Krimhilde- puntata 34

Su Caffè Letterario è stata pubblicata da poco la puntata numero 34.

La potete leggere anche qui.

La strega Ampfel con gli occhi chiusi congeda il drago Michele. “È affidabile, abile e intuitivo ma rimane un bravo soldatino. Non prende mai un’iniziativa personale fuori dagli schemi”.

L’incubo torna a ossessionarla come le ferite che non rimarginano mai. Quel volto senza faccia che nel sogno la minaccia e la mette in cattività ha un nome ma il viso rimane oscurato da una nebbia sporca e grigia.

La donna, la compagna, sa chi è e conosce i suoi lineamenti. Alta per essere una donna, dagli arti robusti frutto della disciplina militaresca. Non è una sprovveduta ma un’abile guerriera dalla mente pronta e scattante. “Se ne avessi una come lei a guidare questi rozzi buzzurri! Altro che drago Michele, bravo ma senza inventiva o quel vanaglorioso del draghetto Matteo!”

Sono recriminazioni inutili. Non ce l’ha e non la può inventare.

«Signora!» Irrompe agitata l’apprendista strega Rotapfel. «Asmodeo e Belfagor sono tornati a casa».

La strega Ampfel si raddrizza, gemendo per il dolore, riapre le palpebre che sbatte più volte accecata dalla luce intensa del sole che tramonta.

«Come? Entrambi?»

«Sì» ribadisce avvicinandosi.

«Ma portavano dei messaggi?» ribatte, sbuffando.

«No».

La strega Ampfel si accascia sul divano, perché ha compreso che la sua anima nera nel Castello è stata catturata. Il suo riferimento, la sua informatrice non esiste più.

«Maledetti!» E si chiude nel silenzio per valutare la situazione. Scuote la testa. “C’è poco da riflettere. L’intero piano s’è afflosciato. Non esiste più”. Deve organizzare la difesa. “L’incubo parla chiaro e quei due demoni sono puro veleno. Di certo cercheranno di annientarci”.

Riflette sulla prossima mossa. Non ha molte alternative oltre a drago Michele e draghetto Matteo. Rotapfel rimarrà sempre apprendista strega, perché non ha lo stigma della vera strega. Quindi non le resta che convocarli per fissare la strategia difensiva.

***

Baldegunde scende cortile d’onore dove continuano i festeggiamenti per il ritorno delle cinque fanciulle scomparse.

Markus è restato in disparte per godersi lo spettacolo. Non vuole interferire nelle manifestazioni di giubilo collettivo. Dentro di sé ha un cruccio. Aglaja, la più intraprendente delle cinque ragazze, continua a puntarlo, lanciando occhiate che mostrano la sua volontà a stare con lui. Sa che sarà un pericolo per lui.

In silenzio si sfila dalla folla festante per raggiungere la foresteria. C’è quasi riuscito quando echeggia «Markus. Vieni a festeggiare con noi». Lui sa a chi appartiene quella voce e si guarda in giro sperando di scorgere Baldegunde, la sua ancora di salvezza. Se finge di non aver sentito, rischia l’ira di Aglaja e le relative conseguenze. Se torna sui suoi passi, si trova coinvolto con lei e questo non gli piace affatto. Incerto tra lo sparire o ritornare avverte alle sue spalle un odore noto: quella della sua compagna. L’abbraccia e le sussurra: «Aglaja sta facendo la sciocca con me».

Baldegunde sussulta perché aveva già notato questo comportamento. «Hai fatto bene a farmelo notare» mente la capitana e a braccetto fendono la folla.

Aglaja fa una smorfia arricciando il naso. Il suo piano è fallito. “Ci sarà un’altra occasione”.

«Ragazze» attacca Baldegunde. «Vi devo scortare all’infermeria per controllare il vostro stato. Poi grande festa nella mensa. Vi vedo un po’ deperite. La prigionia ha affilato i vostri visi. La nostra regina vuol parlare con voi».

Markus si sente libero e si sfila dalla compagna.

«Ti aspetto nella foresteria» e si dirige verso il loro appartamento. Prima passa a prendere qualcosa dalla mensa, perché a parte la cena nella Casa delle Anime Immortali non ha mangiato nulla o quasi.

È notte fonda quando Baldegunde barcollante per la stanchezza fa il suo ingresso. Markus ha preparato il letto pensando di poterla stringerla e giacere con lei. Ha profumato le lenzuola fresche di bucato. Anche lei vorrebbe ma si sente sporca e puzzolente perché in questi due giorni ha curato poco l’igiene personale. È troppo stanca per farsi una doccia e rimanda al giorno dopo il suo desiderio.

Non è il gallo sprecone che sveglia Markus ma un malizioso raggio del sole che annuncia la nuova giornata. Con delicatezza si sfila dall’abbraccio della compagna per non svegliarla. La osserva e percorre con lo sguardo i lineamenti del viso cotto dal sole. Sembrano duri ma sono delicati come la fossetta sul mento, le guance rotonde e quelle labbra sottili come una lama.

Baldegunde allunga una mano e sente il vuoto. “Eppure era lì, abbracciato a me” e si rizza alla ricerca del compagno, che è lì con un vassoio a tavolino su cui sono in bella mostra brioche, pancetta scottata sul fuoco, uova in camicia e il bollitore del caffè.

«Buongiorno tesoro. Riposato bene?» E sistema il vassoio tra di loro.

«Stavo pensando che…» inizia pulendo la bocca dalle briciole della brioche alla crema mascherata.

«Mangiamo. Ai pensieri ci pensiamo dopo» ribatte tagliando una strisciolina di pancetta.

Baldegunde ride. “Ha ragione. Avrei rovinato questa atmosfera rilassante. Per i pensieri ci sarà tempo tutta la giornata”.

Messo in disparte il tavolino, Markus l’abbraccia e con delicatezza bacia il collo.

«Ma sono tutta sporca».

«Il tuo profumo mi inebria».

Si stanno facendo le coccole, quando un bussare deciso le interrompe.

«Uffa! Nemmeno un momento d’intimità ci lasciano!»

Markus scalcia le lenzuola, infila una tunica sul corpo nudo e apre la porta. È Grishinde, la ciambellana di Krimhilde.

«La nostra regina vi aspetta nel salone d’onore far cinque minuti».

Dalla camera giunge un “Chi è?” infastidito.

«Ditele che saremo lì tra mezz’ora. Tempo di una doccia e vestirci».

11 Scrivi una storia

Come esercitazione di Scrivere Creativo è dato questo incipit:

Giovedì Laura mi amerà. Prima di pranzo andremo al mare, staremo sulla spiaggia, da soli. A cena, davanti al tramonto, mi inginocchierò e …

Un giallo Puzzone

Giovedì Laura mi amerà. Prima di pranzo andremo al mare, staremo sulla spiaggia, da soli. A cena, davanti al tramonto, mi inginocchierò e …”. L’ispirazione si seccò a Marcello.

Fissò il foglio bianco con solo quelle due righe. Depose l’hastil d’oro e rimase con l’occhio bloccato sui quei puntini di sospensione.

Marcello odiava il computer e scriveva le sue storie con la penna stilografica, suscitando i risolini ironici degli amici. Però lui si ostinava a usarla mentre tastiera e mouse restavano inoperosi. “A cosa serve la videoscrittura se poi non mando nulla a una casa editrice?” Si grattò con vigore la guancia pelosa come per esorcizzare il blocco dello scrittore. Alle sue spalle sulla libreria stava la fila ordinata di quaderni ad anelli di vari colori. Rosso per i romanzi, blu per i racconti e giallo per le poesie. Il rosso era predominante, gli altri facevano da corona.

Accartocciò il foglio che finì con lancio perfetto nel cestino, già pieno fino all’orlo. Ne prese uno vergine dalla pila sulla scrivania e ricominciò a scrivere con la sua bella grafia rotonda.

Giovedì Laura mi amerà. Prima di pranzo andremo al mare, staremo sulla spiaggia, da soli. A cena, davanti al tramonto, mi inginocchierò e …”

Ma nulla. La mente si ostinava a chiudersi su se stessa. Non ne voleva sapere di proseguire. L’incipit l’aveva colpito ma tutto si era arenato a lì. “Lo lascio sedimentare?” Intrecciò le mani dietro la nuca e strinse gli occhi. Gli sembrò una buona idea. Messo il cappuccio alla penna che depose con delicatezza sul foglio appena scarabocchiato, andò alla finestra. “Sedimenta, sedimenta” e immaginò che la pila di fogli riempiti con i suoi pensieri si sarebbe animata in una danza degna di quella dei moscerini. Davanti ai suoi occhi si parò uno spettacolo verde: era la campagna che nonostante la lunga siccità era un verde che tendeva al giallo chiaro.

«Ma Laura chi è?»

Marcello si specchiò nel vetro chiedendosi se lui aveva una Laura.

«No. Nessuna Laura in vista. Quindi giovedì gnocchi e per di più da solo. Niente in ginocchio da te» commentò Marcello, che si girò di scatto, tornando alla sua postazione.

“… le dirò. -Mi dispiace ma io non ti amo.”

 

Nuova parte di Krimhilde e le fanciulle scomparse.

L’avvincente romanzo Krimhilde e le fanciulle scomparse si arricchisce di una nuova parte su Caffè Letterario.

copertina

La stessa la potete leggere qui.

Il drago Michele rimpiange di non aver preso con se la sacca dei viveri. La sete gli secca la gola e lo stomaco brontola. “Speriamo che faccia presto a ritornare”. Ha le gambe informicolate per la postura e le mani intorpidite. Vorrebbe alzarsi e camminare ma gli ordini sono ordini e vanno rispettati.

Non passa molto tempo quando le due dragonesse vedono una figura conosciuta avvicinarsi all’albero dove il drago ha appeso qualcosa.

Bathilde trasalisce, perché è una delle cortigiane più ascoltate della regina Krimhilde. “Una traditrice!” Rimane in silenzio senza muovere un muscolo, mentre la compagna vorrebbe intervenire.

La donna si allontana a passo svelto come se avesse fretta di sparire.

Bathilde rimpiange che Baldegunde sia scomparsa da due giorni. Dovrà fare rapporto alla sua vice, di cui non riesce a sopportare la spocchia. “Chissà come reagirà conoscendo il nome di chi sta tradendo la nostra Regina. Mi aspetto che non crederà una parole di quello che le dirò e non farà nulla”.

Il sole sta tramontando sulla pianura del Concerto, quando la vedono tornare. Come guidata da un filo invisibile va verso il roveto dove il drago è acquattato. Non riesce a vedere cosa consegna, né udire cosa si dicono. Poi lei si dirige verso il Castello di Mezzo, mentre lui riprende la strada del Ginestro.

«Cosa facciamo?» Chiede Marchilde che vorrebbe mettersi sulle tracce del drago.

«Seguiamo discretamente Grumhilde» la gela Bathilde. «È tempo sprecato seguire il drago. Sappiamo dove è diretto».

In silenzio seguono Grumhilde senza farsi notare. Sono due ombre che seguono un corpo.

Osservato che la traditrice rientra nel Castello, ritornano sui loro passi per pattugliare il tratto di Ginestro a loro assegnato.

Marchilde sgrana gli occhi per il comportamento di Bathilde. Lei sarebbe corsa senza indugio a fare rapporto a Brumfilde, a prendere istruzioni sulle prossime mosse da compiere. Però il sergente sembra snobbare tutto questo. Vorrebbe esprimere ad alta voce il suo pensiero ma preferisce tacere, seguendola in silenzio.

Si addentrano nel bosco mentre l’oscurità comincia ad allungare le ombre.

«Ci accampiamo in prossimità del guado dei Passi Perduti, facendo i turni di guardia fino al mattino».

Il posto lo conoscono perché il punto di riferimento del loro pattugliamento. «Hai sentito?» Mormora Marchilde indicando con la mano la direzione.

«Sì. Andiamo a controllare chi sono. Mi sembrano voci femminili».

In una piccola radura vedono sei donne e un uomo raccolti attorno a un fuoco. Però la sorpresa maggiore è riconoscere tra loro la capitana delle dragonesse a cavallo, il loro comandante.

Senza fare rumore si avvicinano. Solo Markus avverte la loro presenza e dà l’allarme. Non hanno strumenti per difendersi, né potrebbero averne perché solo le dragonesse a cavallo sono autorizzate a portare le armi.

Baldegunde allertata dal compagno si erge in tutta la sua stazza a difesa delle ragazze che continuano a ridere e scherzare. Non si sono accorte di nulla. Però lei riconosce chi sta alla guida del piccolo gruppo: è Bathilde, una delle più fedeli dragonesse. Le va incontro aiutandola a smontare da cavallo.

«Mi compiaccio con te, Bathilde perché stai eseguendo i miei ordini».

La dragonessa vorrebbe inginocchiarsi per rendere omaggio alla sua capitana.

Baldegunde l’abbraccia con calore sotto lo sguardo incredulo di Marchilde rimasta sul cavallo.

«Stavamo giusto per mangiare qualcosa. Tuberi di dente di leone e di patata selvatica, messi a cuocere sotto la cenere. Poi qualche erba da mangiare cruda. Roba povera».

Bathilde accetta a condizione che loro condividano parte delle scorte.

«Pensavamo di accamparci non molto distante dal guado dei Passi Perduti ma forse è meglio che restiamo con voi per proteggervi» suggerisce Bathilde al termine del modesto pasto. Non trova il momento giusto per esternare quello che ha visto.

Baldegunde intuisce che deve raccontare qualcosa di delicato e importante. Fatte coricare le ragazze e affidata a Marchilde la loro protezione, si allontana dal fuoco con Markus, invitando la sergente a seguirli.

«Ma…» borbotta ritenendo il compagno della capitana un elemento estraneo alle sue dichiarazioni.

«Markus… è il mio compagno da una vita e di lui mi fido ciecamente. Senza il suo aiuto le cinque ragazze rapite sarebbero ancora prigioniere. Quindi puoi parlare senza reticenze» spiega Baldegunde alla perplessa dragonessa.

Bathilde comincia un po’ titubante e man mano che il resoconto si snoda acquista sicurezza. Markus ascolta in silenzio senza mai intervenire, lasciando questo compito alla capitana.

Baldegunde si sarebbe morsa la lingua, quando si lascia sfuggire un apprezzamento non proprio lusinghiero su Grumhilde. Ha perso le staffe quando doveva mantenere la calma.

Baldegunde avrebbe voluto esonerare Markus dal suo turno di guardia ma lui afferma di sentirsi bene e rispetterà la turnazione.

Al sorgere del sole La capitana col compagno e le ragazze si avviano verso il Castello di Mezzo, mentre le due dragonesse riprendono il pattugliamento dell’area assegnata.

 

Compagnia per l’estate – 9 – Scrivi la tua storia

Ieri è ripreso il gioco linguistico di Eletta Senso. Oggi continuo a tenervi compagnia con queste mini creazione.

L’incipit da cui partire è

“Alle 16 e 30 arriverà Giovanni. Ha bisogno che prepari la sala? A mio parere sarà un intervento difficile …”.

Partendo da questa breve frase si deve costruire un mini racconto usando meno di 300 parole.

L’ultima avventura di Puzzone

Ecco il risultato

«Alle 16 e 30 arriverà Giovanni. Ha bisogno che prepari la sala? A mio parere sarà un intervento difficile …».

Sandro scuote la testa. Ci deve riflettere. “Ho ancora diverse ore per decidere” e se ne va senza rispondere.

Arnaldo non è convinto della decisione del suo superiore ma abbozza un sorriso di circostanza. Sa che poi dovrà correre come un forsennato per essere pronto alle sedici e trenta. Ricapitola cosa serve ma abbandona subito l’impresa perché tenere a mente tutti i dettagli è troppo per le sue capacità.

Si siede. Prende un blocco di carta riciclata e un lapis copiativo a cui fa una bella punta. Si gratta la testa perché non sa da dove iniziare.

Anna, la sua fida assistente, lo osserva perché appare chiaro che Arnaldo è in difficoltà. “Per cosa?” Eppure oggi non ci sono criticità come ieri, quando hanno dovuto preparare la sala B per un’urgenza. Sorride ma il giorno prima non ne ha avuto il tempo. Si avvicina con passo felpato. «Problemi?»

Arnaldo sobbalza. Non l’aveva sentita arrivare e straccia il foglio dal blocco. «No!» Ma poi ci ripensa. «Sì!»

Anna lo accarezza sul collo. «Posso rendermi utile?»

«Sì e no. Non riesco a fare la lista di quello che serve».

Lei aggrotta la fronte. Non capisce di quale lista si tratta. Guarda il cestino: è pieno di carta riciclata appallottolata.

«Oggi arriva Giovanni alle sedici e trenta e…».

«…E non sai come fare».

Arnaldo annuisce con un movimento della testa dall’alto verso il basso.

Anna scoppia a ridere e poi ridiventa seria. «Giovanni? Un bravo cucciolone».

Compagnia per l’estate – 8 – disegna la tua storia

Per tenervi compagnia questo martedì ho scovato un disegno approssimativo e attorno a questo ho costruito un mini racconto.

Ecco il racconto.

Era la festa della Vulandra al Parco Urbano di Ferrara. Tutti sul prato a naso in su per vedere quelle forme variopinte che il vento porta in alto.

Simone passando di fianco all’area in macchina con suo padre le vide volare nel cielo che si muovevano sinuose e affascinanti. Rimase a bocca aperta. Non aveva mai visto un aquilone, ne ignorava l’esistenza.

Simone era un bambino sveglio di otto anni che aveva sempre vissuto in città. Il suo mondo era chiuso tra quattro mura: quelle del suo appartamento. La televisione, i videogiochi, il computer erano i suoi compagni nelle ore di relax. La corte del condominio era off limits per i bambini, sempre occupato dalle auto dei condomini. Gli unici spazi verdi che conosceva erano i parchi cittadini e la minuscola area nel cortile della sua scuola. Alla domenica i genitori lo portavano dai nonni in campagna ma questa non era più quella di una volta col pollaio e le stalle. Adesso era tutto pulito e ordinato. Il piccolo orto dietro la casa, il giuggiolo e il melograno nel giardino di fronte e il prato su cui correre senza pericoli. Però gli animali di un tempo, il pollo, il maiale, la mucca, non si vedevano più. Li aveva osservati sul libro scolastico. Troppo poco per soddisfare la sua curiosità.

L’auto di suo padre era ferma al semaforo, che dava il via libera a una folla festante di bambini e adulti diretti nel Parco Urbano. Simone sembrava paralizzato dalla sorpresa di vedere nel cielo azzurro sostenuto da un vento gagliardo tanti oggetti colorati.

«Papà» disse girando il collo per osservarli, mentre la macchina ripartiva col verde. «Perché non ci andiamo anche noi domani? Siamo in festa».

Lorenzo sorrise. Ricordi di quando era bambino e preparava l’aquilone con stecche di bambù, carta colorata, colla di farina prodotta in casa e un rocchetto di spago. Aveva la forma di un rombo con una lunga coda colorata. Poi via di corsa nel prato delle sottomura cittadine per farlo innalzare nel cielo. “Altri tempi” sospirò il padre. “La fantasia non mancava per crearci i giochi”.

«Ma certo, Simone» e gli scompigliò i capelli mentre l’auto correva verso il centro città. «Domani, se non piove, ci andiamo».

A fine aprile era ormai un appuntamento fisso per Ferrara il festival della Vulandra dove si potevano ammirare piccoli capolavori d’ingegneria aerea accoppiata alla fantasia dei progettisti. Però Simone non ci era mai stato né Lorenzo gli aveva proposto di andarci.

Era un’occasione ghiotta per entrambi. Un pomeriggio all’aria aperta sui prati del Parco Urbano a due passi dal centro storico. Lorenzo aveva accompagnato nel settembre precedente il figlio ad ammirare la festa delle mongolfiere ma quello della Vulandra non era un appuntamento ancora provato.

Era il giorno di San Giorgio, il patrono della città, quando padre e figlio sulle loro biciclette raggiunsero il Parco Urbano, brulicante di bambini e di molti adulti, che erano tornati indietro nel tempo. Il cielo era colorato da mille forme, guidate dalle mani esperte dei loro proprietari. Un tripudio di gioia e spensieratezza.

In un angolo del prato un uomo circondato da bambini ma non solo spiegava come costruire un aquilone. Simone ascoltava senza dire una parola, senza perderne nemmeno una sillaba dell’istruttore. Doveva immagazzinarle tutte, perché voleva costruirsi un aquilone.

«Papà, ne facciamo uno anche noi?» chiese Simone, mentre andavano a recuperare le loro biciclette.

«Certamente» affermò Lorenzo, tenendolo per mano. «Sabato passiamo dal negozio di hobbystica in Corso Giovecca a comprare quanto serve».

Il padre era tornato bambino, mentre il figlio si riappropriava dei divertimenti di un tempo.

 

nuova puntata di Krimhilde e le fanciulle scomparse

Su Caffè Letterario è stata pubblicata la nuova puntata del racconto Krimhilde e le fanciulle scomparse.

La puntata la potete leggere anche qui.

copertina Amanda e il bosco degli elfi

Procedendo con cautela il gruppo guidato da Baldegunde, che su sollecitazione di Markus ne ha preso la guida, arrivano con qualche affanno al torrente Ginestro. Un paio d’incontri con le pattuglie dei nerd di montagna l’hanno messo in ansia ma tutto si è risolto bene.

Al di là del Ginestro c’è il bosco e la salvezza.

«Un ultimo sforzo e poi saremo al sicuro» incita Baldegunde, osservando il viso delle ragazze stanche e impaurite.

I loro occhi hanno perso vivacità e sono appannati per la stanchezza della notte insonne.

Markus controlla che il guado non sia presidiato dai nerd di montagna, come sarebbe logico dopo la fuga delle fanciulle. “In effetti sarebbe molto fuori del loro raggio d’azione ma sento che avranno fatto uno strappo alle regole”.

Anche se ben mimetizzati lui ne scorge le sagome e ascolta il loro linguaggio gutturale. “Dunque il guado è inagibile. Le tisane hanno cessato il loro effetto e far passare le ragazze è molto pericoloso”.

Esiste un altro punto più a nord dove è possibile passare il Ginestro ma è più disagevole perché i massi a fior d’acqua sono scivolosi. Capisce che è più rischioso perché sono stanche e i riflessi intorpiditi. Però non ci sono altre soluzioni praticabili.

Si apparta con Baldegunde per discutere cosa è meglio fare. La scelta in pratica obbligata è per quello più a settentrione.

«Ragazze dobbiamo risalire il Ginestro di un centinaio di passi e da lì passare sull’altra sponda». Non spiega che esiste il rischio di finire nelle acque gelide del torrente per non creare panico.

Markus afferra un capo della corda e attraversa sicuro il Ginestro. La fissa a un albero tozzo ma robusto. Tornato indietro blocca l’altro capo tra due massi. Lui resta in retroguardia per garantire la sicurezza al gruppo, mentre Baldegunde aiuta le ragazze a passare dall’altra parte con l’aiuto della corda tesa.

Sono passate una dopo l’altra tra gridolini e lamentele come bambine viziate tutte e quante meno Adelinde. Hanno deciso così con un semplice sguardo d’intesa tra loro perché appare la più insicura e quella che necessita maggiori attenzioni. Trema, traballa sulle gambe, ha la pupilla dilatata per la paura ma in particolare appare assente. Markus non si fida a farla passare con Baldegunde e quindi sarà lui ad aiutarla nel passaggio da un masso all’altro. Manca pochissimo, quando molla la presa e precipita come un sasso nell’acqua. Lui si getta e l’afferra sollevandola fuori con la testa. Sembra svenuta. Il torrente non è molto profondo in quel punto ma la corrente gelida è alquanto robusta e tende a trascinarli a valle. La scarpata non è agevole da scalare con una persona priva di sensi. Baldegunde lo aiuta e a fatica arrivano al prato tra le grida isteriche delle altre ragazze che hanno seguito l’episodio terrorizzate.

«Cercate della legna secca mentre io recupero lo zaino rimasto dall’altra parte» ordina perentorio Markus, che grondante d’acqua e intirizzito per il freddo torna sui suoi passi.

«Il fuoco è meglio accenderlo all’interno perché sarà più difficile da individuare il fumo» dispone Baldegunde che a fatica dissimula la sua ansia per lo stato della ragazza.

Adelinde ha le labbra violacee e contratte. Respira a fatica e trema tutta. Baldegunde le toglie i vestiti bagnati e la copre con un mantello di montone angorato accanto al fuoco che scoppietta allegro. Le altre ragazze la osservano con apprensione. Non accenna a riprendersi.

Baldegunde con delicatezza le massaggia le mani, il corpo, i piedi per riattivare la circolazione del sangue. L’operazione ha effetto e il livore esangue del colorito del viso vira verso il rosato. Però osserva con preoccupazione lo stato di Markus che trema vistosamente. Ha tenuto i vestiti bagnati e questa non è stata una grande mossa ma non c’erano alternative perché il mantello è stato dato ad Adelinde. Comprende che la febbre lo sta divorando. Nel bosco ci sono i fiori dell’olmaria che possono combattere lo stato febbrile del compagno. Però deve lasciarle sole e Markus non è in grado gestirle senza problemi.

Come se le avesse letto il pensiero, in uno dei rari momenti di lucidità, le comunica che sarà lui il guardiano delle ragazze e loro angelo custode.

In preda all’ansia si precipita nel bosco alla ricerca dei fiori che poi messi a bollire avranno una funzione antipiretica.

Le ragazze ammutoliscono e si guardano disperate come se fossero state abbandonate. Markus rimane in silenzio sforzandosi di mantenersi lucido. Sa che le sue parole non avrebbero il potere di rassicurarle e preferisce tacere.

Baldegunde torna con un fascio di fiori bianchi e foglie e fiori di tiglio. Nel Ginestro riempie una borraccia d’acqua che versa in un piccolo recipiente. Qui fa bollire quello che ha trovato. Markus beve l’infuso senza protestare. Ne conosce le proprietà medicinali. Lei accosta la tisana di tiglio alle labbra di Adelinde per rilassare il suo stato.

Il sole è un disco rosso infuocato che tramonta verso la pianura del Concerto.

Markus non trema più e lo stato febbrile sembra diminuito ma non è in grado di mettersi in marcia per raggiungere il Castello di Mezzo.

«Ci conviene addentrarci nel folto del bosco» suggerisce Markus. «Lì possiamo trovare qualcosa per alleviare la fame e siamo sicuri di non fare brutti incontri».

Baldegunde annuisce perché giudica la proposta sensata.

Trovata una radura abbastanza distante dal Ginestro, si accampano attorno al fuoco mentre lei va alla ricerca di tuberi e frutti selvatici.

«Non sarà una grande cena ma almeno plachiamo il nostro stomaco» spiega mentre li mette a cuocere sulla brace e sotto la cenere.

Adelinde pare essersi ripresa e si stringe a Baldegunde. Markus ha l’occhio arrossato e il respiro in affannato. Si sente debole e spossato ma si sforzerà ad alternarsi con la compagna a montare la guardia e tenere il fuoco acceso.

 

Compagnia per l’estate – 5 – La gravità.

Per questo martedì propongo un esercizio dove create un racconto con protagonista la gravità che svanisce di colpo. Non ha importanza il luogo o l’estensione in cui non esiste più.

Raccontate dello stupore, dei primi momenti di sconvolgimento del/i protagonista/i. Mi piacerebbe conoscere come vi sareste organizzati in presenza di un evento del genere e le relative conseguenze.

Insomma, questo primo attacco è verso la gravità.

Vediamo come ve la cavate!

Sarebbe interessante se scrivendo il racconto lo faceste da due punti di vista differenti.

Ah! dimenticavo! Possibilmente non usate più di seicento parole.

Buon divertimento!

Eliana da sempre sostiene di essere in grado di sollevare gli oggetti con la forza del pensiero. Però nessuno ha mai assistito a questo prodigio.

«Nemmeno tu non mi vuoi credere» borbotta la ragazza con gli occhi chiusi, rivolgendosi al suo compagno.

Marco trattiene una risata, sa che l’avrebbe innervosita. Fa strane smorfie nel tentativo di apparire serio, finché quasi strozzandosi non propone una bella sfida.

«Ci scommetto che non sarai in grado di sollevare la sedia dove sono seduto».

Eliana lo guarda di sbieco. Si sente presa per i fondelli. Lei ha parlato di oggetti non di persone o mobili. Diventa rossa come un peperone maturo, gonfia le guance e fa uscire tutta l’aria dei polmoni come un uragano. Intreccia le dita della mano e sta per urlare tutto il suo malumore quando vede i piedi di Marco staccarsi da terra. La sedia è mezz’aria a due metri di altezza.

«Sei impazzita?» esclama un terrorizzato Marco, aggrappato con le mani al bordo della sedia. È sbiancato in viso e gli occhi si muovono frenetici a destra e sinistra. Le nocche biancastre mostrano tutto il suo terrore. Anziché scendere sfiora coi capelli il soffitto. Soffre di vertigini. Guarda in basso ma chiude subito gli occhi. Se torna la forza di gravità normale, mi sfracello sul pavimento. Ben che vada finisco in ortopedia. Questo pensiero vortica nella sua mente.

«Eureka!»

Eliana batte le mani in segno di gioia. Sembra una bambina che ha incontrato il suo migliore amico.

«Vedi, incorreggibile San Tommaso». La ragazza gonfia le guance per espirare l’aria immessa nei polmoni.

«Sì, ti credo» la implora Marco, che deve piegarsi in avanti, perché il soffitto preme sul suo capo.

Il suo cuore pare un metronomo impazzito. Bum, bum, bum! Si augura che l’atterraggio sia dole e le gambe della sedia reggano all’urto col pavimento. È terreo in volto. Le labbra serrate come a trattenere l’urlo di terrore che sente dentro di sé.

Eliana è presa da un senso di onnipotenza. Se riesco a sollevare Marco e una sedia, posso alzare qualsiasi cosa con la sola forza del pensiero. Sposta gli occhi verso destra e vede muovere Marco nella direzione del suo sguardo. Li rotea e la sedia compie la medesima evoluzione. Riesco ad annullare la forza di gravità, pensa battendo le mani, mentre il corpo di Marco beccheggia come una nave in preda alla tempesta.

Il ragazzo non sa più a che Santo votarsi per ritornare sul pavimento incolume. Li ha esauriti tutti e ricomincia da Pietro. Trema come una foglia al vento e teme di finire come questa. Volare lontano.

«Eli» balbetta incerto. «Fa la brava. Fammi scendere con dolcezza».

La finestra è aperta e l’appartamento è al sesto piano. Marco si accorge di essere terribilmente vicino al vuoto a causa delle evoluzioni che la ragazza si diverte a fare.

Eliana si sposta a sinistra, poi a destra. Salta e si accuccia. Si muove per la stanza frenetica in preda al delirio di onnipotenza, perché è convinta di poter dominare ogni cosa con la sola forza di volontà. Non ascolta le parole terrorizzate di Marco che infila la finestra e sparisce alla sua vista. Sente un urlo e un schianto. Poi il silenzio.

«Lasciami» esclama Eliana interdetta, sentendo la presa ferrea delle mani di Marco sul suo braccio. «Che ti prende?»

Lui sta ansimando e con la voce roca ripete in continuazione: «Fammi scendere».

Lei si mette dritta nel letto e lo guarda storto. «Dovresti bere meno alla sera».

nuova puntata del racconto Krimhilde

Su Caffè Letterario è stata da poco pubblicata la ventiquattresima puntata di Krimhilde e le fanciulle scomparse, che potete leggere anche qui.

Un caso per tre

Il drago Michele si siede sulla poltroncina di pelle di leopardo delle nevi. Non capisce cosa stia succedendo. Si credevano invulnerabili e si scoprono esposti ai colpi di due persone a cui non darebbe credito nemmeno il più sprovveduto degli ingenui.

La strega Ampfel si lamenta perché l’olio di maleleuca sta terminando i suoi effetti. Stringe le labbra e aggrotta la fronte. A questo ci penserà dopo.

«Almeno hanno quattro potenti amuleti» ricapitola con una smorfia delle labbra. «Ma… Allungami il dizionario delle erbe della megera rossa».

Lo apre a metà dove ci sono inserite delle erbe ormai secche e scorre il testo con un dito tra una contorsione del viso e un grugnito di dolore.

«No. Non è questa» e lo chiude con violenza.

Stringe gli occhi per concentrarsi e dominare le fitte che il veleno le procura. “Le regine della Terra di Mezzo non hanno mai tollerato le streghe o chi usa le arti magiche anche a fin di bene. Sono state tutte bruciate vive. Da secoli sono scomparse e le superstiti si sono rifugiate tra le montagne innevate”.

Scuote la testa perché vorrebbe dire che qualche megera ha tramandato alle generazioni future i suoi segreti, sfuggendo alle ire delle regine.

«No!»

Il drago Michele la osserva stupito. Parla da sola, fa smorfie di ogni tipo, smania e pronuncia frasi che lui non comprende.

«No che cosa?»

«Chiama l’apprendista strega. Che venga subito con olio di maleleuca e tisane bollenti. E muoviti».

Come se avesse origliato, Rotapfel arriva con quanto richiesto prima ancora che il drago Michele l’avesse chiamata. In silenzio porge la tisaniera con una tazza a forma di uncino su cui sta un coperchio a forma di mano. Poi con energia strofina l’olio sulle piaghe che non sembrano rimarginare.

Si sente già meglio e i dolori si attenuano. È pronta a riprendere il filo del discorso.

«Ti devi mettere in contatto con Grumhilde…».

«Grumhilde?» Il drago Michele comprende che anche tra loro ci sono molti misteri e non solo nel Castello della Terra di Mezzo.

La strega Ampfel ignora l’interruzione e fornisce tutte le istruzioni al drago Michele che deve svolgere il giorno seguente.

È sera e avverte tutta la stanchezza che ha accumulato nella giornata. Si fa preparare il letto e lo congeda.

***

Markus e Baldegunde vorrebbero porre molti quesiti ma al primo timido tentativo è stato posto loro il silenzio.

«A tavola si mangia ma non si fanno domande. Si può chiacchierare in modo pacato senza disturbare gli altri. Ci sarà tempo al termine di porre gli interrogativi che sorgono».

È stata perentoria nell’affermazione mettendoli a tacere. Gli altri commensali hanno sorriso e bisbigliato qualcosa che gli umani non hanno percepito.

Markus mangia con calma le ottime portate ma continua a riflettere chi sono queste anime immortali che vivono tra i monti innevati. Non ricorda di aver letto nulla o ascoltato qualcosa su di loro. “È vero che non ho letto molto. Sarebbe proibito ma con la scusa dei mobili e delle loro riparazioni ha goduto di una certa libertà nella biblioteca”.

«Non pensare, mangia!» La solita voce femminile lo redarguisce.

Lui sobbalza come un bambino colto in fallo. “Dunque sanno pure leggere le menti oltre a essere invisibili”. Rimpiange di aver lasciato in camera i fiori variopinti e di non essere in grado di schermarsi contro queste intrusioni.

«Non saresti stato in grado di leggere nei nostri pensieri, né proteggerti».

«Vero! Ma sarei stato capace di schermarmi» rimbecca punto nel vivo.

Baldegunde sgrana gli occhi nell’ascoltare questo dialogo al limite del surreale. Ascolta il compagno parlare ma non sente nulla dell’interlocutore. “Markus non è impazzito. Non parla da solo ma con qualcuno che non vedo né sento”.

Si sente esclusa, trascurata. Il compagno parla con qualcuno che lei non riesce a contattare. È la prima volta che la taglia fuori dai suoi discorsi. Il dialogo si fa più serrato e fatica a comprendere il senso del discorso. L’unica certezza che ha acquisito prestando attenzione, è che l’altra persona è di sesso femminile.

«Scendiamo in giardino a prendere il dessert».

È una voce femminile gradevole da ascoltare. “Forse è la stessa che sta parlando con Markus” e la gelosia cresce.

«Andiamo» dice la voce e prende sottobraccio Markus.

Lui però ha visto lo sguardo feroce di Baldegunde e il viso imporporato per la gelosia montante. Si divincola e abbraccia la compagna. “Abbiamo una missione da compiere” riflette avviandosi a uscire dalla sala.

«Sciocco» e sente anche una risata di scherno.

«Con chi parlavi con tanto fervore» chiede Baldegunde con tono stridulo, scoprendosi gelosa di una persona incorporea.

«Una voce senza volto e senza nome».

La bacia per suggellare la pace.

Un giardino, che pare il mitico Eden dei racconti del focolare, appare ai loro occhi.

«Le vostre poltrone sono qui, accanto al roseto».

Markus sospira per il sollievo, perché sono una accanto all’altra e le può tenere la mano.

«Sciocco!»

Di nuovo la voce lo schernisce ma lui sorride e alza le spalle. Ha capito che Baldegunde non percepisce le parole che giungono alla sua mente.

«È giunto il momento di spiegare chi siete e perché ci aspettavate» esordisce con tono deciso Markus, che tiene la mano della compagna.

Una breve risata precede le parole. «Chi siamo? Le anime che proteggono questo sentiero e i viandanti che lo percorrono».

Baldegunde è rimasta in silenzio, sentendo scemare l’adrenalina della gelosia. «Ma tutti lo possono percorrere?»

«Noooo!» È il coro che le risponde. «Solo le persone elette possono accedervi».

Markus e Baldegunde si guardano negli occhi inarcando le sopracciglia. «Noi persone elette?»

«Sì. Avete un compito da svolgere».

«Liberare le cinque fanciulle rapite e tenute prigioniere?» chiede Baldegunde sconcertata.

Il silenzio cala nel giardino. Sembra che siano rimasti solo loro due.

«Buona notte» augura la voce femminile.

Markus e Baldegunde si ritrovano seduti in poltrona in una saletta interna.

«Troppi misteri. Andiamo a coricarci. Domani ci aspetta la Prigione del Tempo Perduto».

Nuova puntata su Caffè Letterario

Su Caffè Letterario è stato pubblicato la puntata ventitré di Krimhilde e le fanciulle scomparse. Per i pigri la riporto anche qui.

Un caso per tre

Markus osserva con interesse professionale la stanza. Legni pregiati di cui ne ha sentito solo parlare ma mai visti e di cui ignora il nome esatto, disegni di alta classe usciti dalle menti più creative della Terra di Mezzo. Sfiora con le mani un comò nell’angolo sinistro della stanza da letto dalle linee semplici. Una forma pulita senza fronzoli pretenziosi e con le maniglie di avorio giallo che rappresentano una mano chiusa a pugno. Apre il cassetto in alto e strabuzza gli occhi. Una serie di camice di lino mediano azzurre, bianche, a righe larghe o strette sono riposte con cura. Controlla e rimane a bocca aperta. Sono la sua taglia. Sembrano fatte su misura per lui. Dall’armadio sceglie un vestito di lana pettinata che si intona perfettamente con la camicia a righe larghe bianca e azzurra.

Si sta ammirando davanti allo specchio interno dell’anta quando sente la voce di Baldegunde che lo riporta sulla terra. «Non sei ancora pronto? Tra cinque minuti ci aspettano da basso».

Markus si gira e apre la bocca per la sorpresa. Nessuna parola esce dalle sue labbra. Gli occhi sfavillano osservandola. “Se non sapessi chi è, non l’avrei riconosciuta”.

«Non fare il buffone!» lo rimbrotta sapendo che il suo abbigliamento avrebbe generato stupore. «Non hai mai visto una donna?»

Un abito di organza rosa con la blusa blu tutta sbuffi e aderente al corpo mette in evidenza le forme di Baldegunde. Markus l’ha vista sempre infagottata nei vestiti di ordinanza anonimi e scialbi, dai colori smorti come il grigio, il verde sbiadito o il viola. Lui li ha sempre definiti come sacchi di patate indossati da una donna fatta uomo. Il seno che può ammirare, quando nel letto la stringe a sé, rimane nascosto dalle camice di tela grezza ampie e informi che coprono anche i fianchi ben modellati. Non migliora l’aspetto nemmeno quando indossa le uniforme di gala ugualmente sgraziate che occultano l’essenza di donna. Adesso la può apprezzare in tutto il suo fascino femminile.

Fischia per l’ammirazione verso la compagna che ride soddisfatta. Poi lo prende sottobraccio e raggiungono la sala al piano terra.

Markus osserva la disposizione delle stanze che non ricorda che fossero così al loro ingresso. Gli sembra di essere immerso in caleidoscopio che modifica le immagini a ogni giro.

Baldegunde lo spinge dentro un enorme salone nel cui centro sta una lunga tavola. «Uno, due, tre…» conta i posti e strabuzza gli occhi. «Tanti commensali?»

Una tovaglia di broccato rosso con disegni in oro è stesa sotto piatti e posate di argento che brillano illuminate dalle candele poste sulle pareti. Bicchieri e calici di cristallo colorato sono disposti davanti alle stoviglie.

Baldegunde è affascinata da simile opulenza e tiene la bocca aperta per lo stupore. Adesso è Markus a ridere per lo sguardo incantato della compagna di fronte alla meraviglia della preparazione della tavola.

Si avvicina e legge i segnaposti ‘Brunhilde, Andrea, Sofia, Gwendolin,…’ Ai due estremi del tavolo scopre che la mano che sorregge il biglietto reca i loro nomi. «Tu sei là» e indica il posto da capotavola. «E io qua».

«Sedetevi. Tra pochi minuti arrivano le portate. Mancavate solo voi».

Una voce cristallina e giovanile fa sobbalzare Baldegunde che si guarda intorno poiché non vede nessuno degli altri commensali.

«Non ti preoccupare Baldegunde. Noi ti vediamo ma tu non puoi vedere noi».

Le sorprese non sembrano finire mai.

***

La notte è passata e dalla fessura nel soffitto della caverna filtra un pallido raggio di luce.

Nessuna delle cinque fanciulle è riuscita a dormire. Si sono lamentate, si sono chiamate l’un l’altra, hanno pianto in modo disperato.

Un nuovo giorno sta cominciando senza nessuna certezza che qualcuno venga o a liberarle o a portare qualcosa da mangiare.

Gislinde si lamenta perché secondo lei è da una vita che si trova prigioniera lì.

«Ma no!» La corregge Agnete. «È passata solo una settimana».

«Come fai a saperlo?» Rimbecca Reinhilde, perché secondo lei il tempo si è fermato.

Aglaja sorride in silenzio mentre col dito scorre sul legno a contare le tacche. “Io sono qui da nove giorni e sono stata l’ultima”. Tace per evitare che le compagne siano colte da angoscia e paura. “La tensione si è stemperata con questa vivace discussione sul tempo della prigionia e non la voglio incrinare”.

Il suo stomaco vuoto brontola perché reclama cibo. Deve pazientare e sperare che la loro carceriera passi. Se nei giorni precedenti faceva la preziosa col cibo, piluccando qua e là qualcosa, nella giornata odierna mangerebbe qualsiasi cosa di commestibile.

Adelinde, che passava le sue giornate in posizione fetale, parlando il minimo indispensabile, adesso sembra aver perso l’uso delle parole. Ascolta il chiacchiericcio delle compagne ma non memorizza nella mente nulla. È come se fosse sorda.

Parlando tra loro riescono in un qualche modo dimenticare che sono da due giorni senza cibo.

«Sta arrivando!» urla Reinhilde che è la più prossima all’ingresso.

«Chi?» Adelinde sembra aver riacquistato l’uso della parola.

«Lei!» Conferma Reinhilde che per la prima volta è felice per l’arrivo della carceriera. Ha sentito il passo pesante dello stallone delle nevi che annuncia il suo avvento.

Senza proferire una parola porta cibo e indumenti freschi. Si sbriga veloce come se avesse un appuntamento urgente. Vuole evitare di dover dare spiegazioni sulla mancata venuta del giorno precedente e per farsi perdonare ha portato razioni abbondanti. Poi frettolosa se ne va senza salutare.

Le fanciulle si gettano sulle porzioni con voracità, ignorando il comportamento sbrigativo della carceriera. Nessuna parla. Non ne hanno tempo perché devono placare la fame.

«Oggi la cuoca per farsi perdonare ha proposto piatti più gustosi». Gislinde si umetta le labbra per cogliere tutti i residui del cibo.

«Forse la fame ti ha fatto apprezzare lo stufato di montone nero duro come un sasso» replica divertita Agnete tutt’altro che soddisfatta del pranzo.

«Meglio le patate nere lessate e insipide che il nulla. Non facciamo troppo le schizzinose, perché ieri avremo mangiato qualsiasi cosa per la fame. E oggi pure ma troviamo tanti difetti alle porzioni ricevute».

Aglaja ride nel sentire le chiacchiere delle compagne. “Sarebbe andato bene qualsiasi cosa, purché fosse commestibile” e col dito pulisce la scodella, perché ha finito tutto il pane nero al timo di montagna. “E stasera?” Alza le spalle: pulirà la scodella con la lingua e il dito.

Reinhilde, rimasta in silenzio fino a quel momento, trova stucchevoli tutte quelle lamentele. “Il cibo non è stato mai all’altezza della mensa del Castello. Che a dire il vero era modesta. Però oggi era buonissimo!”

Anche Adelinde ha trovato che nella giornata odierna tutto era gustoso. “È inutile fare le difficili. Piuttosto che rimanere anche oggi a pancia vuota, va bene tutto”.

Finito il pranzo è il momento del cambio dei vestiti e dell’intimo che dopo quattro giorni emana un afrore non proprio gradevole. Soliti gridolini e imprecazioni per la ruvidezza dei tessuti salgono dalle varie celle. L’atmosfera è mutata rispetto al risveglio. Allegra e vivace. Per qualche ora dimenticano la loro condizione di prigioniere.

Si aggiunge una nuova puntata

Su Caffè Letterario si aggiunge una nuova puntata di krimhile e le fanciulle scomparse e siamo a quota ventidue.

Per chi vuole la può leggere qui.

Oggi la loro carceriera non è passata come di consueto e le cinque fanciulle provano brividi di paura.

«Cosa sarà successo?» Si chiede Aglaja a voce alta, un po’ stridula per il timore di essere state abbandonate.

Le compagne di sventura rispondono con pensieri smozzicati inframmezzati da pianti.

«Non credo!» È la replica di Gislinde che passato il primo attimo di sgomento ha riacquistato la sicurezza nelle sue parole. «Siamo troppo importanti per essere abbandonate a una fine terribile».

Agnete domanda tra un singhiozzo e l’altro i motivi del loro rapimento.

«Lo ignoro» afferma in un momento di lucidità Adelinde.

Reinhilde rimasta in silenzio fino a quel momento si chiede a voce alta i motivi per cui loro rappresentano un patrimonio importante. «Aglaja, chi ti ha detto che siamo importanti e quindi non siamo state abbandonate?»

Aglaja abbozza un sorriso stentato, perché la compagna l’ha confusa. «Nessuno».

Gislinde stava per replicare ma la lascia parlare. “Tanto avrei data la medesima risposta”.

«E allora?» Incalza Reinhilde non paga della risposta.

Aglaja spiega che rapire cinque fanciulle illibate sotto gli occhi della regina Krimhilde rappresenta un grosso rischio per chiunque. Una vera sfida alla sua proverbiale collera, quando sono coinvolte delle figure femminili. «Facciamo parte di un piano misterioso ma di certo molto importante per i nostri rapitori. Siamo merce troppo preziosa per essere lasciata morire di inedia e stenti».

Le ore passano e non si vede nessuno. Qualcuna inizia a percepire i morsi della fame, perché nella giornata odierna hanno potuto mangiare solo i resti del giorno precedente. Domani sarà peggio se non arriverà nessuno.

Dalla fessura la luce diventa sempre più fievole fino a sparire del tutto. Nella giornata odierna è tutto diverso a cominciare dal mancato arrivo della carceriera. Poi le loro inquietudini per la sensazione di essere abbandonate a una morte atroce. Infine la nostalgia delle persone amate che rischiano di non vedere più.

Col buio l’angoscia cresce, mentre un’altra notte le aspetta con l’incognita di non vedere la nuova luce dalla fessura.

Aglaja ha perso la baldanza che fa parte del suo carattere e piange in silenzio. Non le piace mostrare la sua debolezza. Singhiozzi ovattati e respiro sincopato accompagnano i suoi pensieri. “Non potrò rivedere Karl, né le amiche. E…” e si interrompe perché avverte un groppo alla gola che le impedisce di respirare.

Gislinde, la veterana del gruppo, chiama a una a una le compagne. Un modo per tenere alto il morale. «Adelinde…».

Con la voce impastata dalla paura e dal pianto lei risponde al richiamo.

«Dobbiamo essere forti. Parliamo per farci coraggio e compagnia, così la notte ci farà meno paura». Gislinde con gli occhi arrossati per il pianto suggerisce questo approccio per le prossime ore.

La strega Ampfel urla, si dimena per il dolore che il veleno le procura e per effetto delle erbe che usa per combatterlo.

L’apprendista strega Rotapfel è terrorizzata e gli occhi sbarrati lo dimostrano. Continua a massaggiare con forza le piaghe che sembrano non finire mai di espurgare quel siero puzzolente. Il ritorno della strega Ampfel le ha fatto dimenticare il compito giornaliero ma non lo esterna per non incappare nelle sue ire. “Forse riuscirò ad assolverlo prima del calare del sole” riflette mentre continua a strofinare con energia l’olio di maleleuca. Le mani sono arrossate e le braccia indolenzite ma non osa lamentarsi.

Il drago Michele si è seduto sul divano nero e aspetta con pazienza che venga chiamato. Sono passate molte ore da quando si è sistemato e vorrebbe tornarsene nella sua abitazione e mangiare un boccone. È a digiuno dalla sera precedente. Come l’apprendista strega non ha il coraggio di sfidare il furore collerico della strega Ampfel: l’ha già assaggiato in occasioni precedenti. «Pazienza…» mormora col labiale per non farsi udire.

Cala la sera e i lumi si accendono, mentre il drago Michele sonnecchia ronfando. Si desta sentendo il suo nome e per poco non provoca un disastro. Per un pelo riesce a trattenere lo sbuffo che come un lanciafiamme avrebbe carbonizzato l’intero arredo della stanza. Si mette eretto con difficoltà, perché ha tutti i muscoli rattrappiti per la scomoda posizione. Barcollando raggiunge la stanza dove la strega Ampfel si sta curando.

«Hai chiamato?» Il tono ironico della voce e lo sguardo beffardo che illumina il suo viso la irritano, mentre Rotapfel si allontana per prudenza. “Quando è in queste condizioni può succedere di tutto”.

La strega Ampfel si trattiene e controlla la collera che monta. Ha bisogno di entrambi e non desidera innescare un battibecco inutile.

«Nella Caverna del Pozzo Maledetto c’era una quarta persona che teneva la verga ammazzastrega. L’ho capito stamattina vicino al torrente Ginestro. Stesse sensazioni… Ma non è questo l’argomento da discutere. Piuttosto è da capire quali altri strumenti pericolosi la donna e il suo compagno…».

Sul viso del drago Michele il sorriso beffardo si ghiaccia e stringe gli occhi per prestare maggiore attenzione. «Sicura che sia un uomo la quarta persona?» Se fosse così senza dubbio si tratta del compagno della donna. Eppure non ha avvertito la presenza umana del quarto ospite oltre a loro.

«È possibile abbiano strumenti così potenti da ingannarci?»

La strega Ampfel annuisce e fa una smorfia per il dolore che le piaghe le procurano.