Dal diario di uno scrittore

Mercoledì 28 febbraio 1973

Mi diede la mano dandomi una pacca sulla spalla.

“Hello, Mr. Longo!” e cominciò a parlare velocemente in inglese.

Lo guardai sbigottito. Non riuscivo a tenergli dietro tra lo slang americano e la velocità con la quale sparava frasi a raffica. La mia scarsa tenuta linguistica mi aveva mandato in tilt. «Game over» diceva la mia mente in overdose anglofona.

“Can you speak slow? I don’t understand that you say” dissi nel mio inglese elementare e scolastico, che faceva uno strano effetto anche a me stesso.

“Of course!” rispose ridendo.

«Ridi, Ridi! Ma non ci capisco un acca!» riflettei, mentre passavamo sotto gli occhi inorriditi del maître, che storceva il naso vedendo i nostri abbigliamenti.

Io ero vestito come un montanaro con pantaloni di fustagno marrone, delle orribili pedule ai piedi e un montgomery verde pisello ma lui non era meno eccentrico.

A ripensarci bene adesso mi viene da ridere e da inorridire allo stesso tempo, pensando cosa indossavo per entrare in un tempio dell’eleganza e dei buongustai. Però ero da scusare, perché, quando ricevetti il telegramma dal mio agente letterario, mi trovavo in uno sperduto paesino del Vorarlberg austriaco tra il Bodensee e Bolgenach per una full immersion della lingua tedesca con altre dieci persone. A dire il vero eravamo in uno sperduto casolare sulle rive del lago artificiale, immerso nella foresta con cumuli di neve alti fino alla finestra del primo piano.

«Milano 20 febbraio 1973 – Presentati martedì 27 alle ore 12 a Vienna in Kärntner Straße 51 – Gerstner Beletage im Palais Todesco. Ho fissato un incontro con Robert Altman per discutere della sceneggiatura del tuo manoscritto Non passava giorno. Roberto» era il testo del telegramma che aveva rischiato di giungere in ritardo.

Il romanzo non era ancora uscito, ricordo bene, ma il mio agente lo aveva piazzato a Hollywood. Mi sono sempre domandato come fosse riuscito nell’impresa di passarlo sottobanco a Robert Altman, al quale era piaciuto e ne aveva acquistato i diritti cinematografici. In effetti era un quesito del tutto inutile, perché nessuno era in grado di darmi una risposta convincente.

L’aspetto buffo era che il dattiloscritto era in italiano, quando lo affidai al mio agente ma quel diavolo di Roberto l’aveva fatto tradurre a mia insaputa e l’aveva trasmesso in America. Un giorno mi dovrà spiegare quale artificio ha usato per farlo leggere a questo famoso regista e produttore.

Da una corrispondenza con Anna, la sua segretaria, sembra che l’assistente del regista, dalla quale passavano tutti i testi per eventuali film, fosse una vecchia fiamma giovanile dell’agente. Sarà vero, mi sono chiesto più volte. Mi dissero che era un’italiana trapiantata in America da molti anni, che lo lesse nella versione originale. Sembrerebbe che lei avesse insistito moltissimo per la sua traduzione. Ma tutto questo restava avvolto nel mistero a parte il fatto concreto che effettivamente era finito tra le mani di Altman.

Come i reali avvenimenti si fossero svolti e quando fosse avvenuto il passaggio del plico cartaceo, non lo seppi mai con precisione, perché nessuno ebbe la bontà di dirmelo. Ricordo solo che firmai un contratto, scritto fitto fitto in inglese, nelle crocette che lui aveva segnato, prima di partire per il Vorarlberg senza pormi troppe domande al riguardo. In realtà non ne avevo di tempo, perché dopo due ore avevo il treno per Innsbruck e questo non avrebbe aspettato che io gli chiedessi cosa stavo firmando.

Altman si vantò quel giorno a Vienna di avere acquistato i diritti per una manciata di lenticchie secche. E tuttora gli credo visto che non ho visto un centesimo di dollaro di royalties. Solo il mio nome, piccolo piccolo, nei titoli di coda alla voce screenplay sotto quello in grande di Robert Altman.

Mi sono sempre domandato perché si fosse scomodato facendo un lungo viaggio da Los Angeles per incontrarmi. Ma forse voleva vedermi di persona o chissà per qualche altro misterioso motivo. Comunque lo vidi e gli parlai per un’intera giornata.

Il telegramma non arrivò il 20 o il 21 come capita di norma nel mondo civilizzato ma solamente lunedì 26, perché le strade erano impraticabili per la neve. Finii nel panico. Dovevo organizzare un viaggio che sapeva dell’avventuroso visto che l’area era sepolta sotto una coltre nevosa, caduta incessantemente da diversi giorni. In questa zona austriaca o non nevicava per niente oppure ne veniva troppa. In quel anno si verificò proprio la seconda sfortunata evenienza. In qualche modo dovevo raggiungere Innsbruck e da lì arrivare fino a Vienna, se volevo incontrare il famoso regista.

L’aspetto più indisponente della questione fu che non avevo un abbigliamento adatto al ristorante più in e vecchio di Vienna, come scoprì a posteriori. Quando partì prima di Natale per questa località sperduta tra i monti e i boschi del lembo più occidentale dell’Austria, mi avevano consigliato di portare solo abbigliamento adatto a un montanaro, perché il mondo civilizzato non distava molto in termini chilometrici ma era lontanissimo come realtà. Era un posto isolato, immerso nel bosco, perché nessuno delle dieci persone potesse usare la lingua italiana. Contatti zero col mondo, a parte il telefono quando funzionava. La posta arrivava se le strade lo consentivano. I giornali solo alla domenica sempre che le condizioni climatiche lo permettessero. Una vita da reclusi, sopratutto nel periodo invernale. E noi eravamo lì proprio in inverno.

Se non nevicava, la casa era a una mezz’ora di strada in macchina o un paio d’ore a piedi dal paese più vicino. Ma se la neve fioccava, serviva una slitta trainata dai cavalli, se questa non era troppo alta, e qualche ora di viaggio al caldo di una comoda coperta di lana grezza. Una slitta a motore era un lusso ed ecologicamente inquinante.

Dunque avevo meno di ventiquattro ore per arrivare a Vienna in orario per l’incontro. Con cuore in gola riuscì nell’impresa e mi presentai vestito in quel modo all’appuntamento. Neppure Altman indossava qualcosa all’altezza del ristorante. Un capello bianco a larga tesa, un paio di pantaloni senza piega dal colore indefinito, un giubbotto di antilope chiaro e una camicia verde sbottonata. Era accompagnato dall’assistente Susie, un’italo-americana, che traduceva a mio uso e consumo in uno strano e buffo italiano annacquato da termini americani quello che Altman diceva. Era quella che secondo informazioni di seconda mano ricevute aveva letto per prima il mio romanzo e aveva caldeggiato la sua traduzione. Avrà avuto circa dieci anni più di me e non era certamente il tipo di donna dei miei sogni.

Il regista aveva quasi cinquant’anni ma li portava bene. Alto, brizzolato con una barbetta alla Buffalo Bill ingrigita. Senza gli occhiali l’avrei scambiato per il mitico Kit Carson, il pard dell’altrettanto famoso Tex Willer.

Aveva vent’anni più di me e francamente non sapevo nemmeno che esistesse, salvo un recondito ricordo di un film che aveva sbancato Cannes qualche anno prima. Si chiamava M*A*S*H, ma frequentavo poco le sale cinematografiche e quindi era solo un vaghissimo cenno sperso tra altri cumuli di informazioni. Non avevo avuto tempo di documentarmi su di lui, perché allora non esisteva Google e nemmeno il personal computer ma solo quegli enormi scatoloni immersi nel gelo che venivamo chiamati calcolatori del tutto inadatti per estrarre delle notizie. In realtà al termine di quei sei mesi da recluso avrei raggiunto Monaco di Baviera per programmare quegli enormi armadi pieni di schede e luci. Ma non è di questo che vorrei parlarvi ma di quel pranzo memorabile.

Dunque entrammo noi tre che assomigliavamo più a spaventapasseri che eleganti ospiti del ristorante. Ci avevano riservato un tavolo d’angolo da dove si poteva dominare l’imponente sala coi soffitti decorati a stucchi, il lampadario di Murano al centro del secondo salone e le imponenti finestre arabescate da candide tende. Consegnato il montgomery all’inserviente rimasi con un maglione grigio e rosso da dove spuntava un’orribile camicia di flanella pesante a quadri rossi e blu.

Mi guardai intorno e mi vergognai come un ladro, colto con le mani nel sacco. Signore eleganti con abiti firmati accompagnati da uomini in giacca e cravatta dal taglio sartoriale. Avrei voluto sotterrarmi ma non potevo.

Nel salone si udiva un sommesso brusio, solo noi tenevamo il tono della voce alto, tanto che qualcuno cominciò a guardarci male. Il pranzo cominciò con qualche prelibatezza e un calice di vino bianco, mentre i camerieri impeccabili nelle loro divise bianche si muovevano con discrezione e in silenzio.

Mangiammo e chiacchierammo a lungo con Susie che faceva da interprete tra noi. Dopo qualche approccio maldestro col mio inglese piuttosto rudimentale riposi le velleità linguistiche e ripiegai sulla donna.

Discutemmo a lungo su alcune parti del romanzo che io avrei voluto includere ma che lui fu categorico nell’escluderle. Avevamo punti di vista differenti ma era il normale gioco delle parti. Io, come autore, cercavo di spiegare il mio punto di vista espresso con le parole della protagonista, Laura, ma lui mi disse che quella parte sarebbe stata solo un preambolo fugace. Era più interessato alla storia di Marco con Agnese, che presentava aspetti più interessanti. Ero disarmato. Il sceneggiatore era lui, io solo l’umile autore.

Ci lasciammo con una vigorosa stretta di mano, dicendomi che questo incontro era stato proficui per le idee che erano sorte e i chiarimenti ricevuti.

“Goodbye, Mr. Longo”.

Non lo sentì più, forse si era pentito dell’acquisto dei diritti. Solo qualche anno dopo scoprì che il film era stato prodotto ma era stato un flop annunciato. Stravolto l’impianto del romanzo, ambientato in una cittadina del Midwest americano con personaggi del tutto dissimili da quelli che avevo ideato, non era decollato.

A dire il vero nemmeno il romanzo che rimase nel mio cassetto non pubblicato ebbe una gran vita. Roberto venne a batter cassa qualche mese dopo ma risposi picche. Lui aveva pescato un po’ di denaro nella vendita dei diritti, mentre io non avevo visto nulla.

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Frammento su Sofia e Matteo

Sofia chiamò Matteo, che impaziente era in attesa, corrucciato ed irritato perché lo stava trattando come un vecchio straccio da buttare nel rusco.
“Ciao” esordì con naturalezza senza avvertire la necessità di giustificare il ritardo e proseguì secca e brusca che l’appuntamento era tra quindici minuti sotto casa, senza dar modo a Matteo di dire una qualsiasi parola.
Matteo, già in fibrillazione per l’attesa prolungata e senza giustificazioni, si innervosì per il comportamento sfacciato e dispotico di Sofia al punto di decidere di mandare all’aria l’incontro. Il pensiero di far saltare il banco lo sfiorò come una meteora impazzita, perché avrebbe anche potuto accettare la telefonata molto oltre l’orario concordato, ma non aveva gradito per nulla l’assenza di una giustificazione di facciata ed il tono sbrigativo e arrogante tenuto durante l’effimera conversazione.
“Se crede che io sia il suo tappetino, si sbaglia in maniera grossolana. Se non fosse stato per Paolo, a quest’ora sarei già nel mio letto a dormire” stava borbottando irato e furibondo.
Era visibilmente seccato perché ultimamente Sofia era diversa da quella conosciuta inizialmente, come se avesse mille grilli che danzavano furiosamente nella testa. Era giunto il momento di chiarirsi perché la relazione stava prendendo una piega per nulla buona.
Sofia intravide tra luci fugaci e precarie ed ombre in chiaroscuro il viso di Matteo irritato ed incavolato mentre stava parcheggiando nelle vicinanze.
Con tono di comando l’obbligò a salire in macchina al termine del parcheggio per andare su direttamente dal box.
Matteo continuava a ribollire come il mosto nel tino dopo la vendemmia, mentre Sofia rifletteva sulla serata appena trascorsa quasi dimentica della sua presenza.
“Non so che cosa mi ha preso stasera. Prima quel bacio appassionato e caldo con Marco, poi quello con Laura”.
Ripensandoci a freddo c’era mancato pochissimo per spogliarsi e fare all’amore con lui. E ridendo, pensò che non c’era molto da togliere, perché sarebbe stata sufficiente alzare la mini e tutti i giochi sarebbero stati fatti.
L’aspetto più inquietante e del tutto inaspettato era stato il bacio con Laura e le relative carezze intime. Era la prima volta che le capitava, ma la sensazione provata era stata fortissima: una vampata di calore aveva avvolto il corpo mentre la mente aveva comandato alla lingua e alle mani di ricambiare le attenzioni.
Il flusso dei pensieri furono interrotti dall’insistente ed impaziente picchiettare di Matteo, che si sentiva sempre più stizzito con lei.
“Pazienza”; esclamò, perché adesso doveva concentrarsi sul compagno per accoglierlo con calore e farsi perdonare il comportamento tenuto fino a quel momento.
Sofia si identificava fortemente con le sue idee e le sue opinioni in questo periodo della sua esistenza ed era facile alla lite; aveva l’impressione che un parere contrario al suo fosse un affronto personale. E questo era venuto a galla più volte nel corso della serata appena conclusa e per riflesso l’aveva riverberato su Matteo senza accorgersene.
Sapeva che non sarebbe stato facile rabbonirlo, perché era stata fino al questo momento prepotente, sfrontata e pochissima disponibile al dialogo. Percepiva di essere stata indisponente oltre misura come se l’altro lato della sua personalità avesse sopraffatto quello che la vedeva innamorata ed affettuosa con lui.
L’aspetto peggiore era la sensazione di turbamento interno, ma anche di eccitamento che la prendeva all’improvviso in modo travolgente ed incontrollato.
Doveva dunque mantenere sotto controllo le emozioni, non in modo repressivo, ma in maniera che le permettesse di avere uno sguardo più equilibrato e realistico sulla vita di relazione.
Lui si sistemò sul sedile mentre l’umore stava peggiorando come una tempesta tropicale in arrivo dal mare, non essendo per nulla disponibile ad ulteriori sgarbi.
I due amanti erano finalmente vicini e la notte prometteva scintille come una barra di ferro che veniva fresata.

Nuovo frammento

Laura cercò di dimenticare sia Marco che Paolo, perché non se la sentiva di cominciare una nuova storia sentimentale dopo l’ultima cocente delusione, che aveva lasciato una ferita profonda e lacerante dentro di lei. Voleva metabolizzare la grande frustrazione che provava, analizzare cosa non aveva funzionato nel rapporto e le motivazioni recondite che avevano fatto sparire dalla sua esistenza Marco.
Adesso non voleva lasciarsi distrarre da altri pensieri e si concentrò sulle offerte ricevute, spedì altri curricula alla ricerca di un posto che fosse in grado di soddisfarla professionalmente oltre che economicamente. Per i problemi di cuore c’era tempo e potevano aspettare nell’anticamera dei sentimenti.
Non aveva fretta nella ricerca di un lavoro perché aveva la fortuna di poter scegliere tra le molte offerte sollecitate oppure no che stavano in bella mostra sul tavolo.
Inoltre non aveva problemi finanziari impellenti, che la obbligassero a selezionare in fretta qualche proposta. Era vero che desiderava affrancarsi economicamente e fisicamente dai genitori, come aveva fatto l’amica Sofia, ma tutto sommato stava bene in famiglia.
Dopo molti colloqui, scartò le proposte meno allettanti riducendo la scelta a tre offerte tutte interessanti e stimolanti. Però prima di prendere una qualsiasi decisione volle concedersi una settimana di ferie in montagna tra il silenzio dei boschi per ritemprare lo spirito e il corpo dopo gli stress subiti. Il clima era ancora invitante e caldo, mentre le giornate erano sufficientemente lunghe. Doveva solo scegliere la località.
Laura amava la montagna con i suoi silenzi, i suoi profumi, i suoi rumori, la trovava rilassante e tonificante per lo spirito.
Fino a diciotto anni aveva dovuto subire il rito del mare seguendo i genitori sulla Riviera ligure come tutti i milanesi doc nel mese di agosto. Come odiava quel mese trascorso sulla spiaggia, non potendo sopportare le grida dei bambini, tutti quei corpi seminudi, spesso orribili a vedersi, tutto quel miscuglio di odori sgradevoli, creme e sudore, la sabbia che s’insinuava maligna ovunque.
A diciotto anni disse ai genitori: “Se mi date la quota che spendete per me al mare, io vado in montagna con Sofia e ci rivediamo a casa”. E da allora trascorse un mese in montagna con l’amica di sempre, esplorando anno dopo anno varie località alpine. Questa tipo di vacanza proseguì anche dopo avere conosciuto Marco, che preferiva invece tornare a F… tra ricordi e sensazioni famigliari. Era un momento di distacco tra loro che serviva a rinsaldare il legame che come una tela di ragno li avvolgeva.
“Potrei andare in Valtellina a Bormio” disse mentre esaminava le diverse possibilità. Era una vallata bellissima con il parco dello Stelvio lì a portata di mano ed era l’occasione giusta per conoscere una zona della Lombardia. E senza prenotare partì.
Il viaggio fu un disastro, un autentico percorso di guerra tra strettoie, lavori in corso e deviazioni, ma alla fine stressata e stanca riuscì a raggiungere Bormio, dove parcheggiò l’auto nella centralissima Via Roma.
Cominciò a girarla a piedi per scegliere l’hotel che le sembrava il migliore ed il più accogliente, mentre pensava: “Settembre non è certamente un periodo del tutto esaurito, quindi mi posso permettere di scegliere quello che più mi aggrada”.
Girò il paese sempre col naso all’insù, osservando con cura alberghi e pensioni, si sentiva rinascere corroborata dall’aria frizzante e dalla tranquillità della cittadina. La stanchezza del viaggio era stata cancellata come una scritta sulla battigia, le tensioni interne si erano stemperate e sciolte come i minuscoli cristalli di brina al sorgere del sole.
Dopo il lungo passeggiare per le vie e le discrete domande a passanti alla fine optò per l’hotel Posta.
L’esterno era moderno, ma all’interno erano stati conservati particolari della vecchia struttura, dove un tempo si sostava negli spostamenti tra le vallate.
La stanza era accogliente ed i servizi eccellenti. “E’ un hotel di prim’ordine” si disse compiaciuta per la scelta effettuata.
Laura trascorse una settimana rigenerante tra passeggiate solitarie nei boschi ed escursioni nei dintorni, favorita da un tempo clemente e soleggiato abbastanza insolito per il mese di settembre. Alla sera frequentava le terme dove trovava tonificante la cascata termale, un’ebbrezza mai provata, ma nel complesso era tutto stimolante e rilassante, permettendole di scaricare lo stress accumulato nelle ultime settimane.
Sembrava rinata, distesa e rinfrancata quando riprese la strada verso Milano: aveva le idee più chiare quale offerta di lavoro avrebbe privilegiato, il ricordo di Marco stava sbiadendo anche se era ancora vivo e presente nel subconscio. La mente non era più quell’alveare impazzito dove i pensieri entravano ed uscivano come le api alla ricerca di pollini e profumi.
Era stata la vacanza giusta per rinascere e scacciare tanti fantasmi che si muovevano silenziosi dentro di lei.
Al rientro contattò le tre aziende che secondo lei erano meritevoli di interesse per l’ultimo e definitivo colloquio.
Scelse una grossa azienda, molto nota sul mercato, con diverse linee di prodotto. Fu assunta come assistente del product manager degli articoli per la montagna. Avrebbe dovuto occuparsi inizialmente della verifica della gestione dei prodotti per rilevare inefficienze e sprechi ed ottimizzare il loro ciclo di vita.
La prima settimana di ottobre avrebbe preso servizio per iniziare una vita diversa da quella vissuta fino ad ora. Le rimanevano ancora alcuni giorni di riposo prima di immergersi in un mondo completamente nuovo da scoprire esattamente come il viandante era alla ricerca della strada che portava a Roma, la mitica via Francigena.
L’ingresso nel mondo del lavoro avvenne per Laura dalla porta principale: aveva un bel ufficio luminoso tutto per lei accanto a quello del diretto superiore, veniva trattata con deferenza come se fosse una persona importante, anche se era l’ultima arrivata.
Laura ricambiò la fiducia riposta su di lei con impegno e professionalità facendosi subito ben volere da tutti per la cordialità, la gentilezza dei modi e il sorriso sempre presente sulle labbra.
Il nuovo lavoro, la concentrazione sulle mansioni ricevute fecero impallidire ulteriormente il ricordo di Marco e dimenticare la delusione subita. Psicologicamente si sentiva meglio, ma la ferita era lungi dal cicatrizzare completamente, perché era sufficiente un piccolo ricordo per farla sanguinare abbondantemente.
Non aveva tempo da dedicare alle attenzioni dei diversi corteggiatori che a turno cercavano di fare breccia nella sua mente. Non si sentiva pronta ad una nuova relazione stabile. Il suo cuore non batteva ancora di battiti accelerati, ma era come un vecchio diesel che si muoveva lentamente.

Nuovo frammento (2)

Paolo aprì gli occhi sentendo le mani intorpidite che faticavano a muoversi agili, mentre erano sorde ai suoi comandi.
“Dove sono?” si chiese turbato, vedendo le luci accese e lo screensaver del computer. Si domandava incerto perché era lì sulla scrivania a dormire anziché nel letto. Non ricordava nulla della notte appena trascorsa o meglio di come l’aveva trascorsa.
Osservava le immagini scorrere, dissolversi, salire e discendere in un caleidoscopio di forme che apparivano e sparivano.
“La notte stellata” gli compariva innanzi agli occhi ancora gonfi di sonno: era il quadro di Van Gogh che gli piaceva di più in assoluto. Gli suscitava inquietudine e commozione vedere quelle pennellate di nero e di blu notte interrotte da macchie di colore giallo, che sembravano muoversi, animarsi sotto la spinta della fantasia.
Ogni volta che compariva si fermava incantato a guardare.
“Cosa ci faccio” diceva a se stesso “di fronte al computer? Perché non sono a letto?”
Aveva dimenticato nel sonno mattutino le inquietudini della sera e della notte, Laura e i tormenti dell’amore.
Come un viandante che dopo aver camminato a lungo tutta la notte rimaneva abbagliato dal sorgere del sole e metteva una mano sopra gli occhi incerti nella luce mattutina per ripararli e per vedere dove posava i passi, così Paolo corrugava la fronte pensando all’essersi addormentato sul tavolo davanti al computer.
Non ricordava quali attività notturne avesse svolto, forse aveva letto la posta o forse no, forse aveva navigato alla ricerca di qualcosa che non rammentava.
Poi lentamente riemerse dalle nebbie del non ricordo mentre uno alla volta gli tornarono alla mente tutti i pensieri che l’avevano accompagnato dal giorno precedente. L’aspetto più difficile, e anche il più importante, era mantenere l’equilibrio tra sogno e realtà. Come altre facce della propria esistenza, anche le espressioni emotive abituali avrebbero potuto cristallizzarsi in una routine tale da eliminare la capacità di assaporare la vita nella sua interezza.
Guardò l’orologio e decise che era giunta l’ora di dare la sveglia a Matteo.

Nuovo frammento (1)

Agnese era stremata ed infreddolita quando riemerse dal sonno agitato e pieno di incubi sgradevoli e di sogni piacevoli.
Apri gli occhi impastati dal lungo dormire mentre pensava se il sole era già sorto o stava sorgendo, poiché dalle imposte filtrava una timida luce che sciabolava lungo le pareti.
Sperava che fosse una bella giornata perché le avrebbe consentito di fare un lungo giro in bicicletta col vento fresco in faccia; ne avvertiva la necessità dopo il lungo giorno precedente trascorso tra tensione e ansie su quello che le avrebbe riservato il futuro.
Si sentiva stanca e depressa dopo la lunga contesa con Giulio, ma adesso era timorosa di udire al telefono la voce di Marco, che le rendeva noto la sua indisponibilità.
Riascoltava con la mente la telefonata del giorno precedente, quando l’intuito femminile le suggeriva la speranza che lui avrebbe mantenuto la promessa. In misura analoga la paura, che fosse stata ingannata dall’intuizione, aleggiava pesante nei pensieri e non la voleva abbandonare.
Queste riflessioni discordanti avrebbero potuto avere diversi effetti su di lei tanto che avrebbe dovuto stare attenta, perché da un lato incoraggiavano un comportamento compulsivo e dall’altro le emozioni acquistavano tanto impeto che era difficile non cedere ad urgenze ed a impulsi improvvisi che col tempo avrebbero potuto rivelarsi negativi, se avesse cercato di razionalizzare i sentimenti.
Dunque era preferibile alzarsi e pensare ad altro piuttosto che rimanere nel letto a rimuginare timori e delusioni, speranze e pensieri opachi.
Lo stomaco a digiuno da un giorno reclamava qualcosa per saziare la propria fame.
Il sole illuminava il giardino di sbieco, allungando sul prato e sul muro sottili ombre quasi fossero modelle in sfilata sulla passerella. Giorno dopo giorno si sarebbe levato sempre più in alto sull’orizzonte fino a quando a maggio lo avrebbe inondato di piena luce.
Respirò rumorosamente mentre stiracchiava le braccia davanti alla finestra aperta e pensava: “Mi devo sbrigare se voglio essere di ritorno per mezzogiorno”.
Era sua intenzione andare in città per qualche acquisto rimandato più volte, ma che ora era diventato urgente come la voglia di incontrare Marco.
Lasciata la finestra aperta, si precipitò in cucina a prepararsi un caffè nero e bollente, che l’avrebbe svegliata completamente e poi via di corsa in bicicletta.

E frammento sia

Laura e Marco, stanchi ma appagati da quel rapporto un po’ sofferto inizialmente e poi decollato nella giusta misura, erano vicini abbracciati teneramente, mentre le loro menti vagavano leggere per il piacere ricevuto.
Lei percepiva che qualcosa lentamente stava cambiando dentro e  che avrebbe voluto continuare il discorso sulle fobie nei confronti del proprio corpo per completare l’opera. Però aveva inopinatamente invitato Sofia, ed adesso ne era pentita, perché il discorso si sarebbe interrotto diventando monco e frammentario col rischio di perdere dei pezzi importanti o di ricominciare dall’inizio.
I pensieri turbinavano nella testa di Laura, come una tempesta di neve con i fiocchi che volavano da tutte le parti senza un disegno preciso, mentre ammirava Marco, che oltre ad un fisico eccezionale aveva una sensibilità ed un intuito fuori del comune. Come avrebbe desiderato che il tempo avesse retrocesso le lancette di sette mesi, così dubitava che sarebbe riuscita a trasformare il suo ADDIO in ARRIVEDERCI trasformando questo lasso temporale in semplice parentesi, spiacevole e temporanea da chiudere tra i ricordi da dimenticare.
“Io lo amo ed lui mi ama, ma i nostri mondi sono differenti” diceva sconsolata Laura, accostata a Marco, mentre faceva scivolare le mani cautamente fino all’inguine alla ricerca delle parti intime. Percepì un calore denso e sensuale salire da dentro, da sotto verso la testa, mentre le mani di Marco accarezzavano con dolcezza la schiena ed il collo. Sentì montare irrefrenabile il desiderio di ricevere nuovamente piacere, quando guardò l’orologio appeso al muro ed esclamò: “Accidenti! Perché ho invitata Sofia?”.
Proseguì, affermando irritata e indispettita che il suo arrivo fra dieci minuti avrebbe rovinato l’atmosfera magica che s’era creata nella stanza. Non c’era alcun dubbio che era ormai davanti al portone pronta a suonare il campanello, perché come un orologio svizzero non sgarrava un secondo.
“Marco, ho ancora voglia di te! Non vorrei vestirmi, ma lo dobbiamo fare” concluse amaramente e rassegnata a rimandare a dopo quello che desiderava con tutte le sue forze in quel momento.
Marco l’afferrò in silenzio con delicata decisione e la sdraiò sul letto, e mentre la sua lingua cercava la sua con passione, sussurrò dolcemente: “Se non siamo pronti, aspetterà!” e continuò a tenere premuto il corpo su di lei, che si abbandonò senza resistenza alla ricerca della passione.
Udirono un campanello in lontananza. Riluttanti si alzarono per aprire l’ospite indesiderato, si guardarono e risero, mentre si tenevano per mano.
“Sofia!” disse Laura allegra “non sono pronta. Conosci la strada. Mettiti comoda in salotto. Arriviamo subito”.
Andarono velocemente in bagno e poi nella stanza a rivestirsi, mentre Sofia si accomodava sul divano.
La ragazza aveva capito subito dal tono della voce e dalle parole di Laura che li aveva sorpresi nella loro intimità come il falco che vista una coppia di tortore in amore si getta su di loro sparigliandole.
La fantasia si accese come un film a luce rossa proiettando amplessi e gemiti, piacere e passione in un turbinio di immagini. Era sul divano tutta infoiata nelle fantasie di sesso e di desiderio, quando entrò Marco, che gli sembrò più un mitico guerriero antico da amare senza ritegno o pudore piuttosto che l’amico che non rivedeva da troppo tempo.
“Sofia, che piacere rivederti! Sei un vero spettacolo, lasciati ammirare!” disse galante e premuroso per stemperare il broncio della ragazza “e non fare quella faccia da offesa! Hai aspettato qualche secondo!”. E sorridente la salutava con un bacio pieno di passione sulle labbra.
Sofia, nera come la pece per l’attesa ma in calore per le fantasie erotiche, che la voce di Laura aveva scatenato, stava per dire qualcosa di piccante ed imbarazzante, quando quel bacio improvviso ed inaspettato le fece cambiare repentinamente umore. L’abbracciò e lo ricambiò, anzi andò molto oltre, insinuando la lingua tra le labbra a cercare quella di Marco, che rispose con uguale ardore.
Erano ancora abbracciati con le loro bocche unite, quando Laura fece il suo ingresso e li vide.
Un moto di stizza passò sul viso, che da sorridente diventò scuro ed imbronciato come un cielo che preannunciava tempesta.
“Avete finito?” disse con voce stizzita ed aspra “Sono arrivata! Sofia, …”.
Marco, staccatosi  prontamente, l’abbracciò con passione non lasciandole terminare la frase nella speranza di porre riparo alla situazione equivoca nel quale si erano venuti a trovare.
Sofia, rossa in viso per l’eccitazione, guardò Laura con gli occhi che chiedevano perdono, mentre disse con tono di scusa: “Volevo dare il bentornato a Marco! Ma credo di aver ecceduto ..” e tornò a sedersi sul divano indispettita ed irritata per essere stata colta mentre si stringeva con troppa foga a Marco.
“Non sarai gelosa di Sofia?” replicò Marco trascinando Laura maldisposta accanto a Sofia.
Si sentiva in dovere di spiegare quelle effusioni troppo manifeste, ben sapendo che c’era poco da chiarire.
Era ben conscio che, se non lo faceva, rischiava di peggiorare la situazione, se parlava, rischiava di accrescere i malumori delle due amiche, e comunque da qualunque lato si osservava il contesto correva il rischio di gettare nuova benzina sul fuoco della gelosia di Laura e dell’irritazione di Sofia.
Marco si trovava in una posizione delicata ed imbarazzante sia nei confronti di Laura, che si sentiva profondamente ingannata dopo le ore di intimità e di gioia, delle quale non si era ancora spento l’eco, sia di Sofia che gli addebitava un bacio troppo passionale e galeotto che l’aveva eccitata oltre ogni misura.
L’atmosfera da gioiosa era diventata pesante come una cappa di smog.

Altro frammento e basta

Erano le quindici e trenta quando Marco suonò il campanello con lo stesso tremore di quando il primo giorno di scuola a sei anni aveva varcato il portone della scuola elementare Montessori sul bastione delle mura cittadine.
Pensava alla reazione quando l’avrebbe rivista, mentre un rumore di passi si avvicinava al portone d’ingresso insieme all’ansia che montava dentro di lui.
“Riuscirò a trattenere l’emozione? Io l’amo ancora come il primo giorno” diceva a se stesso per rincuorarsi e darsi un contegno dignitoso. Agnese per il momento era ancora una conoscenza lontana, quasi una scommessa al buio senza nessuna certezza che potesse sostituire Laura nel cuore.
Aveva portato nel borsone la busta bianca con fotografie e lettere, ma non era sicuro che le avrebbe mostrate, e mentre la mente stava divagando libera nella prateria dei pensieri, la vide.
Tornò indietro di cinque anni, lasciò cadere a terra quanto teneva i mano e l’afferrò tra le braccia stringendola al petto quasi sollevandola da terra.
Le loro labbra si cercarono con passione tra gli sguardi divertiti dei passanti: sembrava che non dovessero staccarsi più per effetto della supercolla Attack spalmata sulle labbra. Lei era in punta di piedi, lui la faceva dondolare in qua e in là come una foglia sul ramo.
Era una fresca giornata di marzo soleggiata e ventilata, ma non era caldo a sufficienza per giustificare un vestito leggero  più adatto all’ assolato luglio: Laura indossava l’abito rosso ritrovato in soffitta. Una signora commentò ad alta voce: “Ah, l’amore cosa fa fare!” ed un’altra sorridente “I giovani hanno i bollenti spiriti!”.
A lei sembrava non sentire il freddo abbracciata a Marco, che trasmetteva tutto il calore dell’amore che provava.
Raccolse la borsa abbandonata sul marciapiede e stringendo Laura a sé entrò nella casa. Il portone si chiuse silenzioso alle loro spalle.
Nessuno dei due si aspettava una simile reazione da parte dell’altro: quel interminabile bacio aveva fatto palpitare i loro cuori e lievitare le loro azioni, tanto che i sette mesi di distacco parevano solo una piccola parentesi provvisoria durato un battito di ciglia.
Si sistemarono comodamente tenendosi per mano come se avessero paura di perdersi di nuovo.
“Mi sei mancato.” diceva la ragazza guardandolo fisso negli occhi “Mi sei mancato terribilmente tanto. Erano sette mesi che aspettavo questo momento, di rivederti, di parlarti, di assaporare le tue labbra. L’occasione è venuta. Grazie”.
Marco la fissava incredulo per via di quel vestito che appariva magico per averlo stregato una seconda volta. Taceva e osservava, non aveva altre parole per esprimere i pensieri  che confusi si ammassavano all’ingresso della mente. La folla delle parole si accalcava sulle labbra che rimanevano chiuse e silenziose.
Calmato il tumulto che la vista di Laura aveva provocato, cominciò a parlare. Era venuto perché il sentimento che provava per lei avevano avuto il sopravvento sulla parte razionale che avrebbe consigliato di rispondere “Grazie, ma non posso venire”. E si domandava ancora turbato dalla vista di Laura, se fosse stata una mossa giusta quella di precipitarsi da lei, se avrebbe trovato la forza di restare fedele alle convinzioni che lo volevano lontano da Milano e da lei.
Era seduto con gli occhi che divoravano la figura adagiata di fianco a lui, mentre l’ammirava come se stesse osservando la primavera del Botticelli.
Laura, intuendo i pensieri di Marco, si  alzò dalla poltrona e mise in mostra tutta la sua bellezza.
Marco era confuso ed indeciso tra sentimenti di amore e razionalità della mente, doveva decidere in fretta per non ingannare se stesso e Laura una seconda volta.
“Sei davvero splendida,” disse mentre la contemplava senza staccare un attimo lo sguardo “Lo sei sempre stata. Vieni qui vicino a me e raccontami tutto” e attese che lei parlasse, mentre si rannicchiava sicura fra le braccia protettive di Marco.
“Marco,“ iniziò Laura, “non so da dove dare inizio a quello che vorrei dirti. Mi ero preparata una scaletta di argomenti, ma ora sono confusa e frastornata. I pensieri si accavallano tra loro senza un ordine preciso come se riempissi alla rinfusa una borsa coi miei vestiti”.
Si fermò come per riprendere fiato dopo una lunga corsa e proseguì un discorso senza capo né coda passando da un argomento all’altro per la concitazione del momento. Non riusciva a resistere dal posare in continuazione lo sguardo su di lui, sulle sue mani, sul suo viso. Aggiunse che erano sette mesi che non si sentiva sicura di se e delle sue azioni come in questi istanti. Il tumulto interno, che aveva nascosto dentro di se, stava scemando con lentezza lasciando il posto ad una calma interiore che assomigliava alla natura dopo che si era placata la tempesta.
E concluse: “Capisci quello che voglio trasmetterti?”.
Marco baciò con dolcezza le labbra appena socchiuse ansiose di afferrare il sapore di lui, mentre le mani accarezzavano con leggerezza i capelli rossi appena mossi. Sentiva un profumo di donna, che lo inebriava, non un’essenza artificiale, ma qualcosa di vero e genuino. Era lo stesso odore che aveva fatto scattare cinque anni fa la molla dell’innamoramento. Adesso era diverso, capiva che sarebbe stato tremendamente difficile rinunciarvi per sempre, perché l’affetto non si era affievolito, ma era maturato e decantato con la lontananza.
Quel bacio aveva fatto venire i brividi a Laura, che aspettava da lui una risposta, che tardava ad arrivare.
Marco con lentezza scandendo le parole soppesò il pensiero che altrimenti sarebbe uscito prepotente senza freni dalla bocca: “Mi vuoi dire che mi ami ancora, anche se io ti ho detto addio?”.
Anche lui si sentiva confuso ed incerto, specialmente dopo averla ammirata con quel vestito rosso, che gli ricordava il 20 maggio di cinque anni prima. Poiché entrambi erano turbati ed insicuri per il tumulto interiore e l’emozione, che aveva reso poco lucidi i loro pensieri, Marco suggerì di stare in silenzio, mentre l’ansia si sarebbe placata lentamente e il cuore avrebbe ripreso i battiti regolari.
Si guardarono in silenzio, poi lei si rifugiò sul petto di Marco, mentre lui l’abbracciava con vigore. I rumori si dissolsero nell’aria, i respiri si chetarono pacatamente, mentre il trambusto interno si trasformava in placida quiete.
Laura sentendosi protetta dalle braccia e dal calore di Marco si appisolò serenamente, mentre lui continuava a riflettere sui motivi per i quali era venuto a Milano mentre non aveva avuto il coraggio e la forza di rifiutare con cortesia l’invito.
“Tutto diventa difficile ora.” pensava mentre teneva fra le braccia la ragazza addormentata “Tutto si complica. L’amore verso di lei si è risvegliato come un vulcano dormiente e non riesco più a tenerlo a bada. Quel vestito mi aveva fatto impazzire cinque anni fa e la magia si è ripetuta oggi quando l’ho vista. Io non posso tornare a Milano perché sento la città matrigna ed estranea alla visione che ho della vita. Lei non potrebbe vivere a F….., perché ha necessità di incontrare persone nuove, di girare il mondo, di vivere le novità, di sentire l’adrenalina salire nelle vene come la frenesia di questa città”.
Dopo un’ora Laura aprì gli occhi sgranandoli come se fosse stupita di essere lì fra le braccia di Marco a dormire placidamente.
“Ho dormito,” disse soavemente ed aggiunse che aveva dormito come non le era capitato da tanto tempo. Aveva ragione, quando diceva che un po’ di silenzio avrebbe rimesso a posto le idee.
Si stiracchiò come una gatta dopo essere stata al caldo sul calorifero, mentre si alzava in piedi, sbadigliando.
“Ti preparo un tè e poi parliamo”. Avevano molti argomenti da raccontarsi dall’ultima volta, ma lei doveva aprire l’anima con lui, perché solo Marco conosceva la soluzione del problema.