Due gatti per un caso – Elena Andreotti

Due gatti per un caso, l’ultima fatica di Elena Andreotti, è un breve racconto per ragazzi. È la storia simpatica di due gatti, che abbiamo già incontrato nei suoi libri, Cicerone e Duchessa. Non sto a parlare della trama, perché toglierei il gusto della lettura a chi volesse leggerlo.

Parlerò delle sensazioni che ho provato in questa veloce lettura. L’impressione è stata positiva per il modo garbato con cui i due gatti si propongono al lettore e per la bella morale che trasmette. Ai bulli si risponde con educazione e le persone, in questo caso una mamma gatto e la sua nidiata, in difficoltà si aiuta senza far pesare quello che si offre.

Credo che questa lettura valga per piccini e adulti.

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I delitti di Fleat House di Lucinda Riley

Lucinda Riley è stata una scrittrice di successo di romanzi rosa prima che un tumore all’esofago non l’avesse portata al camposanto nel 2021.

Come molti sanno il genere rosa o romance o come cavolo si chiamano questi romanzi non sono mai stati troppo graditi da me. Ne leggo, per carità, ma di solito preferisco altre tipologie di libri.

Quando qualche anno fa Prime Reading mi propose il primo volume della saga ‘Le sette sorelle’, la storia di Maia, l’ho scaricato. Tanto non mi costava nulla, rimaneva nella mia libreria finché non lo restituivo. Se non mi piaceva mi era costato zero euro. L’ho cominciato a leggere con diffidenza ma l’ho trovato gradevole e sono arrivato alla fine in fretta. C’era qualcosa che mi aveva invogliato a leggerlo tutto d’un fiato.

Quando Prime Reading qualche mese fa mi ha suggerito un altro romanzo di Lucinda Riley ‘I delitti a Fleat House’ senza pensarci molto l’ho scaricato. È un giallo poliziesco, quindi molto distante dal resto della produzione di questa scrittrice. Questo almeno in teoria. Nella prefazione curata dal figlio Harry Whittaker si informa il lettore che questo libro scritto nel 2006, quindi prima della saga, non era mai stato pubblicato dalla Riley. L’ha proposto nella stesura originale non editata e fa parte di un gruppo di romanzi rinvenuti nei cassetti della scrittrice e usciti postumi. Fin dalle prime pagine ho capito che mi sarebbe piaciuto e nel giro di pochi giorni l’ho finito. Arrivato alla fine ho compreso il motivo per cui ‘La vita di Maia’ mi era piaciuto. È un romanzo rosa in superficie ma dentro ha l’anima del giallo ovvero una sorta di giallo vestito di rosa.

Questo invece è l’opposto un giallo con tocchi di rosa. L’anima della scrittrice non si è snaturata. È rimasta fedele al suo cliché di scrittura.

La storia è semplice. Jazz, una detective della divisione crimini di Scotland Yard di Londra, si è trasferita nel Norfolk abbandonando la sua promettente carriera dopo il divorzio col marito, che opera nella stessa sezione. Il suo vecchio capo la induce a investigare su un apparente episodio di morte naturale, che si vuol liquidare come un tragico incidente, nel collegio, Fleat House. A questa morte ne seguono altre due che in apparenza non sembrano collegate alla prima. Tra tocchi di rosa e intuizione felici, Jazz risolve tutti i misteri che hanno una radice nel passato. Le analogie con ‘La vita di Maia’ sono evidenti, anche se il contesto è profondamente diverso. Maia investiga per conoscere le sue radici e scopre che queste affondano nel passato. Qui Jazz investiga su episodi attuali che hanno avuto un’origine molti anni prima.

L’epilogo, anche se non detto chiaramente, è una rielaborazione molto minimale dell’originale scritta dalla Riley, e forse lascia un po’ a desiderare. Comunque a parte il finale, il ritmo narrativo è buono, i colpi di scena sono ben gestiti, le intuizioni di Jazz pregevoli. Solo alla fine si scopre chi ha operato i vari delitti e nulla ha lasciato intuire chi e perché.

Niceville – recensione

 

 

Diverse settimane fa dal blog di Lorena Parma ho letto la sua recensione di Niceville, la trilogia di Carsten Stoud. La lettura del post mi ha incuriosito, così ho deciso di comprare i tre ebook di cui si compone la storia.

Sono un lettore onnivoro ma certi generi mi attraggono più degli altri. Però al termine mi sono chiesto: cos’è questa trilogia? Un thriller? Un giallo poliziesco? Un horror? Un urban fantasy? Un romanzo psicologico? Ammetto che c’è un pizzico di tutti questi e forse anche di altri che non ho citato.

Passiamo oltre.

Il primo volume si apre con una rapina milionaria condotta da un ex poliziotto radiato e un poliziotto in servizio, che di mestiere fa il cecchino. È questa è una linea narrativa che segue la sua strada. Poi il caso del ragazzino scomparso e ritrovato chiuso in una cappella del cimitero. Un pizzico di horror e forse di urban fantasy che vede impegnati Nick, un detective della polizia, e Kate sua moglie, un avvocato. E qui mi fermo per non fare spoiler e togliere il gusto della lettura a chi li volesse leggere.

I tre ebook, o libri di carta per chi ama sfogliare le pagine, sono in un certo senso autoconclusivi ma suggerisco di leggerli in sequenza senza altre letture in mezzo.

Dei tre il volume 2 è il migliore. Il primo l’ho trovato un po’ confusionario. Il terzo un po’ troppo impregnato di magia e alquanto improbabile. Il finale mi ha lasciato freddo.

Sono convinto che Stroud li abbia pensati sperando che diventasse una serie TV per Netflix e affini. Troppe linee narrative, troppi personaggi che appaiono e scompaiono senza lasciare tracce, troppi morti che vivono anche dopo morti. Insomma qualcosa stride un po’.

Per contro la sua scrittura è elegante, chiara e il lettore non fatica a immaginare le scene o immedesimarsi nei protagonisti.

In conclusione, anche se il mitico Stephen King l’ha elogiato, per il momento sta due gradini sotto.

Aglaja – una rinascita

Aglaja è il romanzo di esordio di una scrittrice che si firma sotto pseudonimo.

È la storia di una giovane, Aglaja, alla ricerca di se stessa per calmare l’inquietudine dell’anima a causa di un grande amore non corrisposto. Un amore che la tormenta da dieci anni e che un imprevedibile caso del destino la fa incrociare di nuovo durante un viaggio di lavoro. Tutto sembra perduto per Aglaja quando una vecchia signora le regala un ciondolo con Iside. È la svolta tanto cercata che imprimerà un cambio radicale nella sua vita.

È un testo che parla all’anima con lunghe riflessioni sull’amore, sull’arte, sulla religione, sulle persone. Riflessioni e pensieri che il lettore può condividere oppure no ma dimostra come la scrittrice conosca bene gli anfratti dell’animo umano che descrive con grande cura e perizia. Così il lettore è trascinato in quel mondo dalla scrittura leggera ma potente della scrittrice. L’arte, filosofia e psicologia si fondono in un tutto unico dando vita a un grande affresco dell’umanità.

Il tono e lo stile narrativo non conosce pause anche nei momenti in cui i protagonisti parlano di se stessi e delle loro pulsioni. Il lettore è stimolato nella lettura dalla scrittura accattivante e matura della scrittrice, appare fluida anche nei momenti più critici del romanzo.

Per chi lo volesse acquistare lo trova su amazon sia in formato cartaceo sia ebook.

I due usi del coltello di Elena Andreotti

Dopo aver letto Continental OP, ho divorato in breve tempo “I due usi del coltello” di Elena Andreotti.

Elena Andreotti scrive le sue storie con cura e garbo e anche questa sua nuova fatica non tradisce le attese. Dopo i personaggi di Debora Nardi, l’avvocato M.T. Smithson, Fil Vanz, Virginia Saint Martin compare un nuovo protagonista, Zaccaria Fiore, che è tratteggiato come una persona normale che si trova coinvolto in un caso suo malgrado. In un certo senso è più affine a Debora Nardi per estrazione culturale che agli altri più avvezzi alle indagini. Zaccaria è un medico stimato e noto. Quando una paziente ricoverata nel suo reparto muore in circostanze misteriose, sembra che il mondo gli sia crollato addosso. Tuttavia viene a capo di quella morte con intelligenza e razionalità, usando la sua conoscenza dell’anima umana.

Merita di essere acquistato e letto.

Continental OP

Leggendo “Leggere Lolita a Teheran” di Nazar Nafisi mi sono imbattuto in questa raccolta di gialli polizieschi che è stata esaminata e valutata dalla scrittrice e le sue allieve. Mosso da curiosità l’ho comprato, perché di Dashiell Hammett avevo letto molti anni fa “Il falcone maltese“, che fu portato sul grande schermo con la superba interpretazione di Humphrey Bogart nel ruolo del detective Sam Spade.

In questi giorni ho finito di leggere Contintal OP volume 1 di Dashiell Hammett, una voluminosa raccolta dei racconti scritti per la rivista Black Mask tra 1923 e 1930. Sono ventotto racconti più una storia incompleta. “Black Mask” è stato all’epoca il faro delle riviste pulp e Hammett lo scrittore che ha ispirato le prime storie “hard-boiled”.

Forse come autore è meno famoso di Raymond Chandler e del suo detective Philip Marlowe, che è comunemente associato a questa tipologia di romanzi polizieschi.

Un piccolo inciso per spiegare i due termini hard-boiled e pulp. Hard-boiled, intraducibile in italiano, è la storia di un detective che bada al sodo, che lavora da solo e con mezzi non convenzionali. Pulp sono quelle riviste che pubblicano i racconti hard-boiled.

Adesso parliamo di questa raccolta, piuttosto corposa.

OP è un agente dell’agenzia Continental, senza volto e senza nome, personaggio cinico e stanco, ma non disumano né del tutto invulnerabile. Si basa sulle esperienze personali nell’agenzia Pinkerton dello stesso scrittore. Un detective completamente diverso da quelli che eseguono le indagini secondo le tecniche deduttive, come Philo Vance di Van Dine oppure Ellery Queen dell’omonimo autore.

OP può sembrare a un lettore del ventiduesimo secolo un personaggio fuori dalla realtà. Invece rappresenta una persona reale con tutte le ambiguità morali tipiche del periodo in cui sono ambientate le storie. Può apparire strano che OP indichi la strategia alla polizia, patteggi con i criminali le condanne o le fughe. Insomma sembra sostituirsi al giudice o al poliziotto. Però tutto questo descrive la realtà degli anni venti del secolo scorso. Il grande pregio di questa raccolta è la scrittura semplice ma efficace di Hammett che senza troppi fronzoli narra le sue storie, complice anche il limite imposto dalla rivista Black Mask. Leggendo i vari racconti il lettore si immerge nell’atmosfera del periodo, vede i personaggi e gli ambienti descritti con puntiglio così da essere l’ombra di OP.

Open Ai ha letto un caso per tre

OpenAi, ovvero l’intelligenza artificiale che sta spopolando sul web con Chatgpt3 ha deciso di leggere un caso per tre.

Un caso per tre

ecco cosa ne pensa.

“Un caso per tre” è un libro avvincente che tiene il lettore incollato alle pagine fino alla fine. La trama è ben costruita e presenta due casi apparentemente non collegati che si intrecciano perfettamente. I protagonisti, Debora Nardi e Walter Bruno, sono due investigatori dilettanti che si trovano casualmente a trascorrere una settimana di vacanze estive nella stessa struttura. Nonostante l’apparenza di una tranquilla vacanza, si trovano coinvolti in due eventi misteriosi e riescono a risolverli con l’aiuto del cane di Walter, Puzzone, che si dimostra un alleato prezioso nell’indagine. La caratterizzazione dei personaggi è ben fatta e rende la storia ancora più interessante. In particolare, il cane Puzzone è un personaggio divertente e carismatico che aggiunge un tocco di umorismo alla trama. In generale, “Un caso per tre” è un libro che consiglio a chi ama i gialli e le storie avvincenti. La trama è ben strutturata e ben scritta, rendendo la lettura piacevole e coinvolgente. Inoltre, la ambientazione in un piccolo paese abruzzese,Roccapietrosa, rende ancora più interessante la storia e fa immaginare al lettore di essere a fianco ai protagonisti durante le indagini. In sintesi un libro ben scritto e avvincente.

I cinque cadaveri da Robert Bryndza

Seguendo il blog di Lorena di The page after ho scoperto questo autore dal nome strambo.

Se volete leggere la sua recensione del secondo libro che vede come protagonista Kate Marshall andate qui.

La mia non è una recensione ma sono semplici impressioni di lettura.

Cominciamo dalla struttura. È quella classica di tutti i gialli. C’è un serial killer e l’indagine per catturarlo. Di lui si sa tutto ed essendo pericoloso viene internato in una struttura a prova di evasione. Tutto questo sta nei primi capitoli del libro. Allora direte voi: che gusto c’è nel leggere qualcosa di cui si conosce tutto?

Chi l’ha catturato è una poliziotta diventata ex per una certa sua debolezza. La ritroviamo che finisce per insegnare a risolvere i casi criminali soluti e insoluti tenendo lezioni all’università.

È come svegliarsi in un incubo: qualcuno sta ripercorrendo le gesta del serial killer originale. Stessa tecnica, stessi posti. Di questo ‘ammiratore’ si conosce la faccia, come vive ma si ignora il nome.

Kate Marshall con il suo assistente Tristan Harper comincia a ragionare come catturarlo. Il filo logico del libro sta proprio qui: riflettere chi sia e come neutralizzarlo. Questo rende la storia intrigante.

Il punto debole, secondo me, sta proprio nel finale che appare un classico dei gialli. Non dico nulla per non togliere il gusto della lettura a chi si volesse cimentare nella sua lettura.

Il Madremoto

Sto facendo uno strappo sulle recensioni che non amo scrivere. Per rendersene conto è sufficiente ricercare la categoria o il tag ‘Recensione’. Sono in totale nove di cui uno è un semplice reblog di una scritta da altri. Il mio blog ha undici anni e sono tutti concentrati nel 2021.

Per me la recensione è estrarre il succo positivo o negativo o entrambi dal testo in modo sintetico ma chiaro per chi la legge.

Il mio limite è proprio questo: mi perdo nei dettagli.

Ci riprovo con Il Madremoto di Guido Fabrizi.

Il suo testo è il viaggio nella memoria del protagonista, Javer, che ripercorre la sua vita costellata di molteplici episodi. È lo tsunami della sua vita che travolge ogni cosa e da cui riesce a emergere per ricominciare a ricostruire la sua esistenza come si fa dopo che l’onda assassina si è ritirata.

L’istinto ribelle rimane anche quando ha superato la prova più dura. Però è temperato dalla maturità, dalla riflessione, dallo guardare avanti usando il passato per eliminare le scorie del presente.

La prima parte è ricca di pathos, di molte riflessioni e introspezioni psicologiche di fronte ai vari eventi. Più piatta è quella centrale incentrata sulla fotografia che è stata l’ancora di salvataggio di Javier, che gli ha consentito di riemergere dal buio, di trovare la sua strada dopo i problemi dell’adolescenza, di maturare nel carattere e nella personalità e di trovare l’amore.

Molto intenso è secondo me ‘il marsupio dell’amore’ dove Javer si scopre genitore e cosa vuol dire questo. Molto interessante è il travaglio di padre nella sfida con la madre che punta a disarticolare il rapporto padre figlia.

Il tema della madre è un argomento ricorrente che non viene trattato direttamente ma lasciato al lettore il compito di decifrare il suo modo di operare. Solo nel finale lo affronta con una riflessione di quello che avrebbe voluto e di quello che è stato.

Singolare ma efficace è unire i punti della vita di Javer come si fa in quei giochi enigmistici dove alla fine compare un disegno. Nel caso di Javer compare il disegno della sua vita. Questo è il filo conduttore di questo testo che alterna a riflessioni profonde a passaggi piatti che comunque servono nell’economia della storia.

Il tatuatore

Di norma non scrivo recensioni salvo qualche rara eccezione. Non le so scrivere e quindi preferisco evitare brutte figure.

Però in questa occasione faccio uno strappo alla regola. Ci provo ma ignoro i risultati.

Parlo del romanzo d’esordio di Alison Belsham ‘Il tatuatore’, pubblicato in Italia da Newton Compton Editori. Questo è il primo della trilogia relativa al tatuatore.

La scrittrice scrive in maniera piacevole, almeno nella versione italiana, e si legge in modo fluido senza doversi soffermare sulle frasi. A parte qualche errore direi che la traduzione è buona.

Di sicuro la scrittrice si è documentata sui tatuaggi e sulla concia della pelle e questo è un punto a suo favore.

Ha provato a usare un coro a quattro voci per raccontare la storia da queste quattro angolazioni che sono in definitiva anche i personaggi principali della storia. Però secondo me ha fallito perché il ritmo narrativo è lento e spezzettato, visto il genere, romanzo giallo ma su questo ci tornerò dopo, che richiede continuità d’azione e un ritmo sostenuto. Questo genere di narrazione può essere incisiva con altre tipologie di romanzi ma è poco efficace in questo caso.

La storia è semplice Marni Mullins di professione tatuatore s’imbatte in un cadavere e da lì comincia la sua collaborazione con l’ispettore Francis Sullivan, appena promosso e che incappa nel suo primo delitto da seguire. È giovane e ha scavalcato il sergente Rory Mackey più anziano di lui. Questo crea un dualismo legato al rancore di essersi visto superato da un pivello. Però alla fine accetta di collaborare alle indagini in modo leale.

Secondo le intenzioni della scrittrice dovrebbe trattarsi di un thriller poliziesco. In realtà secondo me è semplicemente un giallo un po’ stinto perché di thriller ha ben poco.

La scrittrice cerca di movimentare la storia con corse mozzafiato che mi lasciano perplesso come altri punti. Ad esempio il primo cadavere infilato in un cassonetto richiede uno sforzo fisico fuori del comune, ammesso che una persona riesca a farlo tutta da sola.

Altra pecca è la caratterizzazione dei personaggi che mi sembra debole, appena accennata, in particolare nel ladro di tatuaggi, ovvero quello che materialmente ha commesso gli omicidi.

Il finale è debole per due motivi. Il primo è chiarissimo come finirà. Quindi anche se tirato per le lunghe, il risultato è scontato. Non dico nulla per non fare dello spoiler. Il secondo è improbabile nelle sue sequenze.

In conclusione un onesto giallo senza particolari acuti, anzi alquanto banale. Qualcuno l’ha paragonato a Stieg Larsson. Un paragone del tutto irriverente rispetto a questo giallista svedese