Seflpublishing Indie author: i suoi compiti

Proseguiamo nell’esplorazione del mondo selfpublishing, affascinante ma anche difficile da gestire.

Le due  precedenti parti le trovate qui e qui.

Vorrei chiarire che questi brevi post non hanno nessuna pretesa di essere esaustivi  ma di descrivere un mondo, quello del selfpublishing, assai variegato che ogni indie author dovrà approfondire.

Due avvertenze: la prima è che non può pensare di fare concorrenza agli editori tradizionali. La seconda è che se pensa di vivere di scrittura farebbe meglio a cercarsi un lavoro.

Copertina di carta
Un giallo Puzzone

Come abbiamo raccontato in precedenza l’autore indipendente – indie author – è l’editore di se stesso e scommette sulle proprie opere. Però prima di addentrarci sui suoi compiti, facciamo un rapido riepilogo di quello l’editore tradizionale deve, o meglio dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, fare nella sua attività imprenditoriale. Escludo dal novero degli editori quei pseudo editori che vivono alle spalle di molti scrittori, la cosiddetta editoria a pagamento (EAP). Le forme con cui queste persone agiscono per raggirare gli aspiranti scrittori sono le più varie e subdole. Chiudo questo inciso e parlo dei editori che in qualche modo rischiano il proprio capitale.

Quali sono i compiti?

1. scouting

2. editing

3. graphic design, la copertina

4. impaginazione

5. correzione bozze

6. quarta di copertina

7. traduzione, limitatamente a testi stranieri

8. promozione o marketing

1. Scouting

È forse l’attività più delicata di un editore. Trovare un testo da pubblicare con successo vuol dire per lui guadagno. Puntare su uno che è un flop, vuol dire perdita. Scartare un manoscritto che presso un altro editore sarà un successo è uno scorno. Va da sé la difficoltà nella selezione. Un tempo c’erano persone la cui attività consisteva nel leggere i manoscritti arrivati all’editore. Tra i più famosi cito Vittorini, Calvino e Pivano. Poi per effetto dei tagli per ridurre le spese e l’incremento vertiginoso degli invi hanno spinto molti editori a usare forze esterne per la selezione. Agenzie letterarie ed editor freelance fanno da filtro, conservando all’interno un piccolo nucleo di editor come lettori di ultima istanza o per quei manoscritti arrivati direttamente ritenuti meritevoli di attenzione. L’uso di forze esterne ha avuto un duplice effetto: evitare di leggere le valanghe di opere ricevute e risparmiare sui tempi di editing. I testi proposti di norma arrivano già pronti per la pubblicazione.

2. Editing

Questa attività è finalizzata a trasformare un testo acerbo in uno maturo pronto per la pubblicazione. Il fatto che arrivino da fonti esterne, che hanno tutto l’interesse perché sia pronto per la pubblicazione, consente all’editore di ridurre le spede di editing, che rimangono in capo all’autore.

3. Graphic design

La preparazione della copertina può essere fondamentale per il successo di un libro. Credo, ma non ne ho certezza, che a parte i grossi gruppi editoriali il resto si appoggino a graphic designer professionali. C’è qualche eccezione come Adelphi che usa una copertina minimale come marchio editoriale.

4. Impaginazione

A guardare molte pubblicazioni, specialmente tra gli ebook, non sembra che questa attività sia in cima all’attenzione dell’editore. Il prodotto digitale è quasi sempre scadente e costoso. Raramente si ottiene da un processo specifico per gli ebook. Non è che col cartaceo la situazione sia molto migliore ma di certo è un po’ più curata.

5. Correzione bozze.

Altro tasto dolente. Libri cartacei e digitali sono ricchi di refusi facilmente correggibili con un correttore ortografico. Un tempo questa figura era la persona di ultima istanza prima della pubblicazione. Oggi è in pratica quasi scomparsa e i risultati si vedono.

6. Quarta di copertina.

Ci sono dei professionisti chiamati copywriter che scrivono la quarta di copertina. Copertina e quarta sono gli elementi visivi di prima istanza che il potenziale lettore osserva. Quindi la scrittura di poche ma incisive parole può suggerire al lettore il suo acquisto.

7. Traduzione

Quando si acquistano i diritti di un testo straniero serve un traduttore per renderlo leggibile al lettore italiano. Anche in questo caso le traduzioni non sono molto accurate. Non è una regola ma capita. I traduttori di norma sono sottopagati a discapito della qualità della traduzione. A volte sembra che la traduzione sia ottenuta da traduttori automatici.

8. Promozione

In teoria l’editore dovrebbe promuovere i suoi prodotti. Salvo i grandi editori che investono soldi per il marketing a fronte di determinati testi, gli altri spesso non lo fanno per nulla oppure lo lasciano in carico all’autore.

Visto quello che un editore tradizionale dovrebbe fare, pare evidente che anche l’indie, come autoeditore, si deve attenere.

1. Scouting

L’indie non deve scovare un manoscritto ma trovare un’idea geniale da sviluppare e trasformare in una storia. Diciamo deve trovare il plot da mettere nero su bianco.

2. Editing

È il punto cruciale che l’indie deve superare per dare alla sua storia una veste professionale.

L’indie ha quattro strade avanti a sé.

a) eseguire l’editing in autonomia. I risultati non sono mai ottimali.

b) affidarsi a un editor professionale. Non è facile da trovare, perché i migliori ti snobbano e costano una fortuna. Chi costa poco, è un correttore di bozze e talvolta nemmeno. Diciamo bisogna aver fortuna.

c) trovare qualcuno che prepari una scheda valutazione coi fiocchi è raro e da tenere sul palmo della mano, perché con essa è possibile eseguire un editing in autonomia non perfetto ma di buon livello. Ne ho trovato uno moltissimi anni fa ma adesso non riesco più a rintracciarlo.

d) trovare un altro indie con buone competenze di editing col quale scambiarsi favori a vicenda. In definitiva è creare un gruppo con diverse competenze specifiche da scambiare. Non è facile ma possibile.

3. Graphic design

Se si hanno buone competenze grafiche si può tentare in autonomia la creazione della copertina. Le altre due strade sono o affidarsi a un graphic designer professionista o trovare un altro indie con cui scambiarsi le competenze.

4. Impaginazione

Può essere svolta in autonomia. Bastano buone conoscenze di word editor e leggere i documenti che spiegano come impostare pagine, paragrafi, ecc. Sono gratuiti e in qualche caso in italiano. Una volta costruito uno o più modelli a seconda delle necessità, basta usare sempre quelli fin dall’inizio della stesura del testo e si ritrova alla fine con un documento migliore di quello di un editore tradizionale. Non ci vuole molto ma rappresenta il punto di forza dell’indie.

5. Correzione bozze.

Anche questa attività può essere svolta in autonomia sfruttando correttori grammaticali professionali e qualche amico come betareader. Uno dei vantaggi dell’essere autoeditori è che possiamo aggiornare il libro già pubblicato per eliminare qualche residuo refuso. Nel caso di ebook la nuova versione sarà aggiornata sui lettori dei nostri acquirenti.

6. Quarta di copertina

Può essere fatta in autonomia ad esempio prendendo una frase importante del nostro testo. Altra strada è affidarsi a un copywriter. Questo nel caso che voglia produrre un testo su carta. Per gli ebook non serve. In questo caso lo si può sfruttare per fare una sinossi, il nostro biglietto da visita, coi fiocchi.

7. Traduzione

Se l’indie vuol tradurre in inglese la propria opera può ricorrere a società specializzate oppure ai traduttori automatici on line che di norma hanno delle limitazioni. In questo caso il processo è lungo e snervante con risultati incerti. Sarebbe meglio affidarsi a dei professionisti che però costano abbastanza. Se un indie ha delle conoscenze approfondite della lingua può tentare di procedere in autonomia. Comunque richiede tempo e competenze.

8. Promozione

Visto che raramente l’editore tradizionale promuove a sue spese un’opera pubblicata, l’indie può sfruttare diversi canali per fare pubblicità al suo testo. Uno è attraverso la piattaforma di selfpublishing, a pagamento. Però come vedremo in seguito di solito è orientato al mercato anglofono, quindi scarsamente usabile in Italia. Un altro, se ha prodotto un libro in formato cartaceo, può organizzare degli eventi nelle librerie della sua città oppure accordandosi con altri indie per svolgere una presentazione itinerante dei loro testi.

Conclusione

L’indie può offrire in ambito digitale una veste professionale della sua opera, perché l’editore tradizionale raramente cura i propri ebook.

Una buona soluzione è quella di creare un gruppo di indie che si aiutano a vicenda nel svolgere i vari passi prima della pubblicazione del testo. Il gruppo deve avere al suo interno specifiche competenze in modo tale da surrogare alcune figure professionali oppure svolgere l’attività del testreader o del betareader.

Altra buona norma, prima di intraprendere la pubblicazione è fissare un budget di spesa per evitare di imbarcarsi in una avventura dai contorni incerti.

Scrivo molto?

copertina Una notte magica San Giovanni
copertina Amanda e il bosco degli elfi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qualcuno, giustamente, ha detto che scrivo molto. Può sembrare così ma la realtà non è esatta.

Quest’anno sembra che abbia pubblicato quattro nuovi libri. Però due sono la revisione di testi pubblicati uno nel 2016 – Un paese rinasce – e l’altro nell’ottobre 2015 – I tre cunicoli. Quindi solo due sono quelli effettivamente pubblicati: Amanda e il bosco degli elfi, Una notte magica San Giovanni.

Però sembra comunque che scriva molto. Quindi è utile capire quanto dirò di seguito.

Fino al 2006 non riuscivo a scrivere nulla oltre le due pagine e poi incagliarmi. Quindi mi sono dedicato a scrivere poesie. Apro un inciso potrebbe darsi che le raccolga tutte e le pubblichi solo per lo sfizio personale.

Nel 2006 c’è stata la svolta. Complice un articolo che parlava di un episodio poco sconosciuto ho cominciato a scrivere il mio primo romanzo. Riguardava l’amore segreto tra Goethe e Angelika Kauffmann. Angelika era una bravissima ritrattista che fu la prima donna a essere ammessa in un consesso maschilista come accademica di merito nell’Accademia San Luca. Questo primo romanzo, revisionato più volte è disponibile in download gratuito su Kobo Store, Tolino e Apple libri, oltre ovviamente Smashwords. Parliamo del 2015. Nell’ottobre di quell’anno I tre cunicoli, la seconda opera in assoluto, vede la luce come cartaceo su Createspace e come ebook Kindle tramite KDP, oltre ovviamente agli store epub sopra citati.

Da quell’ottobre ho pubblicato dodici opere, ovvero poco più di due e mezzo l’anno. Pochi sono i testi che tra la scrittura e la pubblicazione sono intercorsi meno di un anno. Quasi tutti sono rimasti per molti anni nel cassetto virtuale del PC. Tanto per esemplificare Una notte magica San Giovanni è stata la terza scritta nel lontano 2007, revisionata nel 2010 e poi ripresa quest’anno per la sua pubblicazione.

Diciamo che mediamente ho scritto due testi all’anno completi tra racconti brevi, lunghi o romanzi. Quindi avrei disponibili per la pubblicazione ancora una dozzina scarsa di opere.

Quest’anno non ho scritto nulla a parte un abbozzo in cui mi ero imposto di utilizzare Bibisco ma che è fermo ai primi capitoli. L’anno scorso ho scritto un testo incompleto, sono arrivato a metà strada, e uno di cui mancano i capitoli finali.

Insomma ho rallentato e non poco.

Progetti futuri? La revisione di libri già pubblicati e forse due raccolte di racconti brevi che sono da sistemare in modo organico.

Scrivo molto? Può darsi ma secondo me fatico molto di più.

Selfpublishing o editoria tradizionale vista dall’autore

Nella puntata precedente ho cercato di chiarire qualcosa tra il selfpublishing e l’editoria tradizionale, oggi metterò a confronto l’indie author e l’autore tradizionale.

Però prima di proseguire vi ricordo che domani 24 giugno, il giorno di San Giovanni, esce in formato ebook e cartaceol’attesissimo mio nuovo romanzo Una notte magica San Giovanni che potete trovare su Amazon

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copertina Una notte magica San Giovanni

Indie author vs autore tradizionale

Affrontiamo il tema dell’autore nel selfpublishing che differisce molto da quello tradizionale.

Però prima spiego chi considero come autore tradizionale. È l’autore esordiente oppure chi ha all’attivo qualche pubblicazione di scarso successo. Insomma escludo tutti quelli che hanno firmato una esclusiva con un editore oppure sono celebrità prestate alla letteratura. Certo ci sono anche quelli finiti nella scuderia di un’agenzia letteraria più o meno importante ma all’inizio sono stati degli autori tradizionali.

Quale sono le problematiche di un autore tradizionale?

Prima di rivolgersi a qualche agente letterario al termine della scrittura del suo romanzo spedisce il manoscritto in giro nella speranza che qualche casa editrice lo noti. Dopo aver atteso i canonici sei mesi oppure un garbato rifiuto comincia a esplorare il mondo delle agenzie letterarie. Non entro del merito di come operano ma di norma chiedono soldi per leggere il testo senza che questo sia un binario privilegiato verso una casa editrice. Ovviamente il testo grezzo risulta poco invitante salvo che la storia non sia originale e in linea con i gusti dei lettori in quel momento. È difficile che raggiunga una casa editrice di livello medio alto, perché queste sono in collegamento con agenzie non facilmente raggiungibili. Quindi il nostro autore tradizionale, ammesso che superi la selezione iniziale, sarà indirizzato verso case medio, piccole o piccolissime. Firmerà l’agognato contratto editoriale e sarà felice. Però i suoi problemi non sono terminati. Anche se questi compiti spetterebbero alla casa editrice, molto spesso l’autore deve pagare l’editing, l’impaginazione, la grafica. La scelta di queste persone non è mai, o quasi, libera ma viene imposta dalla casa editrice. In altre parole non ha più il controllo del suo manoscritto. Finalmente la sua opera vede la luce secondo i tempi della casa editrice senza che lui possa influenzarli. Il suo testo finisce negli store on line e se c’è la carta potrebbe finire in libreria, ma non è detto. Il nostro autore tradizionale se vuole promuovere il suo libro, quasi mai viene organizzato dalla casa editrice ma deve farlo a sue spese. I dolori non sono terminati. Dopo aver speso tempo e denaro spera di racimolare qualche euro dalle royalties delle vendite. Alcuni contratti che mi hanno fatto esaminare contengono al riguardo clausole capestro come la vendita completa della prima tiratura entro due anni, cosa impossibile da raggiungere. Perché? Tra la firma del contratto e l’uscita del libro passano molti mesi, qualche volta un anno. Visto che la durata, salvo rinnovo, è di due anni dalla data della firma, si capisce quanto sia improbabile l’esaurimento della prima tiratura salvo eccezioni clamorose. Ci potrebbe essere al posto di questa clausola, il raggiungimento di cinquanta euro coi diritti. Qui si apre un problema per il nostro autore. Quanto percepirà di diritti per ogni copia venduta è espresso in modo nebuloso ovvero l’autore non saprà l’importo per singola vendita per via di un conteggio astruso. A spanne si può dire che dal prezzo di copertina tolta l’IVA, il compenso al distributore, nel caso del cartaceo, e gli sconti presso gli store su quello che rimane sono calcolati i diritti. Altro punto dolente sono i report di vendita che arrivano con molto ritardo e quindi inutilizzabili per conoscere l’andamento del testo.

Non è che per l’indie author le cose siano tutte in discesa. Come abbiamo detto qui, l’autore indipendente è anche l’editore di se stesso. Quindi deve svolgere tutte le attività che un editore tradizionale deve fare. In primo luogo si fa fare una scheda di valutazione esaustiva che gli permette di fare una prima revisione alla sua opera e capire le potenzialità di gradimento. Poi cerca un editor per eseguire l’editing del testo. Se poi bisticcia con la tastiera, gli servono altre due figure: il graphic designer per la copertina e l’impaginatore per dare una veste professionale alla sua opera. Infine deve trovare una piattaforma di selfpublishing per pubblicarla. In compenso ha chiaro quanto percepirà di diritti, i report di vendita sono chiari e puntuali alla giornata, i pagamenti non hanno condizioni particolari, salvo che non opti per pagamento con assegno. In questo caso si deve raggiungere un determinato importo. Però su un conto corrente o paypal le rimesse sono mensili senza limiti di importo. In conclusione l’indie author deve disporre di un budget iniziale per iniziare la sua avventura. Lo stanziamento deve essere congruo alle aspettative che ripone nel suo testo.

Arriviamo alle conclusioni mettendo a confronto le due tipologie di autore.

Vantaggi dell’autore indipendente

1. ha il pieno controllo della sua filiera editoriale.

2. può scegliere le figure professionali in autonomia

3. ha tempi certi nella pubblicazione

4. conosce quanto percepirà con ogni vendita

5. report puntuali come i pagamenti

6. i meriti e demeriti sono solo suoi

7. i diritti d’autore rimangono a sua completa disposizione

Svantaggi dell’autore indipendentemente

1. deve disporre di un budget per pagare le figure professionali

2. i suoi testi cartacei difficilmente arrivano in libreria oppure sono ordinabili presso un libraio

3. le sue opere sono viste con scetticismo come lo sfigato che non ha trovato una casa editrice.

4. deve dedicare molto del suo tempo per arrivare alla pubblicazione del suo testo

5. raramente riesce a pareggiare entrate e uscite, di sicuro all’inizio della sua avventura come autoeditore

6. se vuole vendere sui mercati esteri, deve provvedere alla traduzione del suo testo

7. vendere i diritti per un suo utilizzo in TV o cinema sono praticamente nulli.

Vantaggi dell’autore tradizionale

1. pubblica con una casa editrice

2. si sente appagato perché una casa editrice l’ha pubblicato

3. una volta finito la stesura del libro dedica un tempo relativamente modesto prima della pubblicazione

4. i suoi testi cartacei sono ordinabili in libreria e talvolta arrivano sugli scaffali

5. eventuali vendita diritti all’estero non implicano partecipare economica

alla traduzione del suo testo.

6. la possibilità che possa approdare in TV o al cinema non sono elevate ma non nulle

Svantaggi dell’autore tradizionale

1. perde il controllo della filiera editoriale

2. perde i diritti per almeno due anni

3. deve fare attenzione se nel contratto sono previste clausole di rinnovo automatico

4. l’eventuale promozione è quasi sempre a carico suo

5. i report di vendita sono redatti in tempi lunghi

6. fatica a comprendere a quanto ammontano i suoi diritti

7. i soldi spesi difficilmente colmano le entrate dei diritti

8. se vuol raggiungere un editore di norma si deve appoggiare a un’agenzia letteraria. Difficilmente ci riesce da solo

9. deve fare attenzione agli pseudi editori, i cosiddetti editori a pagamento (EAP), per evitare di riempirsi la cantina dei suoi manoscritti comprati a caro prezzo.

Concludendo, ogni autore può decidere se abbracciare la strada dell’autore indipendente o quello tradizionale. Pro e contro ci sono e non sono di facile pesatura. Personalmente ho scelto la strada dell’indie author e non tornerei indietro per nessuna ragione. Mi sono trovato bene e sono soddisfatto degli esiti. Non ho mai provato a battere la strada dell’editoria tradizionale, perché considero le mie opere come una parte integrante di me e non riuscirei a distaccarmene.

Selfpublishing o auto pubblicazione?

In occasione dell’uscita del nuovo romanzo Una notte magica San Giovanni ho riflettuto sul selfpublishing complice la lettura dell’ebook di Rita Carla Francesca Monticelli Self-publishing lab: il mestiere dell’autoeditore.

Chi é Rita Monticelli? In realtà non avrebbe necessità di presentazioni nperché abbastanza nota nel mondo del selfpublishing. Scrittrice di fantascienza, appassionata di fan fiction ha avuto un bel successo coi suoi ebook, che ha tradotto in inglese, essendo una traduttrice. Si diceva che vendesse 500 ebook al mese, complice il mercato anglofono. Ammesso che abbiano esagerato comunque aveva numeri superiori a molti scrittori tradizionali.

Come l’ho conosciuta? Su anobii tramite un gruppo, appunto di fan fiction.  Intanto cos’è la fan fiction? Sono appassionati di un film, di un libro e altro che riscrivono la storia seguendo il proprio estro creativo. Nel 2009 o 2010, la data esatta non la ricordo, aveva scritto un racconto tratto dal film La mummia e su questo ci siamo scambiati dei commenti. Poi tramite lei ho scoperto la piattaforma smashwords dove operava da qualche anno.

 

Selfpublishing o autopubblicazione?

copertina Una notte magica San Giovanni

Prima di affrontare il tema cerchiamo di fare chiarezza sui termini. Gli italiani amano molto gli anglicismi storpiandone spesso il significato come in questo caso.

Self lasciamolo da parte perché lo esamineremo più avanti e concentriamoci su publishing, publisher e indie ovvero selfpublishing, selfpublisher e indie author.

Gli anglosassoni per publishing intendono tutto quello che ruota o è attinente all’industria del libro, che per noi equivale all’editoria. Publisher è quello che pubblica, che in Italia si identifica con l’editore. Indie lo esaminiamo dopo. Self è traducibile con auto, ma se si riferisce a un interesse o vantaggio personale con se stesso.

Però qualche buontempone, non si sa se per screditare chi usa le piattaforme di selfpublishing, parla di autopubblicazione. Il selfpublisher diventa l’autore che si pubblica da sé.

In realtà più correttamente si dovrebbe parlare di autoeditoria, perché in effetti è così, e di autoeditore, che è la vera attività dell’autore.

Adesso prendiamo in esame la parola indie che di norma non viene spiegata al pubblico, lasciandola così com’è. È noto, anzi arcinoto, che gli anglosassoni non amano le parole troppo lunghe e quindi le accorciano, le accorpano e delle originali se ne dimenticano. Indie non è altro che la storpiatura di independent ovvero indipendente. Però parlare di autori indipendenti – indie author – era troppo chiaro anche per i meno acculturati a chi si riferissero. Per contro usare indie poteva evocare gli indiani, qualcosa di esotico, strano oppure al nulla.

Concludendo questa lunga parentesi sulle definizioni e significato dei nomi inglesi, possiamo dire:

  1. chi va su una piattaforma di selfpublishing entra nell’industria del libro svolgendola in maniera autonoma ovvero pratica l’autoeditoria.
  2. diventa autoeditore di se stesso.

  3. è un autore indipendente.

Chiarito questo si deduce che l’autore indipendente deve svolgere tutto quello che fa parte della filiera del libro e non limitarsi alla scrittura della storia e a pubblicarla.

Fino a una trentina di anni fa l’editoria era composta dall’editore, dall’editor, dal correttore di bozze, dall’impaginatore, dal grafico, dal copywriter – è quello che scrive la quarta di copertina e prepara la sinossi – dal promotore e dal traduttore per i libri stranieri. E di certo ho dimenticato altre figure. E l’autore che faceva? Mandava il suo manoscritto alla casa editrice che affidava la lettura al proprio editor. Se veniva giudicato idoneo alla pubblicazione, l’editore gli faceva sottoscrivere un contratto, anticipava le royalties e il testo cominciava il suo iter fino alla sua pubblicazione e relativa promozione.

Poi col tempo qualche pezzo della filiera si è staccato come il correttore di bozze e il copywriter. Gli anticipi si sono ridotti drasticamente fino a diventare quasi nulli salvo casi eccezionali. Il promoter o marketing, ovvero le presentazioni in libreria, in tv o le recensioni su riviste e giornali, opera solo nel grandi gruppi editoriali e limitatamente a personaggi celebri. I manoscritti sono filtrati tramite agenti letterari. L’editor agisce presso gli editori medio-grandi, ma non sempre, e comunque si preferisce un prodotto già finito. Presso i medio-piccoli in pratica c’è solo la figura del grafico per la copertina. Tutto il resto è a carico dell’autore.

La nota curiosa è che con l’aumento degli editori, di solito di piccola taglia, il mercato editoriale si è ingessato ma questo non è l’argomento che voglio trattare.

A questo punto se qualcuno pazientemente ha continuato a leggere si è chiesto di cosa stiamo parlando, perché probabilmente non ci ha capito nulla.

Faccio ammenda e torno sul selfpublishing. L’autore indipendente dovrà fare tutto quello che l’editoria e l’editore tradizionale fanno o dovrebbero fare.

Ammesso, ma non è sempre così, che abbia scritto una storia interessante deve cercarsi un editor che lo aiuti a migliorare il prodotto. Si affida a un grafico per la copertina. Trova un impaginatore per dare una veste professionale alla sua storia e si rivolge a un promoter per fare promozione al suo testo.

In altre parole l’autore indipendente diventa l’imprenditore di se stesso rischiando in proprio sulla riuscita del suo progetto editoriale. Il costo di tutte queste figure può essere salato senza che i proventi delle vendite riescano a coprire le uscite. Questo è vero anche in presenza di royalty sufficientemente elevate o eliminando qualche figura.

A questo punto uno si chiede giustamente perché dovrei investire un bel po’ di denaro per appagare la smania di pubblicare una mia storia.

Senza analizzare a fondo pro e contro, vedo di trovare cinque motivi positivi per autoeditoria e cinque negativi.

Vantaggi dell’autoeditoria.

  1. certezza di pubblicare un libro anche se il precedente ha fatto flop.
  • selezione personale di chi parteciperà alla realizzazione del tuo libro.

  • royalty per copia più elevate.

  • potrai sempre modificare qualsiasi aspetto del tuo libro, prezzo compreso.

  • se ha successo è solo merito tuo.

  • Svantaggi dell’autoeditoria

    1. è difficile arrivare in libreria e guadagnare qualcosa.
  • se il tuo libro non ha successo, la colpa è solo tua.

  • è sconsigliato per chi non viole fare l’editore di se stesso.

  • lavorerai tantissimo e rischi di guadagnarci molto poco.

  • tutti i canali di promozione degli editori medio-grandi ti sono preclusi.

  • Concludendo

    alla fine tutto dipende da te: hai la massima libertà d’azione ma anche la massima responsabilità e impegno.

    Quindi per affrontare il selfpublishing l’autore indipendente, che vuole essere l’imprenditore di se stesso, deve essere consapevole delle difficoltà che dovrà affrontare.

    Leggi e ne rimani soddisfatto.

    L'AMORE forse ESISTE: siamo come alberi in un bosco, separati, ma uniti da un unico terreno di [Sara Tricoli, Laura Tricoli]

     

    Ognuno di noi ha delle preferenze che manifesta in modi diversi. Spesso queste preferenze determinano dei pregiudizi che a prescindere riversiamo nel nostro modo di agire e pensare.

    Anch’io non mi sottraggo a questa realtà anche se cerco, e non sempre ci riesco, di affrontare persone o cose senza la tara di un pregiudizio. Detto in altre parole cerco di farmi un’idea sgombrando la mente da qualsiasi stereotipo o condizionamento iniziale.

    Questo modo di approcciare persone e argomenti è ancor più manifesto nelle nostre preferenze delle letture.

    Un genere non ci piace? Allora escludiamo i testi che si rifanno a questo. Un autore non ci piace? Tendenzialmente lo escludiamo a priori, a prescindere. Una specie di ostracismo.

    Mi definisco un lettore onnivoro, ovvero leggo di tutto e tutti. In realtà non è esattamente così. Ho le mie preferenze e gli autori preferiti come tutti. Questo non vuol dire che non leggo qualcosa che esce fuori dal mio schema. Il genere rosa, ammesso che si possa identificare in modo preciso, non è esattamente nelle mie corde. Murakami, ad esempio, non rientra tra gli scrittori che amo leggere. Eppure se leggo un testo di genere rosa lo faccio senza preconcetti. Lo affronto senza pregiudizi. Se il testo o l’autore merita, non ho nessun problema a parlarne bene. Se non merita, il mio giudizio è negativo. Quello che conta per me è la storia, come si sviluppa e come sono disegnati i personaggi. Tempo fa mi ha dato molto fastidio che a fronte di una recensione non esaltante, sia stato accusato di sminuire il lavoro altrui per favorire il mio. Niente di più falso. Ho ricevuto più stroncature che elogi eppure non mi sono mai permesso di protestare con chi mi criticava. Se non è in malafede vuol dire che la mia storia non funziona.

    Con questo spirito e senza pregiudizi ho affrontato la lettura di L’amore forse esiste di Sara Tricoli. Di certo non è il genere che leggo spesso, anzi direi di no ma ho affrontato la lettura senza un pensiero negativo.

    Nel complesso posso dire che mi è piaciuto. Lettura gradevole con buon stile letterario. La storia c’è ma è molto esile, diciamo sottotraccia, perché ha privilegiato i personaggi che man mano sono usciti. Ammetto che l’inizio non è stato promettente ma col passare delle pagine ha assunto una sua personalità e un buon ritmo. Poteva essere facile cadere nei luoghi abusati delle storie d’amore ma Sara è riuscita a non incappare nella trappola.

    Il primo personaggio che compare è Sonia combattuta tra due amori. Poi entrano in gioco Simon e Massimo. In questo frangente Sonia rischia molto. Non è credibile che possa innamorarsi a ogni maschio. Per fortuna questa scivolata è solo transitoria. Qui ha il suo momento migliore perché con molto buon senso e nessun pregiudizio spinge Simon nelle braccia di Massimo. L’analisi su questo rapporto un po’ sui generis è decisamente buono perché Sara riesce a rimanere in equilibrio su un crinale scivoloso che è la relazione tra due uomini. Sonia da questo rapporto a tratti anomalo capisce su quale persona puntare sciogliendo in dubbio amletico tra Carlo e Sergio. Poi entra in scena Josephine e il cerchio si chiude. Tutte le coppie si sono accoppiate.

    Tra i sei personaggi attorno a cui ruota la storia o meglio che parlano di amore, i più completi sono tre: Sonia, Massimo, il più riuscito, e Josephine con le sue paure e i suoi dubbi molto umani. Gli altri stanno sullo sfondo quasi da comprimari. Ci sono ma non si notano.

    Se vogliamo cercare il pelo nell’uovo forse è nell’uso spinto del dialogo diretto che in alcuni momenti diventano monologhi. Forse un minimo approfondimento dei pensieri dei sei personaggi avrebbero reso quasi perfetto il testo.

    Covid la saga continua….

    Di norma non scrivo post sull’attualità perché ho impostato il layout in altro modo ma ogni tanto lo faccio.

    immagine tratta da

    https://in.mashable.com/tech/11362/china-launches-coronavirus-app-to-detect-if-users-are-at-a-risk-of-infection

    In questo caos a volte sboccato sul COVID si è scritto troppo. Non sono un esperto e non mi do la patente di professore. Non ho la preparazione adatta ma almeno provo a usare la mia testa nel leggere la marea di notizie che circolano.

    In questi giorni impazzano news che secondo me rischiano di creare o false certezze o aspettative immotivate. Mi riferisco al patentino di immunità e all’app IMMUNI.

    https://in.mashable.com/tech/11362/china-launches-coronavirus-app-to-detect-if-users-are-at-a-risk-of-infectionPerò prima di affrontare i due temi credo sia utile spiegare senza la presunzione di fare il saccente cosa succede quando si prende il virus. Non mi interessa come si prende ma i tempi della malattia. Quello che scriverò si basa su dati presenti sui media. Sarà utile per quello che dirò più avanti.

    Il soggetto A al giorno zero è contagiato. Come ogni ospite che si rispetti, appena trova una porta aperta, si accomoda nel nuovo ambiente e cerca di replicarsi. In media, per soddisfare questo primo step, Covid-19 impiega fino a tre giorni, poi, dopo aver preso possesso della nuova casa, induce la manifestazione dei sintomi. E questo avviene tra il settimo e il quattordicesimo giorno. Quindi dal giorno zero al giorno sei porto a spasso il virus e posso trasmetterlo ad altre persone. Come per ogni intruso noi cerchiamo di difenderci attraverso degli anticorpi. Se tutto va bene dal quindicesimo giorno l’abbiamo messo nell’angolo. Attenzione non vuol dire che il virus sia stato debellato. Anzi il nostro organismo deve produrre tanti anticorpi finché non lo ha neutralizzato completamente e questo avviene di norma fino al trentesimo giorno dell’aggressione.

    Adesso parliamo del patentino di immunità. Questo dovrebbe essere una sorta di indice che sono guarito clinicamente e che non rischio di essere contagiato di nuovo o in futuro.

    Per capire come questo possa indurre ad abbassare la guardia faccio un parallelo con l’influenza, forse improprio ma secondo me utile a comprendere quello che voglio dire.

    Ci sono soggetti che non si vaccinano e non si ammalano. Altri non vaccinati prendono l’influenza. Altri vaccinati che rimangono immuni, infine soggetti pur essendo vaccinati si ammalano lo stesso. Però ci sono persone che si ammalano più volte nel corso dello stesso inverno. Questo si verifica ogni anno. In conclusione il nostro corpo reagisce alla malattia in modo diverso.

    Tornando al COVID sembra che si possa replicare un meccanismo appena descritto.

    L’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarato che non ci sono “prove” che le persone guarite dal coronavirus siano protette da un secondo contagio, anche se hanno gli anticorpi. L’agenzia delle Nazioni Unite ha anche messo in guardia dai “passaporti immunità” e “certificati zero-rischi” alle persone che sono state contagiate. Questo creerebbe false aspettative e potrebbe aumentare il rischio di diffusione del contagio. Inoltre ha dichiarato che i test per gli anticorpi non sono affidabili.

    In conclusione non esiste nessuna prova che non ci si possa ammalare di Covid 19 due volte. Sono semplici ipotesi per due motivi: primo non esiste il vaccino, secondo le casistiche sono troppo limitate per essere veritiere. Il patentino di immunità è al momento una semplice speranza.

    Passiamo all’app IMMUNI. Il nome è furbo perché induce chi lo scaricherà a pensare che con questa tenga il COVID fuori dalla porta.

    Si sono lette ipotesi fantasiose su questa app che al momento è coperta da una cortina di silenzio. Al momento i dati disponibili sono troppo vaghi per immaginare la sua utilità e il suo funzionamento.

    Di certo non mi avviserà se sono in prossimità di un contagiato dal virus o di uno che si trova nella fascia tra i quindici e trenta giorni e meno che meno se la persona è nella fascia tra zero e sei giorni, detta di incubazione.

    Questo per motivi tecnici e di privacy. L’app come è stato scritto, almeno dalle poche notizie trapelate, raccoglie informazioni anonime da altri dispositivi dotati del medesimo strumento. Se dovesse fare quello che il nome erroneamente fa intendere, dovrebbe interrogare sul cloud il database con il codice acquisito, ritrovare tutte le informazioni sulla salute della persona e segnalarlo. Non esiste tecnologia in grado di fare tutto questo in un tempo utile per avvertire il soggetto, ammesso che nella raccolta dati siano presenti le informazioni cercate. Ancora più utopistico è pensare che un app sia in grado nella frazione di pochi secondi scansionare il contatto e stabilire se sta incubando il COVID. Non si capisce perché allora si non possa usarla su se stesso.

    Altra fake news è quella detta dagli esperti che se usata dal sessanta percento della popolazione può portare l’epidemia a zero contagi nell’arco di un mese. Intanto il numero di dispositivi idonei a supportare l’app in possesso agli italiani è pari circa il sessantasei per cento della popolazione. Tradotto vorrebbe dire che tutti i possessori dovrebbero scaricare l’app. Sarà possibile? E poi su quale base scientifica è stata scelta questa percentuale? Forse perché il settanta percento sarebbe irrealistico e irraggiungibile? Diciamo che è un tentativo di depistare gli italiani. Lo scopo non lo conosco ma si potrebbe intuire.

    Però cos’è questa app? Dovrebbe essere un data tracking che tiene nota delle persone con cui siamo entrati in contatto e poter risalire a questi nel caso malaugurato che la persona risulti positiva al COVID. Su questo ci sarebbe da aprire un romanzo sugli effetti di simile operazione sulla sanità nazionale. Basta pensare se nei 21 giorni di raccolta dati io sono entrato in contatto con centinaia di persone – ovviamente possono essere di più se pensiamo alla frequentazione di supermercati o posti di lavoro. Suppongo che il cinquanta percento risulti positivo, dato prossimo alla realtà e lo spiego dopo, quale bailamme di tamponi e quarantene si scatenerebbe scavando a ritroso nei contatti. Ospedali, laboratori, medici e infermieri sarebbero in grado di reggere questo urto? Questo approccio può funzionare su piccole comunità ma non per l’intero paese. Questo vale al di là dei valori percentuali.

    Spiego come ho calcolato il cinquanta percento di positivi, probabilmente possono essere di meno. A Vo’ l’esito dell’esame su tutta la popolazione residente ha detto che il quarantacinque percento è risultato positivo asintomatico, ovvero ha il virus presente senza sintomi. Se a questo dato aggiungiamo il cinque percento di chi ha sintomi il numero fa cinquanta. Bisogna ricordare che gli asintomatici sono il veicolo più insidioso per la diffusione del virus perché sono riconoscibili solo per interposta persona.

    Volendo trarre una conclusione questa app potrebbe alla fine non servire allo scopo dichiarato ma essere un’arma subdola di controllo se non è gestita correttamente.

    Altro tema caldo di questi giorni l’obbligo della mascherina. Esattamente come e quando non si sa ma se per caso esiste l’obbligo qualcosa non torna. Perché? Banale. Devo essere messo in condizione di rispettare la regola.

    Prendendo con qualche dubbio, Arcuri ha dichiarato che lo stato è in possesso di 47 milioni di mascherine e che presto saremo autosufficienti. Sorge spontanea la domanda: perché sono introvabili e le persone le devono ordinare in Cina via Internet? Qualcuno afferma che servono 7 milioni al giorno, mentre al momento ne produciamo 5 milioni. Forse si riferisce agli ospedali, alle case di riposo o strutture socio-sanitarie. Il motivo è semplice. Basta pensare che siamo sessanta milioni e gli occupati, se non ricordo male, circa venti milioni. Dunque per questi servono ne servono altrettanti tutti i giorni per rispettare le regole di sicurezza sanitaria sul posto di lavoro. Poi ci sono i restanti italiani. Non la useranno tutti i giorni ma ne devono avere una per quando escono. Sembra che non esista l’obbligo quando si sta all’aria aperta ma le persone escono per correre o fare la passeggiata? Cosa fa: la mette dal tabaccaio e poi la toglie? Comunque serve.

    Le mascherine in maggioranza del tipo monouso ovvero dopo l’utilizzo si dovrebbero gettare. Ammesso che non lo faccia, devo sanificarle come quelle lavabili. Serve l’alcol ma questo è scomparso dagli scaffali da oltre due mesi come i guanti, i gel igienizzanti, che si trovano a singhiozzo, e l’amuchina. Domanda: hanno smesso di produrli oppure c’è dietro un disegno? Ovviamente spero di no ma che la produzione sia indirizzata alle strutture sanitarie.

    Infine ultimo sassolino. Si vocifera che le mascherine non dovranno costare più di novanta centesimi. Visto che per cinquanta pezzi ho speso 25€ ovvero 50 centesimo al pezzo spedizione e tasse comprese mi domando perché si fa la cresta di quaranta centesimi? Non voglio pensare male ma che sia l’effetto della produzione nostrana.

    Lascio alcuni link per chi volesse leggere qualcosa in più.

    Articolo

    https://www.repubblica.it/tecnologia/2020/04/22/news/coronavirus_sull_app_immuni_si_sa_troppo_poco_ecco_perche_temiamo_-254703493/?ref=RHPPLF-BH-I254707704-C8-P11-S2.4-T1

    “Immuni”, un aggiornamento sull’aggiornamento

    https://www.interlex.it/privacyesicurezza/covid19-8.html

    I molti dubbi sull’app italiana per il contact tracing

    https://www.interlex.it/privacyesicurezza/covid19-7.html

    “Immuni”, la soluzione proposta è a rischio privacy?

    https://www.interlex.it/privacyesicurezza/gelpi28.html

    Un aggiornamento sull’applicazione di contact tracing digitale per l’emergenza coronavirus

    https://innovazione.gov.it/un-aggiornamento-sull-applicazione-di-contact-tracing-digitale-per-l-emergenza-coronavirus/

    Una gradita sorpresa…

    Claudine Giovannoni una brava scrittrice del Canton Ticino ha scritto questo pezzo su La kitsune.

    Non mi aspettavo parole così lusinghiere.

    Premetto che da sempre nutro una forte connessione con il Giappone, quando ho letto il titolo di questo romanzo, evidentemente, sono subito stata estremamente incuriosita.
    Conosco diverse leggende giapponesi, apprese durante i diversi viaggi che ho fatto tra Tokyo, Osaka, e Kyoto. Devo poi anche ammettere che mia figlia colleziona “manga” e “anime” e ha tutti gli animēshon di Hayao Miyazaki, che sono anche i miei favoriti.
    La leggenda della Kitsune no yomeiri (Volpe a nove code) è conosciuta anche fuori dal Giappone; alla Kitsune si attribuisce grande furbizia e intelligenza, nonché la facoltà di prendere sembianze umane per ingannare le persone (in sostanza ella è una mutaforma).
    Il romanzo di Marcolongo richiama spunti da un’antica leggenda scritta dal monaco Kyoukai tra il VIII / IX secolo, ma l’autore vi inserisce altri particolari con abilità ed un forte suspense, impronta tipica del suo stile.
    Nel bel racconto, ritroviamo un parallelismo tra un’intensa storia d’amore risalente al 1999 tra Klaus e Amanda e quella del 2009/2010 tra Pietro ed Elisa. Mentre le introspezioni di Pietro, a volte, ci distolgono dalla trama facendoci però comprendere ancora meglio il carattere del protagonista….

    prosegue

    Parole che mi riempiono di gioia e soddisfazione.

    Grazie Claudine

    Mentre scrivevo questo Elena di non solo campagna ha pubblicato su Amazon questo commento su Amanda, in un certo senso lìideale continuazione di La kitsune.

    Chi dice che gli elfi non esistono? Finché ci saranno i boschi anche le loro creature fantastiche continueranno a esistere. Questa è una bella storia fantastica che fa da sfondo a una delicata e lunga storia d’amore tra i protagonisti, che va oltre la lontananza e la morte. Amanda è il frutto di questo amore, metà elfa e metà umana, che alla fine riuscirà a far pace con le sue due nature e a riunire la sua famiglia estesa.

    Due graditissime sorprese.

    Grazie Elena.

    Parliamo di …

    Di norma no pubblico qualcosa relativo all’attualità ma questa volte faccio un’eccezione.

    WHO Officially Names Novel Coronavirus 'Covid-19', No More ...

    Parliamo di … è l’argomento del giorno e ci credo 😀 !

    Però non voglio parlare di come difenderci, cosa fare, chi è l’untore. Tutti argomenti che lascio al chiacchiericcio di esperti o presunti tali, di guru che scoprono l’acqua calda.

    Preferisco soffermarmi su alcune considerazioni e proporre qualche riflessione.

    Innanzitutto parliamo di Cina, immenso paese popolato da 1 miliardo e mezzo di persone e grande quanto l’Europa.

    Se leggiamo i dati relativi al coronavirus c’è da rimanere strabiliati. Poco più di 80.000 persone hanno contratto il virus. Questo numero rapportato alla popolazione totale è zero, zero zero… Beh! Diciamo che è insignificante. Se consideriamo la città di Wuhan, paesone di quasi sette milioni di persone non è che il rapporto sia molto significativo. Facciamo anche la tara per difetto la considerazione non cambia. Come sono riusciti in questo miracolo i cinesi? Molto semplice hanno messo in quarantena tutta la provincia di Hubei e in particolare il suo capoluogo, Wuhan. Nessuno poteva entrare o uscire. In questo modo hanno evitato che la Cina diventasse un immenso lazzaretto.

    Se analizziamo i nostri numeri, c’è da rimanere sbigottiti. Un numero infinitamente minore di popolazione rischia di mettere in ginocchio tutta l’Italia. Evidentemente qualcosa non ha funzionato nel contenere l’epidemia. Vuol dire che l’area a rischio non è stata sigillata a dovere, presumo, o in modo tardivo. Poi qualcuno suggerisce che il virus circolava da tempo. Può darsi ma credo cambi poco. Non siamo stati colti di sorpresa visto che in Cina c’era da oltre un mese. Quindi dovevamo sapere come agire per evitare la sua diffusione.

    Infine riflettiamo sulle regole per contenere la diffusione del virus. Il famoso decalogo è un insieme di punti che tutti, indipendentemente dal momento, dovrebbero attuare. Lo dice il buon senso e una corretta pratica dell’igiene personale.

    Le nuove regole sono inefficaci perché anziché consigliare le persone a restarsene per qualche settimana a casa si consente di visitare mostre – è ridicolo il discorso del contingentamento degli ingressi -, di fare viaggi in Italia e all’estero, dove siamo presi per appestati. A proposito di entrate contingentate o di distanza minima di un metro, chi controlla? Devo girare col metro e prendere a pedate il mio prossimo che si avvicina a novanta centimetri? Cerchiamo di essere seri.

    Visto che i morti sono tutti, o quasi, over 65 anni, li si vuole obbligare a stare tappati in casa, come se questa fosse una fortezza dove il virus non arriva. Si dimentica che il 25% della popolazione supera questa soglia e che molti vivono da soli oppure non dispongono di una stanza e bagno personale. Ergo si dovrebbe attivare un servizio di assistenza che non esiste o sistemarli in strutture protette inesistenti. Per contro tutti i giovani possono infettarsi come vogliono. Tanto loro sono forti e robusti. Hai la febbre? Resta a casa! Tanto i tuoi familiari sono vaccinati!

    E qui mi fermo.

    Un reblog da leggere

    Seguo da tempo questa blogger, leggendo i suoi post sempre misurati ed equilibrati. Parla di sanità e di ospedali con un tono che ho sempre apprezzato. Mai un urlo ma sempre un discorso dai toni  bassi ma dei contenuti apprezzabili.

    Questa volta parla dell’emergenza attuale che monopolizza tutto dai giornali alle tv, dalle persone ai social.

    Non è mio costume parlare di attualità, al massimo nelle risposte a qualche post. Però credo che questo sia da leggere con attenzione e rifletterci seriamente.

    Chi volesse leggerlo lo può fare qui.

    Buona lettura.

    Sono grave? Storia semiseria di un lettore.

    copertina di carta
    Un giallo Puzzone

    Lunedì leggevo questo post del blogger Luca Rota e ho sorriso perché mi sono visto nello specchio.

    Con il suo consueto stile graffiante chiede consiglio a chi lo legge su una grave forma di librite – neologismo coniato per descrivere questa malattia non invalidante ma costosa, assai diffusa tra i lettori forti. Non ho mai capito la distinzione tra i lettori. Un lettore è un lettore sia che legga un solo libro in un anno sia che ne legga almeno dodici. Fine del pistolotto.

    Lui si lamenta di aver acquistato tre nuovi libri che si aggiungono ai duecento cinquanta in attesa di lettura.

    Ho sorriso perché proprio poco prima di leggere il pezzo ho acquistato un nuovo ebook che si aggiunge agli altri quattro ordinati nelle settimane precedenti.

    Si dà il caso che tra carta e digitale ne ho circa quattrocento che disseminati per la casa, nel Sony e nel Fire sono lì pronti per essere letti. Non rischiano l’oblio ma aspettano pazienti il loro turno.

    Non è un eufemismo parlare di disseminati per la casa.

    Quando quattordici anni fa ho traslocato, ho venduto circa settecento dei mille volumi che avevo. Motivo: mancanza di spazio nella nuova casa. Poi libro nuovo si aggiunge a libro nuovo e in breve tempo anche i nuovi spazi si sono saturati. Quindi i libri sono finiti per terra, dentro credenze svuotate del loro contenuto per la disperazione di mia moglie che mi ha minacciato più volte di portarli al rogo. Poi mi sono detto: compro gli ebook e ho risolto il problema spazio. Una risata vi seppellirà. Perché?

    Come una formichina ho messo in piedi tra carta e digitale oltre mille e duecento libri, di cui quattrocento sono in attesa di lettura.

    Col ritmo attuale potrei avere scorte per poco meno di dieci anni ma dubito che nel frattempo non compri più nulla.

    Qualche settimana fa rovistando tra i libri ricoperti di polvere e ammonticchiati pericolosamente in un angolo ho trovato un racconto di Calvino. Mi sono detto: «Lo metto in cima, perché quando ho finito la lettura attuale, lo leggo».

    Detto e fatto ma il racconto non è più in cima ma sepolto da altri libri comprati nel frattempo.

    Rovistando nel Sony, quello degli epub, ho trovato un giallo Cielo nero di Arnaldur Indriason che l’ho messo in lettura. Ovviamente è stato soppiantato dal giallo di Elena Andreotti. Insomma pascolando nella carta e nel digitale vorrei leggerli ma ce ne è sempre uno nuovo che diventa prioritario.

    Sono grave?