Un viaggio, un incubo – quarta puntata

Ecco la quarta puntata che vede protagonista una donna di quarantanni. Per chi avesse perso le puntate precedenti le trova qui.


Foto di Pamela Marie da Pexels

«Fuck! Crap!» urla Mark inferocito, mentre tenta di sbloccare la cerniera rimasta a mezz’aria incastrata negli slip.

«Daughter of bitch!”» impreca mentre vede Simona infilarsi tra una pila di copertoni e delle portiere, sparendo alla sua vista.

«Floozy, I’ll kick your ass!» sibila mentre incespica nei jeans semi abbassati, tentando di rincorrerla.

La sente muoversi con cautela tra i rottami rugginosi di macchine, ma prima deve allacciarsi i jeans se vuole correre senza il rischio di cadere a ogni passo. Vede sul prato il perizoma che le ha appena strappato e lo raccoglie come un feticcio. «Wannabe forgiveness, slut!» e lo annusa.

Il profumo del indumento intimo carica Mark, che ricomincia la caccia a Simona. Però ha perso tempo prezioso e non la sente più aggirarsi tra le carcasse d’auto contorte. Pensa che si sia nascosta impaurita da qualche parte, mentre si muove in modo scomposto. Sembra un toro furioso dinnanzi al drappo rosso.

Gira per l’immenso cimitero di auto senza trovarne traccia o sentirne l’odore. Infuriato perché la preda è fuggita, raggiunge la Buick nera parcheggiata in un luogo riparato, lontano da occhi indiscreti, e comincia a perlustrare la strada.

Non è una zona molto trafficata, quindi difficilmente può avere trovato un passaggio da un automobilista in transito. Ha perciò la sicurezza che sia nei dintorni.

Ripercorre la carreggiata un paio di volte senza notarla e poi strepita: «Fuck! Crap! Playbacks are hell! You are a fucking cunt! Bastard!». Si ricorda che cento metri dal viottolo c’è la fermata del bus e l’ha visto arrivare mentre stava perlustrando il ciglio erboso alla ricerca di Simona.

Impreca contro se stesso perché la riteneva una donna stupida, incapace di ribellarsi, mentre si rivela più astuta e temibile di quello che pensava. L’ha sottovalutata. Da quel momento dovrà usare più astuzia se la vorrà catturare di nuovo. Scuote il capo e imprecando riprende la strada per New York.

La caccia è appena iniziata e durerà finché non l’avrà trovata. Sa che non rinuncerà con facilità a un bocconcino così prelibato, mentre il membro diventa duro pensando a lei.

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Un viaggio, un incubo – terza puntata

E così siamo a quota tre. Per chi avesse perso le altre due le trova qui.

credits by Pexels.com

Si domanda perché si è infilata in questa avventura che assomiglia più a un maledetto incubo che a qualcosa di stimolante.

“Fare sesso era l’ultimo dei miei pensieri! Ne ho fatto tanto che un po’ di astinenza mi avrebbe consentito di riassaporarlo con maggiore gusto” si dice ridendo per i ricordi lontani nel tempo.

Durante le lunghe conversazioni Mark aveva dimostrato capacità di pensieri profondi e intuizioni strabilianti. Nessuno degli uomini che aveva conosciuto aveva palesato le medesime qualità. “Ho creduto di essere incappata nella persona giusta” riflette con un sorriso amaro. “Ma alla fine si è dimostrato uguale agli altri”.

Ha un déjà vu. Ripensa agli uomini della sua vita che tra meteore e stabili sono stati troppi. Adesso ha quarant’anni e alle spalle un’esistenza sentimentale fallimentare con zero prospettive di miglioramento per il futuro.

Roberto, con il quale ha avuto la relazione più lunga, è stato la persona più importante tra tutti questi. Conosciuto negli ultimi anni del liceo ha avuto con lui una relazione durata tutta l’università per proseguire dopo tra passioni travolgenti e litigate altrettanto furiose. Più per inerzia che altro. Col senno del poi riconosce che non erano adatti: troppo diversi per carattere e aspirazioni. Lei aspirava a una esistenza a due tranquilla ma stimolante. Lui aveva in testa solo un mondo costituito dal sesso, dalla ricerca di stimoli artificiali e nessuna propensione alla vita di coppia. Ha tentato di coinvolgerla in giochi erotici di gruppo, ma le è stata sufficiente una volta sola. L’ha amato con molta passione, sperando di modificarlo ma senza risultati apprezzabili.

“Forse ho sperato di trovare in Mark quello che non c’era in Roberto” pensa con amarezza stringendo le labbra. “Ogni azione ha la sua reazione. Con Mark si è basata sul confronto, nella ricerca di quello che Roberto non è mai riuscito a donarmi. E questo mi ha condizionata”.

Mark si è presentato come una persona gentile ed educata. Le ha dato l’impressione di essere diverso dagli altri uomini conosciuti e frequentati. “Però devo confessare che ho preso una solenne cantonata! Esattamente come tutte quelle che lo hanno preceduto” rimugina tra sé al pensiero del pomeriggio.

Dopo Roberto il diluvio dei sentimenti l’ha travolta vedendo passare nel suo letto troppi uomini, senza che nessuno di questi le abbia saputo donare un briciolo di amore. Ricorda Enrico, con cui ha tentato di convivere con esiti a dir poco disastrosi.

“Con Enrico non riesco a capacitarmi come abbia potuto commettere un errore così grossolano, forse anche peggiore della sopravvalutazione di Mark!” si dice con un sorriso storto. “Mi aveva preso per la badante della madre, quasi ottantenne e con evidenti deficit cognitivi. Dovevo lavare e stirare tutta la sua roba, quella della madre e ci mancava poco anche della sorella! Tempo quindici giorni e sono schizzata via tornando a casa mia. È stato comico, per non dire patetico, quando ha tentato di convincermi che stavo commettendo un errore! Si, l’errore lo stavo commettendo, ma non come diceva lui. Tra tutti quelli dopo Roberto, questo è stato il flop più clamoroso. E non so ancora cosa mi aveva attratto”.

In questa carrellata di ricordi di amori sfortunati e improbabili non poteva mancare la parentesi con Anna, la collega di lavoro lesbica. Per mesi Anna ha tentato di avere una relazione con lei, finché dopo la delusione con Enrico ha deciso di accettarne il corteggiamento. È stata un’altra esperienza infelice sotto tutti i punti di vista, mentre conviene che tra l’amore saffico e quello etero la bilancia pende con decisione verso il secondo. Forse Anna non ha saputo toccare le giuste corde delle sensazioni ma è più probabile che lei non provasse nulla in quella relazione.

«Per fortuna» esclama ridendo a quel ricordo. «Siamo rimaste tutte e due senza lavoro, perché la società ha chiuso i battenti. Così senza traumi si è concluso quel legame che stava diventando ingombrante».

Si aggira inquieta nella stanza sotto il diluvio dei ricordi e si chiede cosa non funzioni dentro di lei. “Attiro uomini a profusione, ma il loro unico obiettivo è fare sesso, a parte Enrico, che voleva una colf”. Scoppia in una sonora risata ripensando a Enrico, visto che l’ha scopata tre volte per sbaglio, perché glielo ha chiesto lei.

Questi pensieri le fanno capire che l’avventura con Mark è stata dettata dal desiderio di uscire dal grigiore della sua esistenza e sentirsi viva a quarant’anni.

Mentre si stava avviando a superare la soglia dell’età, che per molte donne rappresenta l’apice della loro vita, ha scoperto blog, chat e tanti amici virtuali con cui scambiare opinioni e commenti. La scrittura tra il personale e l’attualità riesce a fornirle un momento di serena tranquillità, facendole dimenticare le delusioni amorose.

Un anno e mezzo fa c’è stato l’incontro fortuito su Twitter con Mark, poi l’uso di Messenger per parlare on line. All’inizio era contenta perché poteva perfezionare il suo inglese, poi è diventata una droga, perché aspettava con ansia la sera per aprire il dialogo con lui. “Le telefonate su Skype, che mi hanno permesso di sentire la sua voce calda e sensuale” ricorda con un pizzico di nostalgia perché fino all’altro ieri hanno affollato la sua mente.

Il loro rapporto virtuale è diventato saldo e vincolante, trasformandosi un po’ per volta nel confidenziale che le ha permesso di raccontare i suoi problemi, desideri, ansie e gioie. E lui suadente come una sirena le ha offerto su un piatto d’argento le soluzioni, come districarsi tra i meandri oscuri del lavoro, delle relazioni interpersonali, dei problemi irrisolti del cuore. Come un ragno tesse con pazienza la tela per catturare la preda, così Mark malizioso ha posto domande sempre più intime e imbarazzanti per chiunque ma non per lei, che ha risposto senza problemi nei minimi dettagli.

«Sono diventata un libro aperto, mentre ho messo a nudo la mia personalità complicata e talvolta immatura» afferma con un pizzico di rammarico. «Lui ha capito tutto benissimo, sapendo con precisione cronometrica ogni mia mossa e pensiero, trovando l’argomento giusto per convincermi. Come stamattina, quando non ho reagito alle sue avance lasciandomi soggiogare dal suo fascino perverso, come capitava con Roberto! Due persone tanto diverse, quanto uguali per il potere che hanno esercitato su di me».

Ricorda con esattezza come Mark ha preparato la trappola per attirarla a New York. Prima ha detto che sarebbe venuto a Roma per conoscere me e la mia famiglia, ma poi con varie scuse e impedimenti ha rimandato il viaggio di settimana in settimana, finché non lo ha annullato. A quel punto le ha chiesto di raggiungerlo nella Grande Mela.

“Ho trovato l’idea seducente” ricorda senza imbarazzo. “Un viaggio nella grande America da sola, contando sull’appoggio di uno che la conosce. Il dollaro debole che rende la vacanza a low-cost come propulsore economico. La possibilità d’incontrare questo grande amico e confidente, che ho apprezzato per i consigli disinteressati ma vincenti. Così ho deciso di partire nonostante l’opposizione di mia madre che non ha visto di buon occhio la mia vacanza americana. Devo dire che ha avuto un fiuto e un intuito eccezionale, ma io ho voluto fare di testa mia, sbagliando clamorosamente”.

Ricorda ancora le sue parole per convincermi: «Se vieni a fine giugno, troverai il clima ideale. Io avrò molto tempo da dedicarti».

Così organizzato il viaggio in tutti i dettagli, è partita fiduciosa verso la grande America.

Il resto è storia recente.

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Nuovo post su Caffè Letterario e un sorpresa

Su Caffè letterario ho pubblicato un nuovo post. Da una splendida fotografia di Fabiana ho tratto lo spunto per un mini racconto.

Però mi piace parlare di una cara amica, Isabella Scotti, più conosciuta come Tachimio, e dello splendido omaggio che mi ha fatto.

Qualche giorno fa il postino ha suonato, una volta sola 😀 , per consegnarmi un pacchetto che mi ha incuriosito subito.

Dentro c’era un libriccino, solo ino per le dimensioni ma one per il contenuto.

All’imbrunire bisbigli d’amore” è una raccolta di ben 22 poesie, una più bella dell’altra. Si parla di amore, di sentimenti e di passioni col tono garbato di chi si muove in silenzio ma un silenzio rumoroso per i battiti del cuore.

Sono un bel numero e sono tutte belle. Sceglierne una o due è come fare torto alle altre. Tutte generano sensazioni ma due in particolare hanno prodotto emozioni forti e intense.

Soprattutto di sera” ha un’atmosfera magica come solo la sera è in grado di suscitare. Parole che mescolano passione e amore fondendoli in un unico crogiolo di sentimenti.

Riporto senza commenti “Chiudo gli occhi”, perché anche voi che leggete chiudendo gli occhi rivivrete l’amore che Isabella a profuso nelle sue parole.

Chiudo gli occhi

Vorrei vestirmi

del tuo amore, ora che

nuda

sul letto

giaccio.

Vorrei fosse

il tuo corpo

a coprirmi

tutta.

Solo così

non sentirei

più freddo,

né più tremerei.

Il tuo

infuocato amore

vorrei,

il tuo calore,

che mi scalderebbe

anche l’anima,

lo so.

E allora

guarda,

ora chiudo gli occhi

e in silenzio

aspetto…

Vorrei,

oh come

vorrei…

Le poesie o si amano o si odiano senza via di mezzo. O parlano al cuore oppure solo al vento.

Ebbene Isabella parla al cuore e le sue poesie si amano.

Un vero peccato che questo libro di poesie sia quasi introvabile e quindi più prezioso da conservare.

copertina All’imbrunire bisbigli d’amore – foto personale

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Un viaggio, un incubo – seconda puntata

Eccoci con la seconda puntata di questo racconto lungo.

Foto di Wellington Cunha da Pexels

Finita la doccia, controlla i danni fisici subiti, che ripuliti non sono così preoccupanti come le è sembrato a prima vista, e tira un sospiro di sollievo.

In un paio di giorni non si sarebbe notato più nulla: qualche livido fra le cosce, diversi graffi superficiali alle spalle e sulle mani, un taglietto sotto il seno sinistro e basta. Però non li avrebbe notati nessuno, perché sono parti normalmente coperte.

Si rilassa sul letto nuda coi capelli ancora umidi. “Li asciugherò più tardi, se ne ho voglia. Ora desidero stemperare la tensione della lunga corsa”.

Non ha fornito a Mark l’indirizzo di New York e sorride a questo pensiero, perché sarebbe in preda al timore di vederselo sbucare dalla porta d’ingresso.

Dopo l’arrivo ha trascorso i primi due giorni a sistemarsi per riprendersi dalle differenze di fuso orario, il cosiddetto jet lag. Le sei ore di differenza dall’Italia si sono fatte sentire nel sonno come nei pasti. Per ventiquattro ore ha avvertito uno scompenso nell’orologio circadiano. Sonno e veglia sono stati sfasati come la voglia di cibo.

“Una sensazione strana” si è detta all’arrivo al JFK di New York. “Percepisco sonno e fame, ma sono appena le quattro del pomeriggio e ho davanti molte ore prima di mangiare e dormire”.

Alla fine del secondo giorno ha contattato telefonicamente Mark, che con insistenza voleva conoscere dov’era alloggiata, ma ha finto di non capire la domanda. Si sono dati appuntamento al Central Park per la mattina seguente per fare la prima conoscenza visiva dopo tanto chiacchierare in inglese via chat.

L’incontro non è stato dei migliori, anzi piuttosto deludente. Simona ha immaginato Mark più alto e giovane. Le è sembrato un uomo non più nel fiore degli anni con la tendenza alla pinguedine. Si è domandata il motivo per cui lo vedeva alto, snello, vigoroso e gentile, mentre adesso era tutt’altro. Basso di statura con pochi capelli che mostrano molte ciocche grigie ribelli e dalla pelle avvizzita.

La conversazione ha languito, perché lui ha mostrato più interesse alle sue forme che a parlare.

Sdraiata sul letto si alza per vedersi riflessa sullo specchio di fronte. Il suo aspetto non risente dell’età. Ha forme desiderabili nonostante i quarant’anni e le tante battaglie con gli uomini. Poco grasso, solo un leggero accenno sui fianchi, zero cellulite, il seno sodo e ben sostenuto, la pelle vellutata senza grinze. Il ventre invece non è mai stato piatto, ma piuttosto rotondo. Però questo ha smesso di essere un cruccio da molti anni e lo ha accettato come è. Le zampe di gallina ci sono, pensa osservandosi allo specchio, ma non si notano più di tanto, È sufficiente un po’ di cosmesi per renderle invisibili.

È soddisfatta del proprio corpo e avverte di essere in armonia con lui, mentre con le mani lo ripercorre dal seno al pube e lo paragona con quello di Irene, che ha visto tante volte nudo. Questo mostra i primi attacchi del tempo con le forme che si sono arrotondate e appesantite. Quando erano all’università, Simona faticava ad attirare gli sguardi dei ragazzi, mentre l’amica non aveva altro che l’imbarazzo della scelta. Però adesso, con un sorriso di soddisfazione sul viso, le parti sono invertite. Lei non fatica a trovarsi un uomo, per contro Irene suscita tiepidi entusiasmi. Solo offrendo sesso riesce a racimolare un accompagnatore.

Appagata ripiomba sul letto, mentre riaffiorano le sensazioni sgradevoli della mattinata con Mark.

«Non ha fatto altro che toccarmi un po’ ovunque con mio grande imbarazzo» esclama schifata. «Non mi sarei aspettata questa aggressività sessuale che non ho gradito».

Non era la prima volta che un uomo la palpeggiava, ricorda storcendo la bocca.

«In quarant’anni sono passata nel letto di molti, ma lui mi ha procurato fastidio. Non mi ha stimolata, anzi tutt’altro» afferma corrugando la fronte.

Da più di un anno si frequentano via chat. Nutriva una grande curiosità per questo incontro ma l’impatto è stato deludente. Quello che la impensierisce è stato la mancata attivazione del campanello d’allarme per il suo comportamento.

«Mi sono lasciata convincere di andare fiduciosa all’appuntamento pomeridiano» borbotta osservandosi allo specchio. «Sono stata un’ingenua accettare la sua proposta. C’erano tutti gli ingredienti per valutare la situazione e rispondere con un secco ‘No, thank you’. Eppure non l’ho pensato e mi sono cacciata in un ginepraio che avrebbe potuto finire molto male».

Nelle sue intenzioni il viaggio non doveva essere un tour sessuale, ma desiderava incontrare una persona, conosciuta virtualmente, per stringere un’amicizia reale. In questo momento comprende che questo aspetto rimarrà inevaso, dopo l’esperienza del pomeriggio.

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Un viaggio, un incubo – prima puntata

Comincia con questa puntata un nuovo viaggio. Buona lettura

Foto di Juliana Stein da Pexels

Ha cominciato camminando con cautela, poi ha accelerato, passi sempre più lunghi, rapidi e contratti. Uno di seguito all’altro.

Una maratona e poi di colpo, lo scatto: i fianchi che spingono verso l’alto, i muscoli delle gambe che si rattrappiscono e si slanciano in avanti. Le suole delle scarpe di tela battono l’asfalto rugoso. I gomiti sollevati oscillano avanti e indietro.

Non ha mai corso così. Non ricorda di averlo mai fatto. Non ricorda niente.

Ogni tanto, l’ululato di un clacson da un’automobile in corsa la sferza e la fa barcollare. Un urlo prolungato che si smorza e muore in avanti, in quel punto imprecisato dell’orizzonte verso il quale Simona corre.

Non solleva mai lo sguardo da terra. Vede la punta delle scarpe di tela bianca apparire e scomparire davanti a sé.

Simona continua a correre finché il fiato la sorregge, perché sa che deve allontanarsi il più possibile da quel luogo, dove è rimasta paralizzata dalla paura.

Cosa c’era in quel posto da incutere angoscia? Non lo sa nemmeno lei, è consapevole che là sta il male o meglio un uomo che lo personifica.

Perché si è recata da sola e a piedi nel deposito di uno sfasciacarrozze, avendo ben chiaro che quell’uomo avrebbe tentato di aggredirla e stuprarla?

«Sei stata una sciocca ragazza, mia cara Simona» farfuglia col fiatone per la lunga corsa disperata. «Lo sapevi che Mark voleva una cosa sola: il tuo sesso. E lo voleva con le buone o le cattive, lo voleva e basta! Cosa ti è venuta in mente di andare in quel deposito? Non avevi capito che il luogo era solitario e disabitato? Pensa alle indicazioni che ti ha dato questa mattina a Central Park? Ti ha detto: ‘Vai alla stazione delle corriere Amtrack e prendi l’autobus per New Haven. Quando sei a New Rochelle scendi alla terza fermata dopo il paese. Fai cento passi oltre la fermata, sulla tua sinistra c’è un piccolo viottolo che porta a un fabbricato. Io sarò lì ad aspettarti. Ricordi bene le istruzioni?’ Cosa pensavi che ci fosse lì? Il paradiso terrestre? O l’inferno? Ricorda che ti aveva detto come vestirti: una camicetta bianca leggera, una gonna corta e sotto solo un perizoma in miniatura. Con un abbigliamento del genere dove credevi di andare? A una festa danzante per debuttanti? Sei stata una grossa ingenua non pensare che lui ti voleva fottere! E poi pensavi di cavartela con una scopata? Magari fosse stata solo quella! No, non ci siamo per nulla! Chissà quali altri progetti aveva in mente! Eppure non sei una bambina, ma sei una donna matura.»

Simona ricorda con terrore la faccia contratta di Mark che l’afferra per le spalle per sbatterla sull’erba sudicia di olio e benzina pronto a sollevare la gonna e strappare il perizoma di dimensioni ridottissime. L’aveva comprato, dopo essersi lasciati a Central Park, nella 3th Avenue da Bloomingdale’s nel reparto di lingerie per indossarlo nel pomeriggio, proprio per lui.

C’era quasi riuscito, ma ha perso tempo con la cerniera dei jeans inceppata e lei si era rialzata di scatto ed era corsa via dietro una pila di carcasse di gomme.

Questa è stata la sua salvezza. Mark ha imprecato nello slang del Bronx mentre la cercava dove si era nascosta. Lo ho sentito vicino, mentre si spostava, cercando l’uscita in quel labirinto di carcasse arrugginite e corrose dalla pioggia, di portiere e gomme accatastate in pile instabili pronte a crollare a ogni refolo di vento. Il cuore batteva impazzito per il terrore di finire nelle mani dell’uomo, deciso a farla sua a tutti costi.

Quando è stata in prossimità dell’uscita, che vedeva come il miraggio della fata Morgana, aveva capito che Mark era lontano. Si è corsa sulla strada, dove non è al sicuro, ma forse può contare sugli automobilisti di passaggio.

Dopo la lunga corsa col cuore in gola e con la paura unita come ombra dietro di lei, è alla fine arrivata alla fermata dell’autobus, dove è discesa allegra e fiduciosa un’ora prima.

Scruta sotto il sole cocente di luglio la strada, pregando che la corriera gialla si stagli all’orizzonte e si materializzi presto.

Sente la camicetta aderire al seno, zuppa di sudore, che scivola lento verso la gonna e ancora più giù lungo le cosce, mentre i capezzoli scuri e duri si stagliano netti sulla stoffa bianca. Il sudore lascia una scia di odore animalesco, quasi mascolino per la paura e la lunga corsa. Però non gliene importa nulla, prega che l’autobus arrivi in fretta. Si sente sporca dopo essere stata sbattuta sul lurido prato dello sfasciacarrozze, anche se non riesce a vedere la schiena e i capelli. Viste le condizioni della gonna, anche la camicia non sarà messa meglio: imbrattata di grasso nero e strappata in più punti.

Si torce le mani in preda all’ansia perché la corriera tarda a venire, mentre le macchine sfrecciano davanti a lei. Finalmente la sagoma amica del bus si profila in lontananza sul lungo rettifilo nero che solleva ondate di vapore.

«Avanti!» sussurra ansiosa Simona. «Muoviti! Sei la mia salvezza! Dio, ti prego, fa correre quella lumaca!».

Vede il grosso lampeggiante giallo in azione, perché l’ha vista e si appresta ad accostare.

La porta anteriore si spalanca, come la grande bocca di una balena per accoglierla al sicuro dentro il grande ventre. Scorge in lontananza la macchina di Mark, che con lentezza sta scrutando i bordi della strada alla ricerca della preda sfuggita.

Infilata la moneta nella feritoia, si rannicchia sul sedile centrale per nascondersi alla vista del cacciatore, perché non è ancora in salvo. Spera che a Mark non venga in mente di salire sull’autobus a una delle prossime fermate. Deve trovare un sistema per mettere più strada possibile tra loro. Gli occhi cadono sulla mappa dei trasporti urbani, che evidenziano che alla prossima fermata potrebbe scendere per prendere la metropolitana fino all’appartamento nelle vicinanze di Times Square a Manhattan.

I pochi passeggeri non sembrano curarsi di lei, ma cercano refrigerio dai finestrini aperti.

“Meglio così” pensa Simona. “Un problema in meno”.

Sbircia dietro e davanti sperando di non scorgere la Buick nera di Mark, prima di allungare lo sguardo alla fermata che si avvicina. Tira un respiro di sollievo, forse riesce a farcela a tornare nel Residence Inn Patriot, dove alloggia da quando è arrivata a New York, senza essere intercettata da Mark.

Quaranta minuti dopo è al sicuro nella sua stanza al quinto piano, che guarda il Bryant Park. Si guarda allo specchio: è in condizioni terribili. Toglie la camicetta, strappata in alcuni punti e nera di grasso, di fango e di altri sudiciumi, e la getta nel cestino, insieme alla gonna inservibile.

Rimane nuda, perché il minuscolo perizoma è rimasto sul prato dello sfasciacarrozze come un trofeo perduto. Controlla tutte le abrasioni del corpo prima di mettersi sotto la doccia bollente a togliersi odori e sozzure raccattati durante il tentativo di Mark di violentarla.

Era il 30 giugno 2009, quando Simona è giunta a New York con un volo Air France via Parigi tre sere prima per incontrare Mark, con cui aveva chattato per oltre un anno. I genitori non volevano che volasse in America a fare conoscenza con uno sconosciuto incontrato sul web. Lei ha quarant’anni e vive da single da una vita e non ha voluto ascoltare i loro consigli.

Si è presa due settimane di ferie per andare nella Grande Mela. Il viaggio e il soggiorno sono costati relativamente poco a causa del cambio favorevole e per di più si faceva una bella vacanza in una città per lei mitica che le è sempre sembrata irraggiungibile.

Adesso le pare di essere piombata in un incubo.

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esempio del nuovo sito

Ecco come potrebbe presentarsi il nuovo sito

homepage – esempio

cliccando sulle linguette si aprono nuove pagine o si può essere reindirizzati a qualcosa, esempio vecchio iQuindici. Può essere creata una linguetta per l’area riservata. Insomma dipende da quello che vogliamo inserire.

Io ho usato editor di sito del mio dominio, che permette di creare anche una versione navigabile, questa qui sotto

homepage mobile

 

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Spam? Marketing? Autopromozione?

All'alba il cielo si tinge di rosa - Foto personale
All’alba il cielo si tinge di rosa – Foto personale

Spam? Marketing? Autopromozione? Chiamatela come volete tanto non cambia la sostanza. Parlerò di me e delle mie pubblicazioni. Immagino che tutti dicano “Uffa! Non se ne può più! Tutti a elogiare se stessi”. E smettono di leggere. E fate bene a cambiare blog. Sono proprio noioso in determinate circostanze.

Per quei curiosi, che hanno retto il primo paragrafo, ce la metto tutta per farli desistere a continuare.

Dunque. Primo assioma. Non sono uno scrittore. No, non lo sono. Scrivo ma non sono scrittore. Mi piace scrivere ma passare per scrittore ce ne vuole. E non poco. Dunque nessun titolo che non merito.

Come? Vedo qualcuno agitarsi sulla sedia. Scrivi e non sei uno scrittore? Certo. Nessun editore mi vuole e ci credo che sia così. Però nemmeno io cerco un editore. Uno a uno e palla al centro.

Piccola bugia. Perché? In effetti un solo tentativo l’ho fatto ma è finito male. Da qui la decisione di essere editore di me stesso. Decido cosa pubblicare, come pubblicare e quando. Non vendo? Vuol dire che non merito di essere letto. Che fanfaronata hai scritto! Mi rode l’anima che nessuno mi legga ma fingo di indifferenza. Vuol dire che i non lettori hanno perso l’opportunità di leggere qualcosa di mio. Qualcosa di valido.

Leggo sui giornali che la ministra Sereni, quella chiacchierata, vuol far leggere quotidiani e libri a scuola, così i ragazzi imparano l’italiano. Mai sentita una corbelleria più grossa. Articoli scritti come parliamo, libri pieni di refusi. Ergo se non conosciamo l’italiano dopo la cura andrà peggio. Un rimedio ci sarebbe. Leggete i miei libri. Almeno sono scritti in un passabile italiano.

Adesso basta con le sbruffonate e facciamo i seri. Sento qualcuno ridere. A ragione. Si può essere seri con gli argomenti che sto affrontando? No. Quindi procediamo senza altri proclami.

Dunque l’editoria in proprio, traduzione italiana del selfpublishing, è stata una scelta voluta ma non obbligata.

Quando a ottobre del 2015 ho deciso per il selfpublishing, dovevo scegliere piattaforme e cosa pubblicare. Finalmente un qualcosa di serio. Scelta delle piattaforme da usare.

Esaminate quelle italiane, che forse mi avrebbero dato più visibilità, non ero molto convinto che fossero quelle giuste. Se devo auto pubblicare, lo voglio fare a costo zero, al netto di eseguire a pagamento qualche editing per sistemare i testi. Zero per copertine, zero per ISBN, zero per la creazione. Ma in Italia questi tre zeri insieme non c’erano. Chi chiede qualcosa per la copertina, chi deve comprare una copia per avere ISBN, chi chiede qualcosa per la creazione. Insomma ognuno cerca un contributo minimale – e non ho nulla da obiettare su questo. Anche questi devono pur vivere ma non a spese mie – per gestire la tua auto pubblicazione. Quindi sono volato oltre oceano e ho scelto due piattaforme. Amazon per ebook formato Kindle -KDP – e il cartaceo – createspace – Smashwords per gli ebook formato epub. Dopo un anno e mezzo di esperienza ritengo soddisfatto dei risultati. I diritti sul poco che ho venduto saldati puntualmente con report trasparenti e tanto di segnalazione via mail. Non so come funzionano quelli nostrani ma nonostante le rimesse arrivino dal paese stelle e strisce e per pochi centesimi di euro li vedo nel mio conto bancario. Bella soddisfazione.

Finora ho pubblicato in proprio quattro volumi, di cui uno con una coautrice, sia cartaceo che ebook. Previsioni per il futuro? Forse altri due o tre per il 2017. Due sarebbero quasi pronti. Il terzo ci dovrei lavorare un po’. Vediamo cosa farò, tempo permettendo.

L’ultimo nato è una raccolta di racconti a quattro mani.

copertina dell'ultimo libro Racconti di Vita
copertina dell’ultimo libro
Racconti di Vita

Diamine un convertito al racconto? No. Era tempo che meditavo di raccogliere in un unico volume una serie di scritti, pubblicati nel web. Sono diciassette in tutto. Vedo qualcuno storcere il naso, perché è un numero di solito scarognato. Ma un diciottesimo non c’era. Quindi di necessità si farà virtù. Ogni racconto ha un protagonista. Cinque al femminile e non sono stati scritti da me ma da Veronica Sgrulloni. Il resto al maschile e sono opera mia. La particolarità del volume è la presenza di disegni che precedono ogni racconto. L’autore è Veronica Sgrulloni, sempre lei!

Questo ha fatto lievitare il costo del cartaceo a 21,81 euro disponibile su Amazon Italia. Tuttavia credo che sia possibile ordinarlo anche in libreria. La versione ebook per Kindle costa molto meno. Solo 3,31 euro, che potete trovare sempre su Amazon Italia. Se siete abbonati a Kindle unlimited il costo è zero. Per chi vuole il formato epub deve andare su Smashwords oppure su Kobo, lo store di Mondadori. Il costo è sempre modesto: 1,99 euro.

Lo scorso anno ho prodotto due volumi. I tre cunicoli, un romanzo storico, e Un paese rinasce, una storia visionaria di un gruppo di ragazzi.

I tre cunicoli - carteaceo
I tre cunicoli

Qui i costi del cartaceo sono più contenuti. Nessun disegno o altro. Solo parole, parole.

I tre cunicoli costa 11,55 euro.

copertina_un_paese_rinasce_v2

Un paese rinasce 10,21 euro.

Gli ebook Kindle per I tre cunicoli è 3,88 euro. Per Un paese rinasce 2,99 euro.

Su Smashwords, Kobo in formato epub è di 1,99 euro

Infine quello che ha fatto da apripista, il primo nato. Le linee parallele si incrociano. Quello che ha ottenuto le attenzioni maggiori.

Il cartaceo costa 8,30 euro. Il formato Kindle ebook 1,99 euro – sempre zero per gli abbonati Kindle unlimited -.

Per chi desidera il formato epub lo trovate su Smashwords e Kobo a 1,99 euro.

E così la promozione è finita.

Pensavate che fosse finita? Invece no. 😀 Vi metto il mio link sulla pagina dell’autore e su quella di Smashwords.

Ringrazio chi è riuscito ad arrivare fino in fondo. Non era semplice.

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Daniele – parte 5

foto personale
foto personale

Dunque Natalia è sparita all’improvviso” si disse Daniele, che si muoveva per la stanza in modo irrequieto.

Il suo sguardo vagava sulla libreria, soffermandosi su quello che stava sulle mensole. Sorrise, pensando che era davvero disordinata. Libri sistemati casualmente. Alcuni in piedi, altri appoggiati a mostrare il dorso. Polvere che brillava in controluce. Poi i suoi occhi tornarono su Natalina, che era sul divano con le mani appoggiate sulle cosce. Pareva serena, per nulla preoccupata.

«Non capisco» sussurrò Daniele, che si era fermato innanzi a lei. «Non capisco proprio nulla di questa storia. Forse se cominciamo dall’inizio, avrò le idee più chiare».

Natalina si strinse nelle spalle, come se tutto questo non la riguardasse. «Vieni» sospirò la ragazza, allungando un braccio per afferrare la mano di Daniele. «Siediti. Qui accanto a me».

Lui si accomodò sul divano accanto a Natalina. La guardò fisso negli occhi e aspettò che cominciasse a parlare. Doveva spiegare molte cose. Il mistero di Natalia, la presenza dei due sudamericani, i collegamenti con la signora bionda e la ragazzina al seguito. A dipanare tutte le questioni avrebbero fatto notte con l’intermezzo del pranzo. Questo a dir poco.

«Una storia lunga. Vecchia di molti anni» iniziò la ragazza, tenendo le sue mani tra le sue. «Risale al tempo in cui Sara partì per Venezia. Una partenza senza arrivederci ma con molti rimpianti…».

«Ricordo bene quel giorno» interruppe Daniele la narrazione di Natalina. Un groppo alla gola lo colse, impedendogli di proseguire.

«Natalia la seguì» precisò la ragazza, come se il discorso non fosse stato interrotto dalla sua esternazione. «Erano amiche intime. Dove andava l’una, c’era anche l’altra. Io le seguivo come un cucciolo fedele. Però quella volta io rimasi a Roma. Avrei voluto seguirle ma ero troppo giovane per farlo. Sentivo mia sorella tutti i giorni. Lunghe telefonate e tanta nostalgia. Mi raccontava le sue giornate e quelle di Sara».

«Allora saprai di Lisa» balzò in piedi Daniele.

Natalina lo guardò con occhio stranito, come se qualcuno avesse bestemmiato in chiesa. «Lisa?» domandò, allargando i suoi occhioni nocciola. «Chi sarebbe Lisa?»

Daniele si sedette di nuovo accanto a lei. Ancora una volta non riusciva a ottenere notizie sulla fantomatica figlia. “Che sia solo il frutto di una mia fantasia morbosa?” si chiese, ben sapendo che non avrebbe trovato risposta.

«Nulla» replicò Daniele con occhio deluso. «Una mia fantasia. Un sogno ricorrente. Un desiderio inespresso».

«Natalia si confidò con me» riprese la narrazione Natalina. «Si era innamorata di un uomo. Molto più vecchio di lei. Una persona ricca. Viveva in una villa cinquecentesca sulla riviera del Brenta».

Daniele si irrigidì. Qualcosa non tornava. Corrugò la fronte. Sara era rimasta via circa tredici anni. Natalia molto meno. Con precisione non lo ricordava. Sapeva solo che non aveva seguito Sara in Germania. “Che relazione c’è tra quello che sta raccontando Natali’ e la sparizione di Natalia?” si domandò Daniele. Un altro pensiero si affacciò nella sua mente. Felice Maniero, faccia d’angelo. Il mitico criminale della mala del Brenta. Daniele lo scacciò quasi subito. Non poteva immaginare Natalia tra le braccia di questa persona.”No, non può essere!” si disse, scuotendo il capo.

«Insomma una concubina di lusso» sbottò Daniele, che non era riuscito a reprimere le parole e a frenare la lingua. Si pentì subito della sua affermazione ma ormai l’aveva detto.

Natalina lo guardò col viso accigliato e lo sguardo torvo. Stava dando della mantenuta a sua sorella. Se non di peggio.

«Che dici!» sibilò Natalina con gli occhi ridotti a fessura. «Era vero amore! E non mercenario!»

Daniele fece una faccia contrita, da autentico attore drammatico. Lui di solito misurato nelle parole, questa volta aveva smesso il suo aplomb, lasciandosi sfuggire una frase oltraggiosa. Stava per scusarsi, se le scuse avessero una valenza per calmare le acque, diventate tempestose, quando il trillo del campanello annunciò l’arrivo del pranzo.

Daniele si alzò per aprire il ragazzo e pagarlo. Avvertì che l’aria era diventata calda e il clima era mutato.

Di malumore Natalina seguì il padrone di casa in cucina, dove avevano apparecchiato il tavolo. Niente tovaglia ma un set all’americana in tinta. Piatti di porcellana bianca che spiccavano sul blu della tovaglietta. Daniele stappò il vino che versò nei calici colorati. Avrebbe voluto fare un brindisi per il ritorno di Natalina ma ritenne opportuno soprassedere. C’era poco da brindare dopo la sua uscita infelice su Natalia.

Le vivande erano quasi fredde. Daniele le infilò nel forno a colonna per riscaldarle. La pasta fredda non gli era mai piaciuta. Si appoggiò con un gomito sul piano di lavoro. Doveva trovare il modo per ricucire lo strappo.

Natalina scura in volto era seduta al tavolo. “Si vede che manca la presenza femminile” si disse per calmare il nervosismo, causato dalla battuta infelice di Daniele. Avrebbe voluto alzarsi e andarsene. Però le serviva il suo aiuto, se voleva rintracciare la sorella. Solo Daniele sarebbe stato in grado di farlo. Non comprendeva in base a quale elemento lo riteneva capace ma intuiva che era così.

Prese il calice e lo agitò con dolcezza, come fanno i sommelier per degustarlo. Lo depose con delicatezza davanti a lei. La mano tremava ancora per l’ira repressa. Daniele aveva il viso addolorato. Almeno era quello che lei gli leggeva sul volto. Le labbra stirate e chiuse. Gli occhi con un velo di autentico rammarico. Avrebbe voluto alzarsi per abbracciarlo e dirgli “La tua è stata una battuta pesante ma non è il tuo pensiero” ma si trattenne. Non era ancora il momento. Si concentrò sulla stanza che necessitava di essere sistemata. Niente di particolare. Quel tegame che spuntava dallo scolapiatti andava lavato e sistemato nel mobile. La caffettiera aveva bisogno di essere pulita a fondo. I residui di tanti caffè l’avevano resa quasi nera.

«È pronto il pranzo» annunciò Daniele con voce appena percettibile.

Aveva appena diviso il primo in due porzioni, quando il trillo del campanello li fece sobbalzare.

«Chi sarà?» domandò Daniele, che pensò subito a quelle due coppie che li avevano seguiti dall’aeroporto. Un’associazione istintiva ma poco plausibile. Vedeva troppe fiction televisive. Calmò il tumulto interno e guardò Natalina come a chiederle cosa fare.

«Vai al citofono» suggerì Natalina per nulla impensierita da quella intrusione. «Così lo saprai».

Lo sentì confabulare, mentre con la forchetta pasticciava con gli spaghetti. Udì alla fine “Sali” senza capire chi fosse. Di certo non era un estraneo.

Daniele rimase accanto alla porta, finché non spunto la chioma riccioluta di Sara. “Sembra che abbia il radar” sospirò Natalina, facendo il viso di circostanza. Anche se si erano riavvicinate, tra loro non correva buon sangue. Si sopportavano a malapena. Per Natalia, se fosse servito, avrebbe ingoiato anche le frecciate più pungenti di Sara. Rimase seduta. Tanto bastava Daniele ad accoglierla.

«Ciao» disse Daniele, baciandola sulle guance.

Natalina fece una smorfia di disgusto e subito dopo un sorriso di circostanza. «Ciao» fece anche lei, accennando ad alzarsi.

Sara rispose con un cenno del capo. Mostrava in viso il suo disappunto per la presenza di Natalina. Il sorriso era morto sulle labbra. Gli occhi cercarono il volto di Daniele.

«State mangiando?» chiosò ironica Sara, come se non fosse chiaro dai piatti in tavola.

«Metto un altro coperto per te?» domandò cortese Daniele, mentre Natalina si stringeva nelle spalle. Doveva controllarsi e fare buon viso a cattiva sorte.

Sara scosse il capo in segno di diniego. «Però un bicchiere di vino lo bevo volentieri» disse, prendo una sedia per sedersi.

«Sei tornata, Natalina?» fece Sara, sapendo che era una domanda oziosa. Se era lì, voleva dire che era tornata. «Quando?»

Natalina annuì col capo.

«Stamattina» la informò Daniele, mentre riempiva il calice col vino. «Non gradisci nulla, Sara? Nemmeno una porzione di dolce?»

Daniele si interrogava sui motivi di quella irruzione. Ieri sera si erano lasciati un po’ burrascosamente e nulla era cambiato nel frattempo.

Sara scosse la testa, poi ingollò il vino in una sola sorsata. Si deterse le labbra con una salvietta presa dal tavolo. Avrebbe voluto fare un certo discorso con Daniele ma la presenza di Natalina la frenava. Riguardava sua sorella e non sapeva come l’avrebbe presa. Se i loro rapporti in apparenza erano cordiali, in realtà nel loro intimo si odiavano, si detestavano. Una vecchia ruggine di molti anni prima, quando Natalina era sempre tra i piedi.

Daniele comprese ma forse intuì più che capire, che Sara non era venuta in visita di cortesia. Le leggeva negli occhi un messaggio muto ma inequivocabile. ‘Ho necessità urgente di parlarti da solo, senza la presenza inopportuna di Natalina’.

Quel muovere gli occhi da destra a sinistra, accompagnati da un gesto del capo non sfuggirono a Natalina, che strinse le labbra e si accigliò. “Si tratta di Natalia” pensò, mentre stava rigida sulla sedia. “Da qui non mi schiodo. Se vuole parlare, lo farà in mia presenza”.

Daniele era preso tra due fuochi. Da un lato avrebbe voluto ascoltare Sara. Dall’altro non intendeva mancare di rispetto a Natalina. Doveva giocare una partita sporca per portare a casa i risultati. “Ma come?” si domandò inquieto, tornando a osservare la cucina. Il lavello con quella pila di stoviglie da lavare non faceva un grande effetto. I tegami con tracce delle cotture precedenti facevano bella mostra nello scolapiatti. Distolse lo sguardo per concentrarlo sulle due donne che si fronteggiavano mute. Gli venne d’istinto di ridere. Senza motivo.

«Cosa c’è di comico?» fece Sara indispettita.

«Nulla» rispose Daniele con lo sguardo da candido angioletto.

«Allora perché ridi?» insistette Sara, che non comprendeva lo scoppio ilare di Daniele.

Lui si fece serio. “Se non ha capito, non capirà” rifletté Daniele, che doveva togliersi dall’impaccio nel quale era finito. Doveva aprirsi con schiettezza e affrontare i problemi senza aggirarli come era sua abitudine. “Ma comprenderanno le mie parole?” si disse, riflettendo sulle prossime mosse.

[Continua]

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La mia storia – niniesercizio 8

foto personale - Dalla mostra 500 anni di Ariosto
foto personale – Dalla mostra 500 anni di Ariosto

Eccoci col consueto appuntamento con scrivere creativo, che propone una bella sfida.

Questa è l’immagine

foto-miniesercizio-8

Non so se l’ho interpretata bene ma questa è quella che ho scritto.

Aveva la testa fra le nuvole. Un giorno decise che si sarebbe buttato dalla rupe come gli amici. Fatto il sentiero che a volte aveva percorso in compagnia, si preparò per il lancio col parapendio. Uno, due e via. Che bello! Volare libero, sospinto dal vento. Passò sul ponte, osservando il luccicare dell’acqua che scorreva placida. Ancora più a valle verso un gruppo di case. Il vento stava calando e l’ansia pure. Il torrente era sempre sotto. Rischiava di finirci dentro. Quanta adrenalina in corpo.

Sentì un gomito e il rumore di una chiave.

“Forza delinquenti! Il giudice non aspetta”.

 

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