Il viaggio – 1

Luca spense il telefono, perché non voleva essere disturbato. Poi chi lo avrebbe chiamato, si domandava, attento al traffico nervoso che scorreva impetuoso attorno a lui. A parte Ersilia, che di certo non voleva ascoltare, non c’erano altre voci note da incrociare via etere. Quindi era meglio che tacesse muto e silenzioso.
Aveva preso una strada che non conosceva o quanto meno ne ignorava l’esistenza, perché aveva deciso in un momento di lucida follia che avrebbe inseguito quello che per quaranta anni non aveva fatto: seguire l’istinto ed abbandonarsi all’oblio.
Lui si sentiva profondamente malinconico, ma doveva per forza di cose essere allegro ed estroverso. Così la sua personalità si era scissa in maniera dicotomica in due parti: quella da mostrare al mondo intero e quella che cullava armoniosamente durante i sogni notturni.
Lui amava la seconda, quella vera, quella che gli dava tutte le soddisfazioni, che la prima gli negava. Durante il sonno immaginava di inseguire la Gloria, non quella dolce ragazza che aveva amato segretamente da ragazzo, ma la prima pagina della rivista letteraria “Il sabato”, dove gli autori famosi venivano intervistati. Però si domandava incerto e dubbioso se sarebbe riuscito rispondere alle varie domande, perché un conto era sognare, ben diverso era rispondere a tono su qualcosa che non conosceva.
Quali domande gli avrebbero potuto rivolgere, continuava ad interrogarsi, perché lui in quaranta anni non aveva scritto un rigo di nulla. Lui sognava ad occhi aperti che avrebbe vinto il premio Pulizter o il Nobel per la letteratura con un romanzo grosso come una torta nuziale dal titolo indefinito e dalla trama inconsistente.
Era un autentico sogno il suo, nel senso che sarebbe stato irrealizzabile.
“Non ha importanza” diceva sempre a quella parte di Luca, che svegliatasi con quella esterna e fasulla si abbandonava alla malinconia del nuovo giorno.
Però era bello lasciarsi cullare nel sonno da quelle visioni piene di luccicanti mondi da prime pagine anziché stare accanto alla grigia Ersilia, che ronfava pesante e senza luci vicino a lui.
Era affezionato alla moglie, che lo sopportava da molti anni.
Mentre guidava guardingo, attento ai cartelli e alle trappole del traffico, ripensò con malinconia a quanti tempo era passato quando l’aveva conosciuta.
“Sono passati troppi anni” disse alla sua controfigura mentre la musica dei Rolling Stones invadeva il suo spazio mentale entrando in contesa con la concentrazione.
Era a quell’epoca un giovane di belle speranze, neppure troppo bello, un po’ grassoccio ed imbranato quel tanto che bastava per sembrare a volte un tontolone. Lei, sicuramente, era una bella ragazza, leggermente più alta di lui e più vecchia di un paio d’anni, longilinea dalle lunghe gambe dritte come un fuso.
Mentre armeggiava impaziente e smarrito con l’autoradio alla ricerca di qualcosa di piacevole da ascoltare, si domandava perché tornava sempre a quel punto di cinquanta anni prima, quando aveva solo sedici anni.
La parte simulatrice di Luca fingeva di non saperlo, perché era talmente abituata a fingere che il vero gli pareva falso.
“Come puoi non conoscere i motivi?” gli rinfacciava il brandello malinconico, che già si inumidiva l’occhio al semplice ricordo di quegli anni dorati.
Luca era in terza liceo con viso butterato da una fastidiosa acne e gironzolava speranzoso nei paraggi della V A, la classe dove Ersilia imponeva la sua bellezza. Ci voleva poco, perché le altre ragazze erano meno di due mani tanto scorfani quanto secchione da fare invidia a Pico della Mirandola. Insomma erano tanto brave quanto inversamente erano graziose, beh!, dei mostri inguardabili proprio no, ma non facevano di sicuro concorrenza a Miss Italia. Magre, ossute, con seno inesistente, qualche brufolo mal coperto dalla cipria erano il campionario migliore del loro aspetto. Dunque Ersilia era la Nefertiti della classe, che attirava i compagni come il fiore era preso d’assalto da api e farfalle.
Luca non aveva speranze di essere notato perché, quando lei gli rivolgeva la parola, lui diventava rosso come un gambero e si impappinava come un principiante. Tutti i discorsi che aveva preparato con cura, qualora l’agognata preda si fosse degnata di un uno sguardo o di una parola, finivano in monosillabi incomprensibili e balbettanti, mentre la testa si svuotava d’incanto come un cestello saccheggiato dall’orso Yoghi.
Rimaneva lì impallato a bocca semi socchiusa con l’occhio spento e perso nel vuoto, finché Ersilia ridendo non si allontanava sotto braccio a quell’antipatico di Roberto. Allora si ridestava come la bella addormentata nel bosco mentre tutti i pensieri che erano fuggiti o si erano nascosti tra le pieghe della mente ritornavano allegri e beffardi a popolare la sua testa. Era un copione quotidiano, al quale non riusciva a trovare un rimedio.
Quello che più lo feriva erano i commenti dei compagni che riferivano come il tontolone di Luca aveva fatto girare la testa alla maliarda, così era chiamata la bella Ersilia, ma che quell’imbranato restava muto come un pesce, anzi farfugliava parole senza senso.
I sensi suonarono un campanello per avvertirlo che c’era un pericolo imminente.
Il fiume dei ricordi si essiccò o meglio sparì tra le rocce carsiche della memoria in attesa di ricomparire spumeggiante e limpido dopo il percorso sotterraneo.

Il viaggio

Si chiamava Luca D’Astolfi, ma era conosciuto da tutti come Ninì al Ros. Non c’era speranza di chiedergli il motivo, perché non lo sapeva nemmeno lui. I capelli, prima di perderli, erano quasi neri tanto erano scuri e non schiarivano nemmeno col sole. Quindi da questo versante il sopranome non era pervenuto.
Le sue tendenze politiche non viravano a sinistra, ma lui si era sempre professato come apolitico, perché andava a votare quando ne aveva voglia e di solito metteva la crocetta su quei partitini curiosi ed impossibili da essere seri. Quando era dentro quei squallidi gabbiotti di legno, che stavano su per miracolo, con una tenda dal colore indefinito per votare, era preso dalla voglia irresistibile di cercare il simbolo più insolito ed improbabile da contrassegnare con una bella X. Si diceva sempre che non c’era gusto di votare Democrazia Cristiana o Partito Comunista, perché erano i più gettonati, ma doveva aiutare quei minuscoli partitini che alla fine ottenevano qualche migliaia di preferenze da persone come lui.
Ricordava con una punta di malinconia che nel 1968, una delle prime volte che andava a votare, aveva contrassegnato con una bella ed evidente ics il partito “PAPI”. “Eh! Sì quelli erano dei bei tempi” diceva sempre al bar della piazza vicino a casa tra i sorrisi ironici degli amici e conoscenti.
C’era una particolarità che lo incuriosiva parecchio ed era questa. Scorrendo le preferenze ai singoli candidati, leggeva accanto al nome dei più sfigati, di solito quelli che stazionavano sul fondo della lista, un bel zero ovvero nessuno si era degnato di segnarlo sulla scheda elettorale. Ebbene lui si domandava sempre: “Se mi candido, almeno metto il mio nome, perché sarebbe vergognoso che accanto a Luca D’Astolfi compaia un bel zero. Poi bastonerei mia moglie, i miei figli, gli amici più fidati se non facessero altrettanto”. Eppure questa vergogna era sotto gli occhi di tutti e lui non riusciva a comprenderla. Dunque nemmeno le inclinazioni politiche svelavano il mistero.
In conclusione il sopranome era un enigma che Luca non aveva mai voluto conoscere, perché c’era poco capire. Da quando aveva la memoria, aveva all’incirca sei o sette anni, si era sempre sentito chiamare così in casa e fuori e lui rispondeva a tono.
Aveva sessantasei anni quando andò in pensione dopo una vita di lavoro dentro e fuori da quel capannone sulla via del mare. La moglie, Ersilia, ma che razza di nome le avevano appiccato si domandava spesso, si sentiva in ansia al pensiero di trovarselo tra i piedi tutto il giorno. La figlia, Ofelia, in questo caso l’errore era stato suo, perché aveva litigato per il nome con Ersilia e per dispetto l’aveva chiamata come la tragica protagonista di Amleto, aveva già trentacinque anni e zero matrimoni. Il figlio, Mario, finalmente un nome serio, se ne era andato da diversi anni per la sua strada e faceva la vita da single incallito nonostante la corte assidua di una fanciulla, della quale non ricordava nulla né nome né viso. Però non gliene importava nulla se il bambinone non voleva crescere in coppia. Era affari suoi, perché lui l’errore l’aveva già commesso.
Due giorni dopo avere raggiunto l’agognato traguardo decise che era venuto il momento di fare un bel viaggetto tutto solo. E lo disse ad Ersilia: “Domani parto per il mondo. Mi vedrai al ritorno”.
La moglie lo guardò stralunata e di sbieco, pronta a squartarlo vivo se avesse osato mettere in piedi quel subdolo piano.
“Ho capito bene?” rimbeccò acida la donna.
“Vado a preparare una borsa con le mie cose” rispose soave e serafico Luca, per nulla intimorito dall’atteggiamento bellicoso e pronto alla rissa della moglie, e sparì nella camera.
Così disse e così fece.
Il giorno dopo stava facendo discorsi infervorati ad un gestore di una pompa di benzina, dove c’era anche una minuscola officina, su viaggi, lavoro e pensioni da fame, ma anche su donne, politica e calcio.
Il gestore alto, ossuto, peloso e sporco di grasso e di benzina lo ascoltava non troppo convinto ed un tantino infastidito, perché non gli andava di parlare di determinati argomenti con uno sconosciuto. Mentre riempiva con la verde il serbatoio della Fiat un po’ anzianotta e scrostata del tempo, pensava che i clienti volevano parlare solo di donne, di politica e di calcio e non stavano mai zitti. Il flusso delle parole lo investiva come raffiche di libeccio freddo che nonostante la calura di Giugno gli provocava dei brividi nel corpo.
“Il pieno sono 45€” disse a Luca, sperando che la mitragliatrice, che l’uomo aveva in bocca, cessasse di sparare parole che lui non raccoglieva ed ignorava.
Lui imperterrito continuò a parlare di Ibra e Kakà, di veline e altre donne uscite alla ribalta del gossip nei giorni precedenti, di elezioni e governo come se fosse un esperto in materia, senza prestare orecchio alle richieste dell’uomo in tuta giallo sporco. Non aveva ancora compreso che era in pensione da tre giorni, mentre nessun collega di lavoro lo stava ascoltando, come era normale quattro giorni prima.
Adesso il gestore era visibilmente contrariato, perché quell’uomo non solo parlava di temi che non lo affascinavano, ma stava facendo crescere la coda dei clienti in attesa.
“Mi dia 45€. E sposti la macchina, perché c’è coda dietro di lei” ribatté irritato e seccato con un mozzicone di sigaretta spento e unto di grasso, che faceva capolino tra le labbra serrate, senza prestare la minima attenzione al fiume che sgorgava senza posa dalla bocca di Luca.
Luca D’Astolfi era un piccoletto, che tendeva alla pinguedine dei suoi sessantasei anni, stempiato, ma forse sarebbe più corretto dire calvo, e tutto eccitato per aver raggiunto la pensione. Portava sul naso un paio di occhiali dalla montatura chiara, benché lui sostenesse che ci vedeva benissimo anche senza, mentre in realtà faceva fatica a distinguere un tre dall’otto.
A quella richiesta brusca la fonte cessò di colpo di zampillare parole, come se si fosse inaridita per un qualche accidente di imprevisto. Pagò in silenzio e se ne andò tutto offeso.
Il viaggio non era iniziato sotto i migliori auspici.

Frammento su Sofia e Matteo

Sofia chiamò Matteo, che impaziente era in attesa, corrucciato ed irritato perché lo stava trattando come un vecchio straccio da buttare nel rusco.
“Ciao” esordì con naturalezza senza avvertire la necessità di giustificare il ritardo e proseguì secca e brusca che l’appuntamento era tra quindici minuti sotto casa, senza dar modo a Matteo di dire una qualsiasi parola.
Matteo, già in fibrillazione per l’attesa prolungata e senza giustificazioni, si innervosì per il comportamento sfacciato e dispotico di Sofia al punto di decidere di mandare all’aria l’incontro. Il pensiero di far saltare il banco lo sfiorò come una meteora impazzita, perché avrebbe anche potuto accettare la telefonata molto oltre l’orario concordato, ma non aveva gradito per nulla l’assenza di una giustificazione di facciata ed il tono sbrigativo e arrogante tenuto durante l’effimera conversazione.
“Se crede che io sia il suo tappetino, si sbaglia in maniera grossolana. Se non fosse stato per Paolo, a quest’ora sarei già nel mio letto a dormire” stava borbottando irato e furibondo.
Era visibilmente seccato perché ultimamente Sofia era diversa da quella conosciuta inizialmente, come se avesse mille grilli che danzavano furiosamente nella testa. Era giunto il momento di chiarirsi perché la relazione stava prendendo una piega per nulla buona.
Sofia intravide tra luci fugaci e precarie ed ombre in chiaroscuro il viso di Matteo irritato ed incavolato mentre stava parcheggiando nelle vicinanze.
Con tono di comando l’obbligò a salire in macchina al termine del parcheggio per andare su direttamente dal box.
Matteo continuava a ribollire come il mosto nel tino dopo la vendemmia, mentre Sofia rifletteva sulla serata appena trascorsa quasi dimentica della sua presenza.
“Non so che cosa mi ha preso stasera. Prima quel bacio appassionato e caldo con Marco, poi quello con Laura”.
Ripensandoci a freddo c’era mancato pochissimo per spogliarsi e fare all’amore con lui. E ridendo, pensò che non c’era molto da togliere, perché sarebbe stata sufficiente alzare la mini e tutti i giochi sarebbero stati fatti.
L’aspetto più inquietante e del tutto inaspettato era stato il bacio con Laura e le relative carezze intime. Era la prima volta che le capitava, ma la sensazione provata era stata fortissima: una vampata di calore aveva avvolto il corpo mentre la mente aveva comandato alla lingua e alle mani di ricambiare le attenzioni.
Il flusso dei pensieri furono interrotti dall’insistente ed impaziente picchiettare di Matteo, che si sentiva sempre più stizzito con lei.
“Pazienza”; esclamò, perché adesso doveva concentrarsi sul compagno per accoglierlo con calore e farsi perdonare il comportamento tenuto fino a quel momento.
Sofia si identificava fortemente con le sue idee e le sue opinioni in questo periodo della sua esistenza ed era facile alla lite; aveva l’impressione che un parere contrario al suo fosse un affronto personale. E questo era venuto a galla più volte nel corso della serata appena conclusa e per riflesso l’aveva riverberato su Matteo senza accorgersene.
Sapeva che non sarebbe stato facile rabbonirlo, perché era stata fino al questo momento prepotente, sfrontata e pochissima disponibile al dialogo. Percepiva di essere stata indisponente oltre misura come se l’altro lato della sua personalità avesse sopraffatto quello che la vedeva innamorata ed affettuosa con lui.
L’aspetto peggiore era la sensazione di turbamento interno, ma anche di eccitamento che la prendeva all’improvviso in modo travolgente ed incontrollato.
Doveva dunque mantenere sotto controllo le emozioni, non in modo repressivo, ma in maniera che le permettesse di avere uno sguardo più equilibrato e realistico sulla vita di relazione.
Lui si sistemò sul sedile mentre l’umore stava peggiorando come una tempesta tropicale in arrivo dal mare, non essendo per nulla disponibile ad ulteriori sgarbi.
I due amanti erano finalmente vicini e la notte prometteva scintille come una barra di ferro che veniva fresata.

Nuovo frammento

Laura cercò di dimenticare sia Marco che Paolo, perché non se la sentiva di cominciare una nuova storia sentimentale dopo l’ultima cocente delusione, che aveva lasciato una ferita profonda e lacerante dentro di lei. Voleva metabolizzare la grande frustrazione che provava, analizzare cosa non aveva funzionato nel rapporto e le motivazioni recondite che avevano fatto sparire dalla sua esistenza Marco.
Adesso non voleva lasciarsi distrarre da altri pensieri e si concentrò sulle offerte ricevute, spedì altri curricula alla ricerca di un posto che fosse in grado di soddisfarla professionalmente oltre che economicamente. Per i problemi di cuore c’era tempo e potevano aspettare nell’anticamera dei sentimenti.
Non aveva fretta nella ricerca di un lavoro perché aveva la fortuna di poter scegliere tra le molte offerte sollecitate oppure no che stavano in bella mostra sul tavolo.
Inoltre non aveva problemi finanziari impellenti, che la obbligassero a selezionare in fretta qualche proposta. Era vero che desiderava affrancarsi economicamente e fisicamente dai genitori, come aveva fatto l’amica Sofia, ma tutto sommato stava bene in famiglia.
Dopo molti colloqui, scartò le proposte meno allettanti riducendo la scelta a tre offerte tutte interessanti e stimolanti. Però prima di prendere una qualsiasi decisione volle concedersi una settimana di ferie in montagna tra il silenzio dei boschi per ritemprare lo spirito e il corpo dopo gli stress subiti. Il clima era ancora invitante e caldo, mentre le giornate erano sufficientemente lunghe. Doveva solo scegliere la località.
Laura amava la montagna con i suoi silenzi, i suoi profumi, i suoi rumori, la trovava rilassante e tonificante per lo spirito.
Fino a diciotto anni aveva dovuto subire il rito del mare seguendo i genitori sulla Riviera ligure come tutti i milanesi doc nel mese di agosto. Come odiava quel mese trascorso sulla spiaggia, non potendo sopportare le grida dei bambini, tutti quei corpi seminudi, spesso orribili a vedersi, tutto quel miscuglio di odori sgradevoli, creme e sudore, la sabbia che s’insinuava maligna ovunque.
A diciotto anni disse ai genitori: “Se mi date la quota che spendete per me al mare, io vado in montagna con Sofia e ci rivediamo a casa”. E da allora trascorse un mese in montagna con l’amica di sempre, esplorando anno dopo anno varie località alpine. Questa tipo di vacanza proseguì anche dopo avere conosciuto Marco, che preferiva invece tornare a F… tra ricordi e sensazioni famigliari. Era un momento di distacco tra loro che serviva a rinsaldare il legame che come una tela di ragno li avvolgeva.
“Potrei andare in Valtellina a Bormio” disse mentre esaminava le diverse possibilità. Era una vallata bellissima con il parco dello Stelvio lì a portata di mano ed era l’occasione giusta per conoscere una zona della Lombardia. E senza prenotare partì.
Il viaggio fu un disastro, un autentico percorso di guerra tra strettoie, lavori in corso e deviazioni, ma alla fine stressata e stanca riuscì a raggiungere Bormio, dove parcheggiò l’auto nella centralissima Via Roma.
Cominciò a girarla a piedi per scegliere l’hotel che le sembrava il migliore ed il più accogliente, mentre pensava: “Settembre non è certamente un periodo del tutto esaurito, quindi mi posso permettere di scegliere quello che più mi aggrada”.
Girò il paese sempre col naso all’insù, osservando con cura alberghi e pensioni, si sentiva rinascere corroborata dall’aria frizzante e dalla tranquillità della cittadina. La stanchezza del viaggio era stata cancellata come una scritta sulla battigia, le tensioni interne si erano stemperate e sciolte come i minuscoli cristalli di brina al sorgere del sole.
Dopo il lungo passeggiare per le vie e le discrete domande a passanti alla fine optò per l’hotel Posta.
L’esterno era moderno, ma all’interno erano stati conservati particolari della vecchia struttura, dove un tempo si sostava negli spostamenti tra le vallate.
La stanza era accogliente ed i servizi eccellenti. “E’ un hotel di prim’ordine” si disse compiaciuta per la scelta effettuata.
Laura trascorse una settimana rigenerante tra passeggiate solitarie nei boschi ed escursioni nei dintorni, favorita da un tempo clemente e soleggiato abbastanza insolito per il mese di settembre. Alla sera frequentava le terme dove trovava tonificante la cascata termale, un’ebbrezza mai provata, ma nel complesso era tutto stimolante e rilassante, permettendole di scaricare lo stress accumulato nelle ultime settimane.
Sembrava rinata, distesa e rinfrancata quando riprese la strada verso Milano: aveva le idee più chiare quale offerta di lavoro avrebbe privilegiato, il ricordo di Marco stava sbiadendo anche se era ancora vivo e presente nel subconscio. La mente non era più quell’alveare impazzito dove i pensieri entravano ed uscivano come le api alla ricerca di pollini e profumi.
Era stata la vacanza giusta per rinascere e scacciare tanti fantasmi che si muovevano silenziosi dentro di lei.
Al rientro contattò le tre aziende che secondo lei erano meritevoli di interesse per l’ultimo e definitivo colloquio.
Scelse una grossa azienda, molto nota sul mercato, con diverse linee di prodotto. Fu assunta come assistente del product manager degli articoli per la montagna. Avrebbe dovuto occuparsi inizialmente della verifica della gestione dei prodotti per rilevare inefficienze e sprechi ed ottimizzare il loro ciclo di vita.
La prima settimana di ottobre avrebbe preso servizio per iniziare una vita diversa da quella vissuta fino ad ora. Le rimanevano ancora alcuni giorni di riposo prima di immergersi in un mondo completamente nuovo da scoprire esattamente come il viandante era alla ricerca della strada che portava a Roma, la mitica via Francigena.
L’ingresso nel mondo del lavoro avvenne per Laura dalla porta principale: aveva un bel ufficio luminoso tutto per lei accanto a quello del diretto superiore, veniva trattata con deferenza come se fosse una persona importante, anche se era l’ultima arrivata.
Laura ricambiò la fiducia riposta su di lei con impegno e professionalità facendosi subito ben volere da tutti per la cordialità, la gentilezza dei modi e il sorriso sempre presente sulle labbra.
Il nuovo lavoro, la concentrazione sulle mansioni ricevute fecero impallidire ulteriormente il ricordo di Marco e dimenticare la delusione subita. Psicologicamente si sentiva meglio, ma la ferita era lungi dal cicatrizzare completamente, perché era sufficiente un piccolo ricordo per farla sanguinare abbondantemente.
Non aveva tempo da dedicare alle attenzioni dei diversi corteggiatori che a turno cercavano di fare breccia nella sua mente. Non si sentiva pronta ad una nuova relazione stabile. Il suo cuore non batteva ancora di battiti accelerati, ma era come un vecchio diesel che si muoveva lentamente.

Nuovo frammento (2)

Paolo aprì gli occhi sentendo le mani intorpidite che faticavano a muoversi agili, mentre erano sorde ai suoi comandi.
“Dove sono?” si chiese turbato, vedendo le luci accese e lo screensaver del computer. Si domandava incerto perché era lì sulla scrivania a dormire anziché nel letto. Non ricordava nulla della notte appena trascorsa o meglio di come l’aveva trascorsa.
Osservava le immagini scorrere, dissolversi, salire e discendere in un caleidoscopio di forme che apparivano e sparivano.
“La notte stellata” gli compariva innanzi agli occhi ancora gonfi di sonno: era il quadro di Van Gogh che gli piaceva di più in assoluto. Gli suscitava inquietudine e commozione vedere quelle pennellate di nero e di blu notte interrotte da macchie di colore giallo, che sembravano muoversi, animarsi sotto la spinta della fantasia.
Ogni volta che compariva si fermava incantato a guardare.
“Cosa ci faccio” diceva a se stesso “di fronte al computer? Perché non sono a letto?”
Aveva dimenticato nel sonno mattutino le inquietudini della sera e della notte, Laura e i tormenti dell’amore.
Come un viandante che dopo aver camminato a lungo tutta la notte rimaneva abbagliato dal sorgere del sole e metteva una mano sopra gli occhi incerti nella luce mattutina per ripararli e per vedere dove posava i passi, così Paolo corrugava la fronte pensando all’essersi addormentato sul tavolo davanti al computer.
Non ricordava quali attività notturne avesse svolto, forse aveva letto la posta o forse no, forse aveva navigato alla ricerca di qualcosa che non rammentava.
Poi lentamente riemerse dalle nebbie del non ricordo mentre uno alla volta gli tornarono alla mente tutti i pensieri che l’avevano accompagnato dal giorno precedente. L’aspetto più difficile, e anche il più importante, era mantenere l’equilibrio tra sogno e realtà. Come altre facce della propria esistenza, anche le espressioni emotive abituali avrebbero potuto cristallizzarsi in una routine tale da eliminare la capacità di assaporare la vita nella sua interezza.
Guardò l’orologio e decise che era giunta l’ora di dare la sveglia a Matteo.

Nuovo frammento (1)

Agnese era stremata ed infreddolita quando riemerse dal sonno agitato e pieno di incubi sgradevoli e di sogni piacevoli.
Apri gli occhi impastati dal lungo dormire mentre pensava se il sole era già sorto o stava sorgendo, poiché dalle imposte filtrava una timida luce che sciabolava lungo le pareti.
Sperava che fosse una bella giornata perché le avrebbe consentito di fare un lungo giro in bicicletta col vento fresco in faccia; ne avvertiva la necessità dopo il lungo giorno precedente trascorso tra tensione e ansie su quello che le avrebbe riservato il futuro.
Si sentiva stanca e depressa dopo la lunga contesa con Giulio, ma adesso era timorosa di udire al telefono la voce di Marco, che le rendeva noto la sua indisponibilità.
Riascoltava con la mente la telefonata del giorno precedente, quando l’intuito femminile le suggeriva la speranza che lui avrebbe mantenuto la promessa. In misura analoga la paura, che fosse stata ingannata dall’intuizione, aleggiava pesante nei pensieri e non la voleva abbandonare.
Queste riflessioni discordanti avrebbero potuto avere diversi effetti su di lei tanto che avrebbe dovuto stare attenta, perché da un lato incoraggiavano un comportamento compulsivo e dall’altro le emozioni acquistavano tanto impeto che era difficile non cedere ad urgenze ed a impulsi improvvisi che col tempo avrebbero potuto rivelarsi negativi, se avesse cercato di razionalizzare i sentimenti.
Dunque era preferibile alzarsi e pensare ad altro piuttosto che rimanere nel letto a rimuginare timori e delusioni, speranze e pensieri opachi.
Lo stomaco a digiuno da un giorno reclamava qualcosa per saziare la propria fame.
Il sole illuminava il giardino di sbieco, allungando sul prato e sul muro sottili ombre quasi fossero modelle in sfilata sulla passerella. Giorno dopo giorno si sarebbe levato sempre più in alto sull’orizzonte fino a quando a maggio lo avrebbe inondato di piena luce.
Respirò rumorosamente mentre stiracchiava le braccia davanti alla finestra aperta e pensava: “Mi devo sbrigare se voglio essere di ritorno per mezzogiorno”.
Era sua intenzione andare in città per qualche acquisto rimandato più volte, ma che ora era diventato urgente come la voglia di incontrare Marco.
Lasciata la finestra aperta, si precipitò in cucina a prepararsi un caffè nero e bollente, che l’avrebbe svegliata completamente e poi via di corsa in bicicletta.

E frammento sia

Laura e Marco, stanchi ma appagati da quel rapporto un po’ sofferto inizialmente e poi decollato nella giusta misura, erano vicini abbracciati teneramente, mentre le loro menti vagavano leggere per il piacere ricevuto.
Lei percepiva che qualcosa lentamente stava cambiando dentro e  che avrebbe voluto continuare il discorso sulle fobie nei confronti del proprio corpo per completare l’opera. Però aveva inopinatamente invitato Sofia, ed adesso ne era pentita, perché il discorso si sarebbe interrotto diventando monco e frammentario col rischio di perdere dei pezzi importanti o di ricominciare dall’inizio.
I pensieri turbinavano nella testa di Laura, come una tempesta di neve con i fiocchi che volavano da tutte le parti senza un disegno preciso, mentre ammirava Marco, che oltre ad un fisico eccezionale aveva una sensibilità ed un intuito fuori del comune. Come avrebbe desiderato che il tempo avesse retrocesso le lancette di sette mesi, così dubitava che sarebbe riuscita a trasformare il suo ADDIO in ARRIVEDERCI trasformando questo lasso temporale in semplice parentesi, spiacevole e temporanea da chiudere tra i ricordi da dimenticare.
“Io lo amo ed lui mi ama, ma i nostri mondi sono differenti” diceva sconsolata Laura, accostata a Marco, mentre faceva scivolare le mani cautamente fino all’inguine alla ricerca delle parti intime. Percepì un calore denso e sensuale salire da dentro, da sotto verso la testa, mentre le mani di Marco accarezzavano con dolcezza la schiena ed il collo. Sentì montare irrefrenabile il desiderio di ricevere nuovamente piacere, quando guardò l’orologio appeso al muro ed esclamò: “Accidenti! Perché ho invitata Sofia?”.
Proseguì, affermando irritata e indispettita che il suo arrivo fra dieci minuti avrebbe rovinato l’atmosfera magica che s’era creata nella stanza. Non c’era alcun dubbio che era ormai davanti al portone pronta a suonare il campanello, perché come un orologio svizzero non sgarrava un secondo.
“Marco, ho ancora voglia di te! Non vorrei vestirmi, ma lo dobbiamo fare” concluse amaramente e rassegnata a rimandare a dopo quello che desiderava con tutte le sue forze in quel momento.
Marco l’afferrò in silenzio con delicata decisione e la sdraiò sul letto, e mentre la sua lingua cercava la sua con passione, sussurrò dolcemente: “Se non siamo pronti, aspetterà!” e continuò a tenere premuto il corpo su di lei, che si abbandonò senza resistenza alla ricerca della passione.
Udirono un campanello in lontananza. Riluttanti si alzarono per aprire l’ospite indesiderato, si guardarono e risero, mentre si tenevano per mano.
“Sofia!” disse Laura allegra “non sono pronta. Conosci la strada. Mettiti comoda in salotto. Arriviamo subito”.
Andarono velocemente in bagno e poi nella stanza a rivestirsi, mentre Sofia si accomodava sul divano.
La ragazza aveva capito subito dal tono della voce e dalle parole di Laura che li aveva sorpresi nella loro intimità come il falco che vista una coppia di tortore in amore si getta su di loro sparigliandole.
La fantasia si accese come un film a luce rossa proiettando amplessi e gemiti, piacere e passione in un turbinio di immagini. Era sul divano tutta infoiata nelle fantasie di sesso e di desiderio, quando entrò Marco, che gli sembrò più un mitico guerriero antico da amare senza ritegno o pudore piuttosto che l’amico che non rivedeva da troppo tempo.
“Sofia, che piacere rivederti! Sei un vero spettacolo, lasciati ammirare!” disse galante e premuroso per stemperare il broncio della ragazza “e non fare quella faccia da offesa! Hai aspettato qualche secondo!”. E sorridente la salutava con un bacio pieno di passione sulle labbra.
Sofia, nera come la pece per l’attesa ma in calore per le fantasie erotiche, che la voce di Laura aveva scatenato, stava per dire qualcosa di piccante ed imbarazzante, quando quel bacio improvviso ed inaspettato le fece cambiare repentinamente umore. L’abbracciò e lo ricambiò, anzi andò molto oltre, insinuando la lingua tra le labbra a cercare quella di Marco, che rispose con uguale ardore.
Erano ancora abbracciati con le loro bocche unite, quando Laura fece il suo ingresso e li vide.
Un moto di stizza passò sul viso, che da sorridente diventò scuro ed imbronciato come un cielo che preannunciava tempesta.
“Avete finito?” disse con voce stizzita ed aspra “Sono arrivata! Sofia, …”.
Marco, staccatosi  prontamente, l’abbracciò con passione non lasciandole terminare la frase nella speranza di porre riparo alla situazione equivoca nel quale si erano venuti a trovare.
Sofia, rossa in viso per l’eccitazione, guardò Laura con gli occhi che chiedevano perdono, mentre disse con tono di scusa: “Volevo dare il bentornato a Marco! Ma credo di aver ecceduto ..” e tornò a sedersi sul divano indispettita ed irritata per essere stata colta mentre si stringeva con troppa foga a Marco.
“Non sarai gelosa di Sofia?” replicò Marco trascinando Laura maldisposta accanto a Sofia.
Si sentiva in dovere di spiegare quelle effusioni troppo manifeste, ben sapendo che c’era poco da chiarire.
Era ben conscio che, se non lo faceva, rischiava di peggiorare la situazione, se parlava, rischiava di accrescere i malumori delle due amiche, e comunque da qualunque lato si osservava il contesto correva il rischio di gettare nuova benzina sul fuoco della gelosia di Laura e dell’irritazione di Sofia.
Marco si trovava in una posizione delicata ed imbarazzante sia nei confronti di Laura, che si sentiva profondamente ingannata dopo le ore di intimità e di gioia, delle quale non si era ancora spento l’eco, sia di Sofia che gli addebitava un bacio troppo passionale e galeotto che l’aveva eccitata oltre ogni misura.
L’atmosfera da gioiosa era diventata pesante come una cappa di smog.

Altro frammento e basta

Erano le quindici e trenta quando Marco suonò il campanello con lo stesso tremore di quando il primo giorno di scuola a sei anni aveva varcato il portone della scuola elementare Montessori sul bastione delle mura cittadine.
Pensava alla reazione quando l’avrebbe rivista, mentre un rumore di passi si avvicinava al portone d’ingresso insieme all’ansia che montava dentro di lui.
“Riuscirò a trattenere l’emozione? Io l’amo ancora come il primo giorno” diceva a se stesso per rincuorarsi e darsi un contegno dignitoso. Agnese per il momento era ancora una conoscenza lontana, quasi una scommessa al buio senza nessuna certezza che potesse sostituire Laura nel cuore.
Aveva portato nel borsone la busta bianca con fotografie e lettere, ma non era sicuro che le avrebbe mostrate, e mentre la mente stava divagando libera nella prateria dei pensieri, la vide.
Tornò indietro di cinque anni, lasciò cadere a terra quanto teneva i mano e l’afferrò tra le braccia stringendola al petto quasi sollevandola da terra.
Le loro labbra si cercarono con passione tra gli sguardi divertiti dei passanti: sembrava che non dovessero staccarsi più per effetto della supercolla Attack spalmata sulle labbra. Lei era in punta di piedi, lui la faceva dondolare in qua e in là come una foglia sul ramo.
Era una fresca giornata di marzo soleggiata e ventilata, ma non era caldo a sufficienza per giustificare un vestito leggero  più adatto all’ assolato luglio: Laura indossava l’abito rosso ritrovato in soffitta. Una signora commentò ad alta voce: “Ah, l’amore cosa fa fare!” ed un’altra sorridente “I giovani hanno i bollenti spiriti!”.
A lei sembrava non sentire il freddo abbracciata a Marco, che trasmetteva tutto il calore dell’amore che provava.
Raccolse la borsa abbandonata sul marciapiede e stringendo Laura a sé entrò nella casa. Il portone si chiuse silenzioso alle loro spalle.
Nessuno dei due si aspettava una simile reazione da parte dell’altro: quel interminabile bacio aveva fatto palpitare i loro cuori e lievitare le loro azioni, tanto che i sette mesi di distacco parevano solo una piccola parentesi provvisoria durato un battito di ciglia.
Si sistemarono comodamente tenendosi per mano come se avessero paura di perdersi di nuovo.
“Mi sei mancato.” diceva la ragazza guardandolo fisso negli occhi “Mi sei mancato terribilmente tanto. Erano sette mesi che aspettavo questo momento, di rivederti, di parlarti, di assaporare le tue labbra. L’occasione è venuta. Grazie”.
Marco la fissava incredulo per via di quel vestito che appariva magico per averlo stregato una seconda volta. Taceva e osservava, non aveva altre parole per esprimere i pensieri  che confusi si ammassavano all’ingresso della mente. La folla delle parole si accalcava sulle labbra che rimanevano chiuse e silenziose.
Calmato il tumulto che la vista di Laura aveva provocato, cominciò a parlare. Era venuto perché il sentimento che provava per lei avevano avuto il sopravvento sulla parte razionale che avrebbe consigliato di rispondere “Grazie, ma non posso venire”. E si domandava ancora turbato dalla vista di Laura, se fosse stata una mossa giusta quella di precipitarsi da lei, se avrebbe trovato la forza di restare fedele alle convinzioni che lo volevano lontano da Milano e da lei.
Era seduto con gli occhi che divoravano la figura adagiata di fianco a lui, mentre l’ammirava come se stesse osservando la primavera del Botticelli.
Laura, intuendo i pensieri di Marco, si  alzò dalla poltrona e mise in mostra tutta la sua bellezza.
Marco era confuso ed indeciso tra sentimenti di amore e razionalità della mente, doveva decidere in fretta per non ingannare se stesso e Laura una seconda volta.
“Sei davvero splendida,” disse mentre la contemplava senza staccare un attimo lo sguardo “Lo sei sempre stata. Vieni qui vicino a me e raccontami tutto” e attese che lei parlasse, mentre si rannicchiava sicura fra le braccia protettive di Marco.
“Marco,“ iniziò Laura, “non so da dove dare inizio a quello che vorrei dirti. Mi ero preparata una scaletta di argomenti, ma ora sono confusa e frastornata. I pensieri si accavallano tra loro senza un ordine preciso come se riempissi alla rinfusa una borsa coi miei vestiti”.
Si fermò come per riprendere fiato dopo una lunga corsa e proseguì un discorso senza capo né coda passando da un argomento all’altro per la concitazione del momento. Non riusciva a resistere dal posare in continuazione lo sguardo su di lui, sulle sue mani, sul suo viso. Aggiunse che erano sette mesi che non si sentiva sicura di se e delle sue azioni come in questi istanti. Il tumulto interno, che aveva nascosto dentro di se, stava scemando con lentezza lasciando il posto ad una calma interiore che assomigliava alla natura dopo che si era placata la tempesta.
E concluse: “Capisci quello che voglio trasmetterti?”.
Marco baciò con dolcezza le labbra appena socchiuse ansiose di afferrare il sapore di lui, mentre le mani accarezzavano con leggerezza i capelli rossi appena mossi. Sentiva un profumo di donna, che lo inebriava, non un’essenza artificiale, ma qualcosa di vero e genuino. Era lo stesso odore che aveva fatto scattare cinque anni fa la molla dell’innamoramento. Adesso era diverso, capiva che sarebbe stato tremendamente difficile rinunciarvi per sempre, perché l’affetto non si era affievolito, ma era maturato e decantato con la lontananza.
Quel bacio aveva fatto venire i brividi a Laura, che aspettava da lui una risposta, che tardava ad arrivare.
Marco con lentezza scandendo le parole soppesò il pensiero che altrimenti sarebbe uscito prepotente senza freni dalla bocca: “Mi vuoi dire che mi ami ancora, anche se io ti ho detto addio?”.
Anche lui si sentiva confuso ed incerto, specialmente dopo averla ammirata con quel vestito rosso, che gli ricordava il 20 maggio di cinque anni prima. Poiché entrambi erano turbati ed insicuri per il tumulto interiore e l’emozione, che aveva reso poco lucidi i loro pensieri, Marco suggerì di stare in silenzio, mentre l’ansia si sarebbe placata lentamente e il cuore avrebbe ripreso i battiti regolari.
Si guardarono in silenzio, poi lei si rifugiò sul petto di Marco, mentre lui l’abbracciava con vigore. I rumori si dissolsero nell’aria, i respiri si chetarono pacatamente, mentre il trambusto interno si trasformava in placida quiete.
Laura sentendosi protetta dalle braccia e dal calore di Marco si appisolò serenamente, mentre lui continuava a riflettere sui motivi per i quali era venuto a Milano mentre non aveva avuto il coraggio e la forza di rifiutare con cortesia l’invito.
“Tutto diventa difficile ora.” pensava mentre teneva fra le braccia la ragazza addormentata “Tutto si complica. L’amore verso di lei si è risvegliato come un vulcano dormiente e non riesco più a tenerlo a bada. Quel vestito mi aveva fatto impazzire cinque anni fa e la magia si è ripetuta oggi quando l’ho vista. Io non posso tornare a Milano perché sento la città matrigna ed estranea alla visione che ho della vita. Lei non potrebbe vivere a F….., perché ha necessità di incontrare persone nuove, di girare il mondo, di vivere le novità, di sentire l’adrenalina salire nelle vene come la frenesia di questa città”.
Dopo un’ora Laura aprì gli occhi sgranandoli come se fosse stupita di essere lì fra le braccia di Marco a dormire placidamente.
“Ho dormito,” disse soavemente ed aggiunse che aveva dormito come non le era capitato da tanto tempo. Aveva ragione, quando diceva che un po’ di silenzio avrebbe rimesso a posto le idee.
Si stiracchiò come una gatta dopo essere stata al caldo sul calorifero, mentre si alzava in piedi, sbadigliando.
“Ti preparo un tè e poi parliamo”. Avevano molti argomenti da raccontarsi dall’ultima volta, ma lei doveva aprire l’anima con lui, perché solo Marco conosceva la soluzione del problema.

Felice anno nuovo!

“Finalmente il 2007 è finito! Oggi inizia il 2008. Felice anno nuovo! E’ tempo di pensare alla soluzione dei problemi che il vecchio anno mi ha lasciato e cosa desidero fare nel 2008. Secondo le migliori tradizioni oggi che inizia il nuovo anno si fanno mille propositi da realizzare nel corso del 2008. Vediamo i cinque che secondo me sono i più importanti ed urgenti: a) perdere peso; b) pagare i debiti; c) risparmiare; d) essere al top della forma psicofisica; e) ? Quale potrebbe essere il quinto proposito da soddisfare nel corso dell’anno. Se ho preso la decisione di risparmiare del denaro nel corso dell’anno, potrei cominciare a fare economia sulle spese dell’assicurazione, cercando soluzioni più economiche per quella dell’auto e sugli infortuni.”

Anna aveva appena finito di scrivere questo sul diario nella pagina riservata al primo giorno dell’anno nuovo, quando si appoggiò allo schienale per riordinare tutte le idee, che erano molto confuse e disseminate tra la sua mente e il diario appoggiato sulle gambe.
L’anno appena trascorso era stato come si dice “horribilis” e di questo ne era consapevole.
Era diventata un’apprendista bulimica, mettendo qualche chilo di troppo sui fianchi e nell’addome. Qualche bello spirito le aveva detto che finalmente aveva le “maniglie di Venere”, ma questo non la metteva di buon umore, anzi la innervosiva come non mai.
“Perché?” si diceva affranta ed indispettita “Perché; aveva cominciato ad abbuffarsi come una porcellina all’ingrasso? Ora dovrò penare per smaltire tutti quei chili come non era successo nemmeno con la nascita di Matteo”.
Lo sapeva benissimo il motivo, ma voleva ingannare se stessa con questa pietosa bugia. I dissapori e la rottura con Marco, la depressione conseguente con qualche problema finanziario era questo il quadro che era stato dipinto dal destino in questo anno orribile, da dimenticare.
Ora doveva ritrovare quella serenità che le era tanto mancata, mentre doveva ritrovare la forma fisica, riducendo cibo e facendo più moto.
Matteo di moto ne faceva fare moltissimo ad Anna, ma non era quello giusto e poi la bulimia era troppo forte per pensare di smaltire la ciccia. Da domani, anzi da oggi stesso si era impegnata a fare una camminata di un’ora a passo svelto tutti i giorni senza se e senza ma con pioggia, neve, vento o sole.
Però il punto dolente era il denaro, che la tormentava come mille punture di spillo sulla schiena. Aveva accumulato troppi debiti senza opporre resistenza, anzi quasi a punirsi della nascita di Matteo, della rottura con Marco, della ciccia accumulata.
Aveva speso per dimenticare le delusioni di una vita fatta di sacrifici senza soddisfazioni e piaceri apparenti al di sopra delle sue possibilità. Ora doveva meditare su quelle spese che anziché donare piacere erano state presto dimenticate ed ignorate nella sua esistenza che andava a rotoli giorno dopo giorno.
Doveva tagliare i rami secchi, risparmiare per pagare i debiti, ma soprattutto per accumulare una piccola scorta per affrontare il domani con minore ansia.
Doveva vincere l’ansia che ogni giorno le toglieva il respiro, quando alla mattina si alzava dal letto dopo la notte agitata e sofferta.
Doveva crescere ed accudire un bambino nato in quell’anno orribile senza l’aiuto di nessuno, da sola. Ci doveva riuscire per dimostrare che lei era forte di carattere e di fisico anche senza l’aiuto di Marco.
Non doveva fare mancare nulla a Matteo, anche se non navigava nell’oro.
Anna si riscosse dai suoi pensieri e si domandava come avrebbe potuto tagliare le spese.
Nelle prossime settimane scadevano due polizze: quell’auto e quella sulla vita. “Ecco” si disse ad alta voce “Ecco da dove comincerò a risparmiare. Alcune compagnie fanno della pubblicità per polizze on line promettendo sconti faraonici. Andrò sui loro siti e mi farò fare dei preventivi”.

“Felice anno nuovo!” si disse da sola Anna sicura che il peggio fosse passato.

I sogni si avverano?

Matteo passò la domenica tra mugugni e recriminazioni per essere stato troppo impulsivo il giorno precedente.
Frammenti di immagini e brandelli di conversazioni scorrevano ora lenti ora veloci sulle pareti di casa, mentre lui cercava di riunire i pezzi che riflettevano il suo stato d’animo.
Aveva acquistato da poco una porzione di una villetta quadrifamigliare a Rubano in una zona di recente lottizzazione poco distante dal centro del paese, dove fino a pochi anni prima c’erano vigne e campi di erba medica. La casa non era molto ampia su due livelli, ma andava benissimo per lui ancora single. Su due lati aveva una piccola striscia di verde, dove ora prosperavano solo erbacce.
“Quando mai avrò tempo di sistemarlo” diceva a chi gli faceva notare lo stato di abbandono del giardino “Dal lunedì al venerdì sono in giro per l’Italia. Durante il fine settimana vorrei rilassarmi senza rompermi la schiena per curare il verde”. Aveva pensato di rivolgersi a qualcuno in paese per sistemarlo, ma rimandava di settimana in settimana, mentre il tempo scorreva inesorabile senza prendere la nessuna decisione.
Il sottotetto avrebbe potuto col tempo ospitare un piccolo studio, ma adesso era ingombro di scatoloni semivuoti, un paio di PC dismessi con molta polvere. L’aveva trovato allo stato grezzo e così era rimasto anche se ora era pentito di non averlo sistemato subito. Nel lavoro era molto meticoloso senza lasciare nulla al caso, ma nelle faccende private era irresoluto e cincischiava in mille attività che cominciava senza portare a termine nulla. Così aveva preso la decisione di utilizzare la cameretta al piano superiore come studio attrezzando una parete con scaffalature e ripiani e un tavolo da lavoro.
L’arredo della casa non era scadente, ma rifletteva la sua personalità appena abbozzata e dispersiva. Si notava molto la mancanza di un tocco femminile, mq per questo sperava di aggiungerlo presto.
Il computer era acceso, ma era abbandonato perché Matteo stava pensando ancora al giorno precedente.
Aveva fantasticato a lungo prima dell’incontro su una vacanza romantica con Micaela in giro per l’Italia, loro due soli con la sua auto perché lei non amava o non sapeva guidare.
“Quale sarebbe stata la prima destinazione?” si chiedeva rapito nell’immaginare eventi distorti della realtà e apri Google Earth per assaporare meglio il viaggio irreale volando con gli occhi del web.
“Vediamo un po’. Verso ovest o nord o sud? Verona o Mantova? Oppure Cortina, Bolzano, le montagne incantate delle Dolomiti? Ferrara, Ravenna o Firenze?” non riusciva a decidere quale direzione voleva prendere.
Però quella sarebbe stata solo una prima tappa di un tour attraverso l’Italia, che amava ed aveva imparato a conoscere attraverso il suo lavoro.
Il giro comprendeva anche le isole dell’arcipelago toscano o forse no, perché quelle le avrebbe voluto visitare su una barca a vela di sicuro non nel mese di Agosto.
Avrebbe desiderato scendere verso Roma attraverso la Toscana e l’Umbria per restare diversi giorni lì, mentre assaporava il fascino di quei ruderi e chiese che aveva imparato ad amare durante le lunghe camminate in attesa della cena serale.
Ora però era deluso da Micaela, dalla persona amata che non rispondeva alle sue aspettative, che peraltro non erano realistiche. L’effetto dell’innamoramento era di farlo fantasticare, cosa piacevole e innocua se lui si manteneva nei limiti della realtà, ma purtroppo aveva ecceduto senza tener conto delle possibili reazioni. Aveva vissuto in sogno un senso raffinato della bellezza che ricercava in tutto ciò che lo circondava. Tuttavia non era stato molto pratico e sarebbe stato meglio rimandare a un altro momento tutte le questioni che richiedevano un giudizio sicuro nelle relazioni interpersonali, ma ormai la frittata era stata fatta.
Matteo era un sognatore incallito per effetto della timidezza innata e della paura ad esternare i propri sentimenti. Spesso durante i lunghi viaggi sognava situazioni impossibili a realizzarsi dove lui era concupito dall’amore segreto di turno. La ragazza, di cui si era innamorato senza che lei lo sospettasse minimamente, lo blandiva, lo circuiva, mentre lui glaciale ed algido si faceva pregare per accettare il corteggiamento.
Era intelligente, colto e raffinato qualità che esprimeva con naturalezza, sapeva parlare con criterio e proprietà, misurato ed attento, ma spesso rovinava tutto con uscite infelici che ferivano l’interlocutore.
Anche ieri non aveva percepito che Micaela era concentrata solo ed unicamente sugli esami che doveva sostenere mentre non c’era posto per altre divagazioni personali. Però lui non ascoltava ed era infastidito dal quel chiacchiericcio su qualcosa che non lo interessava. Per questo motivo aveva esternato quella proposta inopportuna sia per il tono di voce sia nel modo di esporla che aveva troncato bruscamente il loro rapporto.
Ora si stava domandando come avrebbe potuto riallacciare il discorso interrotto perché non riusciva a trovare una leva da usare per toccare la sensibilità di Micaela.
“E’ tutto compromesso oppure posso ancora sperare?” si chiedeva ansioso quando una breve melodia gli annunciava l’arrivo di un SMS.
Era Laura, che lo invitava ad unirsi a lei per visitare la mostra sull’arte orafa nel Salone. Lei faceva di tutto per farsi notare, ma lui non era molto propenso ad intavolare una relazione perché la riteneva troppo aggressiva e poco dolce.

“Non è la donna che cerco” si diceva sempre
“Cosa faccio?” si domandò smarrito finché decise di accettare l’invito e di trovarsi in Piazza delle Erbe fra mezz’ora.

(Cap. 4 del racconto “L’incontro”)