viaggio in tragedia, perché non conoscono quanto il paese di Ferrara Cenisio disti. Il buio del bosco e le nubi sempre più basse, che scaricano neve, li rendono guardinghi. Devono fare attenzione anche ai tre misteriosi cavalieri che li stanno inseguendo da molti giorni.
Dopo l’ennesimo tornate, scorgono in lontananza le sagome imbiancate di case di legno. Il paese appare disabitato. Non un filo di fumo si leva dai comignoli. Pietro indica col capo a Phillipe di accostare verso un gruppo di abeti.
“I tre cavalieri, che abbiamo visto poc’anzi, potrebbero aspettarci tra le case di Ferrera e tenderci un agguato. Quindi propongo di attraversare il torrente e tenerci al coperto sulla destra, finché non imbocchiamo la mulattiera che ci porta al valico” dice il frate quasi bisbigliando.
Il chierico annuisce e lo segue. Sa che si può e di deve fidare di questo templare, che intuisce i pericoli e li schiva. In breve si portano sul lato destro del torrente, protetti dal bosco e puntano verso la chiesa che scorgono in lontananza.
Henry de Caron, arrivato in paese, scopre di essere stato beffato da Pietro. Si ferma e impreca. Nuovamente deve fare i conti con l’acutezza di questa persona, che pare dotato di una diabolica lungimiranza.
“Messeri, quel infernale frate ci ha gabbati. O ha cambiato strada oppure è alle nostre spalle” dice Henry con tono irato, guardando Pierre in cagnesco. Lui doveva seguire le tracce delle due prede ma a conti fatti non si è accorto che sulla neve fresca mancavano i segni del loro passaggio. Nel paese, abbandonato nel periodo invernale, il manto candido appare incontaminato, salvo qualche segnale del passaggio di una volpe.
“Cosa facciamo, messer Henry?” domanda Hugo, affiancandolo.
Il capo della piccola spedizione non risponde e medita. Tornare indietro è pericoloso. La luce del giorno, già fievole per le nubi basse e per la nevicata in atto, si sarebbe spenta, lasciandoli in mezzo al bosco. Dunque si deve avanzare almeno fino al lago, dove avrebbero trovato un riparo di fortuna in una delle molte grotte presenti.
“Si prosegue” dice Henry deciso, mentre sprona il cavallo in avanti.
Pietro e Phillipe procedono con cautela, seguendo un sentiero che non esiste. Scendono nel torrente per evitare di spingersi troppo dentro la macchia, risalgono la sponda destra, finché non ritrovano la strada oltre Ferrera Cenisio. La neve, che cade con maggior intensità, li avverte che hanno sopravanzato di nuovo gli inseguitori. ‘Siamo di nuovo a un bivio’ si dice il frate, riflettendo sul da farsi. Deve operare una scelta: rischiare di avere alle spalle quel terzetto, dei quali non conosce le intenzioni oppure aspettare che passino nuovamente davanti. Lì il bosco sta per lasciare il posto alle rocce, sia pure per un breve tratto. Pietro è indeciso ma Phillipe, intuendo il dilemma del frate, si affianca e gli suggerisce un’altra alternativa.
“Più indietro, a mezzo miglia da qui, ho notato un sentiero stretto, che porta verso l’alto nel bosco, quello che vediamo su quelle rocce. Forse ci consente di arrivare all’ospizio senza essere notati” dice il chierico.
“E se non conduce da nessuna parte? Oppure ci porta in qualche valle stretta e cieca? Rischiamo di perderci col buio ormai incipiente e la neve che scende copiosa” replica Pietro, non del tutto convinto che sia la mossa giusta.
Loro rimangono al coperto nella boscaglia. Il monaco benedettino era stato preciso nella descrizione. Devono imboccare una mulattiera con dei muretti a secco sul lato verso la montagna, che li avrebbe condotto in una piana. E nel grigiore confuso si notano questi manufatti più scuri rispetto alla strada.
Indecisi, se tornare indietro e avventurarsi per quel sentiero sconosciuto oppure prendere con decisione la mulattiera indicata, avvertono delle parole confuse col nitrito dei cavalli.
“Il Signore è con noi” sussurra piano Pietro, mentre osservano sfilare come fantasmi imbiancati i tre cavalieri. Aspettano, finché le voci non si perdono nella lattea oscurità delle nuvole.
Con cautela seguono quelle orme, tenendosi vicino al bordo della via, pronti a una fuga precipitosa. Procedono lentamente, mentre il buio diventa sempre più evidente. Pietro dubita di poter arrivare con un filo di chiarore all’ospizio, che non dovrebbe distare molto dopo la piana. ‘Ma alla piana quanto manca?’ si chiede, togliendo dalla criniera del cavallo la neve che si è depositata. Osserva le tracce lasciate dal terzetto e giudica che hanno mezzo miglio di vantaggio.
Il bosco si apre su un pianoro innevato dove spiccano nel bianco della neve i cavalieri, che piegano verso sinistra, abbandonando la strada.
“Gesù Cristo ha ascoltato le nostre preghiere, Chierico Phillipe. La strada ora è sgombra. I tre ladroni si sono spostati verso sinistra, mentre noi dobbiamo tenere la destra. Se abbiamo fortuna, tra non molto siamo al caldo” dice Pietro, sollecitando il cavallo, che affonda faticosamente gli zoccoli nella neve.
“Messer Henry, siete sicuro che questa via ci porti da qualche parte?” chiede spaventato Hugo. Il buio, la nevicata, che per effetto del vento appare più violenta della realtà, creano sgomento nel cavaliere.
“Sì” risponde secco la guida dei tre, indicando un punto della roccia.
Pierre stringe le palpebre per mettere a fuoco l’indicazione ma nota solo il bianco della neve, da cui affiorano rocce più scure. Tace. Non commenta, conoscendo il carattere brusco e iracondo di Henry.
Hugo vorrebbe replicare che non vede nulla. Solo rocce e neve, che si confondono con le nubi basse. Nevica e si sente bagnato nelle ossa. Avrebbe preferito dormire nell’ospizio o fermarsi nel paese deserto, che hanno lasciato alle spalle. Però il capo era stato categorico: nessuno deve vederci. Scuote il capo, togliendosi dal viso la neve.
Come per magia una fenditura abbastanza ampia appare nella roccia all’improvviso.
“Siamo arrivati” dice Henry, che accende una torcia con un acciarino, prima di infilarsi nello spacco, sufficiente al passaggio di un uomo a cavallo.
I due compagni lo seguono, ben felici di mettersi al riparo. É un’ampia caverna dal fondo sassoso e leggermente umido. In lontananza si ascolta il gocciolio di acqua che cadde. Si portano il più interno possibile per ripararsi dal freddo e dalla nevicata, che ha preso vigore. Con dei piccoli pezzi di legna secca creano un falò per asciugarsi e riscaldarsi un po’. Chiudono l’apertura della grotta con un drappo di lana spesso e pesante, che bloccano con alcune rocce.
Pietro e Phillipe hanno la strada libera e accelerano il passo per raggiungere l’ospizio. Non possono mettere al galoppo i cavalli, perché il sentiero è ricoperto da una spessa coltre di neve. Tuttavia riescono tenere un discreto passo. Superata la piana, si inerpicano su stretti tornanti, finché non appare la sagoma rassicurante della struttura in mattoni, che manda verso l’alto un filo di fumo. É un segnale che l’ospizio è abitato. Col vento contrario, che ghiaccia i fiocchi sul viso e sul corpo, Pietro e Phillipe raggiungono il portone. Bussano per farsi aprire. L’ospizio li accoglie e li riscalda. Domani dovranno affrontare il passo e poi scendere a valle nell’altro versante. Sono intirizziti dal gelo. Mangiano una zuppa di cavolo e fagioli calda e corroborante. Fuori nel buio la neve cade copiosa, mulinata dal vento.
“Speriamo che domani il valico sia transitabile” dice Pietro, mentre si avvia verso la cappella per le preghiere del vespro prima del sonno ristoratore.
parte nona

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Una storia così anonima – parte settima

dal web

Bologna, Placentia, Torino, 1 novembre 1307, primo albore – 2 novembre 1307, vespro, anno secondo di papa Clemente V

Pietro si reca da frate Giovanni per prendere congedo.

“Maestro, il frutto dei nostri sforzi è al sicuro. Per il momento riposa tranquillo. Io parto per Poitiers. Al mio ritorno lo sistemeremo in modo definitivo” dice Pietro, inginocchiato di fronte al precettore.

“Bene. Alzatevi pure” gli dice Giovanni.

L’anziano frate sospira. Non avrebbe desiderato che partisse per la Francia. Pietro è predestinato a reggere la magione, quando lui se ne andrà. Avverte che la fine non è molto lontana. Tuttavia il messaggero papale è stato categorico. ‘Deve partire senza indugiare oltre

“Avete avuto buon intuito con quel falso cavaliere che nel marasma attuale ha cercato di derubare la nostra commenda” afferma Giovanni.

“Fin dal primo istante ho capito che era un impostore ma erano solo delle sensazioni. Un formicolio alle punte delle mani, che si è rivelato giusto” replica Pietro, che freme di partire al più presto. Vuole tornare in fretta. La Francia per un templare non è posto sicuro. Il viaggio è lungo e l’attraversata delle Alpi potrebbe essere difficoltosa, se il tempo peggiora.

“Se voi non avete altro da aggiungere, io mi recherei nella mia cella per recuperare quanto mi serve per il viaggio” dice Pietro, mostrando impazienza per la partenza.

“Vi congedo e vi auguro che possiate ritornare presto tra noi” fa Giovanni, accompagnando le parole con un gesto della mano. Una sorta di benedizione.

Pietro si ferma nella chiesa della commenda a pregare e ricevere il sacramento della comunione. Sta albeggiando e il cielo è coperto da un sottile strato di nuvole bianche che diventano rosate, quando lui e il messo papale escono sulla strada Maestra. Devono aggirare la cerchia muraria più interna, ancora chiusa prima di prendere la via consolare Emilia. Il viaggio è lungo, molte centinaia di miglia e per nulla agevole. Sa che deve attraversare le Alpi e che le nevicate sono in agguato. Poi ci saranno le strade e le città francesi, che non promettono nulla di buono.

Non appena raggiungono la via consolare i due cavalieri lanciano al galoppo le loro cavalcature. Pietro conosce la strada e i pericoli del fondo dissestato e fangoso. Predica prudenza.

“Dobbiamo fare attenzione. La strada è infida. Non dobbiamo sfiancare i nostri cavalli e perdere qualche ferro, se vogliamo essere a Placentia prima del vespro. Quando siamo a Sce Domnine o a Floricum facciamo una sosta per rifocillarci e far riposare le nostre cavalcature” dice il frate al chierico.

Tuttavia una curiosità cresce in Pietro. ‘Chissà per quale motivo il papa ha pensato a me per avere notizie sui nostri confratelli francesi‘ pensa il frate, mentre galoppa verso Placentia. ‘Il chierico afferma di non conoscere il perché. E ci posso credere. Lui è un semplice messaggero. Tuttavia la curiosità è molta. Mi farà piacere rivedere il vecchio compagno di studi, diventato papa‘.

Ha chiesto al chierico, se conosce un cavaliere di nome Henry de Caron oppure lo ha incrociato durante il tragitto verso Bologna. La risposta non lo sorprende. ‘No. Non ho conosciuto un cavaliere con quel nome, né l’ho incrociato lungo la strada‘ ha replicato pronto. Il chierico ha mostrato sorpresa per questa domanda. ‘Gli ho spiegato che un cavaliere con quel nome ha bussato alla nostra porta, affermando di essere stato a Poitiers col gran Maestro, Jacques de Molay. Ha negato di aver mai conosciuto un templare con quel nome. Dunque sono certo che fosse un impostore‘.

Arrivati a Placentia, Pietro e il chierico trovano riparo nella commenda piacentina, da dove al primo albore avrebbero passato il Padus diretti a Torino.

“Chierico Phillipe, che strada avete preso per venire a Bologna?” chiede il frate per programmare la tappa successiva, dopo che si sono riposati.

Il giovane fa un lungo giro di parole per descrivere il suo viaggio.

“Quando sono partito da Poitiers erano giornate terse e limpide, fredde di notte ma tiepide di giorno. Sono sceso più a sud, sperando che il tempo si mantenesse buono. E così è stato. Ho attraversato le Alpi al colle del Monginevro. La strada era buona. Non ho trovato la neve né il ghiaccio. Le cime circostanti erano già bianche, innevate. Da lì ho raggiunto Torino. Da lì sono arrivato a Placentia e poi a Bologna” risponde il messo papale.

Pietro riflette sulla prima parte del viaggio del chierico. ‘Se prendiamo la strada del Mont Cenis, abbiamo due punti di riferimento in caso di maltempo. Novalesa con la sua abbazia e l’ospizio in prossimità della sommità della sommità del colle. La via del Monginevro non è praticabile, perché più rischiosa per la neve e perché si resta troppo in quota. Resterebbe la strada di Sigerico ma si allunga troppo. Arrivati nella magione di Torino, valutiamo quale strada prendere‘ si dice Pietro nel silenzio della cavalcata.

C’è qualcosa che non gli dà tregua da quando sono partiti da Bologna. Un sensazione inquietante che non è riuscito mai a dissipare. ‘Ho l’impressione che ogni nostro passo sia controllato, che qualcuno si segua con discrezione. Nonostante abbia più volte cercato di intercettare la misteriosa ombra che sta alle nostre spalle, non sono venuto a capo di questa situazione sinistra. Il chierico cavalca senza avvertire i pericoli che percepisco‘ ragiona quando ormai sono prossimi alla fine del viaggio.

Con sollievo vede le mura arcigne della commenda torinese che si trova all’imbocco della valle di Segusium. É una posizione strategica, perché due dei tre possibili itinerari del pellegrini diretti alla Terrasanta passano da lì. I cavalli sono allo stremo delle forze. Il frate decide di fermarsi un giorno intero per far riprendere fiato sia alle cavalcature che a loro. La traversata delle Alpi richiede che siano freschi e riposati.

Il precettore della magione, frate Bartolomeo, li accoglie con calore e dopo i convenevoli di rito si apparta con Pietro per discutere sulla convenienza di andare in Francia.

“Siete proprio certi di proseguire il vostro cammino nella terra dei Franchi?” gli chiede il precettore.

“Assolutamente sì!” risponde Pietro senza tentennamenti.

“Le notizie, che i viandanti e pellegrini in transito portano, non sono confortanti. Tutti i cavalieri del Tempio in Francia sono stati imprigionati e messi sotto tortura. Qualcuno, pare, ha confessato colpe gravissime. Solo pochi cavalieri sono riusciti a sfuggire alla cattura” insiste Bartolomeo.

“Lo so. Un certo Henry de Caron ci ha illustrato quello che è avvenuto nel mese di ottobre. Vi risulta che un cavaliere con questo nome sia transitato da queste parti?” replica il frate, sperando in una risposta positiva atta a fugare i suoi timori.

“No. Nessun cavaliere con quel nome ha trovato ospitalità presso di noi” dice il precettore di Torino.

Pietro, senza mostrare all’esterno quello che bolle nel suo interno, annuisce e domanda come sono le condizioni delle strade.

“Proprio ieri ha soggiornato un pellegrino che ha attraversato le Alpi al colle del Mont Cenis lungo la Via Mediolanensium, la Francigena del Moncenisio. Ha riferito che la strada è fangosa e viscida nelle ore centrali della giornata ma al mattino e al vespro diventa pericolosa per il ghiaccio che la ricopre”.

Pietro riflette su queste parole.

“Da qui per raggiungere il valico che strada devo seguire?” chiede il frate.

“Uscendo dalla commenda, tenete la via di destra che porta a Segusium. Arrivati a Venaus, prendete la strada che in mezzo ai boschi di lecci e frassini va verso nord ovest. Arrivati all’Abbazia di Novolesa proseguite il cammino per la ripida mulattiera che, attraverso Ferrera e costeggiando un lago, porta al valico e di qui potete scendere verso Lens-le-Bôrg, al di là delle Alpi, fino a Modane” lo informa il precettore.

“Ma come prevedete che sia il tempo nella giornata di domani?” domanda Pietro, interessato più alle condizioni meteo che allo stato della strada.

“Se volete, chiamo frate Dolce, che sa leggere il vento e le nuvole” risponde Bartolomeo.

“Sì” fa asciutto Pietro.

Il frate afferma, che secondo lui il tempo rimane buono per almeno la giornata seguente ma che potrebbe guastarsi tra qualche giorno. Niente cielo pulito ma sarà coperto di nuvole basse e compatte.

Dopo la giornata di riposo per le cavalcature, la mattina seguente Frate Pietro e il chierico Phillipe riprendono il cammino. Il cielo grigio e nuvoloso non promette nulla di buono come la sensazione di essere seguiti.

parte ottava

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