Viaggio in Sicilia

Goethe passò di osteria in osteria furibondo per lo smacco subito, cercando di calmarsi con vino e allegre compagnie, ritornando alla locanda sul far dell’alba.
Dormì per tutto il giorno fin verso sera senza mangiare un sonno agitato e tempestoso con incubi e sogni in cui Angelica lo cacciava da qualunque posto si trovava.
Al risveglio, dopo essersi data una sistemata sommaria, andò a mangiare in una osteria poco distante da solo per riflettere sulla situazione.
Era stato scaricato da una donna, che gli piaceva, si trovava bene nello studio di lei, che per lui era come una seconda casa, la scenata della sera precedente rappresentava uno smacco, che aveva ferito il suo orgoglio. Questi erano i pensieri che frullavano nella testa del poeta, mentre mangiava un piatto di fettuccine sorseggiando del generoso vino rosso. Non aveva molta fame, ma lo stomaco brontolva per il lungo digiuno e reclamava un po’ di cibo.
Pensò: “E’ tempo che riprenda il mio viaggio in Italia, andando verso sud, verso quel mondo misterioso vicino all’Africa. Devo parlare con Johann Tischbein per sentire se è disponibile ad accompagnarmi. Preferisco avere un buon compagno di viaggio con cui posso parlare, scambiare le opinioni, annotare quel che vedo. Ho la necessità di non pensare più ad Angelica per un po’ di tempo! Devo riflettere sulla nostra relazione”.
Però il pensiero della donna dominava ancora la sua mente, perché sentiva una forte attrazione difficile da sradicare verso la personalità di Angelica.
Le settimane successive furono impiegate da Goethe per i preparativi del lungo viaggio, forse due o tre mesi, verso Palermo e la Sicilia con una lunga sosta a Napoli per conoscere meglio questa città descritta con tanto entusiasmo dagli amici tedeschi.
Si ritrovava con Tischbein quasi tutti i giorni nell’osteria vicino al Tevere tra le viuzze strette, dove stavano i mercanti d’arte, per discutere di arte, poesia e del viaggio, che aveva intenzione di programmare nelle prossime settimane, tra un piatto pasta e un bicchiere di vino.
Conosceva Johann da molti anni ed era riuscito a fargli ottenere un buon sussidio per consentire la sua permanenza in Italia, dove lavorava a Roma, non rifiutando delle puntate a Napoli.
“Wolfgang, non so se potrò accompagnarti nel viaggio in Sicilia, perché ho paura della traversata via mare. Vedrai che troverò qualcuno che ti farà da compagno nel lungo cammino verso quelle terre calde e misteriose”, così disse una sera Tischbein al poeta.
“Johann, vorrei che tu mi accompagnassi almeno fino a Napoli e mi tenessi compagnia durante la visita alla città, anche perché la conosci bene.” rispose Goethe “Però prima di partire vorrei vedere il carnevale romano e divertirmi tra le vie in festa”.
L’organizzazione lo teneva occupato così fortemente che dimenticò Angelica o almeno non era in cima alle sue preoccupazioni.
Arrivarono i giorni del carnevale romano, che era particolarmente festoso ed era permesso circolare per strada mascherati.
Il carnevale romano apparve agli occhi del poeta una grande festa, che non era concessa propriamente al popolo, ma piuttosto dava se stessa a tutti i popolani. Era una festa che ricordava i saturnali di molti secoli prima a ricordo della mitica “età dell’oro” del dio Saturno. Vide i signori servire i propri schiavi e questi dovevano avere il cuore sulle labbra, quando per una volta volevano dire la verità sui loro signori senza essere presi a bastonate. Tutti giravano in maschera lungo il Corso, la grande e larga via che passava attraverso il centro di Roma. Grandi feste e balli all’aperto animavano le vie intorno al centro e le osterie, dove si consumavano grandi libagioni di vino. Era anche periodo rischioso perché pericolose violenze avvenivano per le strade male illuminate a causa delle persone rissose ed alticce.
Per Goethe fu uno spettacolo che superò la sua immaginazione e i racconti che tanti visitatori  tedeschi avevano fatto al loro ritorno in patria.
La mattina del 22 Febbraio 1787 Goethe accompagnato da Tischbein lasciava Roma lungo la via Appia puntando verso Velletri su una carozza chiusa. La strada era dissestata e non consentiva al Goethe e al suo compagno di prendere appunti o fare schizzi dei paesaggi.
La campagna romana era incerta sotto il sole pallido del mattino, perché risentiva degli influssi dell’inverno morente e della primavera che cominciava ad annunciarsi. Tuttavia presentava un certo fascino che attirava i due viaggiatori.
Goethe disse: “Ora è difficile prendere appunti o fare qualche disegno. Poi con calma metteremo sulla carta le nostre impressioni”.
Goethe ammirava il paesaggio e commentava con l’amico: “La campagna sta timidamente togliendosi i vestiti invernali per indossare quelli della primavera. Tra l’erba che sta spuntando crescono i crochi bianchi come minuscoli puntini colorati. E’ una meraviglia osservare la natura che sta risvegliandosi dopo la lunga parentesi invernale”.
Il 26 febbraio dopo avere attraversato l’agro romano e quello pontino, acquitrinoso e malsano, raggiunse finalmente Napoli, ricordando i racconti del padre che 25 anni prima aveva visitato la città durante il viaggio in Italia.
Goethe passando per la campagna romana convinse Tischbein a fare un quadro, che fu realizzato in poco tempo a Napoli, dove era ritratto con lo sfondo della campagna romana. Ne rimase entusiasta, perché era simile ad un dio della mitologia greca-romana a differenza di quello che stava dipingendo Angelica.
Il poeta, che viaggiava come al solito sotto il falso nome di Phillipe Moeller, ben presto fu riconosciuto dalla folta colonia tedesca, tanto che rapidamente si diffuse la voce che era in città.
Kniep, un discreto paesaggista ad acquarello, non appena sentì che era a Napoli, si precipitò a conoscerlo accompagnato da una conoscenza comune.
“Sono Cristoph Heinrich Kniep e sono molto onorato di poterla incontare e conoscere di persona,” disse l’artista ormai più italiano che tedesco.
Da quel momento era sempre con loro, ovunque andassero facendo da cicerone ed interprete con la gente del luogo.
Un giorno disse: “Mi hanno detto che cercate un compagno di viaggio fino alla Sicilia. Bene ecco di fronte a Voi c’è la persona che cercate. Posso dipingere per voi tutti i posti che visiteremo”.
Così alla di fine Marzo 1787 si imbarcò sul piroscafo per Palermo con Goethe dove sarebbero giunti dopo un viaggio di quattro giorni, da qui cominciò un lungo giro per l’isola prima del ritorno a Roma.
Dopo quella sera tempestosa Angelica per diversi giorni non frequentò lo studio rimanendo chiusa nelle sue stanze piangendo e interrogandosi sul suo futuro.
La ferita inferta da Goethe era troppo profonda da rimarginarsi subito, lasciandola prostrata ed infelice senza alcuno stimolo per superare la crisi profonda in cui era caduta.
Poi facendosi forza per affrontare la delusione patita riprese la strada dello studio e pensava: “Wolfgang è stato davvero meschino nei miei confronti, dimostrandosi privo di tatto ed offensivo, dandomi della donna di strada. Non è stato capace di intuire l’amore che provo per lui. E’ stato egoista e maldestro pensando che tutto il mondo ruota intorno a lui. Devo dimenticarlo e riprendere a lavorare di buona lena per recuperare tutto il tempo perduto.”
Consegnò alla baronessa de Kruederer il quadro prima della partenza per Copenhagen, ricevendone elogi e ringraziamenti.
Poi cominciò altri quadri, mentre la delusione si stemperava con il tempo.

 (parte undecima)

8 risposte a “Viaggio in Sicilia”

  1. per tutto il giorno fin verso sera
    solo per riflettere
    tra un piatto pasta e un bicchiere di vino

    sul far dell’alba
    dove stavano i mercanti d’arte

    nella testa del poeta –
    la grande e larga via
    – volevano dire la verità

    ricordava i saturnali di molti secoli
    avere il cuore sulle labbra
    ________________________
    traversata via mare

    (tratta dal tuo testo…sorry…)
    Lu

  2. Rifletterei sulla differenza delle reazioni che la dice lunga sul diverso modo di rapportarsi all’amore. L’uomo ne fa una questione di orgoglio ferito e si lancia negli eccessi, la donna invece soffre per l’amore perduto e cerca di curarsi creando.
    un abbraccio

  3. fiùùùùù….alla fine il quadro commissionato dalla baronessa l’ha concluso!! Brava Angelica! Mai mettere da parte NULLA per un uomo! Specie se è immaturo ed egoista…

    Mica lo sapevo della tradizione dei padroni-servi…chissà come dovrebbe essere divertente…eh eh eh…

  4. :o) no la provola non è cotta.., ma nel post cito un ragazzo da me soprannominato PROVOLONE ;o)

    Ciaoooo!!!

    Ps.:mamma che mal di testa, lo so che non c’entra niente, ma volevo far partecipe anche te del mio malessere…!!! Sorry!!!

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