La Bella, la Sirenetta e Prezzemolina – Le fiabe mai raccontate

il mio frutteto - Foto personale
il mio frutteto – Foto personale

Una sera di fine ottobre si ritrovarono sul social Fiabe&co2.0 La Bella, la Sirenetta e Prezzemolina.

Era il social emergente, che aveva schiantato e spazzato via la concorrenza. Twitter era fallito un anno prima. Un crack così non l’aveva mai visto nessuno. Milioni di azionisti avevano minacciato di picchiare a sangue Dorsey, il CEO, perché era riuscito ad azzerare tutti i loro soldi.

Tumbir navigava a vista tra le acque infide di scogli sommersi. Di certo non sarebbe arrivato a fine anno.

Istangram aveva chiuso due anni prima. Di questo si erano persi i ricordi. Nessuno lo rimpiangeva.

WordPress vivacchiava tra i sussulti di Lady Nadia e gli anatemi di Lady Alessandra. Però era gratis e qualche fan incallito, come Newwhitebear, lo frequentava ancora. Li chiamavano i ‘nostalgici’.

Facebook aveva conservato qualche milione di iscritti. Gli irriducibili, come si definivano loro ma Zuckenberg pensava di chiudere bottega. Pieno di grana poteva permettersi di vivere di rendita, facendo il finto filantropo.

Insomma una disfatta su tutta la linea.

Un giorno di qualche anno fa i fratelli Grimm con la collaborazione di Andersen, Perrault e Afanasjev decisero che era tempo di cambiamenti. “Basta la foresta pietrificata dei social spammatori!” argomentarono, dondosi da fare nel creare da nulla la loro creatura. Nacque Fiabe&co2.0. Fu un successone. Tutti in fila per iscriversi. A darsi di gomito per affermare ‘io mi sono iscritto ancor prima che emettesse un vagito”.

Ma adesso torniamo alle nostre amiche che videochattano, videoparlano, videoano solo. Insomma fanno quello che meglio riesce a loro.

La Bella non ricordava il proprio nome, anzi era l’unico che conoscesse. Da quando era in fasce la chiamavano così. E quello era rimasto appiccicato come un nastro adesivo. Lei era La Bella e basta. Non che le dispiacesse sentirsi chiamare così. Tutt’altro! Sapeva di essere il meglio del reame ma fingeva umiltà, mentre dentro di sé gongolava per la soddisfazione, pensando come erano scorfano le sorelle. Ma l’aspetto peggiore era come erano finite. La maggiore aveva sposato una persona, che passava il suo tempo a specchiarsi. Non faceva altra attività che quella. La sorella maggiore, se voleva un po’ di sesso, doveva arrangiarsi come poteva. Il marito era fisso davanti allo specchio. “Manco fosse Narciso” pensò La Bella, sghignazzando. La seconda aveva incrociato uno bello spirito. Tanto bello, quanto vanesio. “Beh!” si diceva sempre, “almeno ho sposato la Bestia. Bruttina ma tanto di buon cuore. E poi mi lascia campo libero. Faccio quello che voglio” e giù una sghignazzata da far spavento anche alla Bestia.

La Sirenetta stava sul proprio scoglio a Copenhagen, sempre indaffarata mandare via gli scocciatori, che pretendevano di prendersi un pezzo della sua coda. Aveva faticato un sacco a recuperarla. Mica adesso poteva regalarla impunemente ai turisti armati di forbici e macchine fotografiche. I più terribili erano i giapponesi. Sembravano cavallette. Un sospiro le sfuggì dalla bocca. Il principe consorte se ne stava sempre dentro il suo palazzo di rilucente pietra gialla. La Sirenetta non era convinta che fosse vera pietra ma mattoni auriferi. Rilucevano troppo. E quando non era dentro, stava sul terrazzo a rimirare il chiaro di luna. “Uffa, che barba” si disse la Sirenetta, vagamente annoiata. “Se non fossi su questo scoglio a prendere sole e difendermi dagli scocciatori. Sai che noia, sai che barba!” La Sirenetta segnava al sorgere del sole un’asta, che barrava al tramonto. Teneva il conto di quanti giorni le rimanessero da vivere, prima di diventare spuma nell’acqua. “E va bene che campo trecento anni. E di giorni ne mancono ancora un bel po’” rifletté, mentre si metteva in posa davanti alla webcam. “Però prima di diventare spuma, mi voglio godere la vita”.

Prezzemolina, con le stimate del prezzemolo come marchio di fabbrica sul palmo della mano sinistra, curava le sue preziose trecce lunghe venti braccia. “Uffa” si disse un giorno. “Questi capelli saranno la mi rovina”. Perdeva delle ore a lisciarli, spazzolarli e intrecciarli. Poi quando aveva finito ricominciava a scioglierli, lisciarli, spazzolarli e intrecciarli. Insomma un ciclo perpetuo a movimento continuo. Il solito principe, che aveva sfidato l’orchessa per impalmarla, soffiava come un mantice in azione dal fabbro ferraio “Da quando è scesa dalla torre” pensò arrabbiato, “non fa altro che quello. Giorno e notte. Se mi avvicino per fare all’amore, mi risponde ‘Aspetto, quando ho finito’”

Dunque le tre amiche, che si erano incontrate per la prima volta su Fiabe&co2,0, tutte le sere alle venti avevano l’appuntamento. Cascasse il mondo, tremasse la terra, avessero un febbrone da cavallo, si trovavano sempre davanti al monitor. Cuffie nelle orecchie, webcam attiva, microfono aperto e pronte a digitare sulla tastiera.

“Che stai facendo, Sirenetta?” le chiese La Bella, che non capiva i movimenti dell’amica.

La Bella udì un forte brontolio simile al mare in burrasca. “E va bene che suo padre è il dio del mare. Ma ricordarlo sempre è troppo” si disse, storcendo il naso.

“Lasciami perdere” borbottò la Sirenetta, mentre teneva stretto lo smartphone tra orecchio e spalla. Quello era sempre attivo. La chiamavano la telefonista seriale. Sempre con lei, ovunque fosse. Anche in bagno.

“Ma dimmi cosa è successo?” si inserì Prezzemolina, che aveva appena finito di raccogliere la treccia ma si apprestava a scioglierla.

“Amiche care” sbuffò la Sirenetta. “Qualche coglione di writer si è divertito a scrivere sul mio scoglio preferito”.

La Bella sorrise. Prezzemolina aggrottò la fronte.

“Ma cosa ha scritto?” chiese curiosa Prezzemolina, mentre era alle prese con la sua treccia.

“Ha scritto che i danesi non vogliono migranti provenienti dal mare” esclamò con il viso rosso per la rabbia la Sirenetta. “’Torna da dove sei venuta. I danesi non ti vogliono sui loro scogli’ Ma vi sembra il modo di ringraziare chi attira milioni di visitatori l’anno?”

La Bella si allontanò un attimo fuori dalla visuale della webcam, chiudendo il microfono. Non riusciva a trattenere una risata fragorosa. Poi ricomposta si mise di nuovo in postazione.

“Ma non hai la pelle scura, Sirenetta!” chiosò La Bella con lo sguardo serio, mentre rideva di lei.

La Sirenetta arrossì un pochino, prima di rispondere.

“Beh! In realtà” sospirò rumorosamente la Sirenetta. “Un pochino lo sono. Sai a forza di stare sullo scoglio al sole, mi sono dorata. È bella ma pare l’abbronzatura del muratore”.

Una breve risata uscì dalla bocca della Sirenetta, che continuava a dare olio di gomito per togliere le scritte dallo scoglio.

Prezzemolina, rimasta in silenzio fino a quel momento, decise di intervenire.

“Sono dei razzisti, quei danesi!” fece alzando la voce. “Dovrebbero essere più riconoscenti, quegli zoticoni!”

La Bella di rincalzo. “Non ti meritano, Sirenetta. Posso darti ospitalità nel pazzo della Bestia. È tanto vasto che a volte mi perdo. Per fortuna il lupo, che si è pappato l’orchessa mi ritrova e mi riporta nelle mie stanze”.

La Sirenetta strabuzzò gli occhi. “E come ci arrivo?” disse, interrompendo per un attimo di strofinare lo scoglio.

Prezzemolina sospirò, pensando che sarebbe bello trovarsi tutte e tre sotto lo stesso tetto. “Sai quante chiacchiere?”

Prezzemolina stava per dire qualcosa, quando udì una possente voce.

“Bella, che fai? Ho fame!”

“Uffa” disse La Bella, corrugando la fronte. “Ma lo sai che sto parlando con le amiche. Ancora un attimino”.

Poi volgendo lo sguardo alla webcam, aggiunse. “Lui pensa solo a mangiare. È grasso come un porcello all’ingrasso. Ci sentiamo domani alla stessa ora”.

“Ciao” rispose la Sirenetta. “A domani”. E spense la webcam.

“A domani” disse Prezzemolina, che stava rifacendo la treccia.

Qui come altrove. Con Zena a Ferrara

 

Qui come altrove con Zena - Foto personale
Qui come altrove con Zena – Foto personale

Nella splendida location di Palazzo Paradiso a Ferrara, sede della Biblioteca Ariostea, Zena ha presentato la sua ultima fatica letteraria Qui come altrove.
Palazzo Paradiso - la sala
Palazzo Paradiso – la sala – foto personale

 
Un folto pubblico ha seguito gli scambi tra l’autrice e i due scrittori, Penoncini e Pazzi, mentre Cristina Rossi ha letto con la sua splendida voce, brani tratti dal suo libro.
Due ore intense e ricche di spunti e riflessioni ci hanno accompagnato. I cinquanta pezzi, che compongono la raccolta, sono autentica poesia. Leggeri e pieni di grazia conquistano il cuore, come è stato sottolineato più volte.
Per me è stata l’occasione di conoscere di persona questa splendida signora, sempre sorridente e dai tratti gentili, dopo averla conosciuta virtualmente attraverso il suo blog Colfavoredellenebbie.
Due parole su questo prezioso libro.
I pezzi cominciano tutti col titolo del libro ma di volta in volta è la donna che ripara i sogni oppure la vecchia che sente tutti i movimenti oppure il ragazzo che lima le parole. Ma è solo qualche spizzico questo breve elenco.
Due sono i pezzi che mi hanno colpito. Il primo, che introduce la raccolta, è un affettuoso omaggio a quel uomo dei suoi sogni che adesso è altrove. Una grande perdita per lei ma è sempre nei suoi sogni.
L’altro è la donna che non può sopportare quel rumore. Secondo me è pura poesia. ‘Gli occhi chiusi, con le mani a pugno. Spera che il passero trovi la sua strada e niente spaventi la sua fuga’.
Grazie, Zena
Aggiornamento
Per chi volesse acquistarlo questo è ISBN 9788897648635
Disponibile on line su amazon, ibs e mondadori store e sicuramente anche in libreria.

Una vita – parte dodicesima

Foto personale
Foto personale

Il sole era alto e scottava, quando Luca scese nell’atrio del casale, dove trovò Maria appisolata su una vecchia poltrona di vimini.

La osservò in silenzio, ascoltò il rapido sibilo del naso e il rauco gridare della bocca semi aperta e decise che non era il caso di svegliarla.

Si guardò intorno, diede una rapida sbirciata al giardino sperando di incrociare il viso di Simona ma tutto sembrava calmo e tranquillo come una delle tante giornate di luglio.

Trasse un profondo respiro, si girò per ritornare nella camera e si avviò lentamente verso le scale, quando un gemito potente richiamò la sua attenzione.

“Signor Luca!” udì una voce impastata da sonno e stanchezza che sembrava provenire dal mondo degli inferi.

“Signor Luca!” ripeté la voce. “Simona è andata al mare. La troverà al bagno Garden”.

“Grazie” rispose l’uomo voltandosi lentamente come se avesse il timore di svegliare completamente quella voce, mentre vedeva il viso di Maria contratto in una smorfia di stizza e di fastidio.

Non era sua intenzione di andare al mare ma doveva fingere di essere contento, come gli imponeva la parte razionale, perché così doveva apparire agli occhi della gente. La fantasia insorse, affermando che doveva dirlo apertamente che non ci sarebbe andato. Il nuovo bisticcio confuse le idee di Luca che stava incerto se dire a Maria, che sarebbe andato altrove. Risalì in camera come per istinto senza un preciso motivo.

Di lì a qualche minuto ridiscese le scale e chiese come avrebbe fatto a raggiungere il famoso bagno Giardino.

Maria provò a spiegargli che il bagno si chiamava Garden e non Giardino, che non sarebbe stato difficile raggiungerlo e che li avrebbe aspettati per cena.

Luca annuì uscendo, ma intuiva che non sarebbe stata una passeggiata. Il caldo mozzava il respiro e ronzava pericolosamente nella testa.

Girò a lungo per il paese cercando con affanno la strada del mare senza riuscire a trovarla, distratto dal pensiero di Ersilia.

Dopo la fugace avventura con la francesina dal sorriso dolce era ritornato in città in attesa di cominciare la sognata università, che avrebbe cambiato tutte le sue abitudini scandite dagli orari del liceo.

Una sera, mentre sedeva solitario nei giardini pubblici, incrociò lo sguardo di Ersilia e subito divenne audace.

“Ciao!” le disse andandole incontro mentre la testa entrava in tumulto come al solito.

Ersilia allargò le braccia e lo strinse con vigore a sé, mentre lui la baciava sulle labbra senza timori e senza arrossire. Questa volta il colpo secco, che aveva dato ai suoi pensieri, non l’avevano mandato in tilt e la partita poteva continuare.

L’abbraccio gli sembrò lunghissimo con le bocche che continuavano a restare unite. Si guardarono e scoppiarono a ridere, forse pensando all’ultimo incontro che era stato un fallimento.

Luca cominciò a parlare in maniera sciolta e senza timore, le prese la mano e camminarono a lungo nel buio rotto dalle lampade pubbliche. Lei sembrava felice di ritrovare quel ragazzo impacciato e timido dopo diverse storie una più fallimentare dell’altra. Quell’incontro casuale le aveva aperto gli occhi. Luca era imbranato ma sincero nelle sue manifestazioni d’affetto.

“Ci vediamo domani alle undici in piazza” le disse senza nemmeno porsi il problema se lei era disponibile o desiderava rivederlo.

“Alle undici” rispose Ersilia, mentre un nuovo focoso bacio suggellava quel fortuito incontro.

Giorno dopo giorno la loro storia si cementava nelle aspettative e nelle convinzioni fino a diventare solida come il granito. Gli anni dell’università volarono come coriandoli al vento perché volevano convalidare il loro amore con il matrimonio.

Le immagini scorrevano veloci dinnanzi agli occhi senza posa e senza interruzioni, quando all’improvviso tutto diventò buio e i ricordi sparirono.

Luca aprì gli occhi, ma vide solo buio.

Sentiva freddo senza percepire da dove venisse. Eppure doveva essere estate ma non ricordava quando.

Si mosse, ma si sentiva impacciato, legato come se fosse costretto in qualcosa d’angusto. Non capiva il motivo di queste sensazioni sgradevoli.

Provò a parlare ma non udiva il suono della sua voce. Solo un sibilo, che attribuì ai suoi polmoni.

Richiuse gli occhi per verificare che non fosse un sogno. Percepiva che era una realtà diversa che non riusciva a focalizzare. Provò a concentrarsi su un pensiero, su Ersilia ma mille altri immagini si affollavano caotiche nella mente.

“Quale è stata l’ultima sensazione?” si chiese incerto senza trovare una risposta degna di questo nome.

“Dove sono?” provò a chiedersi inutilmente.

E chiuse gli occhi per calmare il peso che aveva dentro.

E fu per sempre.

FINE

parte undecima

Una vita – parte undecima

copertina
copertina

Simona si sentiva leggera, stanca ma appagata dalla lunga chiacchierata notturna. La mente era lucida, mentre dubbi e incertezze erano volati via col sorgere del sole.

Maria l’ascoltava attenta mentre sorseggiava un caffè ormai freddo e annuiva convinta. Percepiva un cambiamento benefico nella ragazza, come se l’involucro protettivo nel quale era avvolta mostrasse le prime fattezze di quello che sarebbe diventata tra non molto. Lei conosceva tutta la storia di Simona, anche se non ne aveva mai parlato direttamente, perché Lina le aveva narrato tutti i particolari. Il padre aveva strepitato a lungo tentando di intercettare la cognata per conoscere il nascondiglio della bambina. Però era stato dissuaso dalla minaccia di uno scandalo, che avrebbe travolto tutti e lui per primo. Il destino era stato benevole con loro e aveva dato una mano alla zia, perché il padre una notte, tornando a casa ubriaco, era stato travolto da un auto. La sorella, sempre più debole psichicamente, non aveva retto alla perdita del marito, dapprima richiudendosi in un mutismo esasperato, poi suicidandosi per il rimorso di non averlo contrastato.

Così i genitori di Simona se ne erano andati tragicamente travolti dalle loro stesse debolezze senza che lei sapesse che era rimasta orfana.

Simona conosceva qualcosa ma non tutto, perché zia Lina e Maria non avevano voluto aggiungere un trauma alla drammatica scoperta di come avesse vissuto pericolosamente coi genitori. Questo peso era stato un macigno sulla vita affettiva della ragazza, perché avvertiva l’incompletezza delle informazioni ricevute. Aveva percepito il caldo affetto delle due donne che l’avevano accudita e protetta durante quegli anni ma si sentiva incompiuta e dimezzata. Le sensazioni, che un padre premuroso poteva offrire a una figlia, non erano sostituibili minimamente da una figura femminile. Non era mai riuscita a essere del tutto sincera con loro, perché a torto non percepiva nelle due donne la sensibilità di una madre. Quindi determinati aspetti delle emozioni che i primi amori avevano suscitato in lei erano stati taciuti oppure minimizzati, perché provava una certa vergogna a confidarsi con loro. Però adesso comprendeva quanto fosse stata ingiusta e ingrata nei loro confronti, perché se era cresciuta solare e serena il merito era tutto loro.

Sia Simona che Maria sapevano di essere state in debito una con l’altra ma adesso era venuto il momento di chiarire tutto senza che queste rivelazioni potessero costituire un trauma.

Mentre Luca dormiva di un sonno profondo e senza sogni, Maria cominciò a parlare. “Credo che sia giunto il momento di raccontare quello che in tutti questi anni io e Lina abbiamo taciuto” e cominciò a narrare senza tralasciare nulla. La ragazza aveva gli occhi lucidi per l’emozione perché il mosaico incompleto dentro la mente prendeva forma e consistenza, lasciando intravedere il disegno finale.

Adesso comprendeva perché quel buffo ometto calvo e anziano aveva suscitato in lei delle sensazioni mai provate prima. Non le ricordava un padre, del quale aveva perso la fisionomia ma nemmeno le trasmetteva quell’amore paterno che non aveva mai assaporato. “No, non sono questi gli aspetti di quella empatia sorta tra me e Luca” si disse, ascoltando il lungo monologo di Maria. Era dunque quell’aria sognante, quasi eterea che aleggiava intorno a lui il vero segreto dell’attrazione. Il racconto di Maria era crudo, disincantato tale da non suscitare rimpianti, molto diverso da quello che avrebbe voluto ascoltare nel suo immaginario. Non provava odio verso i genitori, ma semplicemente disgusto per quello che avevano fatto e per quello che non erano riusciti a donare.

“È vero” si disse e ribatté silenziosamente: “È vero. Ho sempre sognato una madre che mi avrebbe guidato nel difficile cammino di diventare donna, mentre il padre mi avrebbe fornito sicurezza e protezione verso i guasti del mondo. Però non ho avuto né l’uno né l’altro”.

Questo non le aveva impedito di crescere pacata e piena di voglia di vivere per l’affetto sincero e premuroso di zia Lina e Maria. Però avvertiva che in realtà gli erano mancati i sogni, il cullarsi nelle notti tra desideri e visioni, perché due genitori ingrati e per nulla affettuosi glieli avevano rubati.

Luca sembrava vivere in una dimensione che non apparteneva al mondo del reale ma in una atmosfera soffice e ovattata, come le nubi che amava vedere scorrere nel cielo azzurro.

“Ecco il motivo per il quale mi sono sentita risucchiare verso di lui” ripeteva felice Simona. Lei amava distendersi su quel prato ad osservare il cielo e le nuvole bianche che componevano e scomponevano immagini fantastiche, mentre la fantasia la spingeva a salire e cavalcare quei batuffoli di bambagia bianca come mitici destrieri. Non aveva mai compreso la vera natura di quelle fantasticherie, che attribuiva alla sua natura appassionata e desiderosa di affetto.

“No!” ripeté con forza silenziosamente. “No! Non riuscivo a esprimere i miei sogni, perché non sono stata in grado di materializzarli”.

La vicinanza di Luca, che inseguiva il sogno di essere se stesso, le aveva aperto gli occhi su questo spicchio nascosto della sua personalità. Era proprio un viaggio apparentemente assurdo, seguendo il solo istinto, la molla che lo teneva in vita dopo un’esistenza dedicata all’apparire piuttosto che all’essere. Aveva intuito che lui era alla ricerca del cambiamento interiore, perché non era importante la meta ma il percorso, il movimento che conduce alla rivelazione di una parte di sé che per tanti anni era rimasta mascherata.

Anche lei doveva operare una trasformazione interiore per incidere sulla prospettiva di quello che voleva veramente dalla vita, per cambiare il suo modo di essere donna, di amare e di essere riamata. Doveva iniziare un nuovo percorso per capire se stessa e gli altri senza la mediazione, di chi le stava intorno, così poteva riappropriarsi di qualcosa che già le apparteneva ma che non sapeva di possedere.

“I miei sogni sono diversi da quelli di Luca. Ma sono questi che devo inseguire se voglio nascere una seconda volta” concluse mentre Maria snocciolava eventi e considerazioni, che non le interessavano più.

Simona abbracciò Maria e disse: “Grazie!”

parte decima parte dodicesima

una vita – parte decima

Alba - foto personale
Alba – foto personale

Maria aprì la finestra e scorse sotto il fico Simona e Luca.

«Simona, mi porti un cliente e poi lo tieni sotto le stelle?» disse ironicamente la donna, che si era stupita di vederli seduti a chiacchierare sul dondolo.

Lei avvampò per il rimprovero senza rispondere. Pareva una bambina, colta con le mani nel vasetto della marmellata.

«Signora» rispose Luca, vedendo la ragazza con le guance rosse e la bocca chiusa. «Simona mi ha fatto strada stanotte. Poi ci siamo fermati a fare quattro chiacchiere. C’era un invitante cielo stellato sopra di noi».

Maria sorrise, scuotendo il capo per la precisazione di Luca, che riteneva superflua.

«Scendo ad aprirvi il portone» disse, chiudendo la finestra.

Simona era in preda all’agitazione, perché aveva colto nella voce di Maria un rimprovero. Avrebbe voluto scappare, fuggire lontano ma la mano di Luca la trattenne e le trasmise fiducia. Il trambusto interno si placò, mentre dentro di lei avvertiva calma dopo la tempesta per le parole di Maria, comprendendo che le aveva fraintese. La aveva sovraccaricate di significati che non corrispondevano al messaggio che lei voleva trasmettere.

Simona dopo le riflessioni notturne acquisì la consapevolezza che non era più una ragazza. Aveva trent’anni. Era una donna adulta. Era giunto il momento di crescere e uscire dal proprio guscio. Non poteva rimanere chiusa nel suo mondo limitato, nel quale aveva vissuto fino allora. Doveva intraprendere un nuovo cammino per ricominciare a vivere in maniera differente.

Il sole stava sorgendo illuminando il giardino, mentre i primi raggi inondavano il fico già carico di frutti che tra un mese sarebbero diventati dolci e saporiti, mentre le gocce di rugiada diventavano vapore.

Maria sul portone richiamò la loro attenzione. «Restate lì» intimò a Luca e Simona. «Fra cinque minuti vi servo la colazione. Bombolone caldo e caffè bollente!»

Queste parole scatenarono in Luca un’altra ondata di ricordi. Rammentava le veglie estive notturne che si concludevano nel bar della spiaggia tra l’odore dolciastro del bombolone appena sfornato e del caffè amaro che gorgogliava nella napoletana. Allora aveva il gusto della voglia pulita di divertirsi nelle balere, dove si ballava stretti e accaldati al suono delle melodie lente e sognanti. Adesso era il simbolo della trasgressione e dello sballo, assordati da musica techno a tutto volume, a bere e prendere pasticche fino allo stordimento.

C’era un turbinio di idee dentro la mente di Luca, che rendevano sempre più opaca la sua visione dopo la lunga notte insonne e chiacchierata. Avvertiva la necessità di sdraiarsi su un letto e di chiudere gli occhi, di staccare la mente dal corpo ma doveva restare lì ad aspettare la colazione.

Maria portò un tavolo rotondo vicino al dondolo con alcune sedie e si fermò un attimo con loro per soddisfare la curiosità di conoscere gli argomenti interessanti che li avevano tenuti svegli.

«Nessuno» replicò con prontezza Luca, impedendo a Simona di rispondere. «O meglio tanti piccoli racconti di vita vissuta. Nulla in particolare».

Maria si allontanò insoddisfatta senza insistere ulteriormente.

Il leggero moto del dondolo e i caldi raggi del sole li fecero assopire in un dormiveglia rilassante, interrotto dal profumo zuccheroso del bombolone e da quello intenso del caffè.

L’atmosfera si riscaldò come la temperatura della mattina che faceva presagire una giornata caldissima. Erano anni che non gustava una colazione così genuina, perché fino a pochi giorni prima consisteva in un caffè amaro condito da qualche biscotto insapore.

Nonostante il caffè l’avesse svegliato completamente, percepiva la necessità di raccogliere le idee e staccare la spina da tutti quegli avvenimenti che con frenesia aveva vissuto nelle ultime ventiquattro ore. Salutate le due donne, che continuarono a parlare, si ritirò nella stanza a meditare in solitudine e al buio.

Si tolse i vestiti umidi di rugiada e di sudore per indossare pantaloncini e polo, mentre si sistemava su una poltrona di vimini. Aveva letto un libro, del quale non rammentava il titolo. Aveva presente visivamente solo la copertina e ne ricordava il contenuto. Trattava della casa da tè giapponese. Era rimasto incuriosito da quella pratica orientale per consumare una bevanda, che per loro racchiudeva la visione della vita. Si era ripromesso che, se un giorno si fosse recato in Giappone, ne avrebbe frequentato una. Era uno dei tanti sogni desiderati ma difficili da realizzare.

Adesso percepiva la necessità di riflettere, o meglio di svuotare la mente, per concentrarsi. Ripeteva, come un mantra, le tre parole, che ricordava di quella lontana lettura: vuoto, silenzio e meditazione. Però non riusciva a concentrarsi, perché era distratto da mille pensieri.

“Cosa faccio in questa stanza?” si domandò inquieto, perché il silenzio appena disturbato dal canto di un cardellino tardava ad arrivare.

“Perché mi sono lasciato coinvolgere emotivamente da una ragazza che mi ha scambiato per il padre che le manca?” si chiese, mentre tentava di sprofondare nel vuoto che era una dimensione sconosciuta per lui.

“Cosa vado cercando con questo viaggio senza meta?” si interrogò, mentre meditava sui motivi del suo vagabondare tra i ricordi del passato.

Luca si sforzava ma silenzio, vuoto e meditazione erano un miraggio difficile da ottenere.

Poi lentamente la stanchezza prese il sopravento mentre scivolava nel vuoto di un sonno senza sogni.

parte nona parte undecima

Una vita – parte nona

Luca era interdetto per la determinazione della ragazza nel volerlo accompagnare al casale senza trovarne le motivazioni.

Un pensiero fisso gli tormentava la mente, come il martello del fabbro sull’incudine: “Perché?”. Gli sembrava una ragazza seria, affidabile ma dallo sguardo smarrito come se cercasse disperatamente di estrarre dal proprio petto dei segreti, senza trovare l’ardire di farlo. Eppure non si era dimostrata timida quando lo aveva invitato a fermarsi per la sera e neppure poco prima con l’invito di trascorrere insieme la giornata al mare. Vedeva in lei la figlia e null’altro.

“Vediamo cosa vuole dirmi” pensò Luca, mentre continuava a parlare di mille altri argomenti.

«Perché ha intrapreso questo viaggio?» domandò Simona all’improvviso, mentre imboccavano il viottolo che conduceva al casale. «Non mi sembra che abbia una meta precisa».

Luca si fermò di colpo e rise allegro. «Si nota?» chiese con lo sguardo serio. «Quel darmi del lei, mi invecchia oltre misura».

Ripresero a camminare, salendo lungo la ripida salita.

«Ci provo ma non contarci» fece Simona, accennando un mezzo sorriso.

Luca non rispose, perché aveva il fiatone per la fatica di percorrere quel tratto di sentiero che portava all’aia del casale. Si riscoprì vecchio, perché qualche anno prima avrebbe fatto di corsa la salita.

La parte razionale si rammaricò di questi pensieri negativi, perché le mettevano tristezza ma doveva portare pazienza senza lasciarsi prendere dallo scoramento.

Giunti dinnanzi al portone chiuso, Luca si guardò attorno smarrito e perplesso. ”E adesso come faccio?” pensò. Non aveva le chiavi, né poteva importunare la proprietaria, perché non l’aveva avvertita che avrebbe fatto tardi. Lo sguardo si posò sulla vecchia Punto, che avrebbe potuto ospitarlo per la notte. Stava per salutarla, quando Simona lanciò una proposta.

«Ci fermiamo sul dondolo sotto le stelle a parlare» fece la ragazza con un bel sorriso sulle labbra. «Poi apriamo il portone!»

Luca non capiva come avrebbe potuto entrare senza suonare la campanella. Però non comprendeva quel plurale “noi”, perché lui era regolarmente alloggiato lì ma lei no.

Rinunciò a cosa volesse intendere Simona con “poi apriamo il portone”, perché la serata piena di stelle e con un falcetto di luna sembrava invitare alle chiacchiere.

Un brusio appena discreto si levò dal dondolo, mentre ognuno narrava qualcosa di sé. Capì che Simona era di casa nella cascina, che Maria l’aveva accudita come una madre e tanto altro ancora. Tuttavia il vero motivo per il quale aveva voluto restare sotto le stelle non lo aveva ancora rivelato.

Quel dondolarsi nell’aria frizzante di una notte di luglio risvegliò il guardiano dormiente dei ricordi, che prese le chiavi per aprire la stanza della memoria.

E la mente tornò a quella ultima notte trascorsa con la francesina con la quale tra coccole e baci aveva atteso il sorgere del sole prima nella tenda poi sulla spiaggia illuminata da piccoli fuochi.

“Cosa ci siamo detti?” ripensò Luca, rapito da quel ricordo lontano. Non aveva importanza rammentarlo. Sorrise al pensiero di quel mix di inglese, tedesco e dialetto per capire la metà di quello che volevano dirsi. Certe sensazioni non avevano bisogno di parole, perché l’intesa era perfetta, come può esserlo, quando si ha diciotto e sedici anni. La mente vagava libera senza ascoltare il frinire delle cicale e il cupo richiamo del gufo nascosto nel folto del noce.

Simona si fermò a guardarlo incantata dallo sguardo sognante di Luca.

L’improvviso silenzio ruppe il brusio delle parole, mentre lui ritornava sul dondolo ad ascoltarla come se quell’interruzione non fosse mai avvenuta.

Adesso Simona aveva la certezza di essere pronta a raccontare il segreto della sua infanzia, celato con cura dentro di lei. Ebbe un momento di sbandamento, perché non sapeva da dove cominciare. “I ricordi sbiaditi dal tempo o le sensazioni dolorose che portavo dentro?” si domandò, prima di prendere il coraggio a due mani.

La voce era incrinata per l’incertezza. Balbettò qualcosa che lasciava intuire la sua volontà di narrare. Luca la soccorse.

«Racconta. Sono in attesa di conoscere il tuo segreto».

Questa spinta la sbloccò, mentre metteva in fila tutti i ricordi.

«Devo tornare indietro nel tempo» disse Simona rinfrancata per la sicurezza, che Luca, che avrebbe voluto come padre, le infondeva. E aprì la cassaforte di un passato molto remoto.

Di zia Lina e Maria aveva già raccontato, quindi estrasse dal cuore il dolore di non avere avuto un padre, a parte quello nominale.

«Non riesco detestare i miei genitori, perché non sono mai riuscita odiare nessuno. Però quando ho compreso i motivi per i quali mi volevano sempre nel letto con loro, ho chiuso tutto in una cassetta, che ho sepolto in questo giardino» disse tutto d’un fiato Simona.

Adesso riusciva anche a sorridere a quanto era avvenuto tanti anni prima. Si sentiva più leggera, come sgravata da un figlio indesiderato. Un fiume di parole uscì dalla sua bocca.

Raccontò di essere cresciuta senza una figura maschile di riferimento, perché zia Lina e Maria erano rimaste single, disdegnando la compagnia degli uomini. Su questo punto in paese correvano molte dicerie, perché affermavano che dormissero insieme e che facessero all’amore tra loro.

«No, non era vero» negò con forza Simona. «Ognuna dormiva nel proprio letto. Ma questi pettegolezzi mi hanno sempre ferita nell’anima, perché dicevano che anch’io amavo solo le donne».

«Ti credo, Simona» la consolò Luca, cingendole le spalle con atteggiamento protettivo.

Una piccola lacrima scese furtiva dai suoi occhi, mentre sperava che Luca non si fosse accorto per l’emozione e la stizza, legati a questi ricordi.

«È vero» ammise Simona, avvertendo il calore dell’abbraccio di Luca. «Ho avuto pochi amori, se si possono chiamare così i brevi flirt, che duravano il tempo di un battere di ciglia».

Lei, quando stava con un ragazzo, cercava in lui una figura maschile che non aveva mai avuto, mentre a loro interessava solo il sesso.

«Come potevamo trovare quella empatia che fa nascere un sentimento?» recriminò Simona con forza.

Luca annuì col capo. Erano due mondi incomunicabili tra loro.

«Tomaso, l’ultimo, sembrava diverso, mentre io mi sforzavo di vederlo sotto una luce differente» si accalorò Simona. «Però mi accorsi che dopo il periodo iniziale aveva smesso di amarmi e chiusi la relazione».

Avvertiva dentro di lei un vuoto sentimentale, perché a trent’anni non aveva avuto un amore degno di questo nome, senza conoscere nemmeno cosa fosse il sesso.

Il cielo stava colorandosi di colori pastello per annunciare la nascita del sole.

parte ottava parte decima