Elena’s world

Altro pezzo scritto ai primordi di blogger sempre sul defunto Windows Space.

Era una bella giornata di Luglio, calda e afosa, quando Elena si avviò verso l’Università. Insieme a lei c’erano amiche e i genitori.

Era un giorno importante: quello della laurea. Era il 16 Luglio 2004 e si sarebbe laureata in lingue con una tesi tutta in inglese, che era stata preparata con molta cura. Per migliorare la pronuncia, visto che si sarebbe svolta in inglese, era stata tre settimane a Londra. Che magnifica vacanza! Quanti ricordi piacevoli! Era la prima volta che andava all’estero da sola. Era stata con gli amici in Grecia e in Croazia, ma mai le era stato permesso di fare un viaggio fuori dell’Italia senza qualcuno che l’accompagnasse.

I genitori non erano stati molto propensi a lasciarla partire, perché pensavano che sarebbe incappata in mille pericoli: era una ragazza di 23 anni e chissà quali brutti incontri avrebbe fatto in quel posto lontano da casa. Elena invece era eccitata e non vedeva l’ora d’imbarcarsi per Londra. Anche il viaggio in aereo era una novità, insomma quante nuove esperienze erano concentrate in queste tre settimane!

Era arrivata finalmente la prima volta anche per lei… Inghilterra e Londra, una città vista finora nelle cartoline e basta. Era difficile spiegare, cosa provava una laureanda in lingue alla vigilia della partenza… Questa città rappresentava per lei un mito.

Il volo andò benissimo senza troppi problemi o apprensioni particolari. Era stato il suo battesimo dell’aria. L’aereo atterrò a Heathrow: un immenso aeroporto distante un quarto d’ora da Londra: per arrivare a Paddington aveva viaggiato su Heathrow Express. Durante il trasferimento in città ebbe modo di vedere ai lati della ferrovia la verde campagna inglese, molto bella nel periodo del viaggio: era maggio.

Per raggiungere l’hotel prenotato in centro a Londra una volta giunta a Paddington aveva preso due metrò, i famosi “tube” londinesi. Scese a Bond Street e dopo una breve passeggiata arrivò in Manchester Street, dove era ubicato l’omonimo hotel.

Si fermò un istante ad ammirarlo dall’esterno. Sembrava molto migliore di quello visto sui depliant dell’agenzia viaggi. Era un grazioso edificio del 1919 in mattoni rossi, piccolo e raccolto, vicinissimo a molti famosi locali di attrazione e di shopping, a due passi da Regent’s Park e dalle sponde del Tamigi. Una breve rinfrescata e via per le vie di Londra per scoprirla.

Dopo il secondo giorno aveva capito che le tre settimane sarebbero state insufficienti per godersela in pieno, anche perché durante la giornata doveva frequentare la scuola per perfezionare la sua conoscenza della lingua inglese.

Rimase sorpresa quando si presentò per conoscere chi le avrebbe fatto compagnia per il tempo del corso. C’erano circa 800 studenti, provenienti da oltre 60 paesi, tutti impegnati a perfezionare la loro pronuncia e conoscenza della lingua. ”Non mi basteranno sicuramente tre settimane per conoscerli tutti!” Fu il primo pensiero vedendo quella moltitudine vociante. Una babele di lingue che non comprendeva.

Tra le attività di contorno l’aspettava una gita in barca sul Tamigi. Però questo non era tutto: doveva andare in giro per la città a fare shopping, a visitare monumenti e musei, a trascorrere insieme a qualche compagno le serate al pub. Come avviene in tutte le aule scolastiche aveva fatto amicizia con un gruppetto di ragazze e ragazzi di colore e razze diverse, con cui trascorreva gran parte del suo tempo libero.

Purtroppo, come tutte le cose belle, anche questa esperienza finii. Mentre preparava il bagaglio per tornare a casa esclamò con un sospiro: «Come tutte le esperienze che per un attimo ti tirano via dal mondo in cui si vive, ti restano per sempre nel cuore. Al di là del posto in sé, che alla fine sta lì. Si può sempre tornare… Per quanto si possa pianificare il ritorno, non sarà mai la stessa esperienza di questi giorni. È il momento che conta, sono le persone che incontri che costituiscono almeno il 70% di ciò che vivrai. La stessa cosa è stata per i miei due mesi a Monaco di Baviera, le mie tre settimane a Malta…niente sarebbe stato senza le persone incontrate sul mio cammino. Le tre settimane sono volate in un baleno e il ritorno è con tanti rimpianti. Alla prossima volta, Londra!»

Il 16 luglio filò tutto liscio ed Elena festeggiò con i genitori e gli amici il traguardo raggiunto. Ora sarebbe cominciata la parte più difficile. ”Che lavoro intraprenderò?” si domandò inquieta e smarrita. I genitori premevano affinché lei trovasse un’occupazione nella scuola, ma Elena non ne era molto propensa, perché non rappresentava il suo obiettivo.

Presentò diligentemente la sua domanda alle scuole medie e superiori disseminate nel Gargano per insegnare lingue: inglese o tedesco. Lei risiedeva a San Severo di Foggia e immaginò che finisse in un qualche buco lontano da casa con quattro sputi di abitazione. Nutriva poche speranze che le domande venissero accettate e in cuor suo avrebbe voluto che la chiamata non arrivasse. Invece, ironia della sorte, le diedero un incarico per un anno in una scuola media di un paesino non molto distante da San Severo. Accettò malvolentieri per accontentare i genitori.

L’anno scolastico fu travagliato: non riusciva a tenere a bada quei ragazzini, che la mettevano in difficoltà nonostante avessero solo dodici anni. Finii l’anno scolastico stremata e stressata e per i mesi estivi non pensò più alla scuola, sperando che il nuovo cominciasse senza di lei, così da potersi dedicare alla ricerca di un lavoro diverso. Le sue preghiere non furono esaudite e si ritrovò con un nuovo incarico in un altro paesino della provincia di Foggia.

Se il primo anno fu angosciante, il secondo fu un’esperienza terrificante: quei ragazzini erano davvero delle pesti e i genitori che li spalleggiavano non da meno. Aveva gli incubi di notte e, quando prendeva la macchina per arrivare a scuola, aveva degli attacchi di panico. Era sull’orlo di una crisi di nervi, quindi decise di cercare un posto come receptionist in uno dei tanti hotel della costa pugliese e di chiudere questa esperienza nella scuola.

A fatica concluse l’anno scolastico e poi via alla ricerca. Fece numerosi colloqui, conobbe molti albergatori e alla fine la sua ricerca fu premiata. Trovò un hotel, che lavorava prevalentemente con clientela straniera praticamente tutto l’anno, Fu assunta in prova. Il grimaldello era stato la sua ottima conoscenza del tedesco e dell’inglese.

Così terminò la sua carriera d’insegnante e iniziò quella di receptionist.

L’hotel era molto grande e dotato di molte risorse: dalla piscina alla palestra, dalla sauna al kindgarten, dagli animatori agli insegnanti di ballo. Si trovava sulla costa nella zona di Peschicci ed era un grande edificio con annessi bungalow e piccole costruzioni destinate al divertimento il tutto immerso nel verde.

Gli erano stati offerti due locali con bagno nel seminterrato dell’edificio principale, dove all’occorrenza poteva trattenersi per la notte o riposarsi tra una pausa e l’altra.

All’inizio non pensava che dopo il periodo di prova la confermassero, perché aveva pasticciato in più di una occasione, ma con suo grande stupore e gioia le dissero che sarebbe rimasta.

Il personale era numeroso anche nei momenti di maggiore calma, perché era come un minuscolo villaggio delle vacanze. Con alcuni legò maggiormente, con altri i rapporti erano freddi e distaccati.

Col primo stipendio si fece un regalo: un bel portatile su cui scrivere tutto quello che le passava per la mente tanto che divenne un compagno fidato e inseparabile.

 

Le Bollicine di Simona

copertina Amanda e il bosco degli elfi

Era 25 Settembre del 2004. Il gran giorno era arrivato.

Vasco Rossi concludeva il suo tour per l’Italia a Catanzaro. Tutta la Calabria e la Sicilia erano in fibrillazione per il suo arrivo.

Simona era trepidante per l’evento, come c’era una grande attesa tra i suoi amici Nino, Stefano e le amiche Rossella, Paula e tanti altri che l’elenco sarebbe diventato lunghissimo.

Questo era il secondo mega concerto di Vasco che si accingeva ad ascoltare. Quattro anni prima appena ventenne aveva fatto una lunghissima fila per acquistare i biglietti. I ricordi affioravano netti: come aveva corso per essere tra i primi della fila, come aveva dovuto lottare per convincere i suoi genitori a lasciarla andare! Suo padre diceva che al concerto c’era solo una massa di drogati, ma lui non aveva voluto ascoltare le mie parole “Papà, tra i drogati c’ero anch’io!”. Voleva ringraziare chi le aveva fatto ascoltare Vasco per la prima volta, quando ancora quasi non sapeva dire il suo nome: ” CIAO MA’!”.

Lei voleva riascoltare “VOGLIO UNA VITA…CHE NON È MAI TARDI! DI QUELLE CHE NON DORMI MAI!!!”.

A Simona come ritornavano i ricordi, come si ripresentava tutto quello che era, che aveva fatto, la verità e una versione di sé che era quella reale, fuori degli schemi. Sembrava che qualcosa la spingesse avanti, una voglia di ridere incredibile, un gran desiderio di correre, come aveva corso quattro anni prima per comprare i biglietti del primo concerto.

Aspettava con impazienza che il gran giorno venisse. Avrebbe ricominciato a far scorrere fiumi di parole sul suo diario, per poter vivere di rendita come l’altra volta per un concerto che sarebbe durato nella sua testa almeno per un anno!

L’aspettativa era talmente grande che la sera prima Simona non era riuscita a dormire. Erano le quattro del mattino, quando presero il treno per Catanzaro. Dovevano essere all’Area Verde prima di tutti per godersi gli ultimi istanti dei preparativi di Vasco e della sua Band. L’ingresso era gratuito e dovevano essere là presto se volevano prendere un buon posto d’ascolto. Era emozionata come la prima volta!

Il tour 2004 iniziato a Latina il 30 maggio terminava a Catanzaro il 25 settembre. Leggendo la scaletta, questa comprendeva 29 canzoni tra cui “Bollicine”. Però mancava “Vita spericolata”, che era la sua canzone simbolo, perché tutta la sua esistenza era stata vissuta di corsa, per schizzare via a prendere i treni, che passavano una sola volta.

Simona e i suoi amici raggiunsero il posto e si sistemarono per bene nella attesa dell’inizio del concerto insieme a tanti altri giovani e meno giovani venuti ad ascoltare il mitico Vasco.

Vasco attaccò con “Cosa vuoi da me” seguito da “Fegato, fegato spappolato”. Queste prime due canzoni ebbero il potere di scaldare la platea.

Mentre il concerto si snodava con il susseguirsi delle canzoni, il cielo diventava sempre più imbronciato e minacciava pioggia a catinelle. Si chiese: “Sarei riuscita ad ascoltare ‘Bollicine’ prima del diluvio universale?” Questo avrebbe annegato tutti questi peccatori venuti ad ascoltare Vasco, personaggio scomodo e fuori degli schemi.

Simona continuava a guardare il cielo preoccupata, finché le note e le parole della canzone non riecheggiarono nella vasta area.

“….

bevi la coca cola che ti fa bene

bevi la coca cola che ti fa digerire

con tutte quelle, tutte quelle bollicine …

Poi dal cielo cominciò a scendere la pioggia sempre più forte. Simona insieme agli amici aveva corso, come mai lo aveva fatto in vita sua. Non desiderava beccarsela tutta. Aveva corso esattamente nello stesso modo con cui prendeva i treni perché sapeva che passano una sola volta, pensando che la sua vita fosse davvero SPERICOLATA!

Bagnati, ma felici ripresero il treno per Messina. Simona lo era in modo particolare, perché aveva potuto riascoltare dal vivo il suo idolo, il suo mito, perché aveva voglia di correre, di non fermarsi mai.

Si sentiva inquieta, perché si era persa fra tante parole, scritte e dette, sue e degli altri, diventando poi pensieri sempre più complessi e, alla fine, incubi.

Se guardava dentro di sé, quelle parole le hanno fatto bene solo per un po’. Però adesso era il momento di smettere, perché la incatenavano a quello che era stato, mentre doveva cominciare a pensare che anche la giornata era già passata.

Era arrivata a queste conclusioni ascoltando durante il viaggio di ritorno a Messina le canzoni dei Pink Floyd nell’album THE DIVISION BELL. Si rivedeva a diciassette anni, seduta davanti allo stereo, quando questi pezzi rombavano nella testa e pensava al suo futuro, visto che di passato ancora non poteva parlare. Ma adesso erano passati sette anni, un po’ di passato l’aveva alle spalle. “I knew the moment had arrived for killing the past and coming back to life”.

Così capì che stava inseguendo non un sogno ma un’ossessione. Si era persa dentro i pensieri, che le avevano riempito solo la testa e il cellulare di parole che nella vita reale non servivano. Doveva dare una svolta alla sua esistenza. Tagliare con quel minuscolo passato che si era formato in quei sette anni.

I feel persecuted and paralized” canticchiava Simona, mentre ripensava a lui, il sogno che inseguiva da tanto tempo. “Credo sia arrivato il momento di smettere di farmi condizionare dai discorsi di chi in fondo di me non si preoccupa. TORNO SU ME STESSA! Quello che spero è di rimanere su questa posizione e non tornare su questa decisione”.

La preoccupavano non poco quegli incubi, ma poteva chiamare il suo guardiano dei sogni, che ultimamente si era un po‘ distratto. “Deve essere difficile lavorare con me“. Rise a questo pensiero prima di tornare seria. “I suoi occhi scuri bastano per calmarmi. A volte sparisce, ma almeno non mi riempie la testa di concetti stupidi”.

Il giorno dopo si ritrovarono tutti da Billé a gustare gli ultimi gelati di una lunga stagione estiva. Avrebbero parlato del concerto del giorno precedente, della fuga precipitosa sotto il diluvio universale, che puniva quel popolo di miscredenti, che idolatrava come un Dio il mitico Vasco. Era la giusta punizione verso tutti questi peccatori, che della trasgressione facevano uno stile di vita.

Poi la lunga passeggiata sul lungomare a parlare del futuro, di cosa ci riservava il domani, dei sogni e delle speranze, insomma di tutto quello che i giovani parlano, quando si frequentano.

Da quel giorno di settembre non si era fermata mai. Dapprima era arrivata la laurea in lingue straniere con il massimo dei voti. Poi era riuscita a strappare ai suoi genitori il consenso per frequentare a Milano un master di Marketing e Comunicazione presso una prestigiosa Università. Questo avrebbe cambiato la sua vita perché avrebbe traslocato e vissuto lì per almeno un anno lontano da casa. Tuttavia la ciliegina sulla torta sarebbe stata ascoltare il concerto di Vasco nel prato di San Siro tra qualche mese, a luglio.

I giorni passarono veloci nella preparazione dell’imminente viaggio a Milano. Simona doveva trovare un posto dove alloggiare nei primi tempi nella attesa di sistemarsi in modo meno provvisorio. Doveva comprare del vestiario adatto al clima rigido del Nord, perché a Messina non le servivano, insomma per prepararsi a quella lunga trasferta tanto sognata, ma anche temuta.

“Riuscirò a resistere lontano di casa? La nostalgia mi assalirà? Come reagirò a svolgere tutti quei compiti, che ora minimamente mi sfiorano?” Questi erano i suoi pensieri, i suoi dubbi, ma non li diceva apertamente, perché voleva dimostrare di essere in grado di superare qualsiasi avversità.

Simona passò le sue giornate tra dubbi ed euforia, finché il gran giorno non arrivò. Salutò gli amici, la mamma, che non era contenta di vedere partire la figlia per luoghi lontani, dopo aver visto allontanarsi il figlio per la carriera militare. Sentiva la casa vuota, svuotarsi di tutti gli affetti ed era triste.

Simona sapeva di darle un grosso dispiacere, ma la voglia di avviarsi per affrontare questa nuova avventura era talmente forte da superare anche l’affetto che provava per lei. Prese il treno e partii per il lungo viaggio attraverso l’Italia verso nuovi orizzonti.

Dalla finestra….

Questo era il capitolo iniziale del romanzo

Le linee parallele si incrociano

che poi è cambiato diventando il secondo capitolo.

Marco aspettava una telefonata che tardava ad arrivare e guardava fuori dalla finestra.

Da qui scorgeva nel vicino giardino un ciliegio giapponese, tutto rosa per i fiori sbocciati dopo il lungo inverno. Era un stridente il contrasto con la quercia della pubblica via, che mostrava solo piccole e timide foglie verde smeraldo. Un minuscolo uccello si posò su un ramo dell’albero. Tentò d’indovinare senza successo quale fosse il suo nome, mentre osservava un allegro via vai di gazze attorno al ciliegio.

Aveva le spalle appoggiate allo schienale del divano letto e ripensava alla sua vita, che assomigliava alle montagne russe del lunapark per il susseguirsi di gioie e dolori che l’avevano costellata. Sogni e amori si mescolavano fra loro in maniera confusa, ma tutto restava impastato e informe come bozze malriuscite.

Gli sarebbe piaciuto conoscere il mondo attraverso i viaggi armato di zaino e sacco a pelo. I suoi desideri rimanevano solamente sogni, proibiti e irrealizzabili, perché era senza soldi, avendo solo lavori precari e mal retribuiti.

Era un giorno senza chiamate che lo costringeva a rimanere a letto e rimuginare sullo stato attuale. Il contrasto tra l’intensa fioritura del ciliegio e il timido risveglio della quercia era uguale a quello che provava dentro di sé. Avrebbe voluto ma non poteva. Aveva amato ma adesso era solo. L’ultimo lavoro si perdeva nei ricordi, mentre attendeva invano squillare il telefono per uno nuovo.

«Signor Marco Pinotti? Sono Marta di Objob. Le telefono perché…». Era il dialogo immaginario che avrebbe voluto che si concretizzasse, ma le giornate passavano uguali e il telefono rimaneva muto.

Marta era una simpatica ragazza, che aveva conosciuto vagando tra gli uffici dei lavori interinali. Aveva più o meno la sua età, almeno questa era stata la sua valutazione quando l’aveva vista seduta dietro una scrivania. La statura non ben definita e una zazzera riccioluta del colore del grano maturo erano gli unici particolari fisici che gli erano rimasti impressi. Si sorprese a pensare solo a questi due dettagli come se il resto del corpo non esistesse. In realtà a parte il viso e le mani non l’aveva vista in piedi.

Avrebbe desiderato invitarla a mangiare una pizza. “Con quali soldi?” Le sue finanze gli impedivano di sgarrare dal bilancio giornaliero. Una pasta condita con un poco di sugo accompagnata da una verdura, quella a più buon mercato, era il pasto principale del mezzogiorno, mentre alla sera un frutto e qualche cracker era quello che poteva permettersi. Il resto dei pochi risparmi era destinato all’affitto del monolocale e alle bollette, che puntuali come un treno svizzero, arrivavano tutti i mesi.

Stava raschiando il fondo del barile e, se non arrivava una chiamata, doveva dichiarare default. Percepiva l’inadeguatezza della propria esistenza in questo momento della sua vita, che contrastava con la tiepida giornata primaverile serena e soleggiata.

Non aveva nessuna voglia di alzarsi da dove si trovava. Dove vado? A guardare le vetrine scintillanti di offerte e gadget che non posso permettermi? A desiderare qualcosa che rimarrà semplicemente un sogno?

Marco continuava a osservare quel minuscolo volatile, che saltava da un ramo all’altro, beccando ogni tanto qualcosa. Immaginò che fosse un piccolo insetto.

«È dura la vita, amico? Però almeno tu puoi volare libero e cercarti del cibo. Io dipendo invece dagli altri, dai loro umori, da altre mille limitazioni. Vorrei librarmi senza vincoli nell’aria e osservare il mondo dall’alto, ma non posso».

Distolto lo sguardo dall’uccello, lo posò sulle gazze, che parevano divertirsi, mentre giocavano tra loro in un balletto sfrenato e simpatico. Tutti all’esterno sembravano in apparenza felici, l’unico insoddisfatto era lui. Un pizzico di scoramento lo avvolse, tanto che l’idea di abbandonare Milano e di ritornare a casa, che aveva lasciato quattro anni prima, prese forma. Per lui avrebbe rappresentato una sconfitta cocente, una dichiarazione di resa senza condizioni, dopo essere partito con molte speranze e tanti sogni, contenuti nella sua piccola Samsonite. Si era trasferito nella grande metropoli, convinto di spaccare il mondo, di fare quel salto di qualità che aveva sempre desiderato. Tuttavia aveva dovuto ricredersi ben presto. Aveva combattuto con vigore e determinazione per mantenere il posto e lo stipendio, che gli serviva a pagare lo stretto necessario per vivere. Aveva lavorato duramente, facendo grandi economie su tutto. Quello che non poteva permettersi era ridotto al rango di desiderio.

Un giorno di un anno prima, arrivato davanti al cancello, lo trovò sbarrato: un asettico volantino,con uno strano timbro inchiostrato sintetizzava ‘Società chiusa per fallimento’.

«Come chiude?» Domandò, osservando gli altri compagni di lavoro, ugualmente sgomenti, che si assiepavano attorno a lui.

«È fallita. Non lo sapevi?» Uno alla sua destra enfatizzò con voce alterata dall’ira.

«E adesso?» Chiese terrorizzato al pensiero di non avere più un’occupazione.

«Cercati un altro lavoro» replicò asciutto un operaio dalle mani callose.

«E i miei soldi?»

Marco si guardo attorno terrorizzato.

«I nostri soldi? Forse degli spiccioli tra qualche anno, se ne rimangono» affermò amareggiato un omone con le mani in tasca.

Da quel momento cominciò il suo calvario. Un lavoro di due giorni come garzone di una panetteria, un mese come operaio a scaricare merci, quindici come lavapiatti. L’elenco era lungo e non valeva la pena di rinvangarlo. Ricordava solo il lungo pellegrinaggio da un’agenzia all’altra per mendicare qualche spicciolo di lavoro.

Due mesi prima, passeggiando per via Cordusio nel centro di Milano, aveva letto un cartello, appeso all’interno di una vetrina ‘Objob – Il posto giusto per trovare lavoro’. Scrutò il vetro dove erano appesi i soliti cartellini, ingialliti dal tempo e dal sole.

Spinse l’uscio ed entrò.

«Buongiorno» salutò cortese, piazzandosi dirimpetto alla postazione, dove una bionda riccioluta stazionava davanti a un monitor.

«Ciao, sono Marta. In che cosa posso esserti utile?» Due splendidi occhi blu si alzarono per fissarlo.

A Marco mancò la parola nel vederla. Deglutì in fretta col pomo d’Adamo che si muoveva freneticamente, passò la lingua sulle labbra per umettarle e rispose incerto: «Sto cercando un lavoro…».

Appena pronunciate queste parole, pensò subito che era stata una risposta insulsa ma era stata anche la prima e l’unica che gli era venuta in mente. Era conscio che era lì per trovare un’occupazione precaria e non per ammirare quegli splendidi occhi blu. Questa era una necessità che stava diventando giorno dopo giorno sempre più impellente. Però convenne che Marta avrebbe meritata la visita comunque.

«Sì, ho capito. Che tipo di lavoro? Cosa sai fare?» Dalla bocca della ragazza uscì un suono dolce, mentre sfoderava un meraviglioso sorriso.

«Beh! Ho lavorato quasi tre anni in una fabbrica di minuterie metalliche come…» e si interruppe incantato dagli occhi e dal sorriso prima di completare il discorso. «Ero assegnato alla selezione dei pezzi per le verifiche e i controlli a campione. Un lavoro delicato. Poi l’azienda è fallita e nell’ultimo anno ho svolto molti lavoretti. Garzone, operaio, cameriere…».

«Ho compreso» lo interruppe la ragazza, aggrottando leggermente la fronte.

Marco la trovò deliziosa. Quasi stava dimenticando il motivo per il quale era entrato.

«Non hai trovato niente di meglio?»

I suoi occhi si sgranarono un po’ curiosa e sorpresa.

«No, purtroppo. Tutti, per quella mansione, chiedevano una laurea. Sai, ho solo il diploma di un istituto professionale per l’industria e l’artigianato. Ero bravo, dicevano. Tuttavia sembra che sia servito a poco». Marco aveva lo sguardo amareggiato.

Marta abbassò lo sguardo sul monitor e digitò qualcosa come se cercasse qualcosa.

Lo fisso con gli occhi lucidi come se da un momento all’altro volesse piangere.

«Mi spiace, ma non c’è nulla di adatto al tuo profilo. Se vuoi lasciarmi i tuoi dati, nel caso che…».

Lui la guardò smarrito e disse che avrebbe accettato un qualsiasi lavoro, perché non poteva rimanere senza un’occupazione.

La ragazza gli diede alcuni indirizzi. Una piccola scintilla sembrava scoccata tra loro, almeno questa era stata l’impressione di Marco. Le lasciò i suoi dati e il numero di telefono.

«Se capita qualcosa, ti chiamo» aggiunse prima di salutarsi.

Da quel giorno Marco sognava la telefonata, perché quegli indirizzi erano stati solo fonte di delusioni cocenti. Lavori umilianti, sottopagati. Però era meglio di niente. Si esaurirono in breve e adesso era di nuovo in attesa di una chiamata. I soldi stavano finendo e non c’era nessuna prospettiva a breve termine. Aveva cercato anche in altre agenzie di lavoro interinale ma la risposta era stata sempre la medesima: «Non abbiamo nulla per lei». Aveva provato a inviare qualche curriculum, ma tutto era rimasto muto. La crisi stava mordendo tutti e nessuna azienda si sbilanciava ad assumere, anche temporaneamente, qualcuno.

Da quel fortuito incontro erano passati due mesi senza che la ragazza si facesse viva e la speranza di risentirla era un lontano desiderio. Continuò a guardare gli uccelli che volavano liberi da un ramo all’altro, dal ciliegio alla quercia. Era deluso e amareggiato quando risuonò una musichetta familiare, quella dei Doors. Osservò il display. ‘Numero privato’. Toccò il tasto verde per rispondere.

«Ciao! Sono Marta. Ti ricordi? Quella di Objob…» e fece una pausa.

«Ciao! Certo che mi ricordo di te!» Rispose entusiasta, risollevandosi dal triste mutismo che l’aveva travolto.

«C’è una buona opportunità! Cercano una figura professionale come la tua. Contratto a progetto. Mesi sei più un’opzione per altri sei. Milleduecento euro al mese circa con buone prospettive per il futuro…».

«Oh!» fu l’unica risposta di Marco.

«Ma di questo ne parliamo dopo. Volevo invitarti a mangiare una pizza…».

Lui fu colto dal panico. Fece un rapido calcolo: in cassa rimanevano disponibili solo cento euro. Dunque era impensabile uscire con Marta. Stava per rispondere, quando riudì la voce della ragazza.

«Volevo dirti…». Fece una breve pausa, perché aveva compreso l’imbarazzo. “«a pizza la preparo io. La mangiamo a casa mia, se sei libero».

Marco guardò fuori, mentre l’ansia andava scemando.

«Sì! Vengo volentieri! Ho due coke in frigo. Per festeggiare».

La ragazza riassunse il suo tono professionale.

«Se mi dai l’okay, puoi cominciare domani. È una bellissima opportunità! Devi portarti solo il libretto di lavoro. Stasera ti spiego tutto. Alle otto».

«Dove? Non so dove abiti» replicò prima che lei chiudesse la conversazione.

«È vero! In via della Vittoria, 13. Sai dove si trova?».

«Sì. Alle otto. Ma quale campanello suono?»

«Che sbadata! Mi sembra di conoscerti da una vita e do per scontato che tu sappia tutto! Mercuri. Terzo piano interno cinque. Ciao! Ti lascio. È entrato qualcuno».

A Marco sembrò di udire uno schiocco di labbra prima del segnale di libero, ma forse era solo fantasia.

Pare che oggi compia gli anni

Obiettivo anniversario anno 11

Felice anniversario con WordPress.com!

Ti sei registrato su WordPress.com 11 anni fa.

Grazie per averci scelto. Continua così.

WordPress si è ricordato di me 😀

Appena undici anni. Una vita davanti a me.

Buona serata

Nuovo Pc

Arrivato, configurato, adesso si tratta di limare i dettagli.

Nuovo pc

Piccolo ma potente sta sereno sulla mia scrivania. Non ho scelto il classico notebook per problemi di prestazioni. Ho spendi molto altrimenti hai qualcosa di scadente.

tastiera monitor

Per il monitor ho optato per uno delle dimensioni del laptop. Nitido, adatto anche ai video 4K con audio eccellente.

La tastiera è comoda con i tasti morbidi e ben distanti tra loro. Vediamo se riesco a non commettere errori di digitazione 😀

Soddisfatto con una spesa veramente modica.

A presto

Salve bloggrer

Ci sono. Non sono sparito di nuovo.

Habemus PC!

Sì, finalmente ho il pc nuovo.

Cambio radicale: niente noteboo ma un pc da tavolo con monitor e tastiera.

Il pc ha dimensioni ridotte ma è potente e veloce.

In questi giorni sono impegnato a ripristinare tutto e quindi sono latitante 😀

Ma conto presto di tornare operativo al 100%.

Notte a tutti e a presto

Evviva! Le feste sono finite

Con oggi, forse è meglio dire con domani mattina, tutte le feste sono finite.

Una notte magica San Giovanni

Da stamattina abbiamo rimosso tutto gli addobbi e spogliato l’albero. Per quello il suo turno sarà domani mattina.

Tutto impacchettato per bene e sistemato negli scatoloni contrassegnati Natale 1 e Natale 2. Finiti nel ripostiglio dormiranno fino al prossimo Natale.

Tutti gli anni, da quando nostra figlia si è sistemata altrove, io e mia moglie ci diciamo: «Questo è l’ultimo anno».

Mi ricorda il famoso cartello del negoziante che in caratteri cubitali aveva scritto.

Domani si fa credito

Ovviamente Il domani era sempre il giorno dopo.

Comunque è stata un bella faticata.

2021- un nuovo anno

Foto di Polina Tankilevitch da Pexels

Branko scriveva così nel 2019 nel segno del cancro

Esaminiamo la macchina.

Il paraurti era piegato in due, un faro era infranto,

la calandra del radiatore aveva subito un fiero colpo,

vernice e nichelature erano tutte un graffio.

Nessuno dei pneumatici risultava danneggiato

(Raymond Chandler)

e aveva ragione.

Però nel 2020 scriveva

Lo sa che il Cancro è il più complicato dei segni?

Io mi porto dentro il Sole squillante di luglio,

ma la mia amica più cara è la Luna.

Mi avvolge protettiva e scioglie la malinconia

(Sveva Casati Modigliani)

Come dargli torto? Non si può.

 

2021 è un nuovo anno, nominalmente, ma lo sarà nella realtà?

Io spero di sì ma si sa che la speranza è tenace ed è dura a morire.

Vi propongo uno scritto di uno dei più grandi filosofi dell’Ottocento italiano, Giacomo Leopardi (1798-1837), fa parte di un libro intitolato Operette morali, pubblicato nel 1845. Nel brano dialogano due personaggi, un venditore di calendari (almanacchi) e un passeggere, cioè un occasionale passante.

Giacomo Leopardi - Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere

tratto da libri antichi

 

Venditore.  Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere. Almanacchi per l’anno nuovo?
Venditore. Si signore.
Passeggere. Credete che sarà felice quest’anno nuovo?
Venditore. Oh illustrissimo si, certo.
Passeggere. Come quest’anno passato?
Venditore. Più più assai.
Passeggere. Come quello di là?
Venditore. Più più, illustrissimo.
Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.
Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent’anni, illustrissimo.
Passeggere. A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.
Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo.
Passeggere. Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere. Ecco trenta soldi.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.

 

Buon Anno