Lieto di annunciare la pubblicazione della terza parte di Krimhilde e la scomparsa delle fanciulle. Per chi volesse osare a leggerla trova il link qui.
Gioco del lunedì: lipogramma in A
Per questo lunedì Elettasenso propone un lipogramma in onore dell’autunno, Se per onore non si deve usare la A ma va bene.
Ecco cosa ho escogitato
Il mio orto
Perché il mio orto? Non lo so però me lo sento mio. I colori sono forti come possono essere in questo momento. I frutti sono raccolti per quello che può offrire. Fichi e mele. Sufficienti? Per me sì. Sono nelle misure giuste. L’inverno è vicino e l’orto perde il sole. È buio e triste.
Osservo con occhio sereno: il tempo scorre. Non si può eludere né fingere. Sei mesi e poi tripudio di fiori per il benvenuto del novello periodo.
Ho barato un po’ 😀 Non era l’orto ma il giardino ma la A mi tradiva
I colori dell’autunno
Nuovo post su Caffè Letterario
È appena stato pubblicato un nuovo post su Caffè Letterario ambientato a Venusia.
Nell’attesa di passare a leggere con avidità questa nuova storia della saga di Venusia, vi propongo le tre possibili copertine del nuovo romanzo che uscirà presto su Amazon
Trovate la figurina con la C
Questo post è la copia di quello pubblicato su Caffè Letterario.
Clara ritorna dall’ufficio sfinita. Dieci ore d’inferno e il bus che la riporta a Venusia pieno. Ha dovuto aspettare le due corse successive per poter salire. Tutti col loro green pass in mano e lei a sbuffare perché vorrebbe essere già nel suo bilocale in Via del Verde, alla periferia ovest di Venusia.
“Mi devo decidere. Non ne posso più di questa vita da pendolare specialmente in tempo di pandemia. Green Pass, distanziamento, mascherine e code interminabili per i controlli”. Tuttavia l’idea di abbandonare Venusia per Ludi, il capoluogo di provincia di Ludiland, non l’attira per nulla. Lei è nata in casa come tutti gli abitanti di Venusia, anziché all’ospedale come i ludensi. I venusiani odiano quel mondo odoroso di disinfettante e preferiscono nascere tra le quattro mura amiche con l’aiuto dei vicini di casa. Clara non ha fatto l’eccezione.
Venusia è per lei, come per tutti i suoi abitanti, un mondo fantastico, unico e non copiabile.
Oggi è stato peggio degli altri giorni. Mister Tai-no, un malese piccolo ed esile, l’ha tediata con mille incombenze, perché Monica era assente con un fantomatico mal di pancia. “Altro che mal di pancia” ha pensato quando ha letto il biglietto sulla sua scrivania con la grafia tremolante di Mister Tai-no. ‘Monica non c’è. Male al pancino. Forse domani. Non so’. Clara ha sogghignato. “Pancino? Pancione!”.
In effetti Monica è tutt’altro che mingherlina. Il giro vita pare un monumento all’obeso. “Credo che faccia fatica a vedere la punta dei piedi” ha pensato Clara ridendo di gusto leggendo quel biglietto.
Nella sua testa è rimbombato per dieci ore: «Trovate la figurina con la C. È qui tra voi. Trovate la figurina con la C. È qui tra voi…». Per strada, al bar, alla radio e persino sul suo computer. Un martellare continuo, incessante. “Eppure” si disse, lanciando le scarpe sul pavimento appena entrata nel suo bilocale. “Eppure nessuno pareva interessato a questo annuncio. Mister Tai-no la solita sfinge che si materializza come un fantasma accanto alla mia scrivania, col suo italiano bleso mi comanda di andare al bar. Tuttavia non pare fare caso al tormentone”.
È talmente stanca che non ha nemmeno la forza di cuocersi un uovo. Si distende sul divano e chiude gli occhi.
«Trovate la figurina con la C. È qui tra voi».
Clara vede una macchina con l’altoparlante su tettuccio che sta accanto a lei. «Trovate la figurina con la C. È qui tra voi».
L’utilitaria è ferma accanto a lei. Si avvicina al posto di guida per chiedere spiegazioni. Un signore con barba e capelli bianchi tiene in mano un microfono e continua nella sua cantilena. «Trovate la figurina con la C. È qui tra voi».
«Mi scusi» fa Clara bussando con discrezione al vetro. «Perché continua a dire quel ritornello?»
L’uomo scuote il capo in segno di diniego mentre continua nella sua monotona cantilena.
Clara è esasperata. Vorrebbe mettersi dei tappi di gomma nelle orecchie ma non può. Quel tormentone l’ossessiona mentre è in coda per salire sul bus, durante il viaggio e adesso anche a casa sua. Le sembra di impazzire. “Cosa vuol dire?” Non riesce a dare una spiegazione logica eppure rimbomba nella sua mente. Un martello pneumatico.
“La figurina con la C? Quale? Quella dell’album Panini coi giocatori? Non può essere”. Lei non distingue un portiere da un attaccante. Scuote la testa e i capelli rossi ondeggiano qua e là come mossi dal vento.
Si gira e rigira sul divano ma il «Trovate la figurina con la C. È qui tra voi» continua. Vorrebbe dormire ma l’ossessionate e monotono ritornello continua.
C’è un attimo di pace e distende i lineamenti. Il tormentone tace.
«Trovate la figurina con la C. È qui tra voi. In via del Verde a Venusia».
Clara si sveglia di botto e aprendo gli occhi si guarda in giro. C’è già buio. Le giornate di settembre si sono accorciate. Tutto spento. Televisore, radio, computer. «Eppure ho sentito bene» afferma con una punta d’angoscia». Si mette ritta sul divano. I capelli rossi sono bagnati come se fosse stata sotto la doccia.
«Eppure ho sentito bene. Via del Verde a Venusia. Qui abito io».
Va in cerca dell’interruttore ma a piedi scalzi urta qualcosa di duro. Le scappa un’imprecazione volgare mentre saltella su un piede. Raggiunto l’interruttore nel mezzo della stanza vede una scatola di latta. Ha discrete dimensioni e sul coperchio vede una strana figura sbiadita, di un giallo pallido. Parte delle scritte sono in venusiano e parte in una lingua sconosciuta.
Il mignolo destro duole tremendamente e zoppica vistosamente. Si accoccola sui talloni per esaminare la scatola che le ha prodotto tutto dolore. Solleva il coperchio e … spavento. Uno strano pupazzo a forma di jolly esce sospinto da una molla. «Trovate la figurina con la C. È davanti a voi. In via del Verde a Venusia. Vi sta guardando!»
Clara fa un balzo all’indietro andando a sbattere con la schiena nel mobile basso alle sue spalle.
Il pupazzo dondolante ripete: «Trovate la figurina con la C. È davanti a voi. In via del Verde a Venusia. Vi sta guardando!»
Clara si avvicina alla scatola da dove sono uscite decine di figurine colorate e un po’ malconce. Bordi rovinati, pieghe e scritte sul retro. Ne prende una in mano. Una ragazzina vestita con foggia strana. Ha un sussulto. Il viso le assomiglia in modo incredibile. Sembra una vecchia fotografia di quando aveva dieci anni. Nell’angolo superiore a sinistra c’è una bella C e in basso a destra campeggia Clara. La lascia cadere come se scottasse e poi la raccoglie. Si è dimenticata del pupazzo che ripete «Ha trovato la figurina con la C. È davanti voi. In via del Verde a Venusia. Vi sta guardando!»
Sente bussare alla porta. Non aspetta nessuno ma apre lo stesso.
«Buon compleanno Clara!»
Su Caffè Letterario c’è…
Nuova puntata di Frate Ethan
Su Caffè Letterario è stata pubblicata la dodicesima puntata di Storie impossibili.
Niente di eccezionale ma avvincente.
Buona lettura

Daniele – parte 5

“Dunque Natalia è sparita all’improvviso” si disse Daniele, che si muoveva per la stanza in modo irrequieto.
Il suo sguardo vagava sulla libreria, soffermandosi su quello che stava sulle mensole. Sorrise, pensando che era davvero disordinata. Libri sistemati casualmente. Alcuni in piedi, altri appoggiati a mostrare il dorso. Polvere che brillava in controluce. Poi i suoi occhi tornarono su Natalina, che era sul divano con le mani appoggiate sulle cosce. Pareva serena, per nulla preoccupata.
«Non capisco» sussurrò Daniele, che si era fermato innanzi a lei. «Non capisco proprio nulla di questa storia. Forse se cominciamo dall’inizio, avrò le idee più chiare».
Natalina si strinse nelle spalle, come se tutto questo non la riguardasse. «Vieni» sospirò la ragazza, allungando un braccio per afferrare la mano di Daniele. «Siediti. Qui accanto a me».
Lui si accomodò sul divano accanto a Natalina. La guardò fisso negli occhi e aspettò che cominciasse a parlare. Doveva spiegare molte cose. Il mistero di Natalia, la presenza dei due sudamericani, i collegamenti con la signora bionda e la ragazzina al seguito. A dipanare tutte le questioni avrebbero fatto notte con l’intermezzo del pranzo. Questo a dir poco.
«Una storia lunga. Vecchia di molti anni» iniziò la ragazza, tenendo le sue mani tra le sue. «Risale al tempo in cui Sara partì per Venezia. Una partenza senza arrivederci ma con molti rimpianti…».
«Ricordo bene quel giorno» interruppe Daniele la narrazione di Natalina. Un groppo alla gola lo colse, impedendogli di proseguire.
«Natalia la seguì» precisò la ragazza, come se il discorso non fosse stato interrotto dalla sua esternazione. «Erano amiche intime. Dove andava l’una, c’era anche l’altra. Io le seguivo come un cucciolo fedele. Però quella volta io rimasi a Roma. Avrei voluto seguirle ma ero troppo giovane per farlo. Sentivo mia sorella tutti i giorni. Lunghe telefonate e tanta nostalgia. Mi raccontava le sue giornate e quelle di Sara».
«Allora saprai di Lisa» balzò in piedi Daniele.
Natalina lo guardò con occhio stranito, come se qualcuno avesse bestemmiato in chiesa. «Lisa?» domandò, allargando i suoi occhioni nocciola. «Chi sarebbe Lisa?»
Daniele si sedette di nuovo accanto a lei. Ancora una volta non riusciva a ottenere notizie sulla fantomatica figlia. “Che sia solo il frutto di una mia fantasia morbosa?” si chiese, ben sapendo che non avrebbe trovato risposta.
«Nulla» replicò Daniele con occhio deluso. «Una mia fantasia. Un sogno ricorrente. Un desiderio inespresso».
«Natalia si confidò con me» riprese la narrazione Natalina. «Si era innamorata di un uomo. Molto più vecchio di lei. Una persona ricca. Viveva in una villa cinquecentesca sulla riviera del Brenta».
Daniele si irrigidì. Qualcosa non tornava. Corrugò la fronte. Sara era rimasta via circa tredici anni. Natalia molto meno. Con precisione non lo ricordava. Sapeva solo che non aveva seguito Sara in Germania. “Che relazione c’è tra quello che sta raccontando Natali’ e la sparizione di Natalia?” si domandò Daniele. Un altro pensiero si affacciò nella sua mente. Felice Maniero, faccia d’angelo. Il mitico criminale della mala del Brenta. Daniele lo scacciò quasi subito. Non poteva immaginare Natalia tra le braccia di questa persona.”No, non può essere!” si disse, scuotendo il capo.
«Insomma una concubina di lusso» sbottò Daniele, che non era riuscito a reprimere le parole e a frenare la lingua. Si pentì subito della sua affermazione ma ormai l’aveva detto.
Natalina lo guardò col viso accigliato e lo sguardo torvo. Stava dando della mantenuta a sua sorella. Se non di peggio.
«Che dici!» sibilò Natalina con gli occhi ridotti a fessura. «Era vero amore! E non mercenario!»
Daniele fece una faccia contrita, da autentico attore drammatico. Lui di solito misurato nelle parole, questa volta aveva smesso il suo aplomb, lasciandosi sfuggire una frase oltraggiosa. Stava per scusarsi, se le scuse avessero una valenza per calmare le acque, diventate tempestose, quando il trillo del campanello annunciò l’arrivo del pranzo.
Daniele si alzò per aprire il ragazzo e pagarlo. Avvertì che l’aria era diventata calda e il clima era mutato.
Di malumore Natalina seguì il padrone di casa in cucina, dove avevano apparecchiato il tavolo. Niente tovaglia ma un set all’americana in tinta. Piatti di porcellana bianca che spiccavano sul blu della tovaglietta. Daniele stappò il vino che versò nei calici colorati. Avrebbe voluto fare un brindisi per il ritorno di Natalina ma ritenne opportuno soprassedere. C’era poco da brindare dopo la sua uscita infelice su Natalia.
Le vivande erano quasi fredde. Daniele le infilò nel forno a colonna per riscaldarle. La pasta fredda non gli era mai piaciuta. Si appoggiò con un gomito sul piano di lavoro. Doveva trovare il modo per ricucire lo strappo.
Natalina scura in volto era seduta al tavolo. “Si vede che manca la presenza femminile” si disse per calmare il nervosismo, causato dalla battuta infelice di Daniele. Avrebbe voluto alzarsi e andarsene. Però le serviva il suo aiuto, se voleva rintracciare la sorella. Solo Daniele sarebbe stato in grado di farlo. Non comprendeva in base a quale elemento lo riteneva capace ma intuiva che era così.
Prese il calice e lo agitò con dolcezza, come fanno i sommelier per degustarlo. Lo depose con delicatezza davanti a lei. La mano tremava ancora per l’ira repressa. Daniele aveva il viso addolorato. Almeno era quello che lei gli leggeva sul volto. Le labbra stirate e chiuse. Gli occhi con un velo di autentico rammarico. Avrebbe voluto alzarsi per abbracciarlo e dirgli “La tua è stata una battuta pesante ma non è il tuo pensiero” ma si trattenne. Non era ancora il momento. Si concentrò sulla stanza che necessitava di essere sistemata. Niente di particolare. Quel tegame che spuntava dallo scolapiatti andava lavato e sistemato nel mobile. La caffettiera aveva bisogno di essere pulita a fondo. I residui di tanti caffè l’avevano resa quasi nera.
«È pronto il pranzo» annunciò Daniele con voce appena percettibile.
Aveva appena diviso il primo in due porzioni, quando il trillo del campanello li fece sobbalzare.
«Chi sarà?» domandò Daniele, che pensò subito a quelle due coppie che li avevano seguiti dall’aeroporto. Un’associazione istintiva ma poco plausibile. Vedeva troppe fiction televisive. Calmò il tumulto interno e guardò Natalina come a chiederle cosa fare.
«Vai al citofono» suggerì Natalina per nulla impensierita da quella intrusione. «Così lo saprai».
Lo sentì confabulare, mentre con la forchetta pasticciava con gli spaghetti. Udì alla fine “Sali” senza capire chi fosse. Di certo non era un estraneo.
Daniele rimase accanto alla porta, finché non spunto la chioma riccioluta di Sara. “Sembra che abbia il radar” sospirò Natalina, facendo il viso di circostanza. Anche se si erano riavvicinate, tra loro non correva buon sangue. Si sopportavano a malapena. Per Natalia, se fosse servito, avrebbe ingoiato anche le frecciate più pungenti di Sara. Rimase seduta. Tanto bastava Daniele ad accoglierla.
«Ciao» disse Daniele, baciandola sulle guance.
Natalina fece una smorfia di disgusto e subito dopo un sorriso di circostanza. «Ciao» fece anche lei, accennando ad alzarsi.
Sara rispose con un cenno del capo. Mostrava in viso il suo disappunto per la presenza di Natalina. Il sorriso era morto sulle labbra. Gli occhi cercarono il volto di Daniele.
«State mangiando?» chiosò ironica Sara, come se non fosse chiaro dai piatti in tavola.
«Metto un altro coperto per te?» domandò cortese Daniele, mentre Natalina si stringeva nelle spalle. Doveva controllarsi e fare buon viso a cattiva sorte.
Sara scosse il capo in segno di diniego. «Però un bicchiere di vino lo bevo volentieri» disse, prendo una sedia per sedersi.
«Sei tornata, Natalina?» fece Sara, sapendo che era una domanda oziosa. Se era lì, voleva dire che era tornata. «Quando?»
Natalina annuì col capo.
«Stamattina» la informò Daniele, mentre riempiva il calice col vino. «Non gradisci nulla, Sara? Nemmeno una porzione di dolce?»
Daniele si interrogava sui motivi di quella irruzione. Ieri sera si erano lasciati un po’ burrascosamente e nulla era cambiato nel frattempo.
Sara scosse la testa, poi ingollò il vino in una sola sorsata. Si deterse le labbra con una salvietta presa dal tavolo. Avrebbe voluto fare un certo discorso con Daniele ma la presenza di Natalina la frenava. Riguardava sua sorella e non sapeva come l’avrebbe presa. Se i loro rapporti in apparenza erano cordiali, in realtà nel loro intimo si odiavano, si detestavano. Una vecchia ruggine di molti anni prima, quando Natalina era sempre tra i piedi.
Daniele comprese ma forse intuì più che capire, che Sara non era venuta in visita di cortesia. Le leggeva negli occhi un messaggio muto ma inequivocabile. ‘Ho necessità urgente di parlarti da solo, senza la presenza inopportuna di Natalina’.
Quel muovere gli occhi da destra a sinistra, accompagnati da un gesto del capo non sfuggirono a Natalina, che strinse le labbra e si accigliò. “Si tratta di Natalia” pensò, mentre stava rigida sulla sedia. “Da qui non mi schiodo. Se vuole parlare, lo farà in mia presenza”.
Daniele era preso tra due fuochi. Da un lato avrebbe voluto ascoltare Sara. Dall’altro non intendeva mancare di rispetto a Natalina. Doveva giocare una partita sporca per portare a casa i risultati. “Ma come?” si domandò inquieto, tornando a osservare la cucina. Il lavello con quella pila di stoviglie da lavare non faceva un grande effetto. I tegami con tracce delle cotture precedenti facevano bella mostra nello scolapiatti. Distolse lo sguardo per concentrarlo sulle due donne che si fronteggiavano mute. Gli venne d’istinto di ridere. Senza motivo.
«Cosa c’è di comico?» fece Sara indispettita.
«Nulla» rispose Daniele con lo sguardo da candido angioletto.
«Allora perché ridi?» insistette Sara, che non comprendeva lo scoppio ilare di Daniele.
Lui si fece serio. “Se non ha capito, non capirà” rifletté Daniele, che doveva togliersi dall’impaccio nel quale era finito. Doveva aprirsi con schiettezza e affrontare i problemi senza aggirarli come era sua abitudine. “Ma comprenderanno le mie parole?” si disse, riflettendo sulle prossime mosse.
[Continua]
La mia storia – niniesercizio 8

Eccoci col consueto appuntamento con scrivere creativo, che propone una bella sfida.
Questa è l’immagine
Non so se l’ho interpretata bene ma questa è quella che ho scritto.
Aveva la testa fra le nuvole. Un giorno decise che si sarebbe buttato dalla rupe come gli amici. Fatto il sentiero che a volte aveva percorso in compagnia, si preparò per il lancio col parapendio. Uno, due e via. Che bello! Volare libero, sospinto dal vento. Passò sul ponte, osservando il luccicare dell’acqua che scorreva placida. Ancora più a valle verso un gruppo di case. Il vento stava calando e l’ansia pure. Il torrente era sempre sotto. Rischiava di finirci dentro. Quanta adrenalina in corpo.
Sentì un gomito e il rumore di una chiave.
“Forza delinquenti! Il giudice non aspetta”.
Daniele – parte 4

Daniele, in silenzio e attento a non sbagliare nulla, si avviò verso l’ingresso dell’autostrada Roma Fiumicino. Difficile capire se i due angeli custodi fossero dietro di loro. La fila di auto che li seguiva rendeva pressoché impossibile decifrare se qualcuno era alle loro calcagna.
Natalina era taciturna, mentre Daniele aspettava che spiegasse i motivi dell’improvviso rientro. Evidentemente si sbagliava, mentre lui attendeva l’occasione giusta per parlarne. Non gli andava di parlarne a freddo. Alla fine dei conti era stata Natalina a innescare i suoi dubbi ed era compito suo scioglierli.
La Roma-Fiumicino era trafficata ma scorrevole. Si poteva tenere una buona media, finché non imboccò il grande raccordo anulare.
«Uno strazio!» sbuffò Daniele, che smise di osservare lo specchietto retrovisivo per prestare attenzione a chi lo precedeva.
Stop and go. Una frenata e un’accelerata. Lo stomaco andava in gola per tornare al suo posto. “Nonostante il sabato” pensò, “la musica non cambia. Tutti sul raccordo. Affiancati come tanti soldatini”. Allo svincolo con l’Aurelia si immise nel traffico cittadino, non meno incasinato del raccordo.
Daniele guardò l’orologio. “È quasi ora di aperitivo” mugugnò, parcheggiando sotto casa.
«Vieni» ordinò Daniele prendendola per un braccio. «Facciamo un drink da Mario. Così possiamo parlare».
Natalina lo seguì docile ma scosse il capo in segno di diniego. Non era il posto adatto per parlare. Daniele diede una sbirciata veloce intorno a sé, mentre attraversava la strada. Ebbe un tuffo al cuore. I due sudamericani avevano tentato inutilmente di occultarsi dietro un suv. “Dunque ci hanno seguito” si disse, corrugando la fronte. “Non era un caso la presenza di Juan alle spalle di Natalì. Perché?”
Adesso doveva verificare anche la presenza della donna e della ragazzina e poi avrebbe fatto bingo. Natalina gli doveva molte spiegazioni. Non credeva che lei ignorasse queste presenze. Sull’altro marciapiede prima di entrare da Mario, Daniele si volse verso la Smart, come a sincerarsi che fosse posteggiata bene. “Evviva!” esclamò in silenzio. “Pure loro ci sono. Qui gatta ci cova”.
Si diresse verso il suo tavolo, che per fortuna era libero. Una postazione strategica, perché gli consentiva di osservare il locale senza sforzo. Passando accanto al bancone, fece un gesto, che venne recepito senza altre spiegazioni, con due dita. Mario annuì con un sorriso. Conosceva a menadito i segnali di Daniele. C’era un’intesa perfetta tra loro. Due spritz con salatini e olive nere. Lo alternava col mojito. Due dita a V indicava lo spritz. Le corna serviva per il mojito. Olive nere sempre e comunque. Gli stuzzichini erano variabili. Patatine e arachidi. Tartine e sfogliatine al formaggio. Dipendeva da quello che era disponibile.
«Che dici?» le chiese, quando furono seduti. «A me Sara non ha detto nulla. Quasi nulla. Di Natalia… insomma cosa mi dici?»
Daniele era spazientito. Due sudamericani, di cui uno pareva un bodyguard, li avevano seguiti e li aspettavano fuori dal locale. Una donna e una ragazzina pure. C’erano tutti gli ingredienti di un intrigo mondiale. E Natalina restava abbottonata a doppia mandata. In silenzio in macchina. In silenzio anche adesso. Solo gesti e mimica facciale per dire che sarebbe stata muta come un pesce. Natalina non aveva modificato l’aspetto del viso da quando era apparsa nella zona arrivi del Leonardo da Vinci. Senza una ruga, con l’occhio assente e le labbra strette. Daniele sbuffò, mentre piluccava un’oliva. “Dopo tre ore abbondanti ne so quanto prima” sospirò, sorseggiando lo spritz. “Ovvero nulla”.
«In casa apri bocca o scena muta?» chiese un Daniele tra l’arrabbiato e il rassegnato. L’enigma di base, anzi i due quesiti erano ancora irrisolti. Di Natalia non sapeva nulla, mentre di Lisa, la fantomatica figlia, tenacemente negata sia da Sara che da Natalia, aveva il dubbio che fosse mai venuta al mondo. Oltre a questi c’era da chiarire le presenze inquietanti fuori del locale.
Rimasero in silenzio, finendo l’aperitivo, fino a quando Daniele non si alzò per saldare il conto. Recuperato l’ingombrante trolley, salirono fino al suo bilocale. Controllò che tutto fosse in ordine. La porta subito. Poi gli oggetti e i cassetti. Lo sguardo spaziò veloce. Nulla era modificato rispetto alla mattina. Il solito velo di polvere che stazionava sul tavolo, il letto da rifare. Solo i bagno era ordinato, mentre in cucina la moka stava ancora sul piano cottura. Non si fidava di quegli estranei che stazionavano in strada. Proprio non riusciva a capire che relazione ci fosse con Natalina e tutti i rebus che continuavano a galleggiare nella mente.
«Ti sistemi qui?» domandò curioso Daniele. Lo spazio non abbondava nel bilocale ma stringendosi un po’ sarebbe stato sufficiente per entrambi.
«Sì» fece Natalina, inscenando un timido sorriso. «Se mi ospiti».
Daniele proruppe in una bella risata. «Ma certo! Sei la benvenuta, se ti va di dividere il letto con me».
Natalina annuì con gli occhi finalmente allegri.
«Se vuoi farti una doccia» disse Daniele, aprendo il frigo, che non era molto rifornito. «Là c’è il bagno. Asciugamani e accappatoio sono puliti di bucato».
Daniele si grattò una guancia. Preparare il pranzo sarebbe stato un’impresa ardua. Per il primo non c’era molta scelta: pennette integrali condite con olio e parmigiano grattugiato. Più complicato il secondo e la verdura. Un residuo di insalata gentile, neppure troppo fresca, e una frittata al massimo per una persona. “Volendo posso pensare a un tortino di pere e gorgonzola” rifletté Daniele, incerto sul da farsi. “Ma serve tempo”. L’altra soluzione, in attesa di fare rifornimento nei negozi vicini, sarebbe un catering, sfruttando qualche ristorante da asporto. “Ancora migliore sarebbe l’idea di finire al ristorante” concluse. “Serviti e riveriti e ampia scelta dal menù”.
«Andiamo al ristorante?» le chiese Daniele, infilando la testa nel bagno ovattato per il vapore della doccia.
«No!» rispose secca Natalina. «Mangio quello che c’è».
Daniele sorrise. «Direi che non c’è nulla o quasi» soggiunse con occhio divertito. «Vedo di trovare un ristorante caritatevole che ci porti il pranzo servito».
Controllò, telefonò, finché non trovo un’osteria che era disponibile a preparare loro qualcosa. Niente di speciale. Un primo, un secondo, una pietanza e dolce. Acqua e vino senza problemi. «Però dovette aspettare» affermò l’oste. «Di pronto non c’è nulla. Se venite qui, preparo tavolo e mangiare».
«No» rispose Daniele cortese ma fermo. «Siamo stanchi per un lungo viaggio dall’America. Possiamo pazientare, finché non arrivate».
Si sistemarono sul divano in attesa dell’arrivo del pranzo ordinato. Niente di speciale. Una pasta alla amatriciana, un filetto al rosmarino con verdure cotte. Per dolce pannacotta. Una bottiglia di un rosso dei Castelli Romani.
«Cosa mi doveva dire Sara?» la interrogò Daniele, guardandola negli occhi.
«Ti doveva dire di Natalia» disse in tono enigmatico Natalina. «Non ti ha detto nulla di mia sorella?»
Daniele scosse il capo in segno di diniego. Continuava a brancolare nel buio. Se qualcuno non si sbrigava a parlare, sarebbe esploso. Sembrava che tutti volessero prendersi gioco di lui con una serie di indovinelli sempre più misteriosi.
«Se te lo chiedo, un motivo c’è» sbottò Daniele, che a stento si tratteneva. «Non so nulla di tua sorella. Sarà almeno un mese che non la sento, né la vedo. Sparita nel nulla».
Natalina sospirò prima di rispondergli. «Troppe cose che si sarebbero dovute fare, non era state fatte. Troppo il tempo impiegato a costruire e smantellare le ragioni di una storia che ha molti lati oscuri».
Daniele osservò i suoi occhi diventati tristi, pieni di lacrime. Ancora un parlare in un codice che lui non conosceva. “Se queste benedette ragazze parlassero più chiaro” pensò. “Forse potrei anche capire le loro parole”.
«Se mi spieghi il nocciolo della questione» chiosò Daniele, che si alzò in piedi. «Forse potrei capire cosa è successo a Natalia».
Natalina lo guardò dispiaciuta. Il tempo che sana e che consola era scaduto. Lei era lì per questo.
«Natalia» cominciò Natalina, abbassando gli occhi. «È nei guai. Guai seri. Non so dove sia. So solo che mi ha cercato».
Daniele le prese le mani, fissandola con intensità. Non riusciva a immaginare in quale ginepraio si fosse cacciata Natalia.
[Continua]