Claire e il Big One

Erano le nove di mattino del 15 settembre 2037, quando Claire seduta sulla sedia a dondolo del nonno faceva colazione sotto il pergolato prospiciente l’ingresso.
Il cielo era di un blu intenso, come spesso capitava in questo periodo, senza una nuvola, mentre l’aria era pulita e trasparente senza un filo di umidità, frizzante e tiepida.
Claire udiva l’incessante martellare del picchio acorn, che splendido con la sua uniforme nel folto del querceto lavorava il tronco col becco. Non lo vedeva, nascosto com’era dall’imponente chioma della quercia, ma lo sentiva picchiettare con regolarità il tronco.
Nella radura di fronte a lei due scoiattoli rossi si affannavano a raccogliere le ghiande cadute dai rami per trasportarle nella loro tana nascosta ed impenetrabile ai suoi occhi. Era la quercia dove molti anni prima suo padre aveva sepolto il nonno, che assisteva sereno alla raccolta delle ghiande.
Erano passati trent’anni da quando Claire aveva ereditato i venticinquemila acri di territorio intorno e la fattoria, che ora la ospitava. Aveva ricevuto molte offerte per vendere tutto e sarebbe diventata ricca, molto ricca, ma aveva sempre rifiutato, perché diceva che il danaro non fanno la felicità e li poteva assaporare la felicità.
Si era sposata dopo pochi mesi con John, da cui aveva avuto Andrea, una donna ora, non bellissima, ma dal carattere forte come il suo e quello del nonno, che non aveva mai conosciuto. Claire scelse quel nome in omaggio al nonno Andy, anche se John non era d’accordo, come poi capitava spesso su tanti altri argomenti. Il matrimonio andò a strappi per un paio d’anni, poi lei divorziò, perché mal sopportava quel marito ipocrita e senza afflato. Si risposò altre due volte, poi verso la soglia dei cinquanta decise che era meglio restare sola che circondarsi di uomini che miravano solo ai suoi danari ed a quella enorme estensione che valeva una fortuna.
Portò fin da piccola Andrea nella fattoria del nonno, insegnandole l’amore verso la natura e il rispetto dell’ambiente. La bambina crebbe con la visione di quel territorio selvaggio e libero negli occhi, giurando che come la madre l’avrebbe conservato così come lo vedeva ora.
Claire si rifugiava lì da sola, quando Andrea era dal padre, oppure con la figlia, finché non diventò adulta. Poi decise di trasferirsi definitivamente nella fattoria, quando cessò di lavorare, apportando alcune modifiche alla casa. Fece costruire un ricovero per i cavalli con annesso il piccolo corral, dove sostavano uno stallone bianco, due giumente pezzate e un paio di puledri, ed un piccolo forno a legna, che utilizzava per cuocere il pane, i dolci e le focacce dolci.
Claire amava gli animali ed in particolare i cavalli, che lasciava liberi di correre nei suoi possedimenti. Il genitore dello stallone bianco, che fiero dominava il branco, era stato comprato ad un’asta militare sottraendolo a diventare carne per hamburger. Era un magnifico esemplare pezzato bianco e rosso dal garrese alto e slanciato, che portò subito alla fattoria lasciandolo libero di andare dove voleva. Però lui tutte le sere ritornava nel recinto sempre aperto, dove trascorreva la notte. Acquistò poi un paio di giumente per tenergli compagnia e nacque dopo un anno lo stallone bianco. Era il suo cavallo, che accorreva ogni volta che Claire lo richiamava, lasciandosi cavalcare solo da lei. Andrea invece cavalcava la giumenta dal mantello baio, che una volta era stata una campionessa di trotto. Allo stato brado c’erano i numerosi figli dello stallone roano e delle prime giumente, a cui si aggiungevano quelli che stavano nel corral.
Quella mattina di settembre si era alzata presto a preparare una focaccina con l’uva del vigneto posto alle spalle della fattoria. Erano già maturati i grappoli dorati per il gran caldo e la lunga estate siccitosa ed erano il cibo preferito dei numerosi uccelli che popolavano i boschi intorno alla casa. Faticava a salvare qualche chicco, ma lei era felice nel vedere il gran movimento che facevano nel vigneto.
Dunque la sera prima era riuscita a staccare un bel grappolo dorato e dolcissimo, che aveva impiegato nel preparare la focaccia e poi aveva messo a cuocere nel forno, facendo molta attenzione che non cadesse qualche brace nell’erba secca. Aveva sempre il terrore che il prato prendesse fuoco e con esso anche la fattoria.
Mentre l’impasto si cuoceva e si dorava nel forno, Claire preparò la solita cuccuma di caffè nero e denso, che versò nella tazza. Non amava bere il caffè freddo, ma lo desiderava bollente e scottante da sorseggiare con calma.
Era lì sulla sedia a dondolo del nonno, che ormai era un pezzo di antiquariato come il mobilio povero e spartano che adornava la casa, e osservava il movimento degli scoiattoli, ascoltava il martellare del picchio, intento a costruirsi un nuovo nido, mentre lo stallone bianco restava tranquillo nel recinto, lanciando alcuni nitriti di richiamo per i fratelli che stavano liberi nelle radure più basse.
Claire aveva letto che i sismologhi dell’università di San Francisco prevedevano che il Big One si sarebbe svegliato in questi anni e si era ripromessa che, se doveva morire per mano della terra che tremante avrebbe aperto le sue fauci, il momento sarebbe arrivato lì tra quelle mura e in questo posto, che amava più della sua vita.
Era lì dondolante con la sinistra che stringeva quel che rimaneva della focaccia e nella destra la tazza con un leggero strato di caffè, quando percepì che di lì a poco sarebbe avvenuto l’irreparabile.
L’aria si era fermata, immota e silenziosa, il picchio aveva smesso di lavorare, gli scoiattoli si erano rintanati nel folto del bosco, mentre lo stallone bianco lanciò un lungo nitrito e guardò Claire, implorandola di salire in groppa. Poi lanciato l’ultimo sguardo si avviò seguito dalle giumente e dai puledri verso l’erba alta, sparendo ben presto dalla vista.
Lei rimase lì ad aspettare la visita del Big One, che prepotente saliva dalle viscere profonde della faglia di Sant’Andrea. Tutto cominciò a ruotare, a sussultare, a muoversi sempre più freneticamente.
Poi scese il silenzio, mentre Claire si addormentava per sempre cullata dal dondolo del nonno.

6 risposte a “Claire e il Big One”

  1. Ti leggo per prima.wowww….
    Il reacconto elegantissimo, inizia con una tale serenità da non lasciar prevedere la seconda parte. Così l’ho suddiviso, leggendolo. Nella prima trovo tutti gli ingedienti d’un filmato. La parte descrittiva è strepitosa. Tanto da rendere l’immagine viva, con i colori e i rumori. la seconda, quella in cui spiazzi il lettore è l’avvento di Big One, il fenomeno sismico che travolse San Franciso agli inizi del secolo scorso. E questo luogo “che amava più della sua vita” si trasforma e si deforma. Ora non dico più nulla…altrimenti tolgo il piacere della lettura. In sostanza volevop dirti che è scritto benissimo e che sarebbe bello….viaggiare con te:-)

  2. Grazie per i molti complimenti, perché non pensavo di essere stato così abile come hai detto.
    Certamente sarebbe bello poter viaggiare sulle ali della fantasia insieme a te attraverso il web nel tuo prossimo romanzo.

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