Nuovo frammento (1)

Agnese era stremata ed infreddolita quando riemerse dal sonno agitato e pieno di incubi sgradevoli e di sogni piacevoli.
Apri gli occhi impastati dal lungo dormire mentre pensava se il sole era già sorto o stava sorgendo, poiché dalle imposte filtrava una timida luce che sciabolava lungo le pareti.
Sperava che fosse una bella giornata perché le avrebbe consentito di fare un lungo giro in bicicletta col vento fresco in faccia; ne avvertiva la necessità dopo il lungo giorno precedente trascorso tra tensione e ansie su quello che le avrebbe riservato il futuro.
Si sentiva stanca e depressa dopo la lunga contesa con Giulio, ma adesso era timorosa di udire al telefono la voce di Marco, che le rendeva noto la sua indisponibilità.
Riascoltava con la mente la telefonata del giorno precedente, quando l’intuito femminile le suggeriva la speranza che lui avrebbe mantenuto la promessa. In misura analoga la paura, che fosse stata ingannata dall’intuizione, aleggiava pesante nei pensieri e non la voleva abbandonare.
Queste riflessioni discordanti avrebbero potuto avere diversi effetti su di lei tanto che avrebbe dovuto stare attenta, perché da un lato incoraggiavano un comportamento compulsivo e dall’altro le emozioni acquistavano tanto impeto che era difficile non cedere ad urgenze ed a impulsi improvvisi che col tempo avrebbero potuto rivelarsi negativi, se avesse cercato di razionalizzare i sentimenti.
Dunque era preferibile alzarsi e pensare ad altro piuttosto che rimanere nel letto a rimuginare timori e delusioni, speranze e pensieri opachi.
Lo stomaco a digiuno da un giorno reclamava qualcosa per saziare la propria fame.
Il sole illuminava il giardino di sbieco, allungando sul prato e sul muro sottili ombre quasi fossero modelle in sfilata sulla passerella. Giorno dopo giorno si sarebbe levato sempre più in alto sull’orizzonte fino a quando a maggio lo avrebbe inondato di piena luce.
Respirò rumorosamente mentre stiracchiava le braccia davanti alla finestra aperta e pensava: “Mi devo sbrigare se voglio essere di ritorno per mezzogiorno”.
Era sua intenzione andare in città per qualche acquisto rimandato più volte, ma che ora era diventato urgente come la voglia di incontrare Marco.
Lasciata la finestra aperta, si precipitò in cucina a prepararsi un caffè nero e bollente, che l’avrebbe svegliata completamente e poi via di corsa in bicicletta.

E frammento sia

Laura e Marco, stanchi ma appagati da quel rapporto un po’ sofferto inizialmente e poi decollato nella giusta misura, erano vicini abbracciati teneramente, mentre le loro menti vagavano leggere per il piacere ricevuto.
Lei percepiva che qualcosa lentamente stava cambiando dentro e  che avrebbe voluto continuare il discorso sulle fobie nei confronti del proprio corpo per completare l’opera. Però aveva inopinatamente invitato Sofia, ed adesso ne era pentita, perché il discorso si sarebbe interrotto diventando monco e frammentario col rischio di perdere dei pezzi importanti o di ricominciare dall’inizio.
I pensieri turbinavano nella testa di Laura, come una tempesta di neve con i fiocchi che volavano da tutte le parti senza un disegno preciso, mentre ammirava Marco, che oltre ad un fisico eccezionale aveva una sensibilità ed un intuito fuori del comune. Come avrebbe desiderato che il tempo avesse retrocesso le lancette di sette mesi, così dubitava che sarebbe riuscita a trasformare il suo ADDIO in ARRIVEDERCI trasformando questo lasso temporale in semplice parentesi, spiacevole e temporanea da chiudere tra i ricordi da dimenticare.
“Io lo amo ed lui mi ama, ma i nostri mondi sono differenti” diceva sconsolata Laura, accostata a Marco, mentre faceva scivolare le mani cautamente fino all’inguine alla ricerca delle parti intime. Percepì un calore denso e sensuale salire da dentro, da sotto verso la testa, mentre le mani di Marco accarezzavano con dolcezza la schiena ed il collo. Sentì montare irrefrenabile il desiderio di ricevere nuovamente piacere, quando guardò l’orologio appeso al muro ed esclamò: “Accidenti! Perché ho invitata Sofia?”.
Proseguì, affermando irritata e indispettita che il suo arrivo fra dieci minuti avrebbe rovinato l’atmosfera magica che s’era creata nella stanza. Non c’era alcun dubbio che era ormai davanti al portone pronta a suonare il campanello, perché come un orologio svizzero non sgarrava un secondo.
“Marco, ho ancora voglia di te! Non vorrei vestirmi, ma lo dobbiamo fare” concluse amaramente e rassegnata a rimandare a dopo quello che desiderava con tutte le sue forze in quel momento.
Marco l’afferrò in silenzio con delicata decisione e la sdraiò sul letto, e mentre la sua lingua cercava la sua con passione, sussurrò dolcemente: “Se non siamo pronti, aspetterà!” e continuò a tenere premuto il corpo su di lei, che si abbandonò senza resistenza alla ricerca della passione.
Udirono un campanello in lontananza. Riluttanti si alzarono per aprire l’ospite indesiderato, si guardarono e risero, mentre si tenevano per mano.
“Sofia!” disse Laura allegra “non sono pronta. Conosci la strada. Mettiti comoda in salotto. Arriviamo subito”.
Andarono velocemente in bagno e poi nella stanza a rivestirsi, mentre Sofia si accomodava sul divano.
La ragazza aveva capito subito dal tono della voce e dalle parole di Laura che li aveva sorpresi nella loro intimità come il falco che vista una coppia di tortore in amore si getta su di loro sparigliandole.
La fantasia si accese come un film a luce rossa proiettando amplessi e gemiti, piacere e passione in un turbinio di immagini. Era sul divano tutta infoiata nelle fantasie di sesso e di desiderio, quando entrò Marco, che gli sembrò più un mitico guerriero antico da amare senza ritegno o pudore piuttosto che l’amico che non rivedeva da troppo tempo.
“Sofia, che piacere rivederti! Sei un vero spettacolo, lasciati ammirare!” disse galante e premuroso per stemperare il broncio della ragazza “e non fare quella faccia da offesa! Hai aspettato qualche secondo!”. E sorridente la salutava con un bacio pieno di passione sulle labbra.
Sofia, nera come la pece per l’attesa ma in calore per le fantasie erotiche, che la voce di Laura aveva scatenato, stava per dire qualcosa di piccante ed imbarazzante, quando quel bacio improvviso ed inaspettato le fece cambiare repentinamente umore. L’abbracciò e lo ricambiò, anzi andò molto oltre, insinuando la lingua tra le labbra a cercare quella di Marco, che rispose con uguale ardore.
Erano ancora abbracciati con le loro bocche unite, quando Laura fece il suo ingresso e li vide.
Un moto di stizza passò sul viso, che da sorridente diventò scuro ed imbronciato come un cielo che preannunciava tempesta.
“Avete finito?” disse con voce stizzita ed aspra “Sono arrivata! Sofia, …”.
Marco, staccatosi  prontamente, l’abbracciò con passione non lasciandole terminare la frase nella speranza di porre riparo alla situazione equivoca nel quale si erano venuti a trovare.
Sofia, rossa in viso per l’eccitazione, guardò Laura con gli occhi che chiedevano perdono, mentre disse con tono di scusa: “Volevo dare il bentornato a Marco! Ma credo di aver ecceduto ..” e tornò a sedersi sul divano indispettita ed irritata per essere stata colta mentre si stringeva con troppa foga a Marco.
“Non sarai gelosa di Sofia?” replicò Marco trascinando Laura maldisposta accanto a Sofia.
Si sentiva in dovere di spiegare quelle effusioni troppo manifeste, ben sapendo che c’era poco da chiarire.
Era ben conscio che, se non lo faceva, rischiava di peggiorare la situazione, se parlava, rischiava di accrescere i malumori delle due amiche, e comunque da qualunque lato si osservava il contesto correva il rischio di gettare nuova benzina sul fuoco della gelosia di Laura e dell’irritazione di Sofia.
Marco si trovava in una posizione delicata ed imbarazzante sia nei confronti di Laura, che si sentiva profondamente ingannata dopo le ore di intimità e di gioia, delle quale non si era ancora spento l’eco, sia di Sofia che gli addebitava un bacio troppo passionale e galeotto che l’aveva eccitata oltre ogni misura.
L’atmosfera da gioiosa era diventata pesante come una cappa di smog.

Altro frammento e basta

Erano le quindici e trenta quando Marco suonò il campanello con lo stesso tremore di quando il primo giorno di scuola a sei anni aveva varcato il portone della scuola elementare Montessori sul bastione delle mura cittadine.
Pensava alla reazione quando l’avrebbe rivista, mentre un rumore di passi si avvicinava al portone d’ingresso insieme all’ansia che montava dentro di lui.
“Riuscirò a trattenere l’emozione? Io l’amo ancora come il primo giorno” diceva a se stesso per rincuorarsi e darsi un contegno dignitoso. Agnese per il momento era ancora una conoscenza lontana, quasi una scommessa al buio senza nessuna certezza che potesse sostituire Laura nel cuore.
Aveva portato nel borsone la busta bianca con fotografie e lettere, ma non era sicuro che le avrebbe mostrate, e mentre la mente stava divagando libera nella prateria dei pensieri, la vide.
Tornò indietro di cinque anni, lasciò cadere a terra quanto teneva i mano e l’afferrò tra le braccia stringendola al petto quasi sollevandola da terra.
Le loro labbra si cercarono con passione tra gli sguardi divertiti dei passanti: sembrava che non dovessero staccarsi più per effetto della supercolla Attack spalmata sulle labbra. Lei era in punta di piedi, lui la faceva dondolare in qua e in là come una foglia sul ramo.
Era una fresca giornata di marzo soleggiata e ventilata, ma non era caldo a sufficienza per giustificare un vestito leggero  più adatto all’ assolato luglio: Laura indossava l’abito rosso ritrovato in soffitta. Una signora commentò ad alta voce: “Ah, l’amore cosa fa fare!” ed un’altra sorridente “I giovani hanno i bollenti spiriti!”.
A lei sembrava non sentire il freddo abbracciata a Marco, che trasmetteva tutto il calore dell’amore che provava.
Raccolse la borsa abbandonata sul marciapiede e stringendo Laura a sé entrò nella casa. Il portone si chiuse silenzioso alle loro spalle.
Nessuno dei due si aspettava una simile reazione da parte dell’altro: quel interminabile bacio aveva fatto palpitare i loro cuori e lievitare le loro azioni, tanto che i sette mesi di distacco parevano solo una piccola parentesi provvisoria durato un battito di ciglia.
Si sistemarono comodamente tenendosi per mano come se avessero paura di perdersi di nuovo.
“Mi sei mancato.” diceva la ragazza guardandolo fisso negli occhi “Mi sei mancato terribilmente tanto. Erano sette mesi che aspettavo questo momento, di rivederti, di parlarti, di assaporare le tue labbra. L’occasione è venuta. Grazie”.
Marco la fissava incredulo per via di quel vestito che appariva magico per averlo stregato una seconda volta. Taceva e osservava, non aveva altre parole per esprimere i pensieri  che confusi si ammassavano all’ingresso della mente. La folla delle parole si accalcava sulle labbra che rimanevano chiuse e silenziose.
Calmato il tumulto che la vista di Laura aveva provocato, cominciò a parlare. Era venuto perché il sentimento che provava per lei avevano avuto il sopravvento sulla parte razionale che avrebbe consigliato di rispondere “Grazie, ma non posso venire”. E si domandava ancora turbato dalla vista di Laura, se fosse stata una mossa giusta quella di precipitarsi da lei, se avrebbe trovato la forza di restare fedele alle convinzioni che lo volevano lontano da Milano e da lei.
Era seduto con gli occhi che divoravano la figura adagiata di fianco a lui, mentre l’ammirava come se stesse osservando la primavera del Botticelli.
Laura, intuendo i pensieri di Marco, si  alzò dalla poltrona e mise in mostra tutta la sua bellezza.
Marco era confuso ed indeciso tra sentimenti di amore e razionalità della mente, doveva decidere in fretta per non ingannare se stesso e Laura una seconda volta.
“Sei davvero splendida,” disse mentre la contemplava senza staccare un attimo lo sguardo “Lo sei sempre stata. Vieni qui vicino a me e raccontami tutto” e attese che lei parlasse, mentre si rannicchiava sicura fra le braccia protettive di Marco.
“Marco,“ iniziò Laura, “non so da dove dare inizio a quello che vorrei dirti. Mi ero preparata una scaletta di argomenti, ma ora sono confusa e frastornata. I pensieri si accavallano tra loro senza un ordine preciso come se riempissi alla rinfusa una borsa coi miei vestiti”.
Si fermò come per riprendere fiato dopo una lunga corsa e proseguì un discorso senza capo né coda passando da un argomento all’altro per la concitazione del momento. Non riusciva a resistere dal posare in continuazione lo sguardo su di lui, sulle sue mani, sul suo viso. Aggiunse che erano sette mesi che non si sentiva sicura di se e delle sue azioni come in questi istanti. Il tumulto interno, che aveva nascosto dentro di se, stava scemando con lentezza lasciando il posto ad una calma interiore che assomigliava alla natura dopo che si era placata la tempesta.
E concluse: “Capisci quello che voglio trasmetterti?”.
Marco baciò con dolcezza le labbra appena socchiuse ansiose di afferrare il sapore di lui, mentre le mani accarezzavano con leggerezza i capelli rossi appena mossi. Sentiva un profumo di donna, che lo inebriava, non un’essenza artificiale, ma qualcosa di vero e genuino. Era lo stesso odore che aveva fatto scattare cinque anni fa la molla dell’innamoramento. Adesso era diverso, capiva che sarebbe stato tremendamente difficile rinunciarvi per sempre, perché l’affetto non si era affievolito, ma era maturato e decantato con la lontananza.
Quel bacio aveva fatto venire i brividi a Laura, che aspettava da lui una risposta, che tardava ad arrivare.
Marco con lentezza scandendo le parole soppesò il pensiero che altrimenti sarebbe uscito prepotente senza freni dalla bocca: “Mi vuoi dire che mi ami ancora, anche se io ti ho detto addio?”.
Anche lui si sentiva confuso ed incerto, specialmente dopo averla ammirata con quel vestito rosso, che gli ricordava il 20 maggio di cinque anni prima. Poiché entrambi erano turbati ed insicuri per il tumulto interiore e l’emozione, che aveva reso poco lucidi i loro pensieri, Marco suggerì di stare in silenzio, mentre l’ansia si sarebbe placata lentamente e il cuore avrebbe ripreso i battiti regolari.
Si guardarono in silenzio, poi lei si rifugiò sul petto di Marco, mentre lui l’abbracciava con vigore. I rumori si dissolsero nell’aria, i respiri si chetarono pacatamente, mentre il trambusto interno si trasformava in placida quiete.
Laura sentendosi protetta dalle braccia e dal calore di Marco si appisolò serenamente, mentre lui continuava a riflettere sui motivi per i quali era venuto a Milano mentre non aveva avuto il coraggio e la forza di rifiutare con cortesia l’invito.
“Tutto diventa difficile ora.” pensava mentre teneva fra le braccia la ragazza addormentata “Tutto si complica. L’amore verso di lei si è risvegliato come un vulcano dormiente e non riesco più a tenerlo a bada. Quel vestito mi aveva fatto impazzire cinque anni fa e la magia si è ripetuta oggi quando l’ho vista. Io non posso tornare a Milano perché sento la città matrigna ed estranea alla visione che ho della vita. Lei non potrebbe vivere a F….., perché ha necessità di incontrare persone nuove, di girare il mondo, di vivere le novità, di sentire l’adrenalina salire nelle vene come la frenesia di questa città”.
Dopo un’ora Laura aprì gli occhi sgranandoli come se fosse stupita di essere lì fra le braccia di Marco a dormire placidamente.
“Ho dormito,” disse soavemente ed aggiunse che aveva dormito come non le era capitato da tanto tempo. Aveva ragione, quando diceva che un po’ di silenzio avrebbe rimesso a posto le idee.
Si stiracchiò come una gatta dopo essere stata al caldo sul calorifero, mentre si alzava in piedi, sbadigliando.
“Ti preparo un tè e poi parliamo”. Avevano molti argomenti da raccontarsi dall’ultima volta, ma lei doveva aprire l’anima con lui, perché solo Marco conosceva la soluzione del problema.

Felice anno nuovo!

“Finalmente il 2007 è finito! Oggi inizia il 2008. Felice anno nuovo! E’ tempo di pensare alla soluzione dei problemi che il vecchio anno mi ha lasciato e cosa desidero fare nel 2008. Secondo le migliori tradizioni oggi che inizia il nuovo anno si fanno mille propositi da realizzare nel corso del 2008. Vediamo i cinque che secondo me sono i più importanti ed urgenti: a) perdere peso; b) pagare i debiti; c) risparmiare; d) essere al top della forma psicofisica; e) ? Quale potrebbe essere il quinto proposito da soddisfare nel corso dell’anno. Se ho preso la decisione di risparmiare del denaro nel corso dell’anno, potrei cominciare a fare economia sulle spese dell’assicurazione, cercando soluzioni più economiche per quella dell’auto e sugli infortuni.”

Anna aveva appena finito di scrivere questo sul diario nella pagina riservata al primo giorno dell’anno nuovo, quando si appoggiò allo schienale per riordinare tutte le idee, che erano molto confuse e disseminate tra la sua mente e il diario appoggiato sulle gambe.
L’anno appena trascorso era stato come si dice “horribilis” e di questo ne era consapevole.
Era diventata un’apprendista bulimica, mettendo qualche chilo di troppo sui fianchi e nell’addome. Qualche bello spirito le aveva detto che finalmente aveva le “maniglie di Venere”, ma questo non la metteva di buon umore, anzi la innervosiva come non mai.
“Perché?” si diceva affranta ed indispettita “Perché; aveva cominciato ad abbuffarsi come una porcellina all’ingrasso? Ora dovrò penare per smaltire tutti quei chili come non era successo nemmeno con la nascita di Matteo”.
Lo sapeva benissimo il motivo, ma voleva ingannare se stessa con questa pietosa bugia. I dissapori e la rottura con Marco, la depressione conseguente con qualche problema finanziario era questo il quadro che era stato dipinto dal destino in questo anno orribile, da dimenticare.
Ora doveva ritrovare quella serenità che le era tanto mancata, mentre doveva ritrovare la forma fisica, riducendo cibo e facendo più moto.
Matteo di moto ne faceva fare moltissimo ad Anna, ma non era quello giusto e poi la bulimia era troppo forte per pensare di smaltire la ciccia. Da domani, anzi da oggi stesso si era impegnata a fare una camminata di un’ora a passo svelto tutti i giorni senza se e senza ma con pioggia, neve, vento o sole.
Però il punto dolente era il denaro, che la tormentava come mille punture di spillo sulla schiena. Aveva accumulato troppi debiti senza opporre resistenza, anzi quasi a punirsi della nascita di Matteo, della rottura con Marco, della ciccia accumulata.
Aveva speso per dimenticare le delusioni di una vita fatta di sacrifici senza soddisfazioni e piaceri apparenti al di sopra delle sue possibilità. Ora doveva meditare su quelle spese che anziché donare piacere erano state presto dimenticate ed ignorate nella sua esistenza che andava a rotoli giorno dopo giorno.
Doveva tagliare i rami secchi, risparmiare per pagare i debiti, ma soprattutto per accumulare una piccola scorta per affrontare il domani con minore ansia.
Doveva vincere l’ansia che ogni giorno le toglieva il respiro, quando alla mattina si alzava dal letto dopo la notte agitata e sofferta.
Doveva crescere ed accudire un bambino nato in quell’anno orribile senza l’aiuto di nessuno, da sola. Ci doveva riuscire per dimostrare che lei era forte di carattere e di fisico anche senza l’aiuto di Marco.
Non doveva fare mancare nulla a Matteo, anche se non navigava nell’oro.
Anna si riscosse dai suoi pensieri e si domandava come avrebbe potuto tagliare le spese.
Nelle prossime settimane scadevano due polizze: quell’auto e quella sulla vita. “Ecco” si disse ad alta voce “Ecco da dove comincerò a risparmiare. Alcune compagnie fanno della pubblicità per polizze on line promettendo sconti faraonici. Andrò sui loro siti e mi farò fare dei preventivi”.

“Felice anno nuovo!” si disse da sola Anna sicura che il peggio fosse passato.

I sogni si avverano?

Matteo passò la domenica tra mugugni e recriminazioni per essere stato troppo impulsivo il giorno precedente.
Frammenti di immagini e brandelli di conversazioni scorrevano ora lenti ora veloci sulle pareti di casa, mentre lui cercava di riunire i pezzi che riflettevano il suo stato d’animo.
Aveva acquistato da poco una porzione di una villetta quadrifamigliare a Rubano in una zona di recente lottizzazione poco distante dal centro del paese, dove fino a pochi anni prima c’erano vigne e campi di erba medica. La casa non era molto ampia su due livelli, ma andava benissimo per lui ancora single. Su due lati aveva una piccola striscia di verde, dove ora prosperavano solo erbacce.
“Quando mai avrò tempo di sistemarlo” diceva a chi gli faceva notare lo stato di abbandono del giardino “Dal lunedì al venerdì sono in giro per l’Italia. Durante il fine settimana vorrei rilassarmi senza rompermi la schiena per curare il verde”. Aveva pensato di rivolgersi a qualcuno in paese per sistemarlo, ma rimandava di settimana in settimana, mentre il tempo scorreva inesorabile senza prendere la nessuna decisione.
Il sottotetto avrebbe potuto col tempo ospitare un piccolo studio, ma adesso era ingombro di scatoloni semivuoti, un paio di PC dismessi con molta polvere. L’aveva trovato allo stato grezzo e così era rimasto anche se ora era pentito di non averlo sistemato subito. Nel lavoro era molto meticoloso senza lasciare nulla al caso, ma nelle faccende private era irresoluto e cincischiava in mille attività che cominciava senza portare a termine nulla. Così aveva preso la decisione di utilizzare la cameretta al piano superiore come studio attrezzando una parete con scaffalature e ripiani e un tavolo da lavoro.
L’arredo della casa non era scadente, ma rifletteva la sua personalità appena abbozzata e dispersiva. Si notava molto la mancanza di un tocco femminile, mq per questo sperava di aggiungerlo presto.
Il computer era acceso, ma era abbandonato perché Matteo stava pensando ancora al giorno precedente.
Aveva fantasticato a lungo prima dell’incontro su una vacanza romantica con Micaela in giro per l’Italia, loro due soli con la sua auto perché lei non amava o non sapeva guidare.
“Quale sarebbe stata la prima destinazione?” si chiedeva rapito nell’immaginare eventi distorti della realtà e apri Google Earth per assaporare meglio il viaggio irreale volando con gli occhi del web.
“Vediamo un po’. Verso ovest o nord o sud? Verona o Mantova? Oppure Cortina, Bolzano, le montagne incantate delle Dolomiti? Ferrara, Ravenna o Firenze?” non riusciva a decidere quale direzione voleva prendere.
Però quella sarebbe stata solo una prima tappa di un tour attraverso l’Italia, che amava ed aveva imparato a conoscere attraverso il suo lavoro.
Il giro comprendeva anche le isole dell’arcipelago toscano o forse no, perché quelle le avrebbe voluto visitare su una barca a vela di sicuro non nel mese di Agosto.
Avrebbe desiderato scendere verso Roma attraverso la Toscana e l’Umbria per restare diversi giorni lì, mentre assaporava il fascino di quei ruderi e chiese che aveva imparato ad amare durante le lunghe camminate in attesa della cena serale.
Ora però era deluso da Micaela, dalla persona amata che non rispondeva alle sue aspettative, che peraltro non erano realistiche. L’effetto dell’innamoramento era di farlo fantasticare, cosa piacevole e innocua se lui si manteneva nei limiti della realtà, ma purtroppo aveva ecceduto senza tener conto delle possibili reazioni. Aveva vissuto in sogno un senso raffinato della bellezza che ricercava in tutto ciò che lo circondava. Tuttavia non era stato molto pratico e sarebbe stato meglio rimandare a un altro momento tutte le questioni che richiedevano un giudizio sicuro nelle relazioni interpersonali, ma ormai la frittata era stata fatta.
Matteo era un sognatore incallito per effetto della timidezza innata e della paura ad esternare i propri sentimenti. Spesso durante i lunghi viaggi sognava situazioni impossibili a realizzarsi dove lui era concupito dall’amore segreto di turno. La ragazza, di cui si era innamorato senza che lei lo sospettasse minimamente, lo blandiva, lo circuiva, mentre lui glaciale ed algido si faceva pregare per accettare il corteggiamento.
Era intelligente, colto e raffinato qualità che esprimeva con naturalezza, sapeva parlare con criterio e proprietà, misurato ed attento, ma spesso rovinava tutto con uscite infelici che ferivano l’interlocutore.
Anche ieri non aveva percepito che Micaela era concentrata solo ed unicamente sugli esami che doveva sostenere mentre non c’era posto per altre divagazioni personali. Però lui non ascoltava ed era infastidito dal quel chiacchiericcio su qualcosa che non lo interessava. Per questo motivo aveva esternato quella proposta inopportuna sia per il tono di voce sia nel modo di esporla che aveva troncato bruscamente il loro rapporto.
Ora si stava domandando come avrebbe potuto riallacciare il discorso interrotto perché non riusciva a trovare una leva da usare per toccare la sensibilità di Micaela.
“E’ tutto compromesso oppure posso ancora sperare?” si chiedeva ansioso quando una breve melodia gli annunciava l’arrivo di un SMS.
Era Laura, che lo invitava ad unirsi a lei per visitare la mostra sull’arte orafa nel Salone. Lei faceva di tutto per farsi notare, ma lui non era molto propenso ad intavolare una relazione perché la riteneva troppo aggressiva e poco dolce.

“Non è la donna che cerco” si diceva sempre
“Cosa faccio?” si domandò smarrito finché decise di accettare l’invito e di trovarsi in Piazza delle Erbe fra mezz’ora.

(Cap. 4 del racconto “L’incontro”)

Nel paese dei palloncini

 

I veri viaggiatori
partono per partire
e basta:
cuori lievi,
simili a palloncini
che solo il caso
muove
eternamente,
dicono:
“Andiamo”,
e non sanno
perché
i loro desideri
hanno le forme
delle nuvole

 Charles Baudelaire

Ogni bambino sogna di essere nel paese dei palloncini, che colorati e variegati vengono riempiti d’aria e vengono legati con un cordino bianco.
Simone è uno di questi a naso in su ad osservare quello che gli è sfuggito di mano e che vola libero e leggero verso il cielo azzurro.
Dal nonno aveva sentito parlare di un mitico paese dal nome strano, che ora non ricorda più, dove si fabbricano i palloncini colorati come quello che ora dondolante è lassù inafferrabile, mentre lui non osa chiedere a Miriam, la mamma, di comprarne un altro.
Il racconto si era snodato lieve mentre la sua curiosità gli faceva porre sempre nuove domande.
“Nonno,” diceva “dove si trova questo paese dei balocchi?”
“No, Simone” replicava paziente il nonno “non è il paese dei balocchi. Lì, li fabbricano, perché un giorno la mamma possa comprartene uno”.
E Simone a bocca aperta e gli occhi spalancati ascoltava il racconto.
“Il palloncino di gomma rossa a forma di papera, trasparente è gonfio di aria ed è leggero come una nuvola in cielo. La tua papera segue il vento con lentezza, muovendosi dondolante in qua e in là. Sembra assente, ma lo vedi lì sopra la tua testa. Si gonfia col fiato del nonno, ma non teme il vento. E’ il ventre di Eolo”.
Una breve pausa per prendere fiato e riprendeva. “Sai chi è Eolo?”
“Si,” rispose senza pensarci troppo, perché nella sua innocenza non poteva porsi troppe domande “è uno dei sette nani!”
“No, Simone. E’ un signore che sta ovunque dove soffia il vento”.
Simone aggrottò la fronte perché non capiva. Secondo lui era uno dei sette nani della fiaba Biancaneve.
Il nonno sorrideva anche se il nipote rimaneva perplesso.
“Dunque, nonno, dove si trova questo meraviglioso paese?” concluse Simone.
Lui si alzò dalla sedia ed armeggiò nel cassetto della sua scrivania.
Gli occhi del bambino seguivano incuriositi le mani del nonno, che depose sul tavolo qualcosa di giallo piegato e ripiegato più volte, un po’ sgualcito, un po’ consunto nelle pieghe.
“Simone” iniziò a dire il vecchio “questa è l’Italia”.
“L’Italia?” domandò stupito “Ma non è quella vecchietta che ci vende i lupini?”
“No, no!” disse ridendo il nonno “Questa carta ingiallita descrive il paese dove viviamo”.
“Ma non mi sembra che servano tutti questi fogli per mostrare F…. E’ tanto piccolo il nostro paese”.
Allora il nonno cercò di spiegargli che non era il piccolo paese in cui vivevano, ma la nazione di appartenenza. Però alla fine finse di accettare il punto di vista del piccolo, mentre cercava Casalvieri, il paese dei palloncini.
“Ecco, è qui, il paese che cerchiamo” indicando un minuscolo puntino tra pianura e montagna.
Simone rimase a bocca aperta per lo stupore che un puntino contenesse tutti i palloncini colorati del mondo.
Ora Simone ripensa allo strano racconto del nonno, ma non saprebbe dire se si trova a nord o a sud di F…., oppure a destra o a sinistra, perché lui non conosce ancora i quattro punti cardinali.
Ricorda però bene la filastrocca che il nonno aveva recitato
Dove andranno
a finire i palloncini
quando sfuggono
di mano
ai bambini,
dove andranno,
vanno a spasso
per l’azzurrità..
 
Renato Rascel

“Dove andrà” di domanda impacciato e confuso “il palloncino colorato che mi è sfuggito di mano? Andrà là dove diceva il nonno nella sua filastrocca?”
Simone è sempre a naso in su a seguire quel minuscolo puntino che si perde nell’azzurro del cielo.

L'incontro

Era una calda serata di fine maggio quando Micaela scese a Padova dal locale delle 18 e 30 proveniente da Venezia. Era accaldata e sudata, mentre nelle narici conservava la sensazione di sporco e di sudore che l’aveva accompagnata per tutto il viaggio interminabile per le soste in ogni stazione. Quel treno era sempre affollato di lavoratori e studenti che tornavano a casa la sera ed era sempre più lercio ed in ritardo. Doveva smettere di prenderlo, perché un senso di vomito l’accompagnava anche dopo l’arrivo.
“Ancora pochi mesi e poi basta fare la pendolare” diceva tra sé mentre scendeva nel sottopasso per recuperare la bicicletta. Le mancavano pochi esami e poi la tesi liberatoria.
Micaela frequentava con ottime votazioni l’università; di Venezia per prendere la laurea in architettura.
Era sua intenzione dopo un tirocinio presso uno studio di architetti, già individuato, di mettersi in proprio, di essere indipendente nella creatività e nella professione. Sarebbe stata dura, ma gli stimoli non mancavano. La famiglia modesta e senza grandi risorse finanziarie l’aveva assecondata con grandi sacrifici. Di questo era ben conscia e non aspettava altro che smarcarsi economicamente da loro per ripagarli delle rinunce.
Spinse la bicicletta verso via Jacopo Avanzi per andare all’Alì Market dell’Arcella vicina al Santuario di Sant’Antonio, non nella Basilica del Santo più nota e famosa, ma il convento dove il Santo era vissuto ed era morto durante il trasporto da Camposanpiero. Questo complesso imponente e vario era quasi sconosciuto ai turisti, che frequentavano solo la grande Basilica vicino a Prato della Valle.
Aveva fretta perché era ormai era orario di chiusura e doveva assolutamente comprare la crema per il viso, che le sarebbe servita la mattina dopo.
Si aggirava inquieta ed agitata tra gli scaffali alla ricerca di quello che le serviva, quando si scontrò con un giovane che teneva un cestello pieno di merce. Un attimo e il contenuto rotolò per terra col botto di un pinot grigio, che bagnò la corsia.
“Porca miseria!” esclamò il giovane con voce rabbiosa “Guarda dove metti i piedi! Non sei sola qua dentro per correre come una pazza!” Lo scoppio d’ira e il viso contratto da una smorfia di rabbia fecero girare gli astanti, mentre udivano la voce alzarsi di tono.
Micaela restò impietrita senza proferire una parola, tanto che avrebbe potuto dire a sua discolpa se non qualche scusa.
Era rossa in viso, mentre la testa si riempiva di mille pensieri che stentavano a prendere forma. Lo sguardo era fisso sul giovane, che dopo lo scoppio d’ira si stava ricomponendo, mentre raccoglieva da terra quello che non era andato rotto o rovinato.
“Scusa le parole irose proferite” disse con tono conciliante mentre l’ira andava sbollendo, “Non volevo offenderti. Mi chiamo Matteo” e tese la mano verso Micaela.
“Sono io a dovermi scusare per la goffagine nel cercare la crema” replicò accettando quel gesto di conciliazione “Micaela”.
Lei si chinò per aiutare l’uomo a raccogliere e riporre nel cestino le ultime cose, mentre lo osservò con attenzione.
Non era molto alto, ma il corpo era muscoloso senza eccessi. I capelli erano scuri dal taglio moderno né lunghi né corti. Sul viso regolare spiccavano due occhi color nocciola e una corta barba ben curata.
“E’; un bel ragazzo” pensò mentre gli sfiorava una mano percependo un brivido nel corpo.
Anche Matteo osservava con cura Micaela, della quale notò i capelli rosso ramato e gli occhi verdi da gatta. Era alta nella norma anche se la corporatura minuta la faceva sembrare più longilinea di quello che era in realtà. Non era appariscente con quel seno piccolo da adolescente nascosto dalla camicetta. I capelli, rossi, erano belli e mossi quel tanto da conferire al viso chiaro e leggermente lentigginoso una grande luminosità.
Non riusciva a staccare lo sguardo da lei pentendosi di essere stato sgarbato ed iroso.
Si aiutarono a vicenda per completare gli acquisti prima di avviarsi alle casse.
Lo screzio di pochi minuti fa era ormai relegato tra i ricordi remoti mentre chiacchieravano con calma di loro e delle loro attività attuali.
Usciti dal supermercato restarono ancora a parlare, perché tra loro stava nascendo una reciproca simpatia.
Micaela era alla ricerca di un uomo che la trattasse da pari a pari, per quello che faceva e desiderava ottenere dalla vita, quindi percepiva che Matteo poteva essere una possibile persona.
Prima di salutarsi, lei senza sollecitazioni disse sorridente e maliziosa: “Scambiamoci i numeri di telefono, così possiamo incontrarci una seconda volta”.
Matteo rimasto sorpreso piacevolmente replicò con immediatezza: “Perché; solo una seconda volta?”
Anche lui era single e alla ricerca di una ragazza dal carattere dolce e romantico, perché mal sopportava le donne aggressive ed autoritarie. Aveva sempre avuto difficoltà di approccio con le ragazze, perché era introverso e un po’ timido, a volte rinunciatario, sempre pronto a chiudersi a riccio su se stesso.
Dopo essersi salutati lui l’osservò, mentre Micaela si allontanava in bicicletta. Si chiese se quella poteva essere la donna che cercava e non aveva trovato finora.
Scosse la testa e si infilò nella macchina per raggiungere Rubano, dove abitava.

Titolo da definire- frammento #3

“Silvia, “ cominciò la madre tra titubanze e tentennamenti “capisco che ormai sei una donna ed io non sono stata in questi anni quello che si dice una madre priva di pecche. Però non posso fare a meno di disapprovare il rapporto che hai con l’insegnante di recitazione, quella regista ormai matura con cui ti vedi e ti senti”.
Si fermò osservando attentamente la figlia in piedi dinnanzi a lei senza distogliere lo sguardo.
Silvia diventò rossa per l’ira che stava montando dentro di lei e aprì la bocca per urlarle in faccia tutto il malumore che aveva covato in questi anni, ma non uscì alcun suono.
Sembrava incapace di parlare, di connettere i molti pensieri che frullavano liberi nella mente, ma un’improvvisa afasia le impediva di pronunciare qualsiasi lettera.
“Siediti e calmati” proseguì la madre, mentre le faceva posto sul divano.
Elisa parlò con pacatezza e a tono basso mentre Silvia calmava a poco a poco il tumulto interno che le aveva impedito di proferire parola.
Discussero a lungo del rapporto con Laura, degli errori che Elisa aveva commesso con le figlie, dei rapporti tesi con Riccardo con un confronto serrato ed aspro allo stesso tempo.
Silvia difese con ostinazione la scelta di evitare gli uomini che identificava tutti col padre, un traditore. Continuava a non interpretare perché la madre non voleva accettare la sua opinione di escludere gli uomini dai suoi pensieri.
Lei era confusa nell’esposizione e nei pensieri che nascevano all’interno, non riusciva a svolgere logicamente le idee, che si ammassavano caoticamente come uno stormo di uccelli impauriti dagli spari dei cacciatori.
Elisa senza fretta e con pacatezza smontava tutte le teorie, le argomentazioni, i pensieri, perché le affermazioni era prive di solidità, sconnesse e piene di luoghi comuni.
Avrebbe avuto vita facile a convincerla nel lungo termine, se Silvia avesse proseguito sul cammino intrapreso, ed aspettava sorniona.
Non aveva fatto i conti con la tenacia e l’ostinazione della figlia, che riusciva a rendere razionali i propri pensieri tramite le risposte di Elisa, come quei software che affinano i propri modelli attraverso le tecniche di intelligenza artificiale.
Silvia si sentiva rinfrancata e sempre più lucida nei pensieri, mentre riannodava i fili della mente.
“Mamma, “ disse ergendosi davanti a lei “siamo qui da diverso tempo e nessuna dellle due è riuscita a convincere l’altra. Non capisco perché dopo anni di silenzio e di disinteresse ora vuoi convincermi che il mio rapporto con Laura è sbagliato. Inoltre hai coinvolto anche Riccardo, che non vedo e non sento da oltre quattro anni. Ormai sono una donna e la mia sessualità la decido io”.
Poi si allontanò senza salutare per rinchiudersi nella sua stanza. Per sbollire l’ira della lunga discussione mise le cuffiette dell’IPOD per ascoltare i Coldplay. Mentre la musica invadeva col suono martellante la sua mente, lei si sentiva come un uccello prigioniero che poteva osservare solo quella vista offerta dalla gabbia.
Elisa rimase per un po’ seduta percependo che era fallita prima come moglie poi come madre. Il suo rapportarsi con le altre persone era quello di porsi al centro dell’attenzione mentre faceva affidamento su un potere che forse era solo nella sua immaginazione.
Pensava di diventare archeologa e girare il mondo, ma era diventata schedatrice di ruderi, reperti fatiscenti e qualche crosta sfuggita alle ruberie. Un momento di scorramento l’assalì, mentre stava pagando il prezzo della tensione accumulata in tutti questi anni. Era svuotata di tutto dai pensieri alle forze, mentre pensava al ruolo a cui era stata condannata senza che lei potesse opporsi.
Si alzò lentamente con gli occhi pieni di tristezza per andare, ma non lo sapeva nemmeno lei.

Aprì la porta e sparì.

Silvia che si aspettava che la madre la raggiungesse nella sua stanza per dire qualcosa udì la porta chiudersi e poi il silenzio che calava nella casa.
Tolse le cuffiette e andò nella sala, dove trovò appoggiato sul divano il telefono di Elisa che pulsava per una chiamata in arrivo e un paio di SMS in attesa di essere letti. Corse alla dependance nella speranza vana di trovarla immersa nei suoi pensieri, ma anche lì regnava buio e silenzio.
Si accasciò disperata mentre le lacrime bagnavano il suo viso. Ora sapeva che non l’avrebbe più rivista.
(tratto da “Titolo da definire – racconto a due mani” – cap. 18)

Claire e il Big One

Erano le nove di mattino del 15 settembre 2037, quando Claire seduta sulla sedia a dondolo del nonno faceva colazione sotto il pergolato prospiciente l’ingresso.
Il cielo era di un blu intenso, come spesso capitava in questo periodo, senza una nuvola, mentre l’aria era pulita e trasparente senza un filo di umidità, frizzante e tiepida.
Claire udiva l’incessante martellare del picchio acorn, che splendido con la sua uniforme nel folto del querceto lavorava il tronco col becco. Non lo vedeva, nascosto com’era dall’imponente chioma della quercia, ma lo sentiva picchiettare con regolarità il tronco.
Nella radura di fronte a lei due scoiattoli rossi si affannavano a raccogliere le ghiande cadute dai rami per trasportarle nella loro tana nascosta ed impenetrabile ai suoi occhi. Era la quercia dove molti anni prima suo padre aveva sepolto il nonno, che assisteva sereno alla raccolta delle ghiande.
Erano passati trent’anni da quando Claire aveva ereditato i venticinquemila acri di territorio intorno e la fattoria, che ora la ospitava. Aveva ricevuto molte offerte per vendere tutto e sarebbe diventata ricca, molto ricca, ma aveva sempre rifiutato, perché diceva che il danaro non fanno la felicità e li poteva assaporare la felicità.
Si era sposata dopo pochi mesi con John, da cui aveva avuto Andrea, una donna ora, non bellissima, ma dal carattere forte come il suo e quello del nonno, che non aveva mai conosciuto. Claire scelse quel nome in omaggio al nonno Andy, anche se John non era d’accordo, come poi capitava spesso su tanti altri argomenti. Il matrimonio andò a strappi per un paio d’anni, poi lei divorziò, perché mal sopportava quel marito ipocrita e senza afflato. Si risposò altre due volte, poi verso la soglia dei cinquanta decise che era meglio restare sola che circondarsi di uomini che miravano solo ai suoi danari ed a quella enorme estensione che valeva una fortuna.
Portò fin da piccola Andrea nella fattoria del nonno, insegnandole l’amore verso la natura e il rispetto dell’ambiente. La bambina crebbe con la visione di quel territorio selvaggio e libero negli occhi, giurando che come la madre l’avrebbe conservato così come lo vedeva ora.
Claire si rifugiava lì da sola, quando Andrea era dal padre, oppure con la figlia, finché non diventò adulta. Poi decise di trasferirsi definitivamente nella fattoria, quando cessò di lavorare, apportando alcune modifiche alla casa. Fece costruire un ricovero per i cavalli con annesso il piccolo corral, dove sostavano uno stallone bianco, due giumente pezzate e un paio di puledri, ed un piccolo forno a legna, che utilizzava per cuocere il pane, i dolci e le focacce dolci.
Claire amava gli animali ed in particolare i cavalli, che lasciava liberi di correre nei suoi possedimenti. Il genitore dello stallone bianco, che fiero dominava il branco, era stato comprato ad un’asta militare sottraendolo a diventare carne per hamburger. Era un magnifico esemplare pezzato bianco e rosso dal garrese alto e slanciato, che portò subito alla fattoria lasciandolo libero di andare dove voleva. Però lui tutte le sere ritornava nel recinto sempre aperto, dove trascorreva la notte. Acquistò poi un paio di giumente per tenergli compagnia e nacque dopo un anno lo stallone bianco. Era il suo cavallo, che accorreva ogni volta che Claire lo richiamava, lasciandosi cavalcare solo da lei. Andrea invece cavalcava la giumenta dal mantello baio, che una volta era stata una campionessa di trotto. Allo stato brado c’erano i numerosi figli dello stallone roano e delle prime giumente, a cui si aggiungevano quelli che stavano nel corral.
Quella mattina di settembre si era alzata presto a preparare una focaccina con l’uva del vigneto posto alle spalle della fattoria. Erano già maturati i grappoli dorati per il gran caldo e la lunga estate siccitosa ed erano il cibo preferito dei numerosi uccelli che popolavano i boschi intorno alla casa. Faticava a salvare qualche chicco, ma lei era felice nel vedere il gran movimento che facevano nel vigneto.
Dunque la sera prima era riuscita a staccare un bel grappolo dorato e dolcissimo, che aveva impiegato nel preparare la focaccia e poi aveva messo a cuocere nel forno, facendo molta attenzione che non cadesse qualche brace nell’erba secca. Aveva sempre il terrore che il prato prendesse fuoco e con esso anche la fattoria.
Mentre l’impasto si cuoceva e si dorava nel forno, Claire preparò la solita cuccuma di caffè nero e denso, che versò nella tazza. Non amava bere il caffè freddo, ma lo desiderava bollente e scottante da sorseggiare con calma.
Era lì sulla sedia a dondolo del nonno, che ormai era un pezzo di antiquariato come il mobilio povero e spartano che adornava la casa, e osservava il movimento degli scoiattoli, ascoltava il martellare del picchio, intento a costruirsi un nuovo nido, mentre lo stallone bianco restava tranquillo nel recinto, lanciando alcuni nitriti di richiamo per i fratelli che stavano liberi nelle radure più basse.
Claire aveva letto che i sismologhi dell’università di San Francisco prevedevano che il Big One si sarebbe svegliato in questi anni e si era ripromessa che, se doveva morire per mano della terra che tremante avrebbe aperto le sue fauci, il momento sarebbe arrivato lì tra quelle mura e in questo posto, che amava più della sua vita.
Era lì dondolante con la sinistra che stringeva quel che rimaneva della focaccia e nella destra la tazza con un leggero strato di caffè, quando percepì che di lì a poco sarebbe avvenuto l’irreparabile.
L’aria si era fermata, immota e silenziosa, il picchio aveva smesso di lavorare, gli scoiattoli si erano rintanati nel folto del bosco, mentre lo stallone bianco lanciò un lungo nitrito e guardò Claire, implorandola di salire in groppa. Poi lanciato l’ultimo sguardo si avviò seguito dalle giumente e dai puledri verso l’erba alta, sparendo ben presto dalla vista.
Lei rimase lì ad aspettare la visita del Big One, che prepotente saliva dalle viscere profonde della faglia di Sant’Andrea. Tutto cominciò a ruotare, a sussultare, a muoversi sempre più freneticamente.
Poi scese il silenzio, mentre Claire si addormentava per sempre cullata dal dondolo del nonno.

Andare a vivere in un romanzo inedito

Andare a vivere in un romanzo inedito aveva i suoi vantaggi. Tutte le noiose banalità quotidiane che sbrighiamo nella vita reale intralciano lo scorrere della narrazione e quindi sono in genere evitate. L’automobile non aveva bisogno di fare il pieno, al telefono non si sbagliava mai numero, c’era sempre acqua calda a sufficienza e c’erano solo due tipi di aspirapolvere quello verticale e quello che ci si trascina dietro. C’erano altre differenze più sottili. Per esempio, non ti dovevano mai ripetere una frase perché non l’avevi capita bene, non c’erano due persone con lo stesso nome, non si parlava mai contemporaneamente né si aveva il fastidio di avere una parola sulla punta della lingua. Soprattutto, sapevi sempre chi era il cattivo. Ma c’erano anche alcuni svantaggi. Una carenza di colazioni…”

Paolo stava leggendo queste poche frasi dal libro “Il pozzo delle trame perdute” di Jasper Fforde, è ricordò gli appunti, scritti alcuni prima quando aveva grandi velleità di scrittore. Però evidentemente l’ispirazione era mancata, poiché il racconto finiva con dei puntini di sospensione oppure era troppo scarso per aspirare a diventare come Calvino e la sua trilogia “I nostri antenati”.
“In effetti non era molto” disse ridendo mentre riponeva in una cartellina rossa quel pezzo di carta. In effetti assomigliava più ad un incipit che l’inizio di un racconto, ma in un qualche modo quelle poche righe scritte tanti anni fa e del tutto simili a quelle lette lo affascinavano.
“Mi piacerebbe vivere in un romanzo inedito, ” concluse soddisfatto “perché diventerei famoso. Tutti mi saluterebbero scappellandosi davanti a me”.
Chiuse gli occhi, mentre la fantasia lo prese con delicatezza per porlo in un romanzo inedito “Non passava giorno” di Marcolongo, talmente inedito che non aveva trovato neppure uno straccio di editore disponibile a pubblicarlo.
Il primo dubbio che gli venne in mente era del tipo “Ma i personaggi mi accetteranno o mi cacciano fuori a pedate?”, poi si domandò se la trama gli sarebbe piaciuta e via altri mille dubbi.
Forse sarebbe stato meglio ritornare nel mondo dei reali e studiare meglio la partenza per il mondo del romanzo inedito.
Così Paolo dolcemente atterrò nuovamente nella sua stanza, incerto se sentirsi felice del rientro o amareggiato per la mancata esperienza.
Mentre era alla ricerca del manoscritto in cui voleva andare a vivere, s’imbattè in un libro fresco di stampa “Vento Rosso” di Argenio.
“E se io andassi a vivere lì?” si domandò trepidante e smanioso di vivere questa nuova avventura.
Cominciò a leggerlo con avidità, dimenticando il progetto iniziale che lo voleva in altro romanzo, che però aveva il difetto di non averlo sfogliato.
Pensava che in poche ore sarebbe arrivato alla fine, ma si accorse che lo divorava molto più lentamente di quanto aveva pensato.
Era bello ed avvincente, ma richiedeva molta concentrazione per non perdere dialoghi e sensazioni, per comprendere la psicologia dei personaggi, per assaporare i passaggi e le emozioni.
Era un po’ stanco ed affamato, ma ora doveva concentrarsi su questo romanzo e la sua trama, perché doveva valutare la possibilità di andare a vivere lì.
Provò a pensare come avrebbe potuto soggiornare in quel contesto e sentì un lungo brivido lungo la schiena. Qualcosa gli sussurrava che forse non si sarebbe trovato bene tra fughe, vivere precario e stress da ansia, poche presenze femminili incerte.
“Si, il romanzo è bello, pieno di sentimenti ed emozioni, ma è troppo serio per me” rifletteva deponendo il libro sulla scrivania “e forse mi conviene ripiegare su qualcosa di meno drammatico. Andiamo alla ricerca del manoscritto ‘Non passava giorno’ e cominciamo a leggerlo”.
D’altra parte Vento Rosso non era più inedito e quindi non poteva soddisfare la condizione di un libro non ancora pubblicato.
Prima domanda che si pose era “dove poteva scovare un romanzo inedito, che non essendo pubblicato non si trovava in circolazione?”
“Bella stupidata ho fatto!” disse mentre rovistava su Internet con tutti i motori che conosceva alla ricerca di questo benedetto romanzo “Almeno avrei dovuto essere più cauto”.
Google alzò bandiera bianca dopo un paio di tentativi male assortiti, estraendo dal suo cilindro una caterva di Marcolongo, ma nessuno di costoro era quello buono o almeno a prima vista sembrava così.
Passò su Yahoo con risultati ancora più deludenti, perché sembrava la fotocopia conforme di Google. E così anche per gli altri motori di ricerca: tanti Marcolongo, ma nessuno era quello buono.
“Proviamo col titolo, tanto non credo che ce ne siano altri in circolazione” disse sosddisfatto mentre si apprestava al nuovo giro di ricerca.
E riprese ad esplorare il web, come un bravo investigatore. Mentre i motori ruggivano macinando le informazioni, Paolo si chiese dove aveva scoperto questo racconto tanto inedito quanto sconosciuto anche a Google, perché gli eravenuto il dubbio di avere preso una solenne cantonata.
Poi come per incanto sbucò fuori dalle pagine di Google che il racconto esisteva veramente e non era una finzione letteraria.
Si appoggiò allo schienale soddisfatto come un gatto che ha appena mangiato il classico topolino e pensò: “Bene, il racconto esiste ed è scaricabile da internet. Mi basta leggerlo e poi…” e la fantasia cominciò a volare lontano dentro il racconto inedito.
Aveva già dimenticato il proposito di leggerlo prima di andarci a vivere