Il Borgo – Capitolo 14

Mamma, quanto sei curiosa!” borbottò scontrosa, scottandosi il palato. Deposta la tazzina ancora mezza piena, rispose alla chiamata, mentre infilava lo spolverino.

Ciao” disse tutta allegra, cambiando umore con un’inversione a U.

Sei libera?” le rispose con una domanda una voce familiare.

Adesso no ma più tardi sì”.

Per qualche secondo non udì nulla. Cominciava a spazientirsi. Le telefonate indovinello non facevano per lei. Poche parole ma concise erano il suo verbo.

Ci sei ancora o si è seccata la lingua?” chiese pungente.

Niente, niente. Non ti sento dell’umore buono” rispose come se fosse pentito della telefonata. “Oggi ho il colloquio definitivo. Poi pensavo, ma forse ho pensato male, che avremo potuto vederci a pranzo. Ma …”

Ma certamente per mezzogiorno sono libera. Dunque pensi di accettare quel posto a Sasso Marconi?”

Veramente …” e fece una pausa. “Veramente dipende se sono loro disponibili a prendere me … Diciamo intorno alle tredici. Solito posto?”

Quale?”

Ma quello dell’ultima volta!”

Perfetto! Ci sarò. Ti saluto. Ti lascio. Sono terribilmente in ritardo” e chiuse la conversazione.

La madre la guardò sorridente e le chiese se era a pranzo con loro, ben sapendo che era una domanda inutile.

Uffa, mamma! Ormai sono una donna … Devo renderti conto di tutto?” replicò mentre chiudeva l’uscio di casa.

Velocemente s’incamminò verso la fermata del bus, perché la segreteria era difficile da raggiungere con l’auto e ancor più complicato il parcheggio.

Laura aveva la testa in subbuglio tra il pensare agli incubi notturni, nei quali il Borgo l’aveva accusata di abbandono, a Giacomo, che la intrigava, e all’Università, che con pochi esami alla laurea avrebbe dovuto essere in cima ai suoi pensieri. Però la telefonata l’aveva messa di buon umore. «Giacomo mi garba ma a volte è … troppo incerto, timoroso nell’estrarre due parole dolci» si diceva, pensando che lei fosse uno zuccherino con lui e loquace come una comare.

L’autobus la scaricò in via Filopanti a qualche centinaio di metri dalla segreteria. Si concentrò su quello che doveva fare, ricapitolando se tutto il necessario era nella tracolla. Sbuffò, vedendo la coda. Sembrava che tutti gli studenti della facoltà di Lettere e filosofia si fossero dati appuntamento davanti a quei tre sportelli.

E va bene! Mentre passo dopo passo mi avvicino, ho tutto il tempo di riflettere”.

Salutò qualche amico, qualche ex, un paio di ragazze intravviste di sfuggita nel laboratorio di Processi cognitivi, che avevano fatto gruppo con lei. Quindi cercò di estraniarsi dal suono cacofonico di molte voci, che ciarlavano di tutto e di niente.

Il Borgo stanotte mi ha ammonita, perché dopo l’ultima visita sono sparita. Però ha un bel da dire lui” diceva a se stessa mentre pensava a quei ruderi come a un essere umano pensante e respirante. “Col tempo incerto i cartelli sconsigliano di recarsi su per la salita per il rischio di frane o smottamenti. Dovrebbe aver capito che sono due settimane che lavoro solo per lui, trascurando la preparazione di un esame pesante come Comunicazione giornalistica. L’appello è tra sei giorni e dei cinque testi ne ho letti solo tre! Però…”.

Un lungo sospiro fu interrotto da una spinta abbastanza ruvida di qualcuno dietro di lei. Stava per girarsi e mandare a quel paese quel maleducato, quando si avvide che era il suo turno. Rinunciò a mangiarlo vivo e si affrettò allo sportello per espletare tutte le pratiche necessarie per l’esame ormai imminente e presentare la documentazione per avviare il tirocinio previsto nel suo piano di studi, che non poteva rimandare, se pensava di laurearsi nella prossima sessione estiva.

Dopo un’estenuante braccio di ferro con la segretaria, una signora anziana e pignola, perché non voleva accettare il plico cartaceo con la tesina d’esame. A suo dire non trovava riscontro nel database di quella elettronica inviata via mail nonostante Laura producesse una stampa del messaggio inviato. Finalmente dopo tanti solleciti da parte di chi la seguiva in coda la ragazza riuscì a convincerla a mettere un bel timbro sui fogli e iscriverla all’esame orale.

Sudata e arrabbiata, perché nell’era del web si doveva ancora fare la coda per sostenere un esame, guardò l’ora per sincerarsi di non fare tardi all’appuntamento con Giacomo. Mancavano ancora due ore abbondanti all’incontro, mentre lo stomaco reclamava qualcosa. Si ricordò che per la fretta aveva trangugiato solo una mezza tazzina di caffè, perché era arrivata la telefonata del ragazzo.

Arrivo fino da Zanarini. Non ci sono ancora stata dopo la riapertura e mi faccio una ricca colazione” disse mentre con passo svelto da via Zamboni raggiungeva Piazza Galvani, nel centro di Bologna.

Sistematasi nella sala al primo piano in un tavolino d’angolo, ordinò un cappuccino e una brioche integrale vuota. Nell’attesa estrasse dalla tracolla, che conteneva di tutto, il netbook da nove pollici con internet key, per rileggere la tesina del prossimo esame che titolava Alla scoperta dei borghi dimenticati. Era sotto forma di pezzo giornalistico d’inchiesta. Sperava che piacesse e che fosse pubblicato su giornalismi.net. Aveva preso lo spunto per scriverlo dagli articoli di Paolo Rumiz durante la sua ricerca ai posti abbandonati o fantasma, apparsi nel mese di agosto dell’anno precedente. Il documento era anteriore alla scoperta del Borgo e di questa esperienza non ne aveva tenuto conto. Non aveva ritenuto opportuno modificarlo, anche se per l’esattezza non ci aveva pensato per niente.

Anche se la leggo, non la posso più correggere, perché entrambe le copie sono depositate in segreteria”. Il pensiero della lunga discussione avvenuta pochi minuti prima era ancora ben presente in lei. “Quella vecchia arpia ha messo mille cavilli per accettarla. Ho faticato molto a non morderla come se fossi un vampiro. Mi sa che ci sarebbe stato poco sangue da succhiare”. E aperto il documento, lo cominciò a scorrere.

Alla scoperta dei borghi dimenticati1

Il giornalismo d’inchiesta è qualcosa di diverso dal normale giornalismo d’informazione, perché presuppone un lavoro di ricerca della “notizia” con un approfondimento ben superiore a quello che è necessario nel trattare qualsiasi altra notizia o evento di cronaca.

E’ quel giornalismo chenon si ferma ai comunicati stampa e alle dichiarazioni ufficiali, ma scava in profondità alla ricerca di informazioni importanti per la collettività.

Quello che conta, alla fine, è la loro attendibilità: l’autore di un’inchiesta raccoglie quante più fonti possibili per mettere insieme elementi inconfutabili su un tema di rilevanza pubblica di cui, talvolta, si vogliono tenere segreti alcuni dettagli.

Certo, non manca chi sostiene che il giornalismo per sua natura sia sempre investigativo perché la raccolta delle notizie implica la ricerca dei fatti. Nella pratica di tutti i giorni, con vincoli di tempo e di spazio, la differenza esiste: “Il lavoro del reporter ordinario – è stato scritto – è riportare che qualcosa è accaduto. La sfida del reporter investigativo è scoprire perché”.

Il referente del giornalista d’inchiesta è il lettore, al cui servizio si pone con l’unico fine di fornirgli un’informazione approfondita, puntuale e corretta, fatta di dati oggettivi ma anche analizzati nei suoi aspetti in termini di società e di costume.

Pertanto partendo da questi presupposti che ritengo fondamentali, mi propongo di parlare di quei luoghi dimenticati che un tempo, nemmeno troppo remoto, erano abitati o erano ritenuti anche strategicamente importanti per la loro posizione ma che nel corso degli anni si sono spopolati, sono stati abbandonati e lasciati all’incuria degli elementi, diventando di fatto dei paesi fantasma. Quelli che gli americano chiamano Ghost Town, mete di festosi pellegrinaggi turistici.

Secondo alcune statistiche, ma non esiste nulla di ufficiale, sarebbero cinque o seimila, secondo altri oltre diecimila. Di sicuro sono posti che meriterebbero maggior rispetto ma ..

Un trillo interruppe la lettura. Guardò l’ora: era poco meno di mezzogiorno e notò il nome sul display.

Un sorriso comparve sul viso di Laura.

1Alcuni pezzi del documento Alla scoperta dei borghi dimenticati sono tratti dalla tesina di Fabrizio Gatti – Giornalismo d’inchiesta pubblicato di Giornalismi.net
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Ancora su Hena e Grazia. Un bel articolo di giornale. Chissà se Pupi Avati si farà avanti.
Speriamolo

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Il Borgo – Capitolo 13

In realtà la fanpage non fu pubblicata come sperava Laura, perché alcuni intoppi, la presentazione per nulla accattivante la bloccarono per i correttivi necessari. Anche l’incontro programmato saltò a data da destinarsi, perché non riuscirono a trovare una data che potesse andare bene a tutti.

La ragazza, lavorando alla fanpage, si dimenticò di tutto il resto, studi compresi. Sembrava che dentro di lei ci fosse un fuoco sacro da tenere ben acceso. Rispondeva a monosillabi alla madre quando tentava di carpire qualche segreto sulle sue attività e sul rapporto con Giacomo.

Erano passate tre settimane da quella prima visita al Borgo e due da quando aveva ascoltato la voce che implorava soccorso. Non erano più tornati lassù, perché il tempo incerto e i fine settimana piovosi lo sconsigliavano. Per questo motivo sentiva un grosso peso sul petto, perché temeva che il Borgo non si aspettasse più nessun aiuto da parte loro.

Le era stato detto che per mettere in moto l’operazione di recupero avrebbe dovuto contattare il sindaco di Castel del Rio, nel cui territorio comunale ricadeva la giurisdizione del Borgo.

C’è tempo” disse mentre eseguiva gli ultimi ritocchi alla pagina su Facebook, che voleva pubblicare prima possibile dopo il ritardo accumulato con la precedente versione. “La fanpage deve essere accattivante al massimo per attirare il maggior numero di persone”.

Era intenta a rimuginare questi pensieri, quando il telefono prese a squillare. Lo guardò infastidita, cercando di leggere il nome dello scocciatore. “Giacomo! Che vuole a quest’ora?” disse osservando l’orario 23 e 08.

Ciao” rispose brusca.

Avevo voglia di sentire la tua voce” disse il ragazzo con un sospiro.

Ma non ci siamo sentiti via Skype pochi minuti fa?” replicò infastidita e un po’ sgarbata.

Allora buona notte” aggiunse deluso, chiudendo la conversazione.

Laura rimase sorpresa e scosse il capo, perché non aveva compreso pienamente il senso della telefonata, perché se doveva comunicare qualcosa di importante avrebbe dovuto tenere ben altro atteggiamento.

Se aveva voglia di cazzeggiare, non sono dell’umore buono” disse riponendo il telefono. “Ora è meglio che vada a letto. Questa telefonata fantasma mi ha tolto tutte le idee. Speriamo che domani vada meglio”. Spento il PC si preparò per dormire.

Però il sonno tardava a venire, mentre lei si girava e rigirava nel letto. La chiamata di Giacomo non l’aveva inquadrata, anzi l’aveva destabilizzata come se avesse avuto il potere di ricordarle che era una donna giovane e bella.

Accidenti! Certo lo so che sono una ragazza! Ma ora è prioritario far partire il progetto del recupero. Ci sarà tempo …”. Fece una pausa nelle riflessioni, mentre si voltava dal lato destro a quello sinistro. “Forse voleva dirmi … ma no! Di sicuro voleva dire qualche sdolcinatezza”.

Emma ascoltava in silenzio tutto quel vociare sommesso della figlia, che tanto basso non era. Si interrogava perché fosse sempre così ruvida coi ragazzi finché questi delusi e impauriti non scappavano.

Quel Giacomo mi sembra molto paziente, visto che resiste per ore ad ascoltare mia figlia che pare sempre pronta a mangiarlo o spellarlo vivo” rifletté sentendola agitarsi nel letto.

Si diceva, sconsolata, che era inutile parlare di questi argomenti col marito, perché gli uomini discutono solo di calcio e non capiscono nulla dei sentimenti.

Se a Ernesto chiedo qualcosa del Bologna, di Malesani, di Di Vaio o Perez, gli si illuminano gli occhi e parte in quarta a disquisire come dovrebbero disporsi in campo e quale tattica tenere. Se invece parliamo di nostra figlia, di un possibile ragazzo, alza le spalle e grugnisce qualche parola. Che è tocca, che dovrebbe farsi benedire a Sarsina per diventare più malleabile e incatenare un pretendente, che rimarrà zitella a vita. ‘Ce la dobbiamo tenere per sempre, Emma! Chi vuoi che prenda una matta per le mani!’ E ogni discorso è troncato, mentre torna a leggere lo Stadio”.

Scuoteva la testa la donna, mentre si preparava per la notte.

Mentre la madre era impegnata in queste riflessioni amare, Laura era sempre più agitata nel sonno che andava e veniva come la luce del faro. Brevi sonnellini, intervallati da risvegli bruschi. Il Borgo che la rimproverava che l’avevano abbandonato. Giacomo che voleva dirle qualcosa ma che non capiva o forse non aveva tempo di ascoltare.

La notte si stava consumando tra sogni e incubi, quando la sveglia suonò con insistenza. Doveva recarsi con urgenza alla segreteria di facoltà per sistemare alcune pratiche burocratiche per il prossimo esame. Nelle ultime settimane, assorbita com’era dal progetto del Borgo, aveva rimandato di giorno in giorno l’espletamento di queste incombenze noiose ma fondamentali, se voleva utilizzare l’appello di fine settembre. Il primo a inizio mese era già volato via ma al secondo appuntamento non poteva mancare. Laura, zittita con una manata la suoneria, si alzò stanca, assonnata e terribilmente irritata, perché nulla andava secondo i suoi voleri.

Devo sbrigarmi, se voglio essere alle nove in segreteria” si disse mentre trascinava i piedi verso il bagno.

La chiamata di Giacomo della sera precedente continuava a frullarle per la testa. “Cosa voleva dirmi?” si domandò, quando udì la voce della madre. “Laura, qualcosa che non va?”. “No, mamma. Ho semplicemente dormito male” rispose sapendo di mentire.

Pensò che le mamme si preoccupavano troppo delle faccende personali dei figli, impicciandosi di questioni che non le riguardavano. “Mia madre conferma la regola” disse mentre faceva la doccia.

Ti preparo la colazione oppure la fai fuori?” le chiese tutta premurosa.

Uffa! Non lo so ancora … Forse un bel caffè forte e nero lo prendo volentieri” disse con tono leggermente addolcito.

Si vestì in fretta, perché come al solito era in ritardo e si precipitò di corsa in cucina, mentre sentiva l’inconfondibile aroma del caffè che borbottava nella Moka Bialetti. Stava sorseggiando quel liquido nero e bollente, quanto il telefonò segnalò con le noti di una musichina una telefonata.

Emma gettò uno sguardo sul display illuminato e lesse un nome. “E’ testardo il ragazzo! Ma anche paziente” si disse in silenzio, sorridendo.

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Il Borgo – Capitolo 12

Eva se ne stava accoccolata sul divano nella casa di Marco a Modena, mentre osservavano le fotografie scattate la domenica appena passata.

Le istantanee erano impeccabili, almeno questa era la sua opinione anche se il compagno ci trovava mille difetti.

Vedi” le disse. “Qui non ci siamo. La visuale è scentrata e la luminosità non è perfetta”.

La ragazza stringeva gli occhi come per mettere a fuoco meglio tutte queste imperfezioni ma non notava nulla di tutto quello che le indicava.

Sarà come dici tu” rispose per nulla convinta. “Per me è perfetta” e passava a quella successiva.

Non tenerla così” la rimproverò bonario. “Lasci delle ditate sul lucido”.

Lei sollevò un sopracciglio senza replicare. Quando si comportava così in maniera pignolesca faticava a sopportarlo. «E’ il suo modo di concepire la fotografia. Un amore viscerale e smisurato. Per me è solo l’istantanea di un momento. Il cogliere l’attimo fugace e immortalarlo finché non venga distrutto dal tempo. Però ..». Sospirò e tenne delicatamente fra le dita l’istantanea, avendo cura di non toccare la parte lucida.

Ti ricordi che quel giorno ..” riprese il ragazzo.

Cosa?” gli chiese stupita.

Quel giorno nella pineta sentivamo lo scirocco e ti dovevo tenere a bada. C’erano tanti bambini ..”

Sarà come dici” rispose ridendo. “Ma non mi sembravi che la vista di quei ragazzini ti tenesse a freno ..”.

Eva rise di gusto, perché Marco era molto abile nel girare gli eventi scaricandoli sull’altro.

Quel giorno .. lo ricordo bene .. Se non mi fossi imposta avresti fatto all’amore sul sentiero dove passavano tutti, incurante di bambini, madre e chissà quanti altri ..”

No, no.. ricordi male .. Guarda queste fotografie ..” e gliene mostrò una decina dove si vedeva solo lei in posizioni differenti.

Appunto!” replicò sorridente. “E’ come dico io! Cercavo di sottrarmi al tuo bombardamento .. Però ..” e tacque.

Guardò con attenzione quelle istantanee che la ritraevano in mille pose differenti. «Sì. E’ veramente abile Marco nel cogliere le espressioni di chi fotografa. Io mi stavo schernendo e gli dicevo che c’erano dei bambini e lui ..» rifletté sorridente nell’esaminare quelle foto.

Però?” chiese incerto il ragazzo. “Cosa c’è che non va?”

Eva lo abbracciò, dopo aver deposto quei cartoncini in bianco e nero sul tavolino.

Nulla! Sono perfette! Hai saputo cogliere il momento nel quale io mi difendevo dalle tue avance! Quando tra qualche anno le rivedrò, saprò con esattezza cosa stavo facendo e dicendo!”

Marco la strinse a sé e la baciò a lungo.

Erano teneramente abbracciati, quando la musica del telefono interruppe i loro pensieri.

Chi sarà quello scocciatore?” sbottò il ragazzo leggendo il display. “E’ Laura. Chissà cosa vuole”.

Ciao”.

Disturbo?” chiese con garbo la ragazza.

Sì! Ero abbracciato ..” cominciò interrompendosi subito, perché Eva lo stava trapassando con uno sguardo di fuoco.

Oh!” mormorò la ragazza. “Mi dispiace di avere interrotto ..”

Ma no! Era solo una battuta! Metto il viva voce così ascolta anche Eva che è qui con me. Dimmi tutto”.

Laura rimase per qualche istante in silenzio, perché aveva compreso perfettamente di essere capitata nel momento sbagliato, interrompendo un momento di intimità tra i due giovani.

Volevo solo dirvi” riprese parlando al plurale. “Io e Giacomo abbiamo creato la fanpage del Borgo con le tue fotografie. Stasera sarà pubblica, accessibile a chiunque. Mi date una mano per diffonderla su Facebook? Più contatti ci sono, più possibilità di trovare sponsor e aiuti”.

Eva gridò qualcosa, che Marco trasmise.

Mandami il link non appena è disponibile. Faremo del nostro meglio per far conoscere la pagina. Ma dimmi hai scoperto altro?”

Domenica scorsa siamo tornati al Borgo e ..”, Sospese per un attimo di parlare incerta se dire quello che voleva raccontare, che qualcuno aveva già giudicato inverosimile. Poi riprese il discorso con decisione. Doveva condividere anche con loro le sensazioni che aveva provato.

Dovete sapere che il Borgo ci ha adottati! Ci ha parlato e ci ha chiesto di salvare la rocca e la chiesa”.

Oramai l’aveva detto e pensò che l’avrebbero giudicata matta.

I due ragazzi si guardarono sorpresi da quello che Laura aveva appena detto.

Eva prese il telefono dalle mani di Marco.

Ciao, Laura. Ho ascoltato le tue parole. Il Borgo ti ha parlato?” domandò stupita.

Sì” rispose con un filo di voce.

Ma è meraviglioso! Cosa ti ha detto in particolare” le chiese, cercando di non lasciar trasparire la sua incredulità.

Mi ha chiesto di far rivivere la rocca e la chiesa. Per il resto ci lascia libera scelta ..”

Ma Giacomo cosa dice?” le chiese trattenendo il riso.

Non saprei.. Era un po’ basito ..” riprese la ragazza.

Ci credo! Lo sarei stata anch’io ascoltando una voce che viene dal tempo remoto ..”,

No, non hai compreso bene cosa volevo dire. In effetti sostiene di non avere udito nulla. Solo il sibilo del vento. Io invece ho sentito distintamente le parole del Borgo .. Peccato che non ci foste anche voi ..”

Sicuramente quando torneremo, lo ascolteremo ..” aggiunse Eva che non voleva deprimere ulteriormente Laura.

Quindi da stasera su Facebook parte la nostra fanpage” continuò tornando all’argomento iniziale. “Mandaci il link così possiamo farlo girare tra i nostri amici. Quando pensi che possiamo incontrarci per discutere del progetto?”

Ma .. non so .. la prossima settimana .. una sera o durante il fine settimana?” domandò incerta.

Che ne dici, Marco?” disse la ragazza rivolgendosi al suo ragazzo. “Una sera della prossima settimana .. Mercoledì .. Non ho lezioni e sono libera”. Il ragazzo annuì vistosamente per confermare la data.

Hai sentito?” le chiese Eva. “Mercoledì prossimo ci andrebbe bene”.

Devo sentire Giacomo e poi ve lo confermo. Siete molto carini nell’ascoltare le mie fantasie..”.

Ma cosa dici, Laura .. Non sono fantasie .. allora aspettiamo una conferma e ricordati il link. Ciao”

Ciao”.

I due ragazzi scoppiarono in una risata fragorosa.

E’ chiuso il telefono?” chiese allarmato Marco.

Sì, si!” esclamò e gli riconsegnò il telefono.

Risero ancora di gusto prima che con voce seria il ragazzo dicesse qualcosa.

Ci credo bene che Giacomo fosse basito. Chi non lo sarebbe nell’ascoltare quelle parole?”

Eva scosse la testa come per confermare quello che stava dicendo Marco e rifletté che si erano imbarcati in un’impresa pazzesca dove a ogni passo potevano essere scambiati per pazzi visionari. In realtà la molla era differente: fare qualcosa senza tanti fini. Un po’ per stare in compagnia, un po’ per dimostrare che anche le iniziative più azzardate potevano andare a buon fine.

La ragazza gli si strinse con passione per riprendere dal punto nel quale erano stati interrotti dalla telefonata.

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Il Borgo – Capitolo 11

Laura stava lavorando alacremente alla creazione della fanpage su Facebook, dove si illustrava il «Progetto del Borgo» e si cercavano volontari per il suo recupero. La pagina era corredata da diverse fotografie scattate da Marco e da alcune informazioni suggerite da Eva.

Però era Giacomo, col quale interagiva principalmente attraverso delle videochat su Skype, in cima ai suoi pensieri.

La ragazza aveva ben impressa nella mente quel mercoledì, quando aveva ricevuto quell’invito a sorpresa. Una serata magnifica ed eccitante era stata scoppiettante come fuochi d’artificio. Si era parlato di tutto fuorché del Borgo, lasciato volutamente fuori dai loro discorsi. Era tornata a notte fonda a casa eccitata e in preda alla frenesia di un improvviso e inaspettato innamoramento. Si erano sentiti nei giorni seguenti ed erano tornati a Castiglioncello la domenica seguente.

La giornata non era bellissima, anzi piuttosto imbronciata per via di nuvole e accenni di pioggia. In compenso aveva ricevuto delle sensazioni meravigliose, che non aveva avvertito nella visita precedente. Non era riuscita a catalogarle immediatamente ma poi ripensandoci c’era arrivata a comprenderle.

Stavano salendo verso il Borgo con indosso una cerata gialla, quando le parve di udire delle voci. Si fermò stupendo Giacomo, che non capiva il motivo della sosta.

Non fiatare. Sta in silenzio” gli disse secca e decisa.

Perché?” domandò meravigliato.

Ssss” sibilò mettendo un dito sulle labbra.

Si mise in ascolto. Le voci era flebili ma distinte ma non capiva perfettamente tutte le parole che il vento le portava fino alle orecchie.

Giacomo la guardava come se la ragazza fosse stata colta da un raptus improvviso di follia. «In effetti mi domando se è normale oppure una pazzoide. Mi sono lasciato trascinare in questa avventura dai contorni folli senza che lo volessi veramente. Ora come un’invasata mi zittisce senza spiegarmene i motivi. Sono io il pazzo e lei una furba commediante oppure lei è matta da legare e io me ne sono innamorato?».

Il ragazzo era immerso in questi pensieri senza una risposta sensata, quando Laura riprese a parlare.

Hai sentito ..” cominciò guardandolo fisso negli occhi.

Cosa?” chiese pazientemente Giacomo, osservandola per scoprire se fosse uscita di testa. Non aveva udito nulla a parte il loro respiro.

Come cosa?” esclamò sorpresa. “Non hai sentito che il Borgo ci ha chiamato? Ci chiede aiuto per tornare a vivere e far tornare a vivere gli spiriti che si aggirano inquieti tra le rovine!”

Giacomo la fissò con gli occhi sbarrati e pensò che l’eccitazione dell’avventura le avevano fatto perdere il lume della ragione.

Allora cosa dici?” lo incalzò Laura. “Non hai sentito quell’invocazione di aiuto?”

No, Laura. Ho udito solo il sibilo del vento. Nessuna parola. Solo il brusio del vento fra questi sterpi. Mi dispiace” replicò affranto per non aver ascoltato nessuna parola.

Ma è impossibile!” concluse Laura prima di riprendere a salire con decisione verso il Borgo. Si avviò come se Giacomo non esistesse e in breve tempo raggiunse la porta di accesso ai ruderi.

Laura” gemette sconsolato il ragazzo. “Ma cosa ti hanno chiesto?”

Le ultime parole si dispersero nel vento, rimbalzate dall’eco dei monti circostanti. Riprese a salire per raggiungerla con mille pensieri nella testa. Eppure gli piaceva quella ragazza dai modi sgarbati e ruvidi, finché non diventava tenera e dolce, quando abbandonava la corazza difensiva. Ansante arrivò dove si era fermata come se ascoltasse qualcosa.

Laura ..”.

Ssss” gli disse intimandogli di tacere, mentre Giacomo cerco di acuire l’udito.

«Sono diventato sordo. Eppure l’ultima volta udivo anche il ronzio degli insetti. Ora nulla» rifletté scuotendo la testa.

Rimasero lì per un tempo che a lui parve eccessivamente lungo.

Il Borgo ci parla” riprese Laura. “E ci indica cosa dobbiamo fare ..”

Cosa ha detto esattamente ..” chiese il ragazzo fingendo di non aver compreso tutto quello che aveva detto.

Ci chiede di ripristinare la rocca e la chiesa. Per le abitazioni ci lascia mano libera. Però mi pare d’aver ascoltato anche un’altra voce ma era più distante e flebile”.

Giacomo era sempre più strabiliato e basito. Non aveva udito nulla, nemmeno un lamento a parte il respiro affannoso del suo petto.

Laura per contro era eccitata per avere ascoltato la voce del Borgo.

Domenica scorsa non aveva compreso i motivi per i quali eravamo venuti. Ci ha scambiato per i soliti gitanti che vengono, scattano qualche fotografia, prendono una pietra come souvenir e poi scompaiono. Però oggi ha percepito che noi lo vogliamo far tornare alla vita e ci ha dato il benvenuto. Ormai c’è feeling tra noi” disse tutto d’un fiato la ragazza eccitata e felice.

Il ragazzo annuì nascondendo i veri pensieri che gli erano affiorati nella mente. Non desiderava rompere il clima di entusiasmo della compagna e tacque.

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Tutti a Ferrara il 22 di marzo. La giornalista curiosa, alias Grazia Giordani presenterà la più recente fatica letteraria. Hena.
Il libro merita di essere letto. Piacevole, fluido incanta come la sua scrittura.

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Il borgo – Capitolo 10

Ciao”. Era la voce di Giacomo che la chiamava al telefono. “Volevo sentire la tua voce” proseguì con tono morbido e vellutato.

Laura rimase un attimo in silenzio perché non si aspettava questa chiamata. Si interrogò cosa volesse comunicarle. «Forse vuol dire che non partecipa più al progetto» pensò in silenzio e velocemente.

Ciao” rispose con tono neutro e guardingo. “Che bella sorpresa ascoltare la tua voce ..”.

Volevo chiederti ..” riprese il ragazzo con un tono leggermente incrinato dall’insicurezza per quello che voleva esprimere, “Mi domandavo se stasera hai degli impegni. Sono a Bologna e ..”. Giacomo rifiatò un attimo, mentre si concedeva una pausa per ritrovare la determinazione che lo aveva spinto a telefonare.

Oh!” rispose la ragazza rimanendo in un silenzio imbarazzato.

Che peccato” disse il ragazzo deluso. “Sarà per un’altra volta ..”.

Laura percepì la delusione di Giacomo al suo silenzio fuori luogo e per la freddezza nel rispondere. Si riprese immediatamente, doveva e voleva cogliere quest’occasione, perché di inviti non ne riceveva mai.

Ma cosa dici? Sono rimasta sorpresa dalla tua proposta! Certo che sono libera! Anzi se avessi avuto un qualsiasi impegno l’avrei disdetto. Sarei disponibile anche con la febbre a quaranta!”

Allora ci possiamo vedere?” riprese speranzoso.

Ma certamente! Quando? Dove?” gli chiese tutta entusiasta perché finalmente un ragazzo l’invitava a uscire di casa.

Oh! Mi libero per le sei o sei e mezzo al massimo. Direi che alle sette va bene. Un’osteria per bere un buon vinello e mangiare qualcosa? Che ne dici all’Osteria della Tigre o la taverna di Merlino? Li conosci?”

Scegli tu. Per me vanno bene entrambi. Non ci sono mai stata. Li scoprirò in tua compagnia. Alle sette va bene. Dove?”

Se arrivi con la macchina, direi che il parcheggio dell’autostazione va benissimo. Altrimenti dimmi tu”.

Alle sette sono all’ingresso del parcheggio” disse piena di entusiasmo.

Laura era al settimo cielo. Non pensava minimamente che dopo quella gita un po’ pazzesca, un po’ goliardica tra i monti dell’Appennino Giacomo si facesse vivo con la proposta di uscire con lei.

Erano passati solo due giorni ma era riuscita a riempire due pagine di annotazioni su quello che doveva fare e quello che secondo lei sarebbe stato necessario.

Ne parlerò con Giacomo ..” disse mentre davanti allo specchio si preparava per quell’uscita insperata e tanto sognata. “Oh! Cacchio! Non cominciare a fare la stupida. Stasera niente progetto. Niente di niente. Si parla di tutto fuorché del recupero del Borgo. Intesi?”

Sentì bussare alla porta.

Con chi stai parlando?” le chiese curiosa sua madre. “Sei con qualcuno?”

No, mamma!” rispose ridacchiando. “Parlavo da sola”.

Per qualche istante non udì nulla. Poi la voce della madre riprese a parlare.

Esci?”

Sì, mamma” replicò con un tono che lasciava pochi dubbi.

Con un’amica?” domandò indagatrice, perché le pareva strano l’allegria e il buonumore della figlia.

No. Uffa, come sei curiosa! Esco con Giacomo”.

Ah!” replicò allontanandosi, mentre si interrogava chi fosse questo Giacomo. «Da dove salta fuori questo ragazzo? E’ la prima volta che ne sento parlare. E poi sono talmente rari … Bah!» rifletteva mentre tornava in salotto.

Si sedette accanto al marito, immerso nella lettura del quotidiano sportivo preferito, Stadio.

Ernesto..”

Dimmi, Emma” rispose sollevando infastidito il capo dall’articolo che stava leggendo sul Bologna.

Nostra figlia ha il ragazzo” aggiunse trionfante.

Il ragazzo?” Si drizzò sorpreso, accantonando il giornale. Per quel articolo ci sarebbe stato tempo anche dopo, mentre su questa novità fresca fresca era da cogliere senza indugi. “Laura ha il ragazzo? Da quando?” disse quasi trasognato.

Boh! Non lo so. Ma stasera è fuori con Giacomo ..”.

Giacomo? Non mi pare di averlo mai sentito nominare. E poi sei proprio sicura che sia il suo ragazzo?” domandò sbalordito per questa notizia sorprendente. “Forse è solo immaginazione .. speranza .. Chi vuoi che la prenda una matta come lei! Mi sa che ce la dobbiamo tenere finché viviamo..”.

Su, Ernesto non essere pessimista. E’ una bella ragazza, intelligente, tra poco anche laureata. Parlava da sola. Avresti dovuto sentire con quale voce ..”.

L’uomo scosse la testa e bofonchiò qualcosa e riprese la lettura dell’articolo interrotta bruscamente dalla moglie. La notizia era un non notizia. Solo fantasie immaginarie. Questo era quello che pensava Ernesto alla comunicazione di Emma.

Laura arrivò sorridente e vestita in maniera civettuola, anziché coi soliti jeans e maglione cascante da tutte le parti.

Ciao, mami. Ciao papi. Stasera sono fuori” disse con tono radioso.

Non fare tardi” rispose la madre, mentre il padre alzò solo gli occhi.

No” e chiuse l’uscio alle spalle.

Emma osservò il marito che non dava segni di aver compreso nulla.

Vedi che avevo ragione. Ha un ragazzo” disse trionfante.

Ma dai! Domani la vedremo col solito muso lungo. Chi vuoi che la pigli, nostra figlia? Mi sa che, se non la cacciamo di casa, rimanga single a vita in casa nostra” e riprese la lettura senza più dare ascolto alle chiacchiere della moglie.

Alle sette Giacomo la vide e emise un fischio di compiacimento.

Se non avessi visto i tuoi occhi, non ti avrei riconosciuta! Sei bellissima” e le stampò un bacio sulla bocca.

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Il Borgo – Capitolo 9

..E lei fu lì. All’improvviso. Comparve dal nulla con il suo volto, il suo sorriso e quegli occhi che lui adorava. Non era la prima volta e non sarebbe stata nemmeno l’ultima ma ogni volta gli pareva che uscisse dal bianco della carta o che affiorasse come se infrangesse una leggera crosta di ghiaccio. Doveva solo inclinare la bacinella affinché il liquido portasse a termine il miracolo: come per magia dove prima non c’era nulla, adesso c’era qualcosa. Poi lei compariva e lo fissava. Era l’istante impalpabile tra il vuoto e il pieno che gli rimaneva appiccicato a dosso come il miele sulle mani..

Marco al rientro dall’ispezione di Castiglioncello decise di stampare le fotografie fatte quel giorno. Spense la luce nell’anticamera prima di entrare nella camera oscura. Una tenue luce rossastra illuminava debolmente la stanza. Sembrava uno di quei film di una volta, in bianco e nero, dove il protagonista sviluppava in un’atmosfera torbida e tremolante. Si muoveva con sicurezza adattandosi alla scarsa luminosità con naturalezza. Una fila di cartoncini gocciolanti erano appesi a un filo che attraversava la stanza.

Li ignorò mentre riempiva la bacinella col liquido di sviluppo. Aveva anche un’altra serie di negativi da stampare con un unico soggetto: lei, Eva, la donna dei suoi sogni. Infilò il rullo nell’ingranditore senza tentennamenti. Si fermò un attimo a respirare prima di procedere con la stampa. Verificò che tutto fosse in ordine: bacinella, carta, filtri, rullo.

Marco odiava le moderne macchine digitali, perché diceva che perdonano tutti gli errori. Anche se usava reflex digitali professionali sempre più spesso, era rimasto fedele alla vecchia Fuijca Az1, un reperto archeologico, con la quale si divertiva a fotografare oggetti particolari e soprattutto lei. Faceva sempre più fatica a trovare la pellicola giusta, specialmente quella in bianco e nero. Gli amici ridevano per le sue fissazioni. Però lui scuoteva la testa come per scacciare insetti fastidiosi. Per lui la fotografia era rimasta ai tempi di Frank Capa.

Faceva tutto da solo dallo sviluppo del negativo alla stampa delle fotografie che riteneva ottimali. Non poteva sopportare la stampa meccanica, quasi industriale che ormai tutti praticavano. Aveva comprato per questo scopo un’attrezzatura di seconda mano, dismessa da uno studio fotografico, che si era convertito alle moderne tecnologie. L’aveva pagata pochissimo, qualche centinaio di euro, ma era come se possedesse una Rolls Royce. Qualcosa di straordinario, di gran lusso dal valore inestimabile. Almeno questo era il suo pensiero.

Stampano anche l’aria” bofonchiò arrabbiato mentre lavava la pellicola dopo il procedimento di sviluppo, facendo attenzione che non rimanesse nemmeno una goccia di solvente.

Tra l’attrezzatura dello studio c’era anche una stampante fotografica professionale ma quella la usava solo per il digitale, per le foto che gli commissionavano i clienti. Per quelle personali ricorreva all’attrezzatura manuale e alla preistorica AZ1.

Non c’è il minimo pathos. Tutto meccanizzato con il prodotto finale inscatolato nella busta col solito CD delle miniature e delle foto in formato jpeg” brontolava da solo mentre curava la pellicola appena sviluppata..

Odiava quel mondo asettico e privo di anima, dove contava solo la velocità e la quantità di materiale trattato. Lui voleva trattare i singoli fotogrammi uno per uno, soppesandone le qualità. La fotografia doveva essere un’opera d’arte da lasciare in eredità a chi sarebbe venuto dopo di lui.

Anche se usava la macchina digitale, poneva la medesima cura di quelle tradizionali nel trattamento finale. Scartava quelle che secondo il suo gusto erano imperfette, le ritagliava eliminando i particolari superflui e ritoccava quelle piccole imperfezioni che un occhio non esperto non riconosceva.

Per questa attenzione maniacale al minimo dettaglio e alla perfezione era molto ricercato e le commesse non mancavano nella sua agenda.

Appese la pellicola al filo e col phon la seccò con cura e delicatezza come se stesse asciugando i capelli dell’amata. Eva aveva una morbida cascata rossa, ondulata come il mare sotto la spinta di una leggera brezza. Marco si fermò un istante pensando a lei. Poi riprese a passare il getto caldo con attenzione, affinché non vi rimanesse una stilla di umidità.

Gli riempiva la mente con il suo sorriso, il suo corpo morbido e minuto, con quella chioma vaporosa e intrigante. Però erano soprattutto gli occhi, quelli che lo ammaliavano di più.

Con questi pensieri si avvicinò all’ingranditore, mettendo un nuovo fotogramma tra l’obiettivo e la luce. Si concentrò sulla messa a fuoco, anche se l’immagine della donna continuava a galleggiare eterea e impalpabile dinnanzi agli occhi.

Dopo aver armeggiato cautamente e pazientemente con l’obiettivo, coi filtri, si sentiva pronto a stampare la prima foto. Era ancora una volta il viso di Eva, colto mentre faceva una dei suoi sorrisi mozzafiato.

Un flashback apparve all’improvviso nell’osservare quel viso.

Era una domenica, qualche settimana prima per la precisione. Loro si trovavano nella pineta di ritorno dall’escursione domenicale al mare. Era una giornata ventosa che mitigava la calura di luglio. Un tipico giorno popolato dal quel turismo mordi e fuggi che ormai era diventato una costante in tempo di crisi. Mentre le ombre giocavano a rimpiattino con suo viso, Marco puntò l’inseparabile reflex verso di lei.

Oh! No!” esclamò spalancando gli occhi in quel momento in ombra.

Oh! Ancora una! Non ti stanchi mai?”

No.” replicò dopo una serie di scatti in rapida sequenza.

L’abbronzatura dorata del corpo veniva valorizzata dal pareo azzurro che l’avvolgeva come un fascio di rose.

Eva si strinse a lui, facendogli sentire il profumo del suo corpo: un misto di crema solare e odore pungente, come muschio acidulo, che emanava sensualità. Marco inalò quell’effluvio di aromi che lo eccitarono. Si sarebbe fermato in quel tratto di pineta per fare all’amore con lei incurante delle persone che stavano intorno a loro ma proseguì.

Marco scacciò questi pensieri per concentrarsi sulla stampa della fotografia. Il timer suonò e spense la luce, mentre lui afferrò il cartoncino bianco e si avvicinò alla bacinella per lo sviluppo.

Ricominciava la magia del non c’era e del c’era.

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Dal diario di uno scrittore

Mercoledì 28 febbraio 1973

Mi diede la mano dandomi una pacca sulla spalla.

“Hello, Mr. Longo!” e cominciò a parlare velocemente in inglese.

Lo guardai sbigottito. Non riuscivo a tenergli dietro tra lo slang americano e la velocità con la quale sparava frasi a raffica. La mia scarsa tenuta linguistica mi aveva mandato in tilt. «Game over» diceva la mia mente in overdose anglofona.

“Can you speak slow? I don’t understand that you say” dissi nel mio inglese elementare e scolastico, che faceva uno strano effetto anche a me stesso.

“Of course!” rispose ridendo.

«Ridi, Ridi! Ma non ci capisco un acca!» riflettei, mentre passavamo sotto gli occhi inorriditi del maître, che storceva il naso vedendo i nostri abbigliamenti.

Io ero vestito come un montanaro con pantaloni di fustagno marrone, delle orribili pedule ai piedi e un montgomery verde pisello ma lui non era meno eccentrico.

A ripensarci bene adesso mi viene da ridere e da inorridire allo stesso tempo, pensando cosa indossavo per entrare in un tempio dell’eleganza e dei buongustai. Però ero da scusare, perché, quando ricevetti il telegramma dal mio agente letterario, mi trovavo in uno sperduto paesino del Vorarlberg austriaco tra il Bodensee e Bolgenach per una full immersion della lingua tedesca con altre dieci persone. A dire il vero eravamo in uno sperduto casolare sulle rive del lago artificiale, immerso nella foresta con cumuli di neve alti fino alla finestra del primo piano.

«Milano 20 febbraio 1973 – Presentati martedì 27 alle ore 12 a Vienna in Kärntner Straße 51 – Gerstner Beletage im Palais Todesco. Ho fissato un incontro con Robert Altman per discutere della sceneggiatura del tuo manoscritto Non passava giorno. Roberto» era il testo del telegramma che aveva rischiato di giungere in ritardo.

Il romanzo non era ancora uscito, ricordo bene, ma il mio agente lo aveva piazzato a Hollywood. Mi sono sempre domandato come fosse riuscito nell’impresa di passarlo sottobanco a Robert Altman, al quale era piaciuto e ne aveva acquistato i diritti cinematografici. In effetti era un quesito del tutto inutile, perché nessuno era in grado di darmi una risposta convincente.

L’aspetto buffo era che il dattiloscritto era in italiano, quando lo affidai al mio agente ma quel diavolo di Roberto l’aveva fatto tradurre a mia insaputa e l’aveva trasmesso in America. Un giorno mi dovrà spiegare quale artificio ha usato per farlo leggere a questo famoso regista e produttore.

Da una corrispondenza con Anna, la sua segretaria, sembra che l’assistente del regista, dalla quale passavano tutti i testi per eventuali film, fosse una vecchia fiamma giovanile dell’agente. Sarà vero, mi sono chiesto più volte. Mi dissero che era un’italiana trapiantata in America da molti anni, che lo lesse nella versione originale. Sembrerebbe che lei avesse insistito moltissimo per la sua traduzione. Ma tutto questo restava avvolto nel mistero a parte il fatto concreto che effettivamente era finito tra le mani di Altman.

Come i reali avvenimenti si fossero svolti e quando fosse avvenuto il passaggio del plico cartaceo, non lo seppi mai con precisione, perché nessuno ebbe la bontà di dirmelo. Ricordo solo che firmai un contratto, scritto fitto fitto in inglese, nelle crocette che lui aveva segnato, prima di partire per il Vorarlberg senza pormi troppe domande al riguardo. In realtà non ne avevo di tempo, perché dopo due ore avevo il treno per Innsbruck e questo non avrebbe aspettato che io gli chiedessi cosa stavo firmando.

Altman si vantò quel giorno a Vienna di avere acquistato i diritti per una manciata di lenticchie secche. E tuttora gli credo visto che non ho visto un centesimo di dollaro di royalties. Solo il mio nome, piccolo piccolo, nei titoli di coda alla voce screenplay sotto quello in grande di Robert Altman.

Mi sono sempre domandato perché si fosse scomodato facendo un lungo viaggio da Los Angeles per incontrarmi. Ma forse voleva vedermi di persona o chissà per qualche altro misterioso motivo. Comunque lo vidi e gli parlai per un’intera giornata.

Il telegramma non arrivò il 20 o il 21 come capita di norma nel mondo civilizzato ma solamente lunedì 26, perché le strade erano impraticabili per la neve. Finii nel panico. Dovevo organizzare un viaggio che sapeva dell’avventuroso visto che l’area era sepolta sotto una coltre nevosa, caduta incessantemente da diversi giorni. In questa zona austriaca o non nevicava per niente oppure ne veniva troppa. In quel anno si verificò proprio la seconda sfortunata evenienza. In qualche modo dovevo raggiungere Innsbruck e da lì arrivare fino a Vienna, se volevo incontrare il famoso regista.

L’aspetto più indisponente della questione fu che non avevo un abbigliamento adatto al ristorante più in e vecchio di Vienna, come scoprì a posteriori. Quando partì prima di Natale per questa località sperduta tra i monti e i boschi del lembo più occidentale dell’Austria, mi avevano consigliato di portare solo abbigliamento adatto a un montanaro, perché il mondo civilizzato non distava molto in termini chilometrici ma era lontanissimo come realtà. Era un posto isolato, immerso nel bosco, perché nessuno delle dieci persone potesse usare la lingua italiana. Contatti zero col mondo, a parte il telefono quando funzionava. La posta arrivava se le strade lo consentivano. I giornali solo alla domenica sempre che le condizioni climatiche lo permettessero. Una vita da reclusi, sopratutto nel periodo invernale. E noi eravamo lì proprio in inverno.

Se non nevicava, la casa era a una mezz’ora di strada in macchina o un paio d’ore a piedi dal paese più vicino. Ma se la neve fioccava, serviva una slitta trainata dai cavalli, se questa non era troppo alta, e qualche ora di viaggio al caldo di una comoda coperta di lana grezza. Una slitta a motore era un lusso ed ecologicamente inquinante.

Dunque avevo meno di ventiquattro ore per arrivare a Vienna in orario per l’incontro. Con cuore in gola riuscì nell’impresa e mi presentai vestito in quel modo all’appuntamento. Neppure Altman indossava qualcosa all’altezza del ristorante. Un capello bianco a larga tesa, un paio di pantaloni senza piega dal colore indefinito, un giubbotto di antilope chiaro e una camicia verde sbottonata. Era accompagnato dall’assistente Susie, un’italo-americana, che traduceva a mio uso e consumo in uno strano e buffo italiano annacquato da termini americani quello che Altman diceva. Era quella che secondo informazioni di seconda mano ricevute aveva letto per prima il mio romanzo e aveva caldeggiato la sua traduzione. Avrà avuto circa dieci anni più di me e non era certamente il tipo di donna dei miei sogni.

Il regista aveva quasi cinquant’anni ma li portava bene. Alto, brizzolato con una barbetta alla Buffalo Bill ingrigita. Senza gli occhiali l’avrei scambiato per il mitico Kit Carson, il pard dell’altrettanto famoso Tex Willer.

Aveva vent’anni più di me e francamente non sapevo nemmeno che esistesse, salvo un recondito ricordo di un film che aveva sbancato Cannes qualche anno prima. Si chiamava M*A*S*H, ma frequentavo poco le sale cinematografiche e quindi era solo un vaghissimo cenno sperso tra altri cumuli di informazioni. Non avevo avuto tempo di documentarmi su di lui, perché allora non esisteva Google e nemmeno il personal computer ma solo quegli enormi scatoloni immersi nel gelo che venivamo chiamati calcolatori del tutto inadatti per estrarre delle notizie. In realtà al termine di quei sei mesi da recluso avrei raggiunto Monaco di Baviera per programmare quegli enormi armadi pieni di schede e luci. Ma non è di questo che vorrei parlarvi ma di quel pranzo memorabile.

Dunque entrammo noi tre che assomigliavamo più a spaventapasseri che eleganti ospiti del ristorante. Ci avevano riservato un tavolo d’angolo da dove si poteva dominare l’imponente sala coi soffitti decorati a stucchi, il lampadario di Murano al centro del secondo salone e le imponenti finestre arabescate da candide tende. Consegnato il montgomery all’inserviente rimasi con un maglione grigio e rosso da dove spuntava un’orribile camicia di flanella pesante a quadri rossi e blu.

Mi guardai intorno e mi vergognai come un ladro, colto con le mani nel sacco. Signore eleganti con abiti firmati accompagnati da uomini in giacca e cravatta dal taglio sartoriale. Avrei voluto sotterrarmi ma non potevo.

Nel salone si udiva un sommesso brusio, solo noi tenevamo il tono della voce alto, tanto che qualcuno cominciò a guardarci male. Il pranzo cominciò con qualche prelibatezza e un calice di vino bianco, mentre i camerieri impeccabili nelle loro divise bianche si muovevano con discrezione e in silenzio.

Mangiammo e chiacchierammo a lungo con Susie che faceva da interprete tra noi. Dopo qualche approccio maldestro col mio inglese piuttosto rudimentale riposi le velleità linguistiche e ripiegai sulla donna.

Discutemmo a lungo su alcune parti del romanzo che io avrei voluto includere ma che lui fu categorico nell’escluderle. Avevamo punti di vista differenti ma era il normale gioco delle parti. Io, come autore, cercavo di spiegare il mio punto di vista espresso con le parole della protagonista, Laura, ma lui mi disse che quella parte sarebbe stata solo un preambolo fugace. Era più interessato alla storia di Marco con Agnese, che presentava aspetti più interessanti. Ero disarmato. Il sceneggiatore era lui, io solo l’umile autore.

Ci lasciammo con una vigorosa stretta di mano, dicendomi che questo incontro era stato proficui per le idee che erano sorte e i chiarimenti ricevuti.

“Goodbye, Mr. Longo”.

Non lo sentì più, forse si era pentito dell’acquisto dei diritti. Solo qualche anno dopo scoprì che il film era stato prodotto ma era stato un flop annunciato. Stravolto l’impianto del romanzo, ambientato in una cittadina del Midwest americano con personaggi del tutto dissimili da quelli che avevo ideato, non era decollato.

A dire il vero nemmeno il romanzo che rimase nel mio cassetto non pubblicato ebbe una gran vita. Roberto venne a batter cassa qualche mese dopo ma risposi picche. Lui aveva pescato un po’ di denaro nella vendita dei diritti, mentre io non avevo visto nulla.

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Il Borgo – Capitolo 8

Che ne dite di fare un bel brindisi per l’inizio della nostra impresa?” esclamò una Laura sorridente e più rilassata.

Con cosa? Con l’acqua minerale?” replicò sornione Giacomo.

No, di certo”. E dallo zaino estrasse una bottiglia dall’etichetta gialla e strana.

Un fischio uscì dalla bocca di Marco, che aveva riconosciuto marca e contenuto.

Si tratta bene la nostra capo cordata” esclamò ammirato. “Allora avevi già previsto tutto?”

Quasi” rispose la ragazza soddisfatta. “Quasi tutto. E per l’evenienza mi sono portata dietro questa bottiglia di Veuve Clicquot per festeggiare l’avvio del progetto”.

Giacomo lesse «champagne» ma preferì fingere di non conoscere il contenuto. “E’ un prosecco?” domandò con fare ingenuo.

Eva lo guardò in tralice come per dire «Ma chi credi di prendere in giro» e strinse le labbra, lasciando parlare Laura.

Prosecco?” dichiarò schifata. “Champagne, mio caro!Champagne! E dei migliori”.

Il ragazzo finse, senza essere creduto da nessuno, di aver toppato clamorosamente. Si alzò, cercò qualche bicchiere di plastica nello zaino e li mostrò trionfante.

Vedo che ti sei reso utile” chiosò Eva, prendendone uno per lei e uno per Marco.

Un plof! appena sommesso sancì l’espulsione del tappo, mentre un po’ di liquido schiumoso scivolava allegramente sulle mani di Laura.

Prosit!” urlarono quasi all’unisono, mentre un uccello li osservava come se fosse incuriosito da quegli esseri chiassosi. In realtà aspettava che lasciassero la radura per banchettare con le numerose briciole lasciate tra i fili d’erba.

L’atmosfera si era riscaldata sia col sole settembrino ancora caldo, sia per lo champagne che avevano bevuto. Restarono ancora per un po’ di tempo a chiacchierare in allegria dimenticandosi del progetto, del borgo, di tutto.

Laura si alzò e tutta seria prese la parola.

Che ne dite di fare un ultimo sopralluogo, finché c’è luce a sufficienza. Poi torniamo in città. E ..”. Si interruppe un attimo prima di riprendere il discorso. “Avete degli impegni stasera? Potremo festeggiare in pizzeria l’avvio del nostro progetto. Pago io”.

Giacomo stava per dire «no, grazie. Sarà per la prossima volta» ma poi preferì tacere. Non aveva impegni per la sera se non quello di leggere un libro ma non voleva apparire scontroso. Lui sapeva di essere un orso in certe circostanze e percepiva che il suo umore stava virando precipitosamente verso il nero. Si impose di restare calmo e sorridente.

Eva consultò Marco con lo sguardo come per dire «che facciamo?». In effetti si sentiva stanca e restare ancora fuori anche alla sera non la solleticava nemmeno un po’ ma si rimetteva al compagno la decisione.

Marco era indeciso combattuto tra l’accettare l’invito e rigettarlo. La giornata era stata abbastanza snervante con tanti piccoli intoppi e con Laura un po’ troppo decisionista. Comprese il messaggio della compagna ma replicò con gli occhi che gli sembrava poco educato accampare scuse per ricusare l’invito.

Va bene per stasera ma non vorrei fare molto tardi. Domani ho una giornata impegnativa e vorrei essere in palla”.

E tu, Giacomo, sei della partita?” chiese Laura interrogandolo.

Se non si fa tardi, ci sono”.

La ragazza sorrise soddisfatta. “Certamente non si farà tardi. Appena a Bologna si va in pizzeria a festeggiare e fatte quattro chiacchiere su come procedere, tutti a casa a riposare”.

Detto questo, raccolte cartacee e bicchieri vuoti, perché non voleva lasciare il segno del loro passaggio, si avviò per tornare a visitare il borgo per le ultime valutazioni.

Preso sottobraccio Giacomo, gli sussurrò «tu cosa ne pensi? Riusciremo a farcela?».

Il ragazzo, preso alla sprovvista dall’improvvisa familiarità di Laura e dal contatto fisico, avvampò come un incendio di una sterpaglia secca e come al solito con la vicinanza di una donna si impappinò.

Veramente ..” cominciò. “Forse .. però come progetto .. Credo che sia ambizioso” riuscì alla fine a dire.

Eva di fianco a Marco sorrise vedendoli e pensò che quel ragazzo era o troppo timido o troppo sicuro senza vie di mezzo. Però ebbe anche il dubbio che stesse mentendo a se stesso e agli altri, per mostrarsi sotto una falsa veste. Di certo presentava un aspetto singolare degno di essere esaminato con cura, anche se non aveva la minima idea su cosa e come.

Però è una bella coppia” bisbigliò nell’orecchio del compagno, che annuì vistosamente.

Forse mi conviene prendere qualche schizzo a memoria futura” proseguì la ragazza. “Marco puoi fare qualche foto degli scorci che ti indico io? Non i interessa che sia opere d’arte. L’importante è cogliere i particolari”.

Certamente, mia signora” rispose il ragazzo facendo un inchino di riverenza. “Lei ordina, io eseguo” continuò serio e compunto.

Sei adorabile” e gli diede un bacio sonoro, amplificato dal silenzio del luogo.

La giornata si concluse in allegria, dandosi appuntamento su Facebook.

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