Era una sera d’estate…

Altro vecchio racconto estratto dal fondo del barile.

la copertina

Era una bella giornata d’agosto, senza una nuvola e senza un soffio di vento. La strada per cui il reggimento camminava era larga diritta e lunga che non se ne vedeva la fine, e coperta d’una polvere finissima che si sollevava a nuvoli, penetrando negli occhi, nella bocca, sotto i panni, e imbiancando barbe e capelli. A destra e a sinistra della strada non un albero, non un cespuglio, non un palmo d’ombra, non una goccia d’acqua. La campagna era secca, nuda e deserta, e le poche case sparse qua e là parevano disabitate. Non si poteva fermar lo sguardo sulla via né sui muri, né sui campi, tanti vi batteva. Si camminava a capo basso e a occhi socchiusi, era una bellissima giornata d’agosto e una pessima giornata di marcia. Il reggimento camminava da poco più di un’ora.

Tratto da “La vita militare” di Edmondo de Amicis, Avagliano editore, pagg. 454, 15€.

Matteo distese le gambe, appoggiandosi allo schienale del divano, mentre il foglio di giornale scivolava di lato sul pavimento.

Incrociò le mani dietro la nuca per impedire ai pensieri di volare leggeri nella stanza, mentre lui era concentrato dove aveva letto quelle parole trovate nell’inserto del giornale.

Il flusso delle idee dapprima era leggero e frizzante, poi assunse un andamento tumultuoso e prorompente come un torrente al disgelo primaverile.

Dove ho letto questo breve incipit?” si domandò, mentre lo sguardo spaziava sui libri disposti nella sala. Erano ordinati e sistemati con cura in base al genere e autore su due pareti.

Non amava conservarli all’interno di spazi chiusi, ma preferiva tenerli su scaffali aperti, perché respirassero come respirava lui.

Li sentiva vivi e pulsanti con un loro cuore e una loro anima, li coccolava con lo sguardo come parte di se stesso, li estraeva con cura, mentre lasciava vuoto il posto.

Aveva quasi duemila libri, mentre la parete scoppiava, perché ogni posto era occupato. Qualcuno era sistemato sul tavolo davanti alla parete.

Doveva decidere se smettere di comprare nuovi libri o eliminare quelli che non interessavano. Però si domandò, corrugando la fronte, quali erano da rimuovere, perché non ce ne era uno che non avesse una sua storia.

Così i nuovi si stavano ammonticchiando sulla scrivania, ma presto la pila sarebbe diventata instabile, quindi urgeva prendere una decisione.

La libreria era formata da aste di alluminio fissate alla parete, su cui appoggiavano tavole di legno nero spesse due dita e larghe una spanna. La loro lunghezza erano di due dimensioni: una più piccola che aveva necessità di due appoggi e una più grande che appoggiava su tre mensole.

L’uso sapiente delle tavole combinate in modo vario consentiva di creare un gioco appariscente sulla parete, dove negli spazi rimasti vuoti erano inseriti alcuni quadretti colorati.

Aveva riempito due pareti fin quasi al soffitto. Sotto una delle due librerie stava un mobile chiaro, che ospitava dischi di vinile, cd e l’impianto hi-fi.

Aumentare le tavole della libreria si scontrava con due problemi non risolubili, perché su una parete c’era la finestra che portava luce nella stanza e su quella di fronte la porta che consentiva l’accesso.

Nella stanza non c’era più posto per i suoi libri, quindi urgeva trovare una soluzione.

Matteo continuò a ruotare lo sguardo sulle pareti, sperando di risolvere il problema, come se possedesse la bacchetta magica. Nonostante questi crucci, era soddisfatto della biblioteca che aveva messo insieme.

Aveva delle piccole manie nella scelta del formato e dei generi di libro, perché era un po’ tocco e narciso. Odiava i formati economici o pocket, perché la qualità della carta era scadente e perché erano scritti troppo in piccolo. La copertina morbida non era di suo gradimento perché si rovinava facilmente e poi di solito era brutta. Quindi andava alla ricerca di libri cartonati o a copertina rigida. Non sempre riusciva nel suo intento.

Degli autori preferiti aveva raccolto con pazienza tutti i libri col risultato che a volte lo stesso racconto era presente in due pubblicazioni distinte.

Si girò verso sinistra lentamente e vide allineati in bella mostra i romanzi e racconti di Calvino, che ammiccavano sorridenti e invitanti con la copertina rigida di tela grigia con la sopra copertina bianca.

In basso la raccolta dei gialli Mondadori con la loro copertina di tela colorata, ormai introvabili nelle librerie, raggruppati per autore: Rex Stout, Ellery Queen, Agatha Christie. Non un solo volume, ma tutti, raccolti con certosina pazienza nel corso degli anni rovistando tra migliaia di libri messi in vendita come rimanenze.

Matteo si domandò quando denaro aveva speso per raccogliergli, ma la soddisfazione non aveva prezzo e questo lo rendeva felice.

Ora indugiava su un libro ora su un altro, sorpreso di non ricordare che erano lì a portata di mano, pronti per essere sfogliati ancora una volta.

Li aveva letti tutti, proprio tutti, ma non una sola volta. Alcuni li aveva riletti tre, quattro volte. Non importava se ormai conosceva a memoria frasi e immagini, se la trama non aveva più segreti. Però il gusto di assaporare ancora la lettura era troppo forte, troppo intenso per non farlo ancora una volta.

Ricordava che aveva poco più di dieci anni, quando con regolarità prendeva a prestito dalla scuola un libro alla settimana, che divorava in poche serate. Si, perché non cessava di leggere finché non arrivava all’ultima pagina.

In quegli anni si formò nella sua mente l’idea di creare una biblioteca da curare con amore. Molti di quei libri scolastici, ormai consunti e logori per essere stati sfogliati innumerevoli volte, sono stati acquistati molti anni dopo e messi nella libreria.

Matteo abbassò la vista e vide il foglio con in bella mostra l’incipit, ma nonostante gli sforzi non riusciva a localizzare il libro da cui era stato tratto.

Lo raccolse e cominciò a leggere la lettura centrale, un inedito di norma, un piccolo racconto. Questa volta era diverso, perché un grande regista parlava del cinema attraverso il ricordo di tanti colleghi.

Sospirò e si concentrò nella lettura.

Un amore non corrisposto

Proseguo nel riesumare vecchi racconti. Oggi è il turno di ‘Un amore corrisposto’

Buona lettura.

Copertina Kindle – La kitsune

Com’era avvenuto? Non lo sapeva neppure lui ma di una cosa era certo: qualcosa era cambiato.

“Dove?” si domandò, dondolandosi da un piede all’altro.

Riprese a camminare incerto e confuso con le mani in tasca e la testa incassata nel giaccone. Faceva freddo e tirava un’aria che non invitava a stare all’aperto. Il cielo era plumbeo, di un colore che non prometteva nulla di buono. Le nuvole basse formavano una cappa che contribuiva a deprimere Antonio.

Aveva diciotto anni e frequentava il primo anno di università.

«Nulla di eclatante» era solito dire a chi gli chiedeva cosa facesse.

Cosa volesse dire con quella frase non lo sapeva ma gli piaceva dirlo a tutti quelli che lo interrogavano a quale facoltà era iscritto.

«Frequento il primo anno di Università, quella della mia città» aggiunse in modo criptico alla solita frase un giorno di novembre. Antonio passeggiava con Giovanni, un amico che conosceva da quando era all’asilo.

«Ma perché niente di eccezionale?» chiese con tono curioso, strizzando gli occhi. «Eppure mi sembra che poi…».

«Poi, cosa?» ribattè fissandolo dritto negli occhi con lo sguardo lucido. «Quando tra tre anni, se sarò bravo, uscirò con quel pezzo di carta, cosa me ne farò? Lo metterò sotto vetro con una bella cornice marrone elegante e sobria, perché tutti quelli che entravano in casa possano ammirarla oppure la userò per trovarmi un posto di lavoro?»

«Non saprei. Pensavo che…» mormorò impacciato.

«Pensavi male. E tu cosa fai?»

«Tutto e niente. Non frequento l’università. Dopo la maturità lavoro nella ditta di mio padre».

«Beato te! Un posto ce l’hai assicurato…» esclamò Antonio, dandogli una pacca amichevole sulla spalla.

«Veramente avrei voluto frequentare l’Università come te ma mio padre mi ha detto “Cosa ti serve quel pezzo di carta? L’azienda è sana e genera profitti e quindi denaro, molti più soldi di quelli che potrai guadagnarne usando quel attestato che chiamate laurea”. Così non mi sono iscritto e sono entrato nella ditta. Lavoro ma alla sera sento la lingua secca come se non bevessi da molti giorni».

Antonio lo osservò stupito, perché, se suo padre avesse avuto un’azienda, non avrebbe avuto dubbi sulla strada da intraprendere. Però era un semplice impiegato di banca, un classico colletto bianco, grigio e anonimo, che sarebbe arrivato alla pensione, sempre che ci sarebbe riuscito, ancora più ingrigito. Non era quella la fine che voleva fare. Si sentiva creativo, avrebbe voluto dare sfogo alla sua fantasia ma sapeva bene che sarebbe stata dura la sopravvivenza.

«Non ho la tempra di chi, ignorando tutto, si lancia nel mondo dell’arte senza la preoccupazione di avere un pezzo di pane per mangiare» concluse con tono amareggiato.

Si conosceva bene compresi i suoi limiti, il frutto di tutti gli insegnamenti dei suoi genitori. Era cresciuto col mito del posto fisso, facendo un passo alla volta e solamente se era sicuro che non comportasse dei rischi.

Si salutarono con un abbraccio con la promessa di rivedersi presto.

“Sono un pavido” rifletté camminando per le vie della città con le spalle incassate nel giaccone. Faceva freddo per via di un vento di tramontana che si insinuava dentro con perfidia. Mentre vagava solitario per le vie della città svuotate per il gelo e la serata che si avvicinava, ricordò Ines, una vecchia fiamma o nuova. Dipendeva dall’angolazione con cui osservava il loro rapporto.

Ines era una ragazza solare col sorriso permanente sulle labbra mentre lui percepiva di essere un musone scontroso e introverso.

“Vorrei parlarle, dirle quello che provo ma non riesco. Mi sento impacciato, imbarazzato. Mi si secca la lingua, che si attorciglia in bocca. Le parole non escono e divento timido”.

L’aveva vista mille volte ma una mattina di dicembre la guardò sotto un aspetto che non aveva mai notato prima. Era una giornata soleggiata, fredda e senza nebbia, evento raro e insolito nella sua città. Aveva due ore di buco tra una lezione e quella successiva ma non aveva nessuna voglia di rintanarsi in biblioteca. Il cielo terso e il sole che riscaldava tiepido l’aria l’avevano invogliato a sedersi sulla panchina del parco retrostante l’Università. Era seduto a pensare che la sua vita sarebbe stata grigia come quella di suo padre e questo gli generava un grande rammarico. Percepiva che non sarebbe stato felice e avrebbe rimpianto sempre la non decisione di andarsene lontano e vivere romanticamente come un bohémien.

Scrollò il capo e si mise a osservare il parco con le grandi magnolie e le aiuole spoglie.

La vide con un’amica che chiacchieravano ridendo, mentre percorrevano il vialetto alla sua sinistra. Guardò con curiosità come gettava da un lato, in un certo modo allegro, la testa Prima di quel momento non se ne era mai accorto. Era un movimento, che lo colpì, istintivo e naturale. Il capo si muoveva verso destra mentre i capelli scivolavano su viso. Un colpo veloce per riportarli dietro l’orecchio. “L’ho osservata tante volte ma non avevo mai notato questo gesto che non sono riuscito a classificare. Però mi ha dato una scossa emotiva come se fosse la prima volta che la vedevo” ricordò con un pizzico di nostalgia.

Il gesto della mano rapido e coordinato faceva scivolare la manica del cappotto indietro verso il gomito, mostrando un polso esile e candido. La mano non era affusolata e neppure aggraziata. Piccola e leggermente tozza con le dita corte e grosse. Restò affascinato da quella gestualità che lisciava i capelli lunghi e setosi dopo averli riportati dietro l’orecchio. Aveva una grazia che lo ipnotizzava e non riusciva a staccare gli occhi da quelle mosse. Quel giorno di dicembre l’aveva guardata con occhi diversi. Forse il sole oppure quel modo di muoversi l’avevano stregato. In un altro contesto avrebbe giudicato i movimenti come normali e non degni di essere osservati.

Ne udì la voce e sentì come sottolineava le parola, una qualunque, con un tono che pareva musica. C’era un suono caldo nella sua voce.

“Quante volte l’ho ascoltata nei corridoi del liceo ma mi era sempre apparsa priva di grazia con quell’inflessione strascicata della esse e quel tono ruvido e freddo. Ma ora…”. Antonio era immerso in questo ricordo non troppo lontano e gli sembrava di vederla e ascoltarla vicino a lui. Poi lentamente, come in una dissolvenza fotografica, era uscita dai suoi pensieri.

«Sei un pavido» borbottò a mezza voce, mentre analizzava il suo comportamento in quella circostanza. «Se non ti fai notare, non potrà mai accorgersi di te. Inseguila, fermala e parlale come sai fare con gli scritti. Riuscirai a colpirle il cuore».

Qualcosa gli diceva che quello era amore, ma si domandò se conosceva il significato esatto di quella parola.

«So cosa vuol dire Amore. Lo scrivo nei miei racconti che parlano di Amore tra madre e figli, tra un uomo e una donna ma anche fra due persone dello stesso sesso. Quello che ho descritto tante volte con minuziosa pignoleria, ora perde di significato e non so cogliere questo fiore, lasciandolo appassire. Questo sentimento lo osservo con la morte nel cuore perché è vizzo e senza un’anima».

Benché sapesse che l’amore gli avrebbe recato dolore, tormento e umiliazioni, non smise di pensare a Ines nei giorni seguenti, a quello che aveva notato quel giorno di dicembre. Un amore che non aveva controparte gli dava spine e distruggeva la pace interiore. Nulla era più come prima ma nel contempo era riuscito a dare forma a qualcosa d’impalpabile: il sentimento dell’amore,

Un altro ricordo di quel giorno gli tornò in mente. Si era alzato dalla panchina, ma gli pareva di camminare a venti centimetri da terra. Non gliene era importato nulla se quelle sensazioni gli avrebbero procurato dolori e tormenti. Tuttavia lo aveva accolto con gioia e lo curò con tutte le sue forze, perché sapeva che esso l’avrebbe reso ricco e vivo come aspirava.

Aprì gli occhi, mentre anche l’ultima immagine spariva.

Un raggio di sole filtrava dalle imposte ma Ines sarebbe rimasto un amore non corrisposto.

Un viaggiatore un giorno in treno – parte seconda

Questa è la seconda parte di un vecchio racconto, La prima la potete trovare qui.

copertina di carta
Un giallo Puzzone

Rimasi scioccato e senza parole. Quell’uomo dai capelli bianchi e dal viso affilato come una lama mi guardò prima torvo poi addolcì l’espressione.

«Ma lei dovrebbe avere almeno ottant’anni per essere Paolo Morier dissi riacquistando l’uso della parola e colorito nel volto.

«Infatti» replicò visibilmente scocciato dalla mia incredulità e diffidenza. «Ho ottanta tre anni. E poi confronti la fotografia che sta a pagina…» e cominciò a sfogliare il libro, finché non trovò quello che cercava.

«Guardi» e mi mise sotto il naso una fotografia di un ragazzo giovane dai capelli scuri e con un pizzetto alla Italo Balbo.

Convenni che il taglio degli occhi e la forma del naso sembravano le copie conformi di quelle che vedevo accanto a me.

«Ora sono smagrito, coi capelli candidi e senza pizzetto ma sono io nel resto dei dettagli».

«Già» ammisi laconicamente ma ancora non potevo credergli che la persona accanto a me fosse il protagonista del romanzo che teneva in mano.

«Mi dica» proseguii con tono dubbioso, «chi è per lei l’autore? Come ha potuto scrivere una simile storia?»

Un raro sorriso illuminò quel viso leggermente rugoso, mentre la ragazza della battaglia navale si era girata verso di noi ascoltando con attenzione la nostra conversazione.

«Michi, vuoi la rivincita?» si udì distinta la voce del ragazzo che non si era accorto dell’interesse della compagna alle nostre parole.

«Sss! Non disturbarmi» replicò con un sussurro appena accennato.

«Chi è?» domandò ad alta voce, facendo girare quasi tutti i viaggiatori del vagone. «Chi è? Lo sapessi!» Urlò come un tuono in piena notte.

«E secondo lei come ha potuto scrivere questo romanzo?» chiesi con un tono più moderato.

«Lo sapessi!» ribadì questa volta meno irritato.

Non riuscivo a comprendere come Arduini, l’autore, fosse collegato con questa persona, che era molto più vecchia di lui e che difficilmente avrebbe conosciuto nella sua vita.

Dunque mentre stavamo conversando in maniera quasi sincopata, gli domandai di raccontarmi la sua storia.

«Guardi» sospirò. «Guardi, la mia vita è come un reality» e cominciò con un racconto al limite dell’incredibile.

«Mio padre era ricco, molto ricco. Possedeva una banca che portava il suo nome. Una banca piccola con un solo sportello e degli uffici discreti e ovattati ubicati nel centro di Milano. Da qui passava tutto il gotha dei gerarchi milanesi e tanti altri personaggi che amavano l’anonimato per trasferire le proprie ricchezze in Svizzera. Allora ero all’università ma andai a lavorare presso mio padre. Specialmente ora che la guerra si avvicinava. Mio padre riuscì con abilità a convincere il federale di Milano, una persona influente, a certificare che la mia presenza in città era vitale. Così mi evitai l’arruolamento e quel tritacarne che era guerra».

Prese un fazzoletto per asciugarsi le labbra prima di riprendere a parlare.

«Era dicembre 1942. Il giorno non lo ricordo ma l’immagine è viva nella mia memoria. Quel giorno un certo Michele Scialopoti, che conoscevo vagamente, venne da me per chiedermi un prestito di mille lire. Era una cifra enorme a quei tempi ma io disponevo di un conto personale a sei cifre, frutto delle donazioni di mio padre e mio nonno. Mi implorò a tal punto che cedetti il denaro in cambio di un pagherò che sarebbe scaduto un anno dopo. Nella notte tra il 7 e 8 agosto 1943 Milano subì un furioso bombardamento. Io nella fuga durante la notte, al buio perché la città era oscurata, caddi e persi i sensi. Quando mi risvegliai, mi trovai in uno stanzone con decine di altre persone del tutto sconosciute. Non capivo nulla e nonostante i miei tentativi di mettermi in contatto con mio padre finì su un treno con altri deportati. Colto da febbre altissima durante il viaggio persi conoscenza e poi non ricordo più nulla».

Era il racconto più fantastico che avessi mai ascoltato. Cercai di dissimulare la mia incredulità e gli posi altre domande, alle quale rispose in maniera ancora più incredibile.

«Di solito i romanzi sono opere di fantasia e non riproducono la realtà. Oppure sono in difetto?» mi domandò a bruciapelo.

«No. Di norma gli editori li chiamano non-fiction, perché si collocano a metà strada tra la fantasia e la realtà. Però questo è stato catalogato come fiction, ovvero opera di pura fantasia…».

Paolo Morieri alle mie parole aprì il testo a caso e lanciò un urlo, udito distintamente da tutti i compagni di viaggio.

«Vede» disse indicando una pagina. «Mi dice che oggi è ‘martedì’, il martedì dell’aldilà, dove io annuso dei fiori. Non sente il profumo di lavanda?»

Mi avvicinai e provai ad annusare. Sentivo solo l’odore della stampa fresca e null’altro. Non dissi nulla. Non volevo innescare un altro contenzioso, anche se lui continuava a elencare fiori e odori. Io non percepivo per nulla.

«E qui» aggiunse indicando una fotografia. «Sono nudo che ballo con una fanciulla discinta! Ma non so ballare e quella giovane donna non la conosco!»

«Si calmi» dissi cercando di tranquillizzarlo.

«Sarebbe tranquillo lei, se mio padre o qualche conoscente lo leggesse?»

«Certamente» replicai poco convinto.

«Io no! Ballare nudo con una donna che non si conosce non mi pare un modo educato di comparire in un libro».

«Però quella pagina è davvero seducente» provai a contraddirlo.

«Sarà ma c’è da vergognarsi. Come potrò tornare in ufficio nella banca di mio padre senza essere oggetto del dileggio dei colleghi?»

Indubbiamente aveva ragione ma non potevo ammetterlo. Quindi preferì glissare sull’argomento.

Stavo per replicare, quando una voce femminile un po’ gracchiante uscì dagli altoparlanti del vagone.

«Milano. Stiamo entrando nella stazione Centrale di Milano. Trenitalia ringrazia i signori passeggeri. ..».

Mi distrassi un attimo.

«Signor Morieri viene con me a Vigevano dall’autore del libro?»

Allibito non vidi nulla accanto a me. Solo il libro aperto sulla pagina con la sua fotografia.

FINE

Un viaggiatore un giorno in treno – parte prima

Un vecchio racconto riesumato in fondo al PC.

Le linee parallele si incrociano

Andare a vivere in un romanzo inedito aveva i suoi vantaggi. Tutte le noiose banalità quotidiane che sbrighiamo nella vita reale intralciano lo scorrere della narrazione e quindi sono in genere evitate. L’automobile non aveva bisogno di fare il pieno, al telefono non si sbagliava mai numero, c’era sempre acqua calda a sufficienza e c’erano solo due tipi di aspirapolvere quello verticale e quello che ci si trascina dietro. C’erano altre differenze più sottili. Per esempio, non ti dovevano mai ripetere una frase perché non l’avevi capita bene, non c’erano due persone con lo stesso nome, non si parlava mai contemporaneamente né si aveva il fastidio di avere una parola sulla punta della lingua. Soprattutto, sapevi sempre chi era il cattivo. Ma c’erano anche alcuni svantaggi. Una carenza di colazioni…1

In realtà non le ho scritte io queste poche battute ma le leggevo seduto in treno mentre andavo a Milano per incontrare una persona importante, almeno per me.

Immerso nei miei pensieri, viaggiavo in incognito e non sapevo il perché o meglio non volevo rivelare la mia vera identità ai miei compagni di viaggio.

Sono un vincente e non amo le sconfitte ma questi non sono gli argomenti dei miei pensieri in questo momento. Sembro un viaggiatore qualsiasi ma in realtà sono un editor di fama. Devo raggiungere l’autore di un romanzo che avrà sicuramente successo. Il mio editore mi dice che sono arrivate centomila prenotazioni. Ma credo che abbia esagerato. In Italia il successo comincia a diecimila copie e sono pochi i romanzi che superano questa quota”.

Dunque ero sprofondato in queste elucubrazioni mentali, che qualcuno ama chiamare con altro nome, quando ripercorrevo la storia di questo romanzo.

Il mio editore, del quale non rivelerò il nome, una mattina di novembre mi chiamò al telefono.

«Pietro» mi disse aprendo la comunicazione. «Ho un manoscritto inedito che mi è arrivato per vie traverse ..».

«Marco, non me la dai da bere. Se l’hai accettato, vuol dire che lo sponsor era forte. Tu cestini i romanzi inediti se non sono accompagnati da una nota veramente valida. O l’autore è qualcuno della casta o per qualche imprescindibile combinazione una persona con gli attributi ti ha imposto di leggerlo. Ti conosco da troppo tempo per non conoscere come operi».

«Pietro non complichiamo le cose senza far polemiche sterili. Il manoscritto è nelle mie mani e tu devi leggerlo. L’incipit mi pare favoloso. Potremmo avere per le mani il caso letterario dell’anno. Te lo spedisco per fax ..»

«Sarai impazzito? Vuoi intasarmi il fax? Se è solo cartaceo, scannerizzalo e mandami il file».

«E va bene. Come vuoi tu, Pietro. Però perderò un sacco di tempo ..»

«Per quando vuoi il mio parere?»

«Se fosse per me, immediatamente. Però restando serio, una settimana dopo la ricezione del manoscritto ..»

«Veramente io intendevo del flusso scansionato. Non del cartaceo. Comunque vuoi solo un parere positivo o …»

«Oppure hai chiuso con me. Vedo che sei ancora sveglio. Domani sulla tua scrivania troverai il pacco col romanzo» e chiuse la conversazione senza nemmeno salutarmi.

In realtà il romanzo era veramente ben scritto e avrebbe incuriosito anche il lettore più scafato e difficile. Trattava di una vicenda ai limiti del normale o forse era più corretto ammettere che era una storia del paranormale per nulla ingenua ma ben costruita. Ambientata nei giorni nostri, era incentrata sulla figura di un giovane, Paolo Morieri, morto nel 1943, che si era presentato sull’uscio dello scrittore, pretendendo mille lire che gli aveva prestato qualche mese prima. Il personaggio al momento della morte aveva solo vent’anni ma era l’erede di un impero finanziario che avrebbe potuto comprare tutta l’Italia. Insomma avrete compreso che pareva una trama inverosimile come se un morto fosse resuscitato dopo sessant’anni e il tempo non avesse avanzato di un secondo. L’aspetto anomalo era che lo scrivente non era ancora nato nel 1943! Era un autentico grattacapo, del quale non vi svelerò la fine. Vi toglierei il gusto di leggerlo.

Lo scrittore, Alberto Arduini, era un famosissimo ricercatore del paranormale, una specie di medium, un’autentica autorità in quel campo. Avevo capito perfettamente perché il mio editore volesse un parere assolutamente positivo sul manoscritto. Era una vera bomba editoriale. Dovevo riconoscere che aveva avuto l’imbeccata giusta.

Sei mesi più tardi l’editore mise in moto tutta la batteria dei pubblicitari e critici letterari, il marketing al gran completo e dichiarò che aveva prenotazioni per oltre centomila copie. L’intera tiratura iniziale sarebbe andata esaurita nel giro di pochi minuti. Già vedevo le code prima delle aperture delle librerie, un po’ era capitato coi romanzi di Henry Potter.

Io non ho mai creduto a quel numero ma si sa che sono diffidente. Però oggi è il gran giorno. Il libro è stato stampato e fa bella mostra nelle vetrine di tutte le librerie d’Italia”. Stavo andando a conoscere l’autore. Avevo preso con me una decina copie, che distribuì ad alcuni viaggiatori, selezionati secondo il mio intuito come i più idonei a leggerlo, presenti sul ETR1000 che collegava Roma a Milano. Volevo vedere come reagivano alla lettura del romanzo.

Dopo qualche tempo osservai le persone che avevano ricevuto una copia e rimasi interdetto.

Vedo che la prima copia, donata alla ragazza carina e sveglia qualche posto davanti a me, è usata come tavolino per una partita a battaglia navale con il compagno che le sta di fronte. L’anziana signora, destinataria della seconda, lo sta sfogliando distrattamente come se fosse annoiata. L’unico che lo sta leggendo avidamente è un signore dai capelli bianchi e dal viso ancora giovanile, sistemato accanto a me”.

Continuavo a rimuginare i miei pensieri, pensando che forse le centomila copie fossero molto meno. A parte il viaggiatore accanto a me, gli altri non parevano eccessivamente interessati al libro. Anzi a dirlo in tutta schiettezza non gliene importava nulla. Avevano preso l’omaggio ma avevano preferito tornare alle loro occupazioni abituali. Chi leggeva la Gazzetta dello Sport, chi correggeva le bozze di qualcosa di più importante del romanzo.

Ero profondamente deluso e mi stavo incupendo alquanto pensando a quello che avrebbero scritto su Anobii. Era vero che molti guardavano con sospetto a quella comunità di lettori, che definivano saccenti e criticoni. Alla fine la loro opinione valeva molto di più di tanti prezzolati critici che scrivevano quello che detta loro l’editore.

Chiusi gli occhi mentre il paesaggio della Toscana scorreva rapidamente dal finestrino. Mi assopì ma forse fu solo un attimo perché rividi quello che era rimasto impresso prima di chiuderli. Solo il viaggiatore accanto a me continuava a leggere senza posa il romanzo, mentre la ragazza diceva «A2». Udì in risposta «Colpito». La battaglia navale era più interessante del Caso strano di un creditore fantasma, il titolo del libro.

Visto che non alzava gli occhi, né prestava attenzione alla hostess, che voleva offrire un quotidiano e qualcosa da bere e mangiare, decisi di parlare con lui.

«La storia la sta appassionando» dissi con tono cordiale come si usa con gli amici.

L’uomo alzò la testa dal libro e mi fissò con attenzione come se lo avessi distolto dall’occupazione più importante della sua vita.

Ripetei la domanda: «Interessante?»

«Interessato!» ribattè con voce chiara e decisa. «Interessato!» replicò come se non avessi udito la prima risposta. «Veramente notevole è la storia! Pare quasi che il protagonista morto abbia passato il suo tempo a dettare le pagine a suo zio»

Il tono della voce era secco e il viso corrugato.

Concordai con lui, annuendo col capo vistosamente.

«Forse dipende da dove si trova il protagonista …» dissi muovendo il capo.

«Secondo lei dove si trova ora il protagonista?»

«Forse in paradiso oppure in purgatorio …».

«E non perché all’inferno?» domandò, osservandomi con quegli occhi acquosi da vecchio.

«Non mi sembra il posto adatto. Non mi pare che in vita abbia combinato chi sa quali malanni o sfracelli da meritare …».

«Sì» disse come per convincermi che non fosse il posto giusto per Paolo Morieri, il protagonista della storia.

«Lei cosa pensa? Paradiso o purgatorio?» chiesi con delicatezza.

«In paradiso forse no ma in purgatorio lo vedo benissimo. Ma in realtà lo vedo meglio…» replicò con pacatezza, mentre gli occhi brillavano come se avessero riacquistato lucentezza.

«Dove, se non sono indiscreto» lo sondai con cautela. Il suo pensiero mi incuriosiva e in un certo senso stimolava la mia vanità professionale.

«A Vigevano» rispose senza tradire una benché minima emozione.

Lo scrutai con attenzione mentre sobbalzavo per l’affermazione.

«A Vigevano? E perché?»

«Se si trovasse in purgatorio, sarebbe un piccolo errore ma se è Vigevano …».

«Ma cosa c’entra Vigevano con il Caso strano di un creditore fantasma

«Nulla. Infatti. Se però si trovasse a Vigevano…».

«Ma non si trova a Vigevano» replicai alzando la voce.

La ragazza, che stava giocando a battaglia navale, fu distratta dalla mia esternazione e invece di dire «A3» e mettere fine alla partita urlò «A9». «Hai perso!» replicò di rimando il compagno.

«In realtà non si trova a Vigevano ma sta passando da Bologna» ribatté con tono serafico.

Ebbi l’impressione che il nervosismo stesse travolgendo le mie difese ma che quello che stava affermando era in qualche modo collegato al Caso strano di un creditore fantasma. L’intuito non mi aveva mai tradito e anche stavolta mi stava mettendo in guardia. Lo osservai con maggiore attenzione e aspettai che dicesse qualcosa.

«Forse qualche influenza astrale…» cominciai con cautela, visto che era ammutolito.

«Basta!» replicò mettendosi eretto. «Sembra che da un mese a questa parte io sia diventato il caso nazionale di signore, attratte dal paranormale e da signori caustici e diffidenti sui giornali e in TV. Signore, si da il caso che io sia Paolo Morieri. Non sono morto. E non sono mai stato morto. E quando morirò nel giorno che mi sarà destinato, dopo aver letto questo dannato libro, non percepirò di essere al sicuro in nessun luogo dove mi metteranno!»

CONTINUA…

1 Incipit tratto da “Il pozzo delle trame perdute” di Jasper Fforde- ed. Marcosy Marcos, trad. di Daniele A. Gewurz, pagg. 400 17€ – Jasper Fforde 2003 – Marcos y Marcos 2007