Una storia così anonima – parte cinquantasettesima

Crostata di fichi del mio giardino con fiori - Foto personale
Crostata di fichi del mio giardino con fiori – Foto personale

Bosco nei pressi di Beauveset 10 marzo 2015 – ore tredici

Pierre si muove con furia ma si ritrova col viso nella polvere e la pelle graffiata dal roveto. Qualcosa è finito tra le sue gambe. Un ramo? Un arbusto? Non riesce a decifrarlo subito, né gli importa in questo momento. Sente strappare i pantaloni mentre le spine gli graffiano il polpaccio. Avverte dolore e impedimento. Bestemmia, appoggia le mani sul terreno che avverte umido e maleodorante.

“Porca miseria” esterna Pierre, che ha capito di essere finito sull’urina di Vanessa.

Nuove esternazioni poco educate contro la ragazza. L’ira gli fa perdere il controllo dei nervi. Schifato si alza in piedi e si pulisce nei pantaloni. Non ha tempo da perdere, se vuole riacciuffare la fuggitiva.

“Dove pensa di andare, quella puttana?” sbotta irato, mentre riprende la corsa.

Sente il rumore di un auto. Gli viene il dubbio che sia corsa verso la Mini e l’abbia messa in moto. ‘La chiave è rimasta inserita’ pensa Pierre, preso dall’affanno. ‘Se fosse vero, sarebbe un bel guaio’. Si ferma per guardare in direzione della Mini, che intravvede tra gli alberi. Tira un sospiro di sollievo, subito represso.

“Ma è il rumore di un motore!” esclama Pierre, che intuisce che non si tratta della sua auto. Un dubbio lo assale. “Il suo compagno?”

Scuote la testa, correndo verso la sua auto. Non riesce a comprendere come quel diavolo possa essere arrivato fino lì. ‘Non può avermi seguito’ pensa, colto dal dubbio che la ragazza avesse un dispositivo per segnalare la sua presenza. ‘Non poteva di certo immaginare dove fossi e dove ero diretto’. Rinuncia a proseguire l’inseguimento e si fionda verso la Mini. Con un calcio chiude la portiera lato passeggero e inizia la retromarcia per mettersi all’inseguimento.

Avverte qualcosa di strano nel retrotreno. La macchina sbanda vistosamente. Accelera ma è costretto a correggere bruscamente col volante la direzione di marcia.

“Che cazzo ha!” esclama inviperito, mentre procede a zig zag, rischiando più volte di finire contro un albero. Un altro colpo di gas e una nuova sbandata. L’occhio cade sullo sterrato, perché sente degli strani tonfi sotto la macchina. Nota dei pezzi di copertone tra la polvere sollevata dalle ruote.

Nuova bestemmia e nuova imprecazione da scaricatore di porto. Si ferma e scende per controllare. Il battistrada non esiste più ma è disseminato alle sue spalle. Il cerchione posteriore destro è deformato. Fine della corsa. È impossibile proseguire in quello stato. Imprecando contro Dio, i Santi e la Madonna, cambia la ruota. Ormai sa che i due fuggitivi sono imprendibili.

“Non solo” esclama Pierre col volto rosso, congestionato dall’ira. “Ma non ho neppure un’idea della direzione che hanno preso”.

La logica gli suggerisce che hanno puntato verso la costa, dove comode e scorrevoli strade li porteranno in Italia. Tuttavia il vantaggio è incolmabile, salvo che non voglia rischiare multe e sequestro dell’auto. Sa dove abitano e questo gli è sufficiente.

Adesso ha un altro pensiero. Deve avvertire il Gran Maestro che la preda è fuggita. L’appuntamento ad Annency è saltato. Inutile andarci. Gli vengono i brividi al solo pensare che dovrà spiegare che è stata colpa sua, perché non l’ha perquisita, non ha preso nessuna precauzione. Ha dimenticato le più elementari regole sulle sicurezza. Si è comportato da grosso ingenuo, convinto che nessuno avrebbe saputo mettere un po’ di sale sulla sua coda. Una tragica sottovalutazione delle loro capacità d’interagire e di soccorrersi.

“Ma che cazzo poteva avere indosso?” dice Pierre, avviandosi verso la N85. Non riesce proprio a immaginarlo.

Si dirige verso Nizza, rifacendo il percorso all’incontrario rispetto alla mattina. ‘Punto verso Bologna’ pensa Pierre, tenendo un’andatura regolare e prudente. Alla prima città importante si deve procurare una nuova ruota di scorta. ‘Sarebbe imprudente affrontare questo lungo viaggio senza’.

Dopo una decina di minuti decide di chiamare il Gran Maestro per informarlo della situazione. Ha già commesso troppi sbagli nel passato. Un nuovo passo falso è da evitare. ‘Alla prima piazzola o spiazzo mi fermo’ si dice, mentre ne avvista una a circa trecento metri.

Bosco nei pressi di Beauveset 10 marzo 2015 – ore tredici

Vanessa corre a perdifiato verso il punto indicato con gli occhi da Luca. Il suo arrivo è stato provvidenziale, togliendola dagli impicci. Se l’era vista brutta e ormai disperava del suo arrivo. ‘Al suo amico’ pensa con un largo sorriso sul viso, ‘dovrei fare un monumento per ringraziarlo. Senza la sua app sarei stata senza speranze’. Vede la sua auto col muso diretto verso la strada nazionale. ‘Luca sembra tontolone’ si dice Vanessa con gli occhi che luccicano per la contentezza, ‘ma è previdente e assennato. Non sbaglia un colpo’. Mentalmente gli manda un bacio.

Si infila nel lato passeggero, mentre avverte un notevole bruciore tra le cosce. La mancanza delle mutandine, il senso di sporco e di umidiccio contribuiscono a questa sensazione dolorosa. La corsa, l’adrenalina, che l’ha spinta in questi frangenti, le hanno fatto dimenticare questo tormento, che non la ha abbandonata da quando ha ripreso conoscenza.

Sente il fiatone di Luca, che s’infila nell’abitacolo senza degnarla di uno sguardo. Accende il motore e parte a razzo per immettersi sulla N85. Rallenta solo un po’ per vedere chi arriva dalla sua sinistra, prima di accelerare con violenza.

“Poi andare piano adesso” dice Vanessa, aggrappata alla maniglia col viso bianco per il terrore. “Potevi arrivare prima”.

“Allaccia le cinture” risponde Luca, mentre anche lui sta compiendo questa manovra. “I francesi sono pignoli su questo versante”.

La ragazza annuisce, mentre completa l’operazione. Lui, nel frattempo modera l’andatura per rispettare i limiti. Gli hanno detto che la gendarmeria francese è inflessibile, quando ne beccano uno. ‘Meglio non rischiare’ pensa Luca.

“Dove sei stato?” lo rimbecca Vanessa di nuovo aggressiva.

“A comprarti brioche e acqua” replica Luca sereno come un cherubino, stringendole un occhio. “Nel vano portaoggetti c’è una bottiglia di Evian…”.

“Lo sai che non mi piace” fa Vanessa, storcendo il naso.

“Non sei obbligata a bere” risponde per le rime Luca. “Se cambi idea, la bottiglia è sempre lì”.

“Ma io ho una sete bestiale” dice Vanessa, umettandosi le labbra.

“Il convento passa solo questo” fa Luca, ridendo. ‘Né ho intenzione di fermarmi per comprarti qualcosa di differente. Se hai sete, anche l’Evian va bene”.

La ragazza vorrebbe replicare ma le labbra secche, la bocca che sembra carta vetrata la convincono che è meglio adattarsi per il momento. Per protestare e pretendere un altro genere di bevanda, ci sarà tempo. Brioche e cibarie posso aspettare ma l’acqua no. Si impone di bere a piccoli sorsi. Ricorda che dissetarsi troppo velocemente potrebbe darle il senso di vomito. In pratica è come se Henri le avesse praticato un’anestesia totale. Dopo la prima sorsata i succhi gastrici arrivano velocemente in gola. Li ricaccia giù con decisione. Lo stomaco vorrebbe ribellarsi. Quello che temeva, si è verificato.

“Ci sono anche dei bicchieri plastica” dice Luca, indicando col capo lo zaino alle sue spalle. “Con un fazzoletto di cotone ti umetti le labbra. Bere non è igienico. Non vorrei fermarmi per farti scendere. Mi rugherebbe molto sentire l’odore del tuo vomito in macchina”.

Vanessa annuisce. La voglia di espellere quello, che non c’è, è in agguato e il suggerimento di Luca è intelligente. ‘Non mi toglie la sete’ si dice, ‘ma almeno non corro il rischio di rigettare l’anima’. Si volta e prende dallo zaino un bicchiere ma qualcosa di cotone forse ce l’ha nel suo bagaglio.

Luca con la coda dell’occhio la vede in difficoltà. “Nello zaino c’è un mio fazzoletto”. “Pulito” fa puntualizzando.

“Grazie” risponde Vanessa, le cui priorità in questo momento è ammorbidire le labbra screpolate e la lingua ruvida.

Versa un po’ d’acqua nel bicchiere, inumidisce il fazzoletto e se lo passa sulle labbra. Un piccolo sollievo c’è ma la sete resta intensa. Si deve fare forza per non bere.

Luca guida, dirigendosi a Dignes-les-bains. Lì deve decidere se puntare verso la costa oppure inerpicarsi tra le montagne dell’Alta Provenza. Mentre sta facendo queste riflessioni, Vanessa sospende di umettarsi le labbra.

“Perché non sei arrivato la sera stessa del mio rapimento?” lo aggredisce verbalmente la ragazza.

“Perché?” chiede Luca con la faccia seria delle grandi occasioni.

“Sì, perché?” ribadisce Vanessa con lo sguardo incattivito. Deve sfogare la rabbia, repressa per quasi una giornata.

“Avevo fame e sonno” risponde col viso da angioletto il ragazzo.

Vanessa emette un urlo. Si trattiene dal piantargli le unghie sulla faccia, solo perché sta guidando.

“Stai male?” le domanda Luca.

“No!” esclama infuriata Vanessa. “Se non guidassi, ti caverei gli occhi! Io in balia di un bruto. Io, che rischiavo di essere stuprata. E tu? Hai pensato a mangiare e dormire. Tanto…”.

Luca a stento si trattiene dal replicare subito. Sapeva in anticipo quale sarebbe stata la sua reazione ma è sempre uno spasso vederla infuriata.

“Perché dovevo partire subito?” dice con un sorrisino ironico il ragazzo, mentre sta entrando in Dignes-les-bains. “Sapevo dove rintracciarti. L’app mi teneva informato”.

Vanessa bolle, si agita. Il problema sete è per il momento accantonato. Questo ingrato merita una lezione, dimenticando che l’ingrata è lei.

“E se Henri avesse gettato il mio Iphone in un cestino?” domanda la ragazza col viso rosso congestionato dalla rabbia.

“Henri sarebbe stato doppiamente coglione” dice Luca, che ha deciso di affrontare le montagne. Più lento il viaggio ma meno rischi di essere intercettato da Henri.

“E perché?” fa Vanessa, sgranando gli occhi per la risposta, che le appare singolare.

“Perché? E te lo domandi?” replica Luca. “In primis non si butta nel cesso uno smartphone da settecento euro. Al massimo avrebbe tolto la sim e buttata questa. A questo punto doveva fermarsi, aprire l’Iphone e buttare la scheda. Io me ne sarei accorto subito e sarei arrivato come un fulmine”.

Vanessa ammette che il ragionamento di Luca non fa una grinza. Ricorda più o meno vagamente che l’app è molto intelligente, in grado di segnalare anche il minimo spostamento o rallentamento della velocità. Tuttavia non gli può dare per vinto la spiegazione.

“Capito perché ho mangiato e dormito con tranquillità?” fa Luca, che sa invece di essere rimasto sulle spine, finché non si è fermato a Tende.

“Dove stiamo andando?” gli chiede Vanessa, accantonando per un attimo le schermaglie sul mancato soccorso immediato.

“Verso i monti” dice Luca, fischiettando. ‘Un momento di tregua’ pensa, ‘per distrarmi. Ma poi torna alla carica’.

“Come verso i monti?” esclama sorpresa Vanessa, che si aspettava di arrivare sulla costa.

“Quando Henri si metterà alla nostra caccia” fa Luca, mentre affronta con prudenza la strada, “penserà che andiamo verso Nizza e da lì a Mentone. Non immagina che invece affrontiamo un percorso alpino”.

Luca le chiede di verificare lo stato delle strade. L’inverno è stato nevoso e potrebbe trovare qualche strada chiusa.

“Tutte le strade sono aperte con l’uso di pneumatici da neve” sentenzia Vanessa. “Ma tu li hai?”

“Ma certamente” risponde Luca, ridendo. “Continental TS. Nuovi di zecca… o quasi”.

Le cime sono ancora innevate. Il punto peggiore è il Col de Larche, al confine con l’Italia. Un valico tosto e piuttosto alto.

“Però potevi muovere il culo” riprende Vanessa decisa a portare l’affondo. “Mi potevi risparmiare l’umiliazione della pisciata nel bosco”.

Luca ride, mentre Vanessa freme per la rabbia. Sembra che lui si voglia divertire con lei col suo atteggiamento ironico. ‘Ma…’ comincia a pensare Vanessa, ‘in effetti l’unico modo per bloccare Henri sarebbe stato far intervenire la gendarmerie. Ma forse senza costrutto’. Però non poteva ammettere pubblicamente il suo pensiero.

“Però l’ho mosso, quando è stato necessario” fa Luca sorridente.

“E va bene” ammette sconfitta Vanessa, “ma almeno hai controllato se è alle nostre calcagna?”

Luca fischietta allegro. Questa volta è tranquillo. Henri non è alle loro spalle.

“Credo che in questo momento” dice Luca con tono piatto, “abbia altre priorità rispetto a inseguirci”.

Vanessa spalanca gli occhi verdi per lo stupore. L’affermazione è troppo forte per non incuriosirla.

“Quali altre priorità, di grazia?” chiede la ragazza, volgendosi verso di lui.

“Ha una gomma squarciata” dice Luca col sorriso sulle labbra. “Ma forse dovevo tagliargli anche una seconda ruota. Per stare sul sicuro”.

Vanessa si allunga per dargli un bacio sulla guancia, prima di avvertire nuovamente il doloroso sfregamento dei jeans tra le cosce.

“Ora riprendi a umettarti le labbra” fa Luca, mentre affronta un tornante. “Non ci si ferma finché non siamo a Cuneo”.

“A Cuneo? Sarai impazzito” sbotta Vanessa che vorrebbe infilarsi mutande e collant. “Ma è lontanissimo”.

“No” replica Luca. “Perfettamente sano. Sopporterai un pochino ma voglio lasciarmi alle spalle queste montagne. E poi in un paio d’ore ci siamo”.

In effetti non ha un’idea del tempo ma gli basta per calmarla.

Mugugnando, Vanessa riprende a bagnarsi le labbra. Sa che Luca non cederà di un millimetro dalle sue decisione.

Una storia così anonima – parte cinquantaseisima

foto personale
foto personale

Bologna, 31 gennaio 1310, prima ora delle vigilie, anno quinto di Clemente V

È ancora presto per il mattutino. La notte è appena cominciata. Il cielo plumbeo minaccia altra neve dopo quella della sera. Una figura scivola veloce sulla candida coltre che si è adagiata sul prato. Lascia le impronte del suo passaggio. Apre la porta della chiesa, che lascia filtrare le luci delle candele.

Il frate cappellano è in attesa per iniziare l’ufficio della messa e intonare i salmi del mattutino, anche se in molto anticipo.

Forte si leva la voce per l’inno che precede le preghiere

Veníte, esultémus Dómino,
iubilémus Deo salutári nostro.

Poi l’officiante comincia, mentre Il nuovo arrivato si inginocchia davanti all’altare. Ha una veste bianca con la croce rossa su una spalla. Tiene la mano sul pomo della spada che pende di fianco, infilata in un fodero di cuoio. Prende la comunione, perché vuole il conforto del corpo di Cristo per il lungo viaggio che sta per iniziare.

Quando esce dalla chiesa, scendono piccoli fiocchi di neve. Silenzioso rientra nella sua cella. Si inginocchia per l’ultima preghiera. Si toglie la tunica per mettere sotto di questa quella da viaggio, indossa un mantello di lana grezza pesante col cappuccio, chiuso con un fermaglio di ferro. Appende al cinturone di cuoio una bisaccia che contengono molti bolognini d’argento, qualche reliquia sacra. Li ha recuperati dal nascondiglio della chiesa di Sant’Homobono.

Frate Alberto gli ha detto: “Prendili. Ti serviranno per il viaggio. Non puoi appoggiarti alle nostre commende, che dovrai evitare”.

Pietro avverte sulle spalle un forte responsabilità per l’ingente somma, che rappresenta il tesoro della magione. Dovrà tenere una dettagliata descrizione delle somme spese da rendicontare al suo ritorno. A questo pensiero un brivido percorre la sua schiena. Sa che sarà in costante pericolo sia durante il viaggio che al suo arrivo a Paris. Deve affrontarli con lo spirito di sacrificio che lo anima secondo le regole dei templari.

Dà un ultimo sguardo alla sua cella, prima di porre sulla spalla sinistra una pesante sacca con quello che gli serve. Chiude dietro di sé la porta della cella e si avvia verso la sacrestia della chiesa della commenda. Si guarda intorno tutto tace, mentre dal cielo scendono fiocchi di neve copiosi.

Pietro è riuscito a mandare a Lizzano un messaggio breve per Giacomo. ‘Tra qualche giorno sono da voi’ tramite Tonio, il fedele servitore della coomenda. Spera d’incontrare di nuovo il vecchio amico e sua nipote Lucia. Deve recuperare il fedele bardo, che ha lasciato lì e controllare che la cassetta sia ancora al suo posto.

Si infila nel passaggio segreto che lo condurrà a ridosso della terza palizzata, la cinta difensiva di Bologna più esterna. Deve fare molta attenzione in questa fase, perché in agguato ci sono molte difficoltà.

Nel marzo di due anni prima era tornato alla commenda ma molti episodi hanno segnato questo periodo di tempo. Il 24 agosto del 1308 finalmente il frate Tascherio, un domenicano, ha coronato il sogno di arrestare tutti i templari della magione di Bologna. È l’inquisitore per la Lombardia meridionale ed è un loro nemico giurato. In realtà i frati erano già di fatto prigionieri, perché entrare o uscire dalla commenda era quasi impossibile. Un presidio di uomini armati stazionava giorno e notte davanti agli ingressi. Veniva controllato tutto. Nessuno sfuggiva all’occhio vigile di quei soldati. Solo Tonio aveva minori difficoltà nell’attraversare quei controlli.

Pietro ricorda quei momenti di tensione, mentre avanza nel passaggio segreto che lo condurrà alla terza palizzata. Anche adesso deve fuggire come un malfattore. ‘Eppure’ si dice il frate, quasi arrivato alla fine del cunicolo, ‘il papa mi ha chiesto di difendere il Gran Maestro, Jacques Molay, e gli altri cinquecento sessanta templari. Il processo si terrà a marzo a Paris. Spero di poter arrivare in tempo per salvarli dalla pena capitale’.

Pietro scuote il capo, perché nonostante tutto sarà un viaggio molto più pericoloso di quello affrontato due anni prima. Allora c’era ancora molta confusione ed era possibile trovare qualche alleato tra il clero e i nobili. Adesso pare che la situazione sia peggiorata in maniera considerevole. I templari sono considerati eretici e blasfemi. Non c’è paese dell’Europa che non ha imprigionato i suoi confratelli e sequestrato i loro beni, come è avvenuto a Bologna.

Nuovi ricordi affiorano nella mente di Pietro. I delegati dell’inquisitore Tascherio, Guidone Bontalenti e Francesco de’ Mussoni, hanno eseguito il sequestro di quanto era presente nella commenda. Magro è stato il loro bottino. Pietro sorride nel rammentare questo episodio, mentre esce nella sacrestia della chiesa di sant’Homobono. ‘Ci sono rimasti male’ si dice il frate con un sorriso ironico. ‘Si aspettavano grandi ricchezze. Invece hanno trovato poco o niente’.

Adesso dev’essere guardingo e silenzioso. La terza palizzata non è completa ma gli hanno riferito che ci sono guardie armate che perlustrano di notte i varchi. ‘Devo scattare’ si dice Pietro, ‘quando sono appena passati. Prima devo rimanere ben nascosto’. Lo strato nevoso è sufficientemente alto per affondare per mezzo piede. Nei pressi dell’apertura scelta per uscire dalla città c’è un casolare in pietra che può offrire un comodo riparo. La zona pericolosa è di una ventina di pertiche bolognesi ma la neve ostacolerà la corsa del frate, appesantito dalla bisaccia e dalla spada. Se ci riuscirà e se non noteranno le sue orme, tutto filerà liscio. ‘Quanti se!’ esclama in silenzio Pietro, acquattato dietro un angolo del casolare.

Vede passare il corpo di guardia e comincia a calcolare il tempo impiegheranno per tornare. ‘Uno, due, tre…’ conta il frate. ‘…cinquanta, cinquantuno, cinquantadue…’. L’attesa e la tensione lo tengono in ansia. ‘Uhm!’ si dice. ‘Non ho molto tempo a disposizione. Alla prossima ronda scatto e che Maria Maddalena mi protegga’.

La nevicata è diventata più fitta. Pietro spera di confondersi meglio con la tunica bianca. È pronto a balzare fuori dal riparo e correre oltre il varco. Vede passare la pattuglia. ‘Uno, due e tre’ e si alza di scatto per passare la cerchia muraria. Incespica, poggia una mano sul terreno indurito dal gelo. Si rialza e riprende la corsa. Cade ancora. Questa volta più rovinosamente. Avverte un dolore al ginocchio ma riprende la marcia verso l’esterno. Sembra che le pertiche siano diventate infinite, mentre avverte l’affanno del respiro. ‘Ancora un piccolo sforzo’ pensa Pietro, che non osa voltarsi indietro. L’obiettivo, un piccolo bosco, è proprio lì a portata di mano, quando avverte il passo cadenzato delle guardie. Si getta per terra con la speranza che non lo notino. Sente le loro voci, le loro bestemmie per il turno di guardia con un tempo così infame. Trattiene il respiro, non osa alzare lo sguardo verso di loro. Poi i passi si allontanano. Si leva con cautela e li vede allontanarsi. Non c’è tempo per togliere la neve, perché deve infilarsi nel bosco. Ancora pochi passi e poi sarà in salvo.

Si appoggia a un tronco di carpino per rimettersi in sesto. Il respiro è corto, affannato. Deve riprendere il controllo del proprio corpo. Adesso lo aspetta una camminata verso la montagna.

Non sa con esattezza per quanto deve proseguire. Ha una vaga indicazione del luogo. Dovrebbe raggiungere il fiume Reno e proseguire lungo l’argine per diverse miglia. Il numero esatto non lo conosce ma anche se lo sapesse, sarebbe stato difficile calcolare la distanza. Il cielo nuvoloso non l’aiuta. Si affida all’istinto.

Tonio ha dato solo vaghe indicazioni. “Uscendo dalla terza palizzata lungo Strada Maggiore, piegate verso destra fino a raggiungere il fiume Reno” ha detto il vecchio servo. “Lo seguite per circa cinque o sei miglia e troverete un capanno in legno. Una postazione usata per controllare le piene del fiume. Qui vi aspetta Domenico, un mio lontano cugino, che vi porterà fino a Lizzano”.

Pietro scuote il capo, perché non ha idea, se sta andando nella direzione giusta. Cammina, mentre il vento fa mulinare i fiocchi, che si insinuano sotto il cappuccio. Dopo un tempo che gli appare lungo e snervante intravvede in lontananza un argine e sente scorre l’acqua. ‘Forse è il Reno’ pensa Pietro, affrettando il passo, ‘ma potrebbe essere anche uno dei tanti canali che attraversano Bologna’.

Raggiunto il culmine del terrapieno, che impedisce all’acqua di uscire, si dirige verso quella che secondo lui è la montagna. Si ferma un attimo. Si inginocchia e recita le preghiere del mattutino, prima di avviarsi alla ricerca del capanno.

Non passava giorno – Cap. 38

Le linee parallele si incrociano
Le linee parallele si incrociano

Marco si era addormentato con respiro regolare e cadenzato, mentre Laura percepiva il calore del suo corpo appoggiandosi su di lui.

Il sonno tardava per Laura, anzi proprio non ne voleva sapere. La sua mente era proiettata su quello che era successo nella giornata. Non le sembrava vero che Marco fosse accanto a lei. Si diede un pizzicotto su una guancia per capire se fosse un sogno o realtà. Allungò la mano, percependo il corpo di Marco. ‘No!’ si disse sorridendo nel buio della stanza. ‘Non è un sogno’.

La mente era leggera, come quella lanugine bianca che a marzo vola fastidiosa, sospinta dal vento. Marco era accanto a lei, che finalmente era riuscita a confidare quel malessere che da oltre nove anni portava dentro di sé. Le pareva di essere come una puerpera che, sgravatasi del piccolo che portava in grembo, si riappropriava del proprio corpo dopo che per lunghi nove mesi era rimasto prigioniero di un’indesiderata maternità.

È stato il destino’ si disse Laura, che al buio intravvedeva le forme di Marco che dormiva sereno, ‘che mi ha fatto trovare quella istantanea col vestito rosso. Se non l’avessi trovata, ora non sarebbe qui’.

Pensò allo scritto, che definiva fiaba, ambientata in una località, dove un anno prima erano stati anche loro. Un’altra prova del destino farle trovare quei fogli ingialliti, si chiese Laura con gli occhi spalancati, mentre si sforzava di ricordare i particolari di quella gita.

Quasi subito la sensazione di gioia si trasformò in un velo di malinconia, che le offuscò lo sguardo.

Si, ha ragione Marco’ pensò Laura con tristezza, perché aveva compreso che non ci sarebbe speranza di trattenerlo presso di sé. “Non so quale reazione avrei, abitando a Ferrara’.

Aveva trascorso tutta la sua vita a Milano. Qui c’era la sua famiglia, le sue amicizie. Un mondo, che le era famigliare con i suoi lati positivi e negativi, fin da quando aveva aperto gli occhi. Aveva trovato un lavoro che le piaceva e le dava soddisfazione professionale. Ogni giorno c’era la possibilità di conoscere e frequentare nuove persone, d’incontri stimolanti. ‘A Ferrara c’è l’ignoto, a parte Marco’ rifletté Laura spaventata da questa prospettiva. ‘Mentalità e usanze diverse. Dovrei cominciare da capo. Non mi sento pronta’.

L’incertezza di affrontare un ambiente del tutto sconosciuto le impediva di pensare a qualcosa di differente da quello nel quale viveva il quotidiano. ‘Non so, se riuscirei ad adattarmi’ si disse Laura, accostandosi al corpo di Marco. ‘Sarei felice?’ Il dubbio era più forte della certezza.

Non aveva lo spirito dell’avventura, di provare il passo insieme a Marco. ‘Ma ha un senso?’ si disse. ‘Oppure sarà un rischio più doloroso e dirompente dell’addio che si consumerà tra poche ore?’

Laura aveva percepito negli ultimi momenti della loro relazione, che Marco si dimostrava insofferente alla frenesia di Milano. Non era riuscita cogliere quel malessere, senza dare la giusta importanza, anche se Marco si stava ripiegando silenziosamente su se stesso. Aveva pensato alla tensione per l’imminente dottorato e non a una crisi d’identità. Solo adesso aveva compreso, quanto fosse stata cieca in tutto quel periodo. Però erano stati sufficienti quegli otto mesi di lontananza per rigenerarlo nel fisico e nello spirito. ‘Posso chiedergli’ pensò con gli occhi umidi di pianto, ‘di lasciarsi consumare dalla malinconia dei ricordi?’ Marco era rimasto sempre lo stesso. Non aveva perso quel intuito acuto e perspicace, pronto a cogliere le sfumature psicologiche di chi lo circonda. Anzi le sembrava che la lontananza avesse acuito queste doti.

Una lacrima scivolò leggera sul petto di Marco, che, svegliatosi, intuì le sensazioni di Laura. Era incapace di trovare una soluzione al problema.

La strinse, mentre la mano le scompigliava i capelli. ‘Sono un egoista, che pensa per sé’ rifletté Marco amaramente. Comprese che avrebbe sacrificato l’amore che provava pur di soddisfare il desiderio di vivere nel suo ambiente.

Il dubbio stava facendo capolino nei suoi pensieri ma lo scacciò immediatamente.

C’è un secondo argomento di cui parlare” disse Marco. “È il momento giusto?”

Non passava giorno – cap. 37

Copertina del  mio libro
Copertina del mio libro

Laura e Marco con la luce accesa stavano vicini nel letto, mentre le loro mani scivolavano leggere sulla pelle. Parlavano sottovoce, quasi timorosi che qualcuno potesse ghermire i loro pensieri, i loro sussurri.

La paura di bloccarsi dopo i progressi del pomeriggio la teneva in ansia. La vista di Marco arrapato su Sofia aveva suscitato in Laura una reazione violenta, temendo di perderlo una seconda volta. Si domandò se era normale reagire in modo sproporzionato alla reale natura del pericolo. Si spaventò di non essere in grado di governare le paure più nascoste, mentre comprendeva che stava superando quella barriera psicologica che le false percezioni dei suoi sensi l’avevano bloccata.

Adesso Laura dava ascolto al fisico e lo assecondava, sentiva il respiro regolare e rassicurante di Marco. Percepiva che stava autorizzando il proprio corpo a essere offerto in dono senza il disagio che l’aveva tenuta in ansia fino a qualche ora prima.

Osservava il suo ventre oscillare lieve e costante con un brivido di piacere. Comprendeva che finalmente con l’aiuto di Marco stava andando oltre le sue fobie. Le sembrò di essere una farfalla, che uscita dalla pupa cresce succhiando il nettare del fiore per volare libera nel campo di erba medica. Sentiva le sue mani che esploravano il corpo con pudore gentile senza provare fastidio.

Per fare all’amore c’era tempo senza fretta: un frutto da cogliere maturo sulla pianta e gustarlo con piacevole lentezza. Capì che poteva rubare qualche attimo al piacere per parlare di lei, di loro e di quello che era successo durante la giornata. ‘Proverò un vuoto non colmabile da un altro uomo’ si disse Laura con l’occhio lucido, ‘quando partirà definitivamente’.

Aveva sognato e sperato in questi otto mesi che Marco ritornasse da lei per sempre ma non era questa la realtà desiderata. Aveva compreso che non sarebbe stato così. Tralasciò le malinconie, perché avrebbe avuto tempo per piangere, e decise di aprire la propria anima a Marco per l’ultima volta.

Marco” esordì Laura, “ti desidero come oggi pomeriggio e forse ancora di più ma prima voglio parlare con te delle mie paure”.

Laura parlò delle sue fobie sessuali, che l’avevano frenata, perché, come lui aveva già capito, il rapporto col suo corpo non era normale. Avvertiva malessere al solo pensiero che qualcuno la vedesse nuda, percepiva fastidio se la sua mano sfiorava il seno e avrebbe potuto continuare a lungo nell’elenco delle sensazioni sgradevoli che provava nei contatti col suo corpo.

Non aveva mai trovato il coraggio a confidare con qualcuno le sue paure, le sue angosce e la sua incapacità di essere donna, di donare il proprio corpo a uomo e soprattutto di ricevere piacere.

Vorrei capire per superare il blocco, che mi impedisce di avere un rapporto sereno col sesso” disse Laura, stringendosi a lui. “Tu sei l’unico con il quale l’ho fatto”.

Laura rimase in attesa delle risposte di Marco, staccandosi da lui.

Ti sei bloccata. Perché?” le chiese. “Posso parlare anche sentendo il calore del tuo corpo, le tue labbra sulla pelle, le tue mani che mi accarezzano”.

L’invitò a rilassarsi, perché potevano parlare senza interrompere le carezze d’amore, mentre la baciava sul collo, dietro l’orecchio, sulla bocca. L’effetto di queste parole sbloccò Laura, che si accoccolò sul corpo di Marco. Lui percepì che Laura si era tranquillizzata.

Senza smettere di accarezzarla e di baciarla, le ricordò come dormisse serena accanto a lui i primi tempi della loro relazione. Marco aveva notato questo blocco psicologico e aveva atteso con pazienza, senza forzare i tempi in un’inutile violenza, finché Laura non si era sentita pronta.

Ho usato” proseguì Marco, “discrezione perché volevo evitare ansie immotivate, bloccando il lento approccio al primo rapporto completo”.

Laura gli aveva confidato di non essere più vergine quando alla fine decise di fare all’amore con lui. Marco si era comportato come se fosse vero.

Posso dirti che in realtà lo eri ancora” le disse Marco, guardandola negli occhi. “Sono stato io a deflorarti, quando abbiamo avuto il primo amplesso. Ti ho sempre lasciato credere il contrario”.

Marco le spiegò che i suoi problemi sarebbero sorti, perché quel rapporto, avuto da ragazza, l’aveva traumatizzata. Se si associavano divieti e proibizioni, inculcati da bambina per la rigida educazione sessuale ricevuta, Laura aveva innalzato una barriera psicologica tra lei e il suo corpo. Questo l’aveva bloccata nel fare sesso con serenità e consapevolezza, prima che fosse stato lecito secondo quelle regole. Ovvero da sposata.

Proibizioni e timori di peccare mortalmente’ fece Marco, mentre con la mano giocava col capezzolo di Laura, “ti hanno fatto sentire sporca. È il retaggio di una cultura non più avvertita e percepita, come peccato. Concetti morali, che hanno creato in te resistenza nella ricerca e nella costruzione dell’atto sessuale come piacere da assaporare e da gestire”.

Marco le disse che non aveva mai protestato, quando pretendeva di spogliarsi sotto le lenzuola al buio. Aveva accettato di buon grado, quando al termine dovevano subito lavarsi e rivestirsi, perché gli odori le provocavano un senso di disagio. Marco l’ha amata allora come adesso, evitando azioni forzose e violenti contro il suo volere.

Riflettiamo su quel famoso rapporto. Cosa non è andato per il verso giusto?” le chiese bruscamente, affrontando direttamente il problema, poiché Laura era reticente nell’aprire l’armadio dei ricordi.

Laura rimase in silenzio, bloccandosi. L’aveva rimosso dalla mente.

Visto che non ne vuoi parlare” concluse Marco, “non parliamone”.

Cominciò a baciarla sulla bocca, che rimase rigida e chiusa. Marco insistette con pazienza, finché le labbra non si dischiusero e la lingua penetrò nella cavità. Il corpo di Laura divenne flessuoso e morbido alla ricerca del contatto.

Dopo qualche minuto, quando i mugolii divennero più forti, Laura staccò le labbra da quelle di Marco e bisbigliò nell’orecchio. “Hai ragione. E’ venuto il tempo che ne parli apertamente. Devi sapere …”

Era giovane e inesperta in quel periodo. Si era lasciata cullare e affascinare da quel uomo. Era un fascino malsano, incerto, che ai suoi occhi rappresentavano il simbolo dell’emancipazione. Si sentiva brutta e insicura, mentre lui sembrava un dio, pronto a donare qualcosa, che invece le rubava. Il corpo abbronzato e muscoloso, l’aria dell’uomo vissuto e sicuro di sé erano forme più appariscenti che concrete. Laura vedeva in lui un messaggio errato, che trasmetteva erroneamente alla sua mente. Alla fine raccontò la vergogna, provata con quel primo rapporto, finito con un grottesco tentativo di penetrazione.

Hai sempre ragione. Intuisci subito cosa non va nelle persone” disse Laura. “Da allora mi sono vergognata a guardarmi allo specchio, a toccarmi o solo sfiorarmi. Ho rimosso tutto per non ricordare”.

Come ti senti in questo momento?” chiese Marco, mentre la stringeva forte a sé. “Parlare o ricordare episodi spiacevoli non è mai semplice ma ci sei riuscita!”

Laura sentiva il calore del corpo di Marco, che le donava sicurezza.

Non so con sincerità cosa mi avesse colpita” affermò Laura. “Penso che fosse il primo uomo che mi guardava come donna e manifestava il desiderio di fare l’amore. Ma in effetti ero io che cullavo questa fantasia e la trasferivo in lui. Quello che mi ha fatto più male è stato l’essere trattata come oggetto da manipolare per soddisfare il proprio ego”.

Laura ammise di essere stata incapace di reagire, chiudendo dopo il primo incontro. Aveva sperato che quello successivo sarebbe stato migliore e più stimolante, per soddisfare le attese sognate. Tuttavia provò sempre più vergogna di sé, finché un sussulto di dignità le fece dire “Basta!”.

Il trauma era stato talmente forte che da quel momento fare sesso sarebbe stato un’azione disdicevole e sporca. Aveva creduto in una punizione divina, perché aveva desiderato un uomo, perché voleva andare a letto con lui.

Per contrappasso doveva punire il corpo, la mente per questa trasgressione agli insegnamenti che i genitori le avevano impartito fin da piccola. La mente non doveva più concedere l’autorizzazione a sentire il piacere nel toccarsi, nel toccare il corpo di un altro.

La ricerca del sesso la stava facendo sprofondare nella depressione, quindi per reazione negava a se stessa la sessualità e tutto quello che ruotava intorno a essa. Marco, che aveva avvertito il suo conflitto interiore, non le aveva mai forzato un rapporto, senza che Laura non l’avesse desiderato. Doveva comprendere che fare del buon sesso poteva essere una pratica gradevole.

Dopo la confessione, sofferta all’inizio e poi diventata sciolta e libera, Laura avvertì un senso di liberazione. Aveva trovato la via per rimuovere il conflitto tra ciò che la mente riteneva illecito e quello che reclamava il corpo.

La tua pazienza è stato un toccasana per me, per farmi uscire dal tunnel buio della depressione” disse Laura, che trasse un forte sospiro.

Allontanò le lenzuola e, inginocchiatasi, guardò Marco nudo, mentre lui la osservava.

Abbiamo parlato troppo! I sensi reclamano i nostri corpi!” disse Laura, mentre accarezzava il suo sesso. “Ti guardo e mi guardi. Provo piacere nel toccarmi, nel toccarti”

Marco disteso sul letto la guardò con passione.

Mi fai girare la testa e…”. Allungò le braccia e la trasse a sé. “Ora basta con le chiacchiere!”

Sofia e Matteo divennero un unico corpo, groviglio di braccia e di gambe, mentre davano sfogo alla loro passione.

Erano sdraiati nel letto sotto le coperte, quando Sofia avvicinatosi a Matteo disse: “Vorrei parlarti, c’è qualcosa che ho provato stasera da Laura…”.

Lui rise, mettendo un dito sulle labbra. “Non rovinare questa atmosfera. C’è tempo per parlare. Abbiamo la notte e la mattina…”.

Non posso” disse Sofia, “ho un appuntamento alle undici. Non lo posso rimandare”.

Telefona e rimandalo. Anch’io farò la stessa cosa” rispose.

Sofia borbottò qualcosa e si rifugiò tra le braccia di Matteo come una nave, sorpresa dalla tempesta, entrava nell’approdo sicuro.

Una storia così anonima – parte cinquantacinquesima

Il primo fiore di San Giovanni (iperico) della mia siepe - foto personale
Il primo fiore di San Giovanni (iperico) della mia siepe – foto personale

Bosco dopo Beauveset, 10 marzo 2015 – ore dodici

Pierre trova uno spazio tra due alberi e parcheggia la Mini.

Siamo arrivati” dice, rivolgendo un sorriso sarcastico a Vanessa.

Vedo” replica la ragazza, stringendo gli occhi. “Se mi fa scendere…”.

Perché?” esclama Pierre divertito. Si vuole godere lo spettacolo della ragazza che lo implora.

Vanessa lo guarda incattiva. Se solo potesse avere le mani libere gli farebbe vedere chi è lei. Adesso deve abbozzare. Deve scendere oppure tra un istante se la fa addosso. ‘Che vuole?’ si dice, stringendo i denti per trattenerla. ‘Mi vuole umiliare? Ah! Se ci fosse Luca’.

Le chiedo ancora una volta” fa Vanessa, cercando di moderare il tono. “Mi fa scendere?”

Pierre ride e gongola vedendo la ragazza che con umiltà lo supplica. Adesso deve pensare a come impedirle di sparire nel bosco, una volta libera. ‘Potrei metterle una manetta al polso e l’altra al mio’ pensa Pierre. L’idea gli sembra buona.

Va bene” dice Pierre, aprendo la portiera per uscire.

Gira intorno alla macchina per aprire quella dove sta Vanessa. Lo fa con calcolata lentezza. Vuole assaporare la vendetta, che va servita fredda. ‘E con lentezza’ si dice. Osserva lo sguardo terrorizzato della ragazza che si contorce e stringe le gambe nel tentativo malriuscito di trattenersi dal bagnarsi ulteriormente. Finge di guardarsi intorno come se cercasse un posto dove lei possa svuotare la vescica. In realtà lo fa con deliberato scopo di umiliarla, di farle assaporare che lui l’ha in pugno. Alla fine apre la portiera.

Scendi” fa Pierre, sapendo che non può.

Uno sguardo sadico illumina i suoi occhi.

Se mi togli questi cosi dalle braccia” replica Vanessa inviperita, “posso scendere”.

Pierre ride con le lacrime che gli bagnano il viso.

Che hai da ridere, brutto scimmione!” esclama Vanessa, passata al tu, mentre non riesce a reprimere la rabbia.

Pierre si gode la scena. La osserva in tralice con un ghigno maligno. ‘Ti lascio lì, a pisciarti addosso’ si dice, pregustando l’umiliazione che le vuole riservare: osservarla mentre fa pipì. Gira intorno alla macchina per tornare al posto di guida.

Vanessa lo guarda terrorizzata. Sente delle fitte al basso ventre e qualche goccia torna a inumidire il cavallo dei jeans. ‘Non è il tempo’ pensa la ragazza, stringendo le labbra, ‘d’insultarlo. Non ci ricaverei nulla. Solo dileggio e basta’. Resta in silenzio, mentre accavalla le gambe. Un po’ per aiutarsi a trattenerla, un po’ per alleviare il senso di fastidio tra le cosce.

Pierre si siede e aspetta che Vanessa torni a pregarlo. I secondi scorrono lenti ma la ragazza rimane muta. I suoi occhi puntano verso il bosco, inespressivi. Un silenzio innaturale fa comprendere a Pierre che Vanessa è determinata a tacere. Il divertimento è finito. Esce nuovamente dall’abitacolo e sgancia una manetta dal sedile per fissarla al suo polso. ‘No, così non va’ pensa Pierre, accorgendosi che rischia di essere attaccato dalla ragazza, quando si protende per sganciare anche l’altra manetta. Le blocca il braccio, mentre riposiziona il braccialetto dove stava prima.

Pierre si gratta il mento, avvertendo la barba non fatta questa mattina. Ispida e fastidiosa è la peluria che la sua mano sente. ‘Se sgancio quella accanto alla leva del cambio’ si dice, ‘il problema resta. Se però le libero la mano, posso controllarla meglio’. Torna al posto di guida e libera la mano sinistra.

Vanessa, fingendo di grattarsi il seno, tocca un tasto dell’Iphone, non vista da Pierre, che sta tornando dalla sua parte. ‘Spero che Luca sia in ascolto’ pensa, mentre la mano si infila tra le gambe ben strette.

Adesso può scendere. Muove qualche passo incerto, un po’ barcollante. Il suo braccio destro è unito a quello sinistro di Pierre. ‘Mica può pensare che mi tolga i jeans in sua presenza’ riflette Vanessa, tornata al lei.

Ora” esordisce Pierre, “se vuoi, sei libera di pisciare”.

Vanessa lo guarda storto. “E dove?”

Qui” indica Pierre un cespuglio dietro un albero.

La ragazza sta per rispondere male ma si trattiene. Deve allungare il colloquio per consentire a Luca di arrivare in suo soccorso.

Veramente” inizia Vanessa, muovendo il braccio destro, “con questo coso non riuscirei a fare nulla”.

Perché?” chiede Pierre sorpreso da questa uscita.

Non sono come voi, uomini” afferma la ragazza, che sente una nuova ondata del bisogno di minzione, “che vi basta un albero e state in piedi”.

E come pensi di fare?” le chiede Pierre, che ridacchia.

Mi tolgo i jeans” dice Vanessa, “e mi accuccio. Poi mi detergo con una salvietta”.

Quale salvietta?” fa Pierre sempre più divertito.

Voi date una scrollatina e via” rimbecca la ragazza. “Non tiene dei fazzoletti Tempo in macchina?”

No!” risponde Pierre, che non riesce a trattenere il riso.

No?”

No!”

Vanessa si guarda intorno, mentre sente un po’ di liquido scorrere sulla gamba. Non è più il tempo di schermaglie dialettiche. Deve trovare un posto per mingere. Il cespuglio potrebbe andare ma deve liberare il braccio.

Mi toglie la manetta?” chiede con tono remissivo Vanessa.

E perché dovrei farlo?” fa Pierre sorpreso dalla richiesta.

Non vuole mica assistere alla mia pisciata?” esclama Vanessa. “Poi con una mano sola fatico a togliere i jeans. Pensa che scappi? E dove? Ora ho solo una necessità impellente. Urinare”.

Strada nazionale N85 10 marzo 2015 – ore dodici

Luca è fermo quasi di fronte al viottolo, dove presume si sia fermata Vanessa. Deve decidere cosa fare, mentre le auto strombazzano inviperite per quel inatteso ostacolo sulla carreggiata. Il ragazzo alza le spalle infastidito dai gesti poco cortesi degli altri automobilisti. Il segnale è fisso da un po’. Dunque sono fermi. Allunga una mano nel vano portaoggetti e prende Victorinox, il coltellino svizzero multiuso. ‘Potrebbe servirmi’ si dice, mentre prende la decisione.

Con mossa audace invade la corsia opposta, mentre sta arrivando a discreta velocità una Twingo. Il guidatore, una giovane donna, spalanca gli occhi per la sorpresa e il terrore, vedendosi arrivare contro una vecchia Fiat.

Luca frena e con rapidità innesta la retromarcia, infilando a tutta velocità il sentiero. La ragazza si attacca ai freni, perché dalla parte opposta sta arrivando un TIR e rischio di finire peggio. Chiude gli occhi, immaginando il botto. Le gomme lasciano un bel po’ di battistrada sull’asfalto, quattro lunghe strisciate nere ma non sente l’urto. Li riapre e non scorge più l’auto di quel kamikaze. Sparita, volatilizzata. Sudando e imprecando riprende la marcia. Tra poco potrà raccontarlo al suo ragazzo che per un pelo non è finita al creatore.

Luca percorre a discreta andatura il tratturo in terra battuta per un centinaio di metri sempre in retromarcia, prima di fermarsi. Una rapida occhiata allo smartphone. Il segnale è stabile. Scende non prima di avere afferrato i due Samsung. Tiene in mano quello con l’app, mentre l’altro sparisce in una tasca. Fa scattare la lama del coltellino svizzero e si avvia a piedi verso un punto non molto distante. Consulta il programma, che indica a trecento metri l’Iphone di Vanessa.

Se Henri vuol tornare indietro’ si dice Luca, che si muove in silenzio, ‘troverà una sgradita sorpresa. La strada bloccata’. Mentre sta pensando questo, l’app si illumina. Ha ricevuto un impulso dal programma gemello. ‘Ottimo’ riflette Luca, ‘Van è funzionante’. Intravvede tra gli alberi la Mini blu di Henri. ‘Occhio, Luca’ si dice, ‘non devi farti scoprire’.

Sente la voce di Vanessa ma non comprende le parole. La risposta di Henri pare uno scoppio. Una risata stridula. Ormai la distanza è minima. Osserva l’auto tra due alberi, Vanessa di spalle e Henri di profilo. Si ferma per valutare cosa fare. Il vento muove le fronde appena spuntate con un sibilo piacevole. Deve evitare qualsiasi rumore. Adesso ascolta le parole di Vanessa, che chiede a Henri di liberarle una mano. ‘Dunque’ pensa Luca, ‘sono uniti da qualcosa. Ma cosa?’

La Mini ha le portiere aperte, mentre i due sono fuori dell’abitacolo a una decina di metri. Luca, protetto dal tronco di una quercia, si avvicina al retro dell’auto e rapidamente squarcia la copertura posteriore.

Mi togli questo coso?” dice Vanessa, agitando la mano destra. “Devo togliermi i Jeans”.

Se vuoi” replica sarcastico Pierre con un sorriso cattivo sulle labbra, “lo posso fare io”.

Provaci” esclama furiosa Vanessa.

Luca si mette una mano davanti alla bocca per trattenere una bella risata. ‘Bella carica, Van!’ pensa il ragazzo, che cerca di capire le mosse. Vorrebbe mostrarsi alla ragazza ma teme di essere visto da Henri. Rimane al coperto dietro la quercia. Sente un click metallico e vede Vanessa che si massaggia il polso.

Voglio vederti” dice Pierre con qualcosa di luccicante al polso.

Al massimo la testa” replica Vanessa che va verso un grosso cespuglio di more.

Luca intuisce cosa sta avvenendo e si sposta con rapidità verso il punto che segnala l’app. Deve mostrarsi, non visto da Henri, alla ragazza e invitarla a correre verso la sua macchina, che è aperta. Lui in qualche modo lo terrà impegnato. Mentre si sposta, trova per terra un ramo, che raccoglie. Mette in tasca anche il secondo Galaxy, che adesso gli è solo d’impiccio.

Vanessa si toglie i jeans e si accuccia con un sospiro di sollievo. Sembra interminabile la pipì, mentre tiene i pantaloni ben in alto per mostrarli e per non bagnarli.

Mi vedi?” dice la ragazza, che alzando gli occhi incrocia quelli di Luca.

Un dito sulle labbra del ragazzo le impone di tacere, mentre Vanessa spalanca la bocca per la sorpresa. Non si aspettava di vederlo lì, a due passi. Quasi potrebbe toccarlo.

Sì” replica Pierre, soddisfatto. “Tieni le mani in alto e ben in vista”.

Vanessa non risponde, perché cerca di capire le istruzioni di Luca. Un gesticolare concitato. ‘Benedetto ragazzo’ si dice. ‘Non ci ho capito una minchia! Cosa dovrei fare?’

Hai capito?” esclama spazientito Pierre che accenna a muoversi verso il cespuglio.

Fermati, dove sei” dice Vanessa, che ha intuito le mosse di Pierre dallo sguardo allarmato di Luca. Dal suo gesticolare intuisce alla fine che deve correre alla macchina. ‘Alla faccia! Se uno doveva capire’ pensa la ragazza che si è spostata di lato al piccolo laghetto che ha fatto.

Mi infilo i jeans” fa Vanessa, che adesso mostra la testa e parte della schiena.

Niente scherzi” dice Pierre per nulla tranquillo per l’arrendevolezza della ragazza. Tanto battagliera fino a pochi minuti prima, tanto remissiva adesso.

Dove vuoi che corra?” aggiunge Vanessa, che con calma infila i jeans, mentre osserva le istruzioni di Luca.

Che stai facendo?” esclama Pierre, reso sospettoso dalla lentezza della vestizione. “ora vengo a prenderti”.

Se ci riesci” fa Vanessa, correndo in direzione del sentiero.

Una storia così anonima – parte cinquantaquattresima

foto personale
foto personale

Bologna, 20 marzo 1308, ora dodicesima – anno terzo di Clemente V

Pietro era partito da Lizzano tre settimane prima. Un lungo viaggio a piedi verso Bologna. Ha messo in sicurezza quella cassetta, della quale ignora il contenuto. Sa di averla lasciata in buone mani. Spera di tornare presto tra i suoi monti a riprendere il fedele bardo e la cassetta e di rivedere Giacomo e Lucia. Il viaggio avrebbe potuto essere più breve ma ha evitato paesi e borghi, dormendo all’addiaccio. Il bosco non offre molte risorse in questo periodo, quindi ha sfruttato le case coloniche isolate per comprare qualcosa. Ha seguito il corso del fiume Reno come guida verso Bologna.

Giunto in prossimità della terza cerchia muraria, Pietro si è fatto più guardingo, evitando qualsiasi contatto. Deve entrare nella chiesa di Sant’Homobono non visto per affrontare il passaggio segreto che lo avrebbe condotto nella magione. Immagina che gli armati stazionino ancora davanti all’ingresso e non desidera essere notato.

Le ombre si sono fatte più prepotenti, coprendo gli ultimi raggi del sole, quando Pietro si introduce nella chiesetta. È minuscola, una piccola oasi di pace. Tenendosi nell’ombra, lontano dai pochi ceri che ne illuminano l’interno, esplora con gli occhi l’altare maggiore e le panche vuote. Si avvicina al ripostiglio, dove ha celato le ricchezze della magione. Prima della sua partenza per Paris, il frate col consenso di Giovanni, il vecchio precettore della commenda, aveva prelevato una bella somma in bolognini d’argento e fiorini d’oro. Gli hanno fatto comodo durante il lungo viaggio nella terra dei Franchi. Senza quelli non sarebbe riuscito a sfuggire a tutti gli agguati. Adesso non ne sono rimasti molti. Li riconsegnerà al precettore, che spera di riabbracciare.

Con la mano aziona la molla che apre la cavità nella parete. Allunga il braccio per tastare il contenuto. Al primo tatto non gli pare che manchi nulla. Non conosce la sorte e lo stato della magione ma pensa che dovrà ricorrere a quando sta nel ripostiglio segreto nei prossimi mesi. Un clac che rimbomba nel silenzio della chiesa lo avverte che la lapide si è richiusa. Furtivo si reca nella sacrestia, che gli sembra in stato di abbandono, come se fosse da tempo che nessuno vi abbia messo piede. La stanza è vuota e polverosa come il mobilio che appoggiato alle pareti. I paramenti sacri spariti. Sembra che siano stati rubati. A Pietro stringe il cuore per come trova la stanza. Scaccia i pensieri negativi, mentre si avvicina all’anta dell’armadio dove è celato l’ingresso al passaggio segreto. Prima afferra due grossi ceri, che giacciono su un tavolo. Ne accende uno e poi si guarda intorno. Nessun rumore o presenza umana. Si intrufola rapidamente dentro, tirandosi dietro il battente. Fa attenzione a non appiccare il fuoco o a far gocciolare la grossa candela. Non vuole lasciare tracce del suo passaggio. Fa scorrere la parete di legno, finché non viene messo allo scoperto l’ingresso. Alza la botola che lo immetterà nel passaggio segreto. L’odore di chiuso e di muffa lo assale in modo brutale. Pietro fa attenzione ai gradini, resi ancora più scivolosi dall’umidità delle piogge e delle nevicate dell’inverno. Richiude il coperchio sopra la sua testa e comincia a scendere.

La luce del cero infastidisce qualche ratto, che corre a nascondersi nella sua tana. Pietro avanza con cautela, mentre l’aria viziata di chiuso impregna il suo mantello. Arrivato in fondo al cunicolo, saggia con prudenza la botola che immette nella sacrestia della chiesa di Santa Maria del Tempio. È libera ma ignora se ci sia qualcuno nel locale. Tende l’orecchio senza percepire suoni. Lentamente la solleva. ‘Via libera’ si dice, issandosi fuori, prima di far scorrere il pannello dell’armadio dei paramenti sacri. Socchiude l’anta, tendendo l’orecchio per intercettare i rumori della stanza. Niente di sospetto. Solo oscurità e freddo. Anche questa non sembra godere di buona salute ma almeno non si avverte il senso di desolazione della chiesa di Sant’Homobono.

Pietro sa che adesso arriverà la parte più difficile. Quella di raggiungere frate Giovanni, ammesso che non sia morto, senza essere visto. La chiesa della commenda appare deserta. Nessuno che sta officiando i riti serali. Pietro si rattrista. Il senso di abbandono sta sospeso nell’aria. Sono passati pochi mesi dalla sua partenza ma il clima è peggiorato sensibilmente.

Esce da una porta secondaria per raggiungere la cella del precettore ma Alberto degli Arienti lo intercetta.

Pietro!” esclama, spalancando gli occhi per la sorpresa. Non si aspettava d’incontrarlo. Nessuno lo ha avvertito del suo ritorno.

Alberto” dice Pietro, abbracciandolo. ‘Chi sono quegli armati fuori del portone?”

Vuole prevenire domande scomode e finge di essere entrato dalla strada. Non gli deve lasciare l’iniziativa.

Ho faticato a entrare” fa Pietro, prendendolo sotto braccio. “Frate Giovanni, come sta?”

Il viso di Alberto accenna a una smorfia di dolore. “Ci ha lasciato da due settimane fa”.

Pietro resta in silenzio. La notizia lo rattrista. “Ma il nuovo precettore?” gli domanda con la voce rotta dall’emozione.

Lo dobbiamo cercare tra i superstiti della commenda’ dice Alberto, mentre si avviano verso il refettorio. “Siamo rimasti in cinque. Con te facciamo sei. Tutti i servi se ne sono andati fuorché il vecchio Tonio, che è rimasto con noi. Non avrebbe saputo dove andare. Non ha nessuno fuori di qui”.

Pietro saluta gli altri fratelli che stanno mangiando una misera zuppa di verdura. Il clima è dimesso e il focolare è spento.

Ma raccontatemi, Alberto” fa Pietro, sistemandosi sulla panca.

Alberto degli Arienti scuote la testa. “C’è poco da raccontare” esordisce. “Due mesi dopo la vostra partenza il frate dominicano, Nicolò Tascherio, l’inquisitore, ha impedito qualsiasi movimento a tutti noi, mettendo delle guardie armate all’ingresso. Quelle che avete visto anche voi. Di fatto siamo prigionieri, anche se ufficialmente possiamo muoverci. Da febbraio i controlli sono diventati ferrei. Non può uscire nulla dalla commenda ma è difficoltoso anche entrare. Non so come avete fatto a eludere il presidio”.

Ma come avete fatto con i viveri?” domanda Pietro, che si guarda intorno. Finge di non avere udito il dubbio di Alberto. Non saprebbe come rispondere in modo convincente.

Alberto fa un gesto con la mano come per dire ‘è stata dura’. Non insiste con le domande. Si accontenta di quello che dice Pietro.

Ormai i granai sono quasi vuoti. La dispensa è polverosa e i tini secchi” fa Alberto da Bronzano, sollevando la testa dalla scodella. “Se non fosse per qualche anima pia e caritatevole, saremo morti di fame e d’inedia. Quel domenicano non aspettava occasione migliore per metterci in difficoltà”.

Il silenzio nello stanzone è tangibile. Nessuno parla. Chi sta mangiando, ha smesso. Pietro osserva i confratelli con occhio lucido. Li vede demotivati, incerti. Le privazioni hanno fiaccato il loro spirito. Ne capisce i motivi. ‘Essere reclusi’ pensa Pietro, ‘senza conoscere le motivazioni e cosa li aspetta nel futuro, è davvero frustrante’. Li passa in rassegna. Alberto degli Arienti è quello meno depresso, quasi sollevato, pensando di condividere con Pietro le cure della magione. Alberto da Bronzano e Giovanni Bono invece mostrano preoccupazione, temendo che una bocca in più da sfamare possa ridurre le razioni quotidiane, già scarse al momento. Solo Gherardo da Bologna non mostra inquietudine per quello che li aspetta nei prossimi mesi. Ha un’aria distaccata. Bartolomeo Tencarari appare sollevato. La presenza di Pietro lo rassicura, perché sa che prenderà il posto del vecchio precettore.

Paris, 1 aprile 1308, ora sesta – anno terzo di Clemente V

Louis è al cospetto di Guillaume de Nogaret con gli occhi bassi. Sa di avere fallito e non ha scusanti. Aspetta che il guardasigilli dica qualcosa per tentare di mitigare le proprie colpe. Il clima è teso. Guillaume ha il viso corrucciato. Non ammette sconfitte.

Avete seguito il frate?” gli domanda Guillaume, fissandolo negli occhi.

Sì” risponde Louis, riabbassandoli verso terra.

Cosa ha fatto? Dove è andato?” lo incalza il guardasigilli. Ha avuto informazioni al riguardo ma preferisce ascoltarle dalla viva voce di Louis.

Ha girato per la Francia” dice il cavaliere, senza guardarlo. “Dal settentrione verso mezzogiorno. Fino ai monti che ci separano dalla Catalogna”.

Guillaume si gratta il mento. La risposta gli appare sibillina. Senza senso. ‘Perché avrebbe girato in Francia, sapendo di essere in pericolo?’ pensa, mentre socchiude gli occhi, come a concentrarsi sulla prossima domanda. ‘Un templare importante come lui sarebbe filato dritto in Lombardia, al sicuro, anziché girare in un territorio ostile e sconosciuto. Senza appoggi e in pericolo a ogni istante’. Immagina che aveva da compiere una missione, che Louis non è stato in grado d’intercettare o comprendere. Questo pensiero gli fa corrugare la fronte. ‘Cosa?’ si chiede.

Louis cerca di parlare il meno possibile e rispondere solo su sollecitazione. Non vuole correre il rischio di fare affermazioni inopportune. Sa che la sua vita è appesa a un filo. Dipende da quanto riuscirà a essere convincente. Quindi attende in silenzio che il guardasigilli parli.

I due si fronteggiano tacendo. Guillaume ha capito che il suo cavaliere non dirà nulla di più di quello che conosce già. Il templare ha toccato molte città e di certo ha incontrato persone. Qualcuna la conosce come il cardinale Caetani, altre sono avvolte nel mistero. Non immaginava che trovasse tanti alleati ma adesso era tornato in Lombardia fuori della sua portata. Pietro gli è apparso insignificante, quando l’ha incontrato. ‘Mi sbagliavo’ pensa Guillaume. ‘L’ho sottovalutato’.

Il guardasigilli batte le mani. Louis capisce che la sua sorte è segnata. Due guardie armate lo affiancano e attendono un cenno da Guillaume, che col capo indica di portarlo nelle segrete.

Non passava giorno – cap.36

Le linee parallele si incrociano
Le linee parallele si incrociano

Agnese aveva fantasie erotiche sempre più intense che le impedivano di riprendere sonno.

Devo calmarmi” disse ad alta voce per esorcizzare la fantasia. “Devi calmarti! Respira lentamente per rallentare i battiti del cuore”.

Lei non conosceva Marco e non poteva essersi innamorata di una persona di cui ignorava tutto, compreso il cognome. L’aveva visto un’unica volta. ‘Le mie sono solo fantasie, perché mi sento sola’ si disse Agnese in preda all’ansia. ‘Perché mi manca un compagno disposto ad ascoltarmi’. In particolare avvertiva la mancanza della passione del sesso, della gioia di sentire il calore di un uomo, di trasmettere le emozioni e le sensazioni che provava. Stava fantasticando e idealizzando una persona, che era più un fantasma che reale. Agnese tacque e aspettò una risposta che non poteva venire.

Le lacrime sgorgarono copiose e liberatorie, inumidendo il cuscino e le lenzuola. Il singhiozzo fu strozzato dal pensiero di ascoltare: ‘Agnese, mi dispiace d’averti illuso ma Angela ha riconquistato il mio cuore’. Pianse a lungo aspettando il sorgere del nuovo giorno. Si addormentò invece, sognando di essere in una casa sconosciuta, in un letto accogliente.

Paolo inquieto non riuscì a trasformare la notte in un sonno ristoratore. ‘È meglio che mi alzi’ si disse, accendendo la luce. “Stare nel letto è uno strazio”.

Nel corso della giornata precedente aveva incontrato una sfida alla struttura della sua vita quotidiana e domestica, alle relazioni intime, ai contatti quotidiani con gli altri. Aveva accumulato tensioni, che lo spingevano ad agire in modi che non comprendeva e che non riteneva propri. Sveglio si sentiva come se lo avessero bastonato a lungo e violentemente. Si aggirava per casa, sperando di sfogare l’ansia interna che non dava requie.

Accese il portatile quasi meccanicamente, perché la sua mente era ossessionata da Laura. Osservò in maniera opaca il monitor, che si illuminava. Il sistema lavorò freneticamente per caricare programmi, disporre le icone colorate sullo sfondo ed eseguire aggiornamenti. Poi l’attività scemò man mano che ogni tassello andava al suo posto. Alla fine tutto era tornato tranquillo. In misura analoga l’agitazione interna, l’ansia che lo aveva afferrato si andò placando per lasciare il posto alla razionalità che vantava di possedere. ‘È probabile che la sensazione di angoscia provata nasca da situazioni, che ho dato per scontato oppure dalle persone che ho sottovalutato‘ pensò Paolo. ‘Quindi devo trovare il rimedio ai problemi, che scaturiscono da queste false impressioni, e devo prestare maggiore attenzione ai passi falsi, che commetto in quei frangenti‘.

Lesse le ultime news da Repubblica.it. ‘Le solite liti nel governo, l’opposizione che urla solo per fare chiasso’ commentò silenziosamente. ‘Che tristezza! I delitti restano impuniti e manco per sbaglio si trova un colpevole! Vediamo se c’è qualche notizia più interessante e meno angosciante. Suocere, clown e colori tutte le fobie del mondo. Sembra che un sito inglese riesca a guarire tutti dalle fobie più strane senza medicine! Sarà vero?’ Mentre scettico scorreva l’articolo, mentalmente registrò il link per leggerlo successivamente con calma. Notò un altro articolo curioso nel quale si prometteva di svelare l’albero genealogico di chiunque dal DNA. Passò sul sito del Corriere e quello della CNN, dove pure lì le notizie scarseggiavano. Tutti dormivano tranne lui.

Aprì la cartella della posta ricevuta, perché Thunderbird ne aveva segnalato l’arrivo. La casella ne conteneva una dozzina. Separò mentalmente in due gruppi le mail. Esaminò il primo gruppo, quello più numeroso e meno importante. Erano sette. Mise nel cestino quei pochi messaggi sfuggiti al controllo dello spam oppure ritenuti non meritevoli di essere letti. ‘Ne sono rimasti un paio’ si disse. ‘Sono inviti a seminari inutili’. Li cestinò anche loro.

Consultò il secondo gruppo, stimato importante. ‘Scrive il dottor Mario. Cosa vuole?’ si chiese. ‘Dobbiamo vederci domani! Anche l’ingegner Ribeiro, che collabora nella ristrutturazione del palazzo in via Brera. Uffa! Cosa c’era di tanto urgente da scrivere? Mah, dopo le leggo. Toh! Mi scrive dopo un lungo silenzio il Sig. Beneditto, qualche altro lavoro in vista?’ Avrebbe letto gli ultimi due con calma. I mittenti gli erano sconosciuti.

Matteo e Sofia si preparavano per la notte tra un bacio e una carezza sempre più ardente. ‘Altro che raffreddarsi, è scatenata sempre di più!’ pensò Matteo stupito. ‘Cosa deve nascondere oppure farsi perdonare?’

Le performance sessuali di Sofia in passato non erano mai andate oltre la normalità di un bacio casto e qualche carezza un po’ più audace. Matteo era arrivato alla conclusione che fosse frigida, algida e asessuata. Adesso Sofia era scatenata, un vulcano pronto a esplodere come il Mount St. Helens nella catastrofica eruzione del 18 maggio 1980. Matteo aveva cambiato opinione. ‘Altro che pezzo di ghiaccio’ pensò sotto le carezze focose di Sofia. ‘Ghiaccio bollente! E chissà come sarà tra poco sotto le lenzuola’. Tornò con la mente a pochi minuti prima, quando l’aveva eccitato a tal punto che per poco non era diventato una fontana zampillante. L’eros non era scemato neppure nel bagno, mentre si preparavano per la notte. Si era trattenuto a stento dal metterla sul cristallo del lavabo e fare all’amore in quella posizione scomoda.

Mentre Matteo, sempre più infoiato, stentava a controllare le sue azioni, Sofia sentiva dentro un calore mai avvertito prima. Percepiva che la serata da Laura aveva scatenato un tempesta di ormoni che non riusciva a gestire.

Non riusciva a trattenere labbra, mani e corpo. I sensi la travolsero, mentre pensava che, se l’avesse messa sul cristallo, avrebbe goduto da impazzire.

Vieni” sussurrò Matteo “Staremo più comodi nel letto”.

I loro corpi erano sempre uniti, come le labbra e le mani. Ogni passo era una sosta, un piacere, un sospiro.