La prima parte la trovate qui.
Alba filò dritta verso la stazione centrale, senza più voltarsi indietro. Tuttavia, il suo cuore batteva con insolita pesantezza, e tanti pensieri si muovevano nel caos della sua mente.
Paolo le aveva dato tutto quello che lei avrebbe potuto chiedere dal giorno in cui era uscita da quella stramaledetta casa-famiglia, due anni prima. Si erano visti di rado, certo, ma tra loro correva quel qualcosa che fa sì che le persone si capiscano nonostante la differenza di età e l’assenza di troppe parole. Lui, di vent’anni più vecchio di lei, l’aveva ascoltata senza l’arroganza di chi sa di essere uscito dall’assurdità dell’adolescenza. Era sempre in viaggio, ma quando tornava riusciva sempre a dedicare una mezza giornata a quella ragazza che non sapeva dove sbattere la testa. E chissà, forse l’amava, come avrebbe potuto capirlo? Anche lui era cresciuto in casa famiglia e non poteva comprendere meglio la confusione che ti nasce in testa, quando non hai idea di chi sei, quando l’identità dei tuoi genitori è segreta, perché sono persone pericolose.
Era una ragazza estremamente intelligente, una piccola, diabolica maga dei computer. Lui aveva contatti con assistenti sociali e associazioni in tutto il mondo. Da lì, l’idea.
Si sarebbero separati, nessuno avrebbe saputo che collaboravano. Alba avrebbe hackerato il sistema del governo, Paolo avrebbe chiesto di restituire i favori che aveva fatto, e avrebbero scoperto le verità che da troppo tempo non conoscevano. (by Frency Worka)
Prese il primo treno in partenza. Non sapeva dove era diretto. “Che importanza ha?” si domandò, mentre si sedeva al primo posto libero. La valigia era troppo pesante per essere messa sopra nel vano e la lasciò di fianco a lei lungo il corridoio.
“Se vuole, posso metterla sopra, così non disturba chi passa” disse un ragazzo che aveva osservato l’armeggiare di Alba col bagaglio.
“No, no. Resta dov’è. Poi non saprei come riprenderla” replicò leggermente infastidita.
“Lo posso fare io”.
“Non sa nemmeno dove sono diretta” gli rispose ironica.
“Me lo dica. Così mi regolo e scendo anch’io”. Una breve risata uscì dalla bocca di Alba.
“Mi corteggia?”
“C’è qualcosa di male?”
“Sì. Non mi piace essere abbordata” gli disse dura e decisa, aggrottando la fronte.
“E’ una splendida ragazza. E io ci provo” aggiunse per nulla intimorito. “Io sono Lorenzo. Renzo per gli amici” completò impertinente.
“Beh! Si dà il caso che non sono nel novero dei tuoi amici”.
“Ma potrebbe entrarci tranquillamente”.
Alba non rispose e guardò fuori dal finestrino. “Chissà dove arriva questo treno”.
“Non mi hai detto come ti chiami” riprese il ragazzo che non demordeva.
“Non ho nessuna intenzione di dirtelo”.
“Sei scontrosa. Eppure …”
“Eppure cosa?”
“Niente”. (by orsobianco9)
“Che scocciatore questo ragazzo!” pensò Alba, guardando fuori dal finestrino.
“Biglietti, prego. Biglietti”.
La ragazza sorrise, perché finalmente avrebbe saputo dove andava il treno.
“Non ho il biglietto. Ho preso il treno in corsa” disse al controllore, mentre il ragazzo era tutto orecchi per ascoltare dove scendeva.
“Dove scende?”
“Me lo dica lei. Non lo so. L’ho preso a Pisa ma non so dove arrivi” rispose candidamente Alba.
L’uomo la guardò basito prima di rispondere.
“Questo è un intercity che arriva a Milano Centrale alle 11 se è in orario”.
“Allora Milano Centrale va benissimo”.
“Sono 49€, Tasse comprese”.
Il ragazzo ritornò all’assalto non appena il controllore passò nello scompartimento adiacente. “Anch’io scendo a Milano”.
“E chi ti ha detto che scenderò a Milano? Potrebbe essere anche Firenze”.
“Ah! Ah!” rise di gusto, lasciando allibita Alba.
“Gufi?” gli chiese. “No” le rispose con le lacrime agli occhi.
“Questo è scemo” pensò la ragazza.
“Questo non passa per Firenze” aggiunse. “E che giro fa?” gli domandò allarmata.
“Arriva a Genova e da lì un volo a Milano”.
“Ma ci mette una vita!”. “Abbiamo una vita di 4 ore per conoscerci meglio”. (by orsobianco9)
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L'incontro – capitolo 8
Il Borgo – Capitolo 29
Emozionati come bambini si affrettarono a raggiungere la chiesa e si accoccolarono in cerchio, mettendo gli zaini nel centro. Pareva il cerchio magico dove si aspettava l’ospite misterioso che doveva produrre la magia.
“Sei sicuro, Giacomo?” chiese dubbiosa Betta. “Sei sicuro di aver ascoltato la voce del Borgo e non un sibilo del vento che si insinua tra questi ruderi?”
Laura la guardò storta. «Ora anche lei ci si mette a dubitare che il Borgo parli? Non erano sufficienti Marco e Giacomo a fare i Borgo-scettici?» rifletteva mentre afferrava la mano di Mattia, che ricambiò la stretta.
“Sì, ne sono certo. Questa volta l’ho sentito chiaramente”.
Rimasero in silenzio avvolti nei loro piumini, nei loro Moncler in gorotex per proteggersi dalle frustate gelide del vento di inizio novembre.
“Ecco. Lo vedo che si sta avvicinando” disse Giacomo accennando col viso la direzione dalla quale proveniva il Borgo. “Sì, pare proprio un trollo di corteccia”.
Betta strinse le labbra per non far uscire i pensieri che si affollavano nella mente. Le sembrava una situazione ridicola al limite dell’assurdo ma non poteva permettersi di ridere su quelle parole. Era il suo ragazzo e ricordava bene cosa le aveva raccontato durante uno dei viaggi Ferrara Bologna e cosa era successo dopo tra lui e Laura. Inoltre tutti gli altri parevano sicuri e certi di quanto stesse dicendo Giacomo, mentre lei ne dubitava. Avrebbe voluto entrare in chiesa, osservare quel che restava dei dipinti, raccogliere i frammenti colorati che giacevano tra la polvere impastata di fango e legno marcito ma si trovava grottescamente seduta in circolo con gli altri cinque compagni.
“Benvenuto tra noi!” esclamò Giacomo. “Siamo qui ad ascoltare quello che ci vorrà raccontare”.
Una voce profonda e stanca cominciò a parlare di sé e delle altre abitazioni ridotte a scheletri pericolanti.
“Vi ringrazio per essere venuti” esordì in un sussurro che si perse nella vallata sottostante. “Non ci speravo più di rivedervi prima che la brutta stagione venga ad albergare qui”.
Un brivido di freddo percorse le schiene dei ragazzi, come se un fantasma fosse passato a sfiorarli. Laura si strinse a Mattia, mentre Betta si fece abbracciare da Giacomo. Solo Eva e Marco rimasero vicini ma distanti.
Tutti avevano udito quelle prime parole e rimasero muti in silenzio attenti a cogliere ogni minimo mormorio del Borgo, disturbato dalle folate di vento.
«Abbiamo udito veramente la voce del Borgo oppure è solo suggestione collettiva che le pietre di questo luogo abbandonato ci trasmettono?» Erano questi i pensieri che Marco rimuginava tra sé senza lasciare trapelare i suoi dubbi.
“Vi ringrazio per conto di tutte la case del Borgo. Volevo raccontarvi qualcosa di noi. Qualcosa che è durato oltre mille e duecento anni, anche se le carte dicono che siamo più giovani …”.
Il vecchio li guardò a uno a uno in viso per scorgervi tracce di dubbi sulle loro facce.
“Volete ascoltare la nostra storia?” chiese con tono greve e appena sussurrato.
“Ma certamente!” rispose Laura che fino a quel momento aveva taciuto. “Siamo tutti d’accordo. Vero ragazzi?”
Un cenno del capo indicò che loro avrebbero prestato attenzione alle parole del Borgo. Il silenzio era concreto come il sibilo del vento che si insinuava tra i muri diroccati.
La voce del Borgo riprese a parlare, mentre Betta sussurrava in un orecchio di Giacomo. “Ma tu lo vedi?”
“Sì” disse mimando con la testa l’avverbio affermativo.
“Ma non lo vedo. Com’è?” gli chiese stupita.
Il ragazzo le mise un dito sulla bocca per farle capire che non era il momento di fare una discussione su questo tema, mentre Laura si stava irritando vedendo i due dialogare senza che prestassero attenzione al narratore.
“Vi siete chiesti perché vi trovate in Toscana?” cominciò con una domanda il vecchio.
Un moto di sorpresa li colse a questa affermazione, mentre Eva fu la prima pronta a rispondere. “No. Ma la Toscana non è dietro quel crinale alla nostra sinistra?”
Una leggera risata risuonò e si perse nella vallata.
“Siamo in Toscana. Questo borgo è l’ultima frazione di Fiorenzuola, che ormai ci ha dimenticati, sul limitare della linea di confine, che è sul greto del Santerno. L’avete passata scavalcando il fiume. Apparteniamo idealmente alla Romagna come le altre zone qui vicino ma dal punto di vista amministrativo siamo toscani …”.
“Ma credevo che fosse invece di Castel del Rio” disse Laura che stranamente e inspiegabilmente era stata parca di parole fino a quel momento.
“E’ una storia vecchia di tanti secoli fa, quando queste terre erano contese tra i fiorentini e una famiglia che dominava la valle del Mugello e del Santerno, imponendo gabelle e pedaggi a tutte le merci che transitavano su questo tratto del crinale appenninico. Il nostro borgo venne edificato più tardi. Ma probabilmente queste strade erano battute già ai tempi degli etruschi per accedere alle saline delle valli di Comacchio e di Cervia, perché qui ci sono i passi più bassi e agevoli tra Firenze e Bologna e la costa adriatica. Si narra che la Flaminia minor passasse da queste parti poco più a nord del Borgo. Ma ora sto divagando perso nei miei ricordi”.
Il vecchio tacque come per riprendere fiato dopo una lunga corsa, aspettando qualche domanda da parte di quei giovani che seduti in cerchio lo stavano ascoltando.
Marco pareva assorto nei suoi pensieri e perso a rincorrerli, mentre Eva era attenta ad ascoltare le parole. Laura era in silenzio come se fosse stata colta da un’improvvisa afasia. Quello che l’infastidiva era che lei non era più in questo momento il centro motore del dialogo col Borgo, perché questo ruolo era stato assunto da Giacomo. Betta era sempre incredula e avrebbe voluto formulare molte domande ma aveva compreso che non era il contesto adatto. Doveva tacere e fingere meraviglia per quello che vedeva e udiva. Mattia osservava i compagni senza essere troppo coinvolto dalle parole del vecchio, che a dire il vero non sentiva. «Qualcuno poi mi riferirà cosa ha detto» rifletté rapidamente senza mostrare turbamento o disagio. Però in compenso trovava Laura affascinante e pensava che sarebbe stato intrigante iniziare una relazione con lei, Giacomo permettendo.
“Perché si è fermato nella narrazione? Ci rende curiosi di conoscere la storia millenaria di queste pietre” disse con convinzione Giacomo.
“Allora proseguo il mio racconto” aggiunse il Borgo e ricominciò da dove si era interrotto.
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Short stories – L'esitazione dell'ultimo minuto – prima parte
Eccomi col secondo appuntamento delle short stories. La storia sarà divisa in due parte. La prossima giovedì 25 luglio. Come per ‘Amor profano’ l’incipit è opera di Frenky Wronka, come il primo snodo. Il secondo è opera mia. Nella seconda parte il primo snodo è di Fenky Wronka, i restanti sono miei. Dunque una short stories a quattro mani. Buona lettura
La ragazza lo guardò negli occhi, persa in quello sguardo pieno di aspettativa. Il labbro inferiore, rosso e carnoso come una fragola in piena stagione, era stretto tra quei denti un po’ troppo grossi, così stretto che si spaccò, e una minuscola, perfetta sfera di sangue ne uscì.
L’uomo sorrideva, sicuro, le pupille dilatate e la bocca socchiusa in un’espressione di vago stupore. Il discorso era partito come uno scherzo, ma poi si era evoluto, fino a che a entrambi fu chiaro che si parlava seriamente. E su certe cose si fa presto a scherzare, ma non tanto a considerarle come vere e proprie possibilità, e prendere decisioni.
La risposta di lei lo aveva un po’ scosso, proprio come una carica elettrica lo pervadeva dal profondo. Era stimolante più di qualunque altra situazione che lui avesse vissuto: e di situazioni eccitanti, lui, ne aveva vissute molte. Solo, non era sicuro che quella fosse una cosa giusta. Lo turbava la sicurezza con cui quella giovincella aveva parlato, la sicurezza di chi non ha idea di ciò che l’aspetta. Forse avrebbe dovuto parlarle più a lungo, capire cosa realmente voleva, cercare di dissuaderla dal prendere decisioni così drastiche e avventate. Ma il tempo stringeva, e non voleva che lei si ricredesse.
Era bellissima, con la sua pelle chiara e quella gocciolina di sangue sul labbro, che tradiva la tensione. Era combattuto tra il baciarla e il cercare di fermarla, e infine decise di rimanere lì, a guardarla con l’ammirazione con cui si guarda un’artista. (by Frency Worka)
Non si era mai sentito così insicuro, lui, lo spirito libero che si era sempre andato a prendere quel che voleva. Non aveva mai fatto del male a nessuno, e non aveva mai dubitato di sé stesso, fino ad ora.
La sveglia suonò, e l’uomo tirò un profondo respiro. Per la prima volta dopo anni, era felice di non avere più tempo, di non poter più decidere.
«Sei sicura?» riuscì solo a dire.
La ragazza annuì, stavolta senza tradire ansia o preoccupazione. Era felice di quel che aveva scelto, anche se non era certa del risultato che avrebbe portato. Raccolsero le valige da terra e si apprestarono a uscire dalla stanza ormai buia.
L’uomo estrasse dalla tasca dei pantaloni un pesante mazzo di chiavi e serrò l’antico portone di legno della ricca abitazione in centro. Apparteneva alla sua famiglia da generazioni, ma lui ci passava pochissimo tempo.
La ragazza si guardò intorno e trasse un profondo respiro.
Il cielo un po’ ingrigito dallo smog e dalla perenne nebbiolina iniziava a schiarirsi, ed era un po’ come se tutto, in quelle strette vie coperte di pietra, stesse sbiadendo. Non si preoccupava di quando le avrebbe riviste, piuttosto di chi sarebbe stata, al suo ritorno. (by Frency Worka)
“Qui le nostre strade si dividono” disse trascinando le due pesanti valigie.
“Lo so. Addio o arrivederci?” rispose Alba, respirando l’aria umida del mattino.
“Per me potrebbe essere un arrivederci. Decidi tu”.
“Hai il mio numero?”
“Sì”.
“Allora addio” e si incamminò portandosi dietro la valigia.
Paolo la osservò allontanarsi e provò una fitta al costato. Avrebbe voluta rincorrerla ma restò immobile, finché la ragazza non girò l’angolo della stretta via. Cominciò a muoversi con lentezza, ripensando agli ultimi dettagli prima del suono della sveglia. Era inutile tornarci sopra.
“E’ stato meglio così” si disse, aprendo la portiera dell’auto. Infilò con fatica la sua valigia e si mise al posto di guida. Non si decideva di avviare la macchina e andarsene dalla casa, che sembrava spiare le sue mosse. Scosse ancora il capo irresoluto e incerto. Prese il telefono e cercò «Alba». 34704 …Lo richiamò in memoria, rimase pensieroso per qualche istante prima di spegnerlo.
“No, non posso” sussurrò a bassa voce, mentre girava la chiave per avviare la Alfa Mito rossa, che rombò cupa nel silenzio del mattino. Lentamente senza sgassare troppo si mosse per uscire dal paese. La giornata si preannunciava lunga e afosa senza che lui avesse dissolto i suoi dubbi.
Alba camminò in silenzio, sentì il rumore di una macchina e si voltò, agitando la mano. (by orsobianco9)
FINE DELLA PRIMA PARTE
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L'incontro – Capitolo 7
Il Borgo – Capitolo 28
L’estate di San Martino si fece rispettare con sole e temperature miti dopo le giornate uggiose dei defunti.
Laura organizzò la nuova spedizione verso il Borgo per sabato 7. Ci sarebbero stati tutti, anche i due nuovi acquisti. Il punto di ritrovo fu nuovamente Bologna sotto casa con l’esclusione di Mattia, che li avrebbe aspettati a Castel del Rio. I primi ad arrivare furono Giacomo e Betta e dopo poco Eva e Marco.
Emma e Ernesto sbirciavano dalla finestra la figlia e chi stava arrivando.
“Ernesto, vedi anche tu?” domandò delusa, notando l’arrivo di Giacomo con una ragazza.
“Cosa, Emma?” rispose incerto, perché non aveva ben compreso quello che la moglie gli voleva trasmettere.
“Cosa? Non vedi anche tu che Giacomo è in compagnia di una ragazza?” continuò innervosita dalle parole del marito.
“Beh! Cosa c’è di strano? Sarà la sua morosa” replicò ingenuamente, sorpreso dalle parole della moglie.
Emma scosse il capo, perché Ernesto era irrecuperabile. «Però si è consolato in fretta … La Laura non la capisco. Prima tutte dolcezze con Giacomo, adesso lo vede arrivare con una ragazza come se niente fosse. Quasi una normalità. I giovani di adesso non sono più quelli di una volta».
“Ernesto, torniamo dentro. C’è poco da vedere”.
“Emma, nostra figlia è nostra e ce la dobbiamo tenere” ribadì con forza, perché non comprendeva tutta quell’ansia della moglie, come se volesse sbarazzarsi della figlia in fretta.
«Quel Giacomo .. poi chi è?” si domandò senza trovare una risposta, mentre tornava a immergersi nella lettura di Stadio.
I ragazzi, saliti sulla macchina di Marco, leggermente più spaziosa della Panda di Laura, si avviarono verso l’appuntamento di Castel del Rio.
“Laura, tu sarai la navigatrice” disse Marco, facendola accomodare sul sedile accanto al suo. “Istruzioni chiare e concise senza tentennamenti”.
“Non stiamo facendo un rally” replicò sorridente, mentre allacciava le cinture. “Stiamo andando semplicemente a Castigliocello a trovare il Borgo per parlargli e informarlo che presto tornerà a vivere”.
Giacomo, sistemato tra Eva e Betta, rise sommessamente alla battuta della ragazza, mentre pensava alla visione del trollo di corteccia. «Chissà se ci apparirà così anche a noi» rifletté ironicamente.
“Facciamo la solita sosta da Dino?” propose Eva poco l’uscita da Bologna.
“Chi sarebbe Dino?” chiese incuriosita Betta, pensando a un altro compagno d’avventura.
“Aspetta e vedrai” aggiunse Giacomo tutto serio e impettito.
“Chiediamo il permesso alla navigatrice” propose Marco, ridendo sotto i baffi.
“Uffa!” rispose sbuffando. “Per me va bene”.
“Allora, Betta, conoscerai anche Dino”.
“Ma chi è?” domandò ancora una volta.
“Un po’ di mistero tiene viva l’attenzione” le rispose Giacomo sorridente ponendo le braccia sulle spalle delle due compagne di viaggio.
“Ho capito … anzi non ho capito ma non fa nulla. Lo conoscerò quando vi fermerete” disse la ragazza che voleva porre fine al quel dialogo un po’ surreale, come se volessero prendersi gioco di lei.
Fatta la sosta da Dino, recuperato Mattia a Castel del Rio posteggiarono le macchine nello spazio prospiciente il greto del Santerno, che appariva più minaccioso di due mesi prima. Si avviarono su per la ripida salita che portava al Borgo, dopo aver passato il ponticello che univa le due rive.
“Siete un bel numero” sentì sussurrare Laura.
“Il Borgo ci ha riconosciuti!” esclamò contenta la ragazza.
“Chi?” domandò ingenuamente Betta.
“Uffa! Siamo alle solite! Io sento la voce del Borgo e voi niente!”
Giacomo strinse la mano alla ragazza come per dirle «Non dire più nulla, altrimenti si scatena come una furia».
Betta si strinse nelle spalle e continuò a camminargli di fianco, mentre alle loro spalle Eva e Marco salivano più lentamente, indifferenti alla foga di Laura.
“Mi pare di udire qualcosa …” disse Mattia che fino a quel momento era stato silenzioso.
“Cosa?” domandò trepidante Laura.
“Non ho afferrato bene tutte le parole. Ma mi pare di aver intuito che ci avrebbe parlato di lui e della sua storia”.
“Dunque anche tu ha sentito qualcosa” aggiunse sollevata la ragazza.
Il gruppo proseguì la salita nel più assoluto silenzio, mentre il fiato dei sei ragazzi sembrava condensarsi sopra di loro e si ascoltava il rumore affannoso dei loro respiri, perché l’erta era veramente ripida. Un vento pungente si insinuava nelle pieghe della giacca a vento di Giacomo che rabbrividì. La giornata, pur essendo soleggiata, era fredda perché si avvertivano i quattrocento metri di altitudine. Il sudore tendeva a gelare sul volto dei ragazzi, che portavano sulle spalle gli zaini.
Arrivati all’arco che permetteva l’ingresso al Borgo si fermarono per rifiatare e per ripararsi meglio, perché il vento sembrava una lama di ghiaccio che raschiava i loro visi e che si infilava sotto i vestiti. Il terreno era una crosta gelata dura come l’acciaio e scura come il carbone.
“Entriamo?” domandò Laura col viso emozionato.
“Sì” rispose Betta che si guardava intorno, vedendo lo sfacelo di quello che restava in piedi.
“Mi raccomando” disse la ragazza rivolgendosi ai nuovi. “Fate attenzione. E’ pericoloso entrare negli edifici”.
“D’accordo” replicò Mattia avviandosi a seguire Laura.
La ragazza guidava il gruppo che in fila indiana la seguivano evitando pietre e detriti crollati dalle case.
“Se udite il Borgo parlare, ditelo subito” aggiunse senza voltarsi indietro.
Camminavano in silenzio, quando Giacomo esclamò “Il Borgo ci chiede di radunarci nello spiazzo davanti alla chiesa. Vuole parlarci”.
Short stories – Amor profano – seconda parte
La prima parte di questa storia la trovi qui.
“Chi è Sara Molini?” continua a chiedermi mia madre.
“E’ una ragazza … ma ora sarà una donna …”. Mi mancano le parole. Non capisco la sua insistenza come se avesse annusato qualcosa di torbido.
“Mamma, è una ragazza conosciuta a Forte dei Marmi dieci anni fa …”.
“Ma non l’ho mai sentita nominare in questi anni” replicò dubbiosa.
“In effetti ci siamo scritte solo qualche lettera all’inizio poi io non ho risposto e lei non ha proseguito …” dico usando il tono più naturale che possiedo.
Mia madre mi consegna la lettera scrollando il capo poco convinta. Non sono mai riuscita a comprendere come faccia a individuare i punti oscuri della mia esistenza. Con Lorenzo, il mio ex fidanzato, aveva detto fin da subito che sarebbe finita male.
“Non credo che tu sia innamorata di lui” aveva sentenziato senza avere il minimo dubbio. E ha avuto ragione. Tre anni di litigi furibondi e riappacificazioni clamorose hanno costellato il fidanzamento.
“E’ meglio che lo porti il meno possibile a casa nostra” affermò dopo l’ennesima lite. Tre mesi più tardi gli ho detto che era tutto finito come aveva profetizzato.
Ora leggiamo questa lettera.
“Carissima Eli,
quanto tempo è passato senza che nessuna delle due si sia fatta viva.
Cosa fai? Ti sei sposata? Hai dei figli? Che raffica di domande di faccio dopo una vita di silenzio. Però vorrei sapere, recuperare questi anni di ostinati obli. Potresti anche non ricordare più chi sono.
Io sono ancora sola. Sono una zitella come dicono gli altri con malignità. Gli uomini mi annoiano da morire e le donne pure. Piene di grilli e tabù per la testa …”.
Eleonora sospirò.
“Mi sei mancata”.
Sono passati altri dieci anni. Sono una stimata dottoressa che esercita all’ospedale Maggiore di Bologna, dove mi sono trasferita da molti anni. La mia vita è vuota tra ospedale e casa con qualche puntata a Milano a trovare mia madre che è rimasta sola. Non potrei sopportarla tra i piedi con quel suo fare da santa inquisizione. Le visite sono un mordi e fuggi tra rimproveri e mugugni. Vorrebbe diventare nonna ma non mi sento di crescere un bambino. Forse sono egoista, anzi lo sono ma temo che non sarei una grande mamma. Alberto, un collega, mi fa una corte spietata ma resisto. Non mi piace, lo trovo noioso come gli altri. Sono uno spirito libero. Forse se avessi riallacciato con Sara, sarebbe stato diverso ma non si può tornare indietro. Ricordo con quale trepidazione ho letto la sua lettera e come attraverso il 12 ho trovato il numero di telefono.
“Ciao, Sara” le dissi chiamandola. “Sono Eleonora Mestovich …”.
“Aspettavo la tua telefonata” rispose con voce felice.
“… e io ero impaziente di farla!”.
“Mi piacerebbe incontrarci e fare quattro chiacchiere”.
“Anche a me. Dove?”
“Sabato sono libera e ho la casa a mia disposizione”.
“Prendo il treno e ti raggiungo” dissi con la stessa emozione di una liceale al primo incontro amoroso.
Aspettai trepidante ed emozionata l’arrivo del sabato con il medesimo batticuore di un’adolescente al suo primo viaggio senza i genitori. Fu una delusione quell’incontro. La magia dell’estate 1958 era svanita ma forse ero io ad aver paura.
A gioved’ prossimo con un’altra storia breve, tratta sempre da 20lin,es
L'incontro – Capitolo 6
Il Borgo – Capitolo 27
Si alzarono dai due grandi divani in alcantara per prepararsi per il pranzo, dopo aver preso l’aperitivo nella sala d’ingresso col camino. Era stato un momento festoso e chiassoso dove tutti parlavano tra loro in maniera confusa e allegra senza un preciso argomento.
I padroni di casa decisero che nessuno doveva sistemarsi a capotavola ma ci si doveva disporre uno di fronte all’altro sui due lati lunghi per favorire la conversazione. Eva si collocò esternamente per poter muoversi con calma tra loro e la cucina, di fianco a lei stava Giacomo e Betta, mentre dalla parte opposta c’erano Marco, Laura e Mattia. La tavolata presentava un bel colpo d’occhio ben assortito e ciarliero.
L’atmosfera era cordiale, calda e rilassata. Si parlava di tutto mentre in silenzio si rifletteva sugli altri.
Marco osservava con interesse i due nuovi acquisti, perché gli sembravano che si fossero ben integrati nel gruppo che si stava allargando.
«Betta ha il viso quasi inespressivo con quegli occhi castano scuri e i capelli setosi e lisci, quasi corvini che non ravvivano il volto chiaro e minuto. Però mostra una certa competenza sulle opere d’arte e ha una vasta cultura generale di base su una molteplicità di argomenti differenti tra loro. Nonostante a volte paia estraniarsi dalla conversazione con la mente, che vaga non si sa dove, rimane sempre vigile e pronta a rispondere o inserirsi nei discorsi con proprietà e padronanza. Mi hanno detto che lavora in un laboratorio di restauri ma per il momento non ne ha fatto cenno. Aspetterà probabilmente il momento opportuno per parlarne».
Il padrone di casa la scrutava non osservato, mentre mangiava composta al fianco di Giacomo.
Analogamente Eva guardava tra una forchettata e l’altra Mattia che era il dirimpettaio di Betta, esattamente come lei stava di fronte a Marco.
«E’ un bel ragazzo, estroverso e ciarliero. Pare tosto e pragmatico nelle risposte. Pochi grilli per la testa ma concreti. E’ un buon conversatore e molto attento a quello che ognuno di noi dice. Parla ma mai fuori luogo, facendo attenzione alle parole che escono dalla bocca. Forse non è appariscente ma riesce imporre con naturalezza la sua propensione a essere leader. Non so se riuscirà a legare con Laura ma forse si potrebbero vedere delle scintille».
“Ragazzi” esordì Laura calamitando l’attenzione di tutti. “Dopo tante chiacchiere piacevoli e interessanti, credo che sia giunto il momento di parlare del Borgo e nel nostro progetto”.
Nessuno mosse obiezioni salvo Eva, che lanciò una proposta.
“Che ne dite di trasferirci in sala sul divano con una tazzina di caffè fumante davanti e un liquorino per chiudere degnamente il pranzo?” disse muovendo circolarmente gli occhi per cogliere le espressioni degli altri.
“Niente dolce?” domandò Marco quasi deluso.
“Si, golosone!” replicò Eva. “Ricapitolando. Una fetta di torta delle rose per tutti, un caffè nero bollente e una bottiglia di nocino come digestivo. E adesso tutti di là!”
Poi rivolgendosi al suo compagno gli disse “Tu resti con me a fare il cameriere. Del Borgo ne parliamo quando ci siamo tutti”.
Quando torta, caffè e la bottiglia di nocino furono di fronte a ciascuno di loro, si cominciò a parlare del progetto.
“Dovete sapere” cominciò Laura “ che il Borgo qualche notte fa mi è apparso come un Trollo di corteccia. Non l’avevo riconosciuto e lui c’è rimasto male”
“Un trollo?” domandò Eva con la bocca piena tanto che quasi soffocò per un boccone che stava andando di traverso.
“Sì, un trollo o almeno così mi è apparso. Come facevo a riconoscerlo travestito in questa maniera singolare?” si giustificò la ragazza.
Giacomo che sapeva già tutto annuì per conferma.
Mattia continuò a raccogliere le briciole della torta dal piatto come se fosse disinteressato al racconto della ragazza.
“Ne vuoi un’altra fetta?” gli chiese Eva, che aveva notato l’armeggiare del ragazzo per disinnescare possibili reazioni di Laura.
“Grazie, molto volentieri. E’ veramente squisita. E’ tipica di Modena? Non la conoscevo”.
“Sì, anche se in realtà non è il dolce tipico modenese, che è il bensone. La Pasticciera San Biagio la produce in maniera sublime. Poi vi racconto come è nata” replicò alzandosi per andare a tagliare un’altra fetta. “Altri che vogliono il bis?”
“Io” disse Marco timidamente mostrando l’indice.
“Non ce ne era bisogno, perché so che ne sei ghiotto”.
“Dunque. Dicevi, Laura che il Borgo ti è apparso all’improvviso sotto false sembianze …” cominciò Marco dopo la breve interruzione, usando un tono neutro nella voce.
“Mi sembra che sia un po’ ironico” sussurrò Betta nell’orecchio di Giacomo, che annuì per conferma.
“Ma come poteva riconoscerlo? Un trollo di corteccia!” giunse in soccorso Mattia prima che la ragazza potesse replicare. “Sfido chiunque a capire che sotto quelle sembianze si celasse il Borgo! Cosa ti ha detto?”
Le prese una mano, perché aveva percepito che si stava innervosendo.
“Nulla. Semplicemente è svanito” disse contrariata.
“Poi non è più riapparso?”
“No. Sembrava infastidito da questo mancato riconoscimento” ammise delusa.
Mattia tra un boccone di torta e un sorso di nocino disse: “E se l’andiamo a trovare, forse diventa più amico”.
“Non è il periodo migliore questo. Ci dovrebbero essere diversi giorni di sereno” mormorò Giacomo in un sussurro quasi impercettibile.
“Beh! Se il detto non mente tra qualche giorno dovrebbe esserci l’estate di San Martino”.
Laura si sentì rinfrancata per l’aiuto di Mattia e riacquistò il sorriso.
“Potrebbe essere un’idea” soggiunse.
“Siamo tutti d’accordo?” domandò Mattia.
“Io ci sto” disse Betta sollevando il braccio. “Una bella occasione per capire lo stato delle pitture della chiesa. Così posso organizzarmi per il loro restauro”.
«Ecco che sorniona avanza la sua candidatura a restauratrice del Borgo” pensò Marco, trasmettendo con gli occhi il suo pensiero a Eva, che accennò col capo di aver compreso il messaggio.
“Lavori per un laboratorio di restauri?” le chiese Laura incuriosita.
“Sì”.
“Che bello! Abbiamo l’architetto e la restauratrice. Il fotografo ufficiale. E tu Mattia cosa sai fare?” esclamò sorridente la ragazza.
“Nulla o tutto” rispose scanzonato. “Porto in dote con Giacomo serramenti metallici e impianti elettrici”.
Tutti risero alla battuta del ragazzo, che continuava a mangiare a piccoli bocconi la torta come se volesse farla durare più a lungo.
“Però prima di ascoltare cosa ci deve dire ancora Laura, vorrei ascoltare la storia della torta” disse Eva.
“La leggenda narra che Gabriele D’Annunzio era solito regalare rose alle sue amanti. Un giorno, un forte gelo colpì il suo giardino, bruciandole tutte. Allora pensò di recarsi da un fornaio per commissionargli un qualcosa che assomigliasse al fiore preferito. Gli ordinò di creare un panettone con le sembianze di una rosa. Da quel giorno, questo stupendo dolce andò a sostituire per sempre le rose prendendo il nome di ‘Panettone delle Rose’”.
La ragazza fece una breve pausa prima di riprendere il discorso.
“La Pasticceria San Biagio, un’istituzione di Modena in fatto di dolci e altre specialità, decise di produrla secondo la ricetta tipica Lombarda (Lago di Garda) con alcune rivisitazioni, per migliorarne il gusto. E’ una torta unica nel suo genere, inspiegabile nel suo sapore unico, molto delicato. Nel corso degli anni è divenuta la specialità più ricercata della pasticceria. Marco ne va matto e la vuole sempre ogni domenica”.
“Mi sa che prima di ripartire faccio un giro dalle parti della pasticceria. Dista molto di qui?”
“No, no!” rispose ridendo Eva. “Solo un centinaio di metri”.
“Tornando al nostro Borgo, che pare un po’ permaloso” disse Marco. “Organizzi tu la spedizione?” aggiunse rivolgendosi a Laura, che fece sì col capo.
“Altre novità?” domandò il padrone di casa.
“Sì” rispose Giacomo. “Oltre ai materiali che accennava Mattia, ho trovato una ditta di legnami di Ferrara, che ci fornisce una parte di legno gratuita, come sponsorizzazione, e il resto a condizioni di favore. Ha detto di essere disponibile anche al trasporto in loco”.
“Grandioso!” esclamò Marco. “Penso che il progetto stia progredendo molto bene”.
“Ci sarebbero altri quattro persone, due ragazzi e due ragazze disponibili a entrare in pianta stabile nel gruppo. Hanno detto che possono essere a disposizione per tutti i week end e per le ferie di agosto. Non ho ancora detto di sì, perché volevo sentire la vostra opinione”.
Si accese un’animata discussione su queste quattro persone, finché venne data via libera.
Parte del pomeriggio era ormai svanita ma non la loro voglia di condividere il progetto del Borgo.
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Short stories – Amor profano
L’amica soliloquio in compagnia mi ha fatto conoscere un sito simpatico 20lines che consente di scrivere a più mani delle storie. Scritto un incipit, ci si può sbizzarire a scriverne il seguito con n varianti. Due vincoli ogni snodo è composto da sole 20 righe e gli snodi sono 6. Fine della storia oppure passati 20 giorni la storia finisce.
Ogni giovedì ne propongo una dove o l’incipit l’ho scritto io oppure ho dato il mio contributo. Comincio con questa dove a parte l’incipit (non mio) il resto è totalmente mio. L’unica variante rispetto all’originale è l’eliminazioni di refusi e renderlo leggibile come impaginazione (per ovvi motivi legati al numero di righe, spesso a capo e spazi sono eliminati).
Era l’estate del 1958. Avevo solo sedici anni come Sara, la ragazza dell’ombrellone accanto al mio. Eravamo state invitate alla festa di Leonardo per festeggiare Ferragosto nella sua villa vicina al mare.
Sara quella sera era d’una bellezza abbagliante, che era impossibile non notarla. Aveva segretamente rubato e indossato un abito color panna di sua madre, che presentava uno spacco laterale per mettere in mostra le lunghe e affusolate gambe. La parrucchiera le aveva acconciato i capelli color miele in morbidi boccoli, nella speranza che Leonardo la guardasse con gli occhi con i quali la guardavo: lo sguardo di chi ama senza confessarlo.
Era decisamente sexy con quel vestito che faceva risaltare la perfetta doratura della pelle e quel seno acerbo appena sbocciato, che si mostrava impertinente senza l’aiuto di sostegni esterni.
A quei tempi ero un maschiaccio, ero scapestrata e restia a qualsiasi espressione di femminilità, motivo per il quale avevo optato per il completo più elegante di cui mio padre disponeva. Volevo mortificare il mio corpo e la mia bellezza tanto che avevo legato i capelli a coda di cavallo. Senza un filo di trucco né una spruzzata di profumo avevo aspettato l’arrivo di Sara, sbuffando e sospirando per quell’invito inopportuno che non avrei voluto onorare. L’avevo accolta con calore, abbracciandola, facendola entrare nella mia stanza, che era in disordine perenne. Scambiammo qualche frase di circostanza e, poco prima di uscire, prese posto dietro di me senza dire una parola. Sciolse la mia zazzera castana dalla stretta del codino, liberò la mia frangetta disordinata dalle forcine e, con le dita affusolate, iniziò a pettinare i miei capelli. Con delicatezza acconciava le ciocche e mi sorrideva, mentre io osservavo ogni suo movimento allo specchio dinnanzi a me con il cuore che batteva impazzito.
«Secondo te Leonardo mi noterà?» mi domandò accennando un sorriso.
La guardai sorpresa da queste parole.
«Certamente! Non dedicherà attenzioni a nessuna ragazza all’infuori di te» risposi sinceramente.
Sorrise stancamente prima di riprendere il discorso.
«Lui sembra preso da quella ragazza. Come si chiama, Laura?»
Rimase silenziosa, mentre continuava a pettinarmi, annodandomi i capelli in una treccia. Mi voltai, facendo ricadere i capelli sulle spalle, inchiodai il mio sguardo duro sui suoi occhi di un verde intenso.
« Allora ti dedicherò le attenzioni che non ti dedicherà lui”.
Un dolce sorriso illuminò il suo viso, mentre riprendevo a parlare, perché ero riuscita a rompere quella calotta trasparente che ci divideva.
«Ti prego, non continuare a essere la causa della mia sofferenza e ricambiami» dissi azzardando quelle parole che avevo avuto sempre paura di pronunciare, mentre il suo sguardo mostrava sorpresa.
«Ricambiami» sussurrai, mostrando le labbra per baciarla. (by Marta Mucillo)
Ecco i primi due proseguimenti.
Sara infilò una mano sotto i capelli che erano ricaduti sul collo e la fece scivolare lentamente sulla pelle della schiena, mentre aspettavo le sue labbra. Chiusi gli occhi ma percepì solo il suo alitare vicino al mio viso.
«Baciami» le dissi ma il bacio non arrivava mai.
La mano continuava a muoversi lievemente con movimenti appena percettibili, mentre qualcosa di caldo m’inumidì le mutandine.
«Baciami» ripetei col desiderio che cresceva di essere baciata.
Le sue labbra si posarono sulle mie, mentre la punta della lingua sfiorava la mia con un movimento circolare. Sentì le sue mani lavorare sulla cintura dei pantaloni e percepì che stava frugando fra le cosce, che allargai leggermente. Fremevo mentre di Leonardo non c’importava più nulla. Sara con movimenti, che nella mia ingenuità ritenni esperti, cominciò a lavorarmi, mentre ero rapita da sensazioni che mi fecero perdere il senso della realtà.
«E’ la prima volta?» mi sussurrò nell’orecchio, mentre mordicchiava un lobo.
«Sì».
La sua mano aveva scostato gli slip e si immerse nei miei umori.
«Mi piace» dissi con un filo di voce appena percettibile.
«Sicuramente Leonardo non saprà darci queste emozioni».
Le sue labbra si posarono sull’incavo del mio collo, mentre l’altra mano giocava col mio capezzolo che indurì in un attimo.
«Pensi di andare ancora alla festa?» mi domandò.
«Non lo so».
Sentì le sue dita scivolare leggere dentro di me e gridai per il piacere.
Sono passati dieci anni da quella fantastica sera di Ferragosto del 1958 ma è rimasto nitido il ricordo. Avevamo solo sedici anni e a quell’epoca se fosse trapelato il nostro segreto avrebbe fatto scandalo. Tutto rimase tra me e Sara come uno scrigno da conservare nascosto. Non che adesso sia cambiato molto ma i tempi hanno modificato la percezione dei nostri gesti che forse verrebbero visti come un gioco tra due bambine.
Rammento che siamo andate alla festa con grande ritardo senza aver alcun pentimento. Nessuno degli invitati riuscì a donarmi quegli istanti vissuti con Sara. Lei però sembrava divertirsi e farsi corteggiare da tutti, facendo impazzire di gelosia Leonardo.
Il giorno dopo fu una giornata simili alle precedenti. Sole, bagni, amori effimeri e civettuoli senza mai parlare di quanto era avvenuto durante il pomeriggio di ferragosto.
“Scrivimi” disse Sara, salutandomi al termine della vacanza.
“Anche tu” risposi baciandola sulle guance, quando a fine agosto lasciammo Forte dei Marmi per tornare io a Milano e lei a Bologna.
Naturalmente ci fu qualche lettera prima di riprendere a ottobre la scuola, poi calò l’oblio su tutto. L’anno dopo i miei decisero per la Costa Azzurra e di lei non seppi più niente.
«Chissà dove sarà oggi Sara» mi domando, dopo aver trovato alcune sue lettere in un cassetto chiuso da anni.
Adesso sono una donna, quasi prossima alla laurea in medicina, con alle spalle un fidanzamento ufficiale finito nel nulla tra liti e incomprensioni. Mi sento irrequieta, gli uomini mi annoiano ma nemmeno le altre ragazze mi attraggono. Sono rimasta il maschiaccio di quasi dieci anni prima ruvida e insopportabile.
“Forse Sara saprebbe domarmi, esattamente come quel giorno” dissi ad alta voce, vedendo le fotografie di quella lontana estate.
Un filo di malinconia scende nei miei occhi, ripensando a lei, a Leonardo, a Luca e quel gruppo di ragazzi e ragazze acerbe e timide. Mi sento bagnare le guance e nel contempo risvegliare la voglia di rivederli, di parlare ancora una volta con loro.
Prendo un foglio bianco e la stilografica Aurora, cominciando a scrivere.
Carissima Sara!
Sono passati dieci anni da quella meravigliosa estate a Forte dei Marmi del 1958 e non ci siamo più né sentite né viste.
Oggi nel riordinare il cassetto della scrivania ho trovato alcune tue lettere e qualche fotografia e mi sono chiesta: ‘Chissà dove sarà?’
Io fra un anno prenderò la laurea in Medicina e spero che l’Ospedale Maggiore di Bologna accolga la mia domanda di specializzazione, così forse potremmo rivederci.
“Michela”. E’ la voce di mia madre.
“Cosa c’è?” chiedo un po’ scocciata, interrompendo la scrittura.
“C’è una lettera per te”.
“Va bene, mamma, Non mi pare un fatto straordinario …”
“Chi è Sara Molini?”
Il cuore sussulta. Io la penso e lei mi scrive.
A giovedì prossimo col resto
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