Un viaggio, un incubo – diciannovesima puntata

La storia di Simona entra nel vivo e si avvia verso la conclusione. Qui potete leggere le puntate precedenti.

 

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Mark rientra nelle prime ore del pomeriggio nell’appartamento accaldato e soddisfatto, perché è riuscito a piazzare una mezza dozzina di polizze vita, che gli frutteranno ricche provvigioni.

Si fa una lunga doccia, mentre mette a punto il piano per Simona.

«La devo pescare da sola. Caricata sull’auto, poi sarà un gioco da ragazzi! Non può impunemente prendersi gioco del vecchio Mark!» esclama mentre una risata roca illumina la bocca.

Si concentra sul posto ideale dove tendere l’agguato e alla fine lo trova. “Devo avere solo un pizzico di fortuna e poi sarà mia”. Un sorriso gli illumina gli occhi. Ha trovato il punto: l’aspetterà nei pressi del residence. È soddisfatto del piano.

Cambia vestito. Indossa dei vecchi jeans e una polo bianca. Si spruzza un po’ di profumo e poi si dirige con l’auto verso il residence, parcheggiando defilato ma con la visuale dell’ingresso.

Dopo un po’ la vede scendere dalla limousine con un’altra ragazza e inarca le sopracciglia. “Chi è la donna con lei?” si chiede perplesso. Questo potrebbe complicare le cose, ma forse gli agevola il piano, perché sarà più facile intercettarla.

Aspetta paziente che escano dall’Inn Patriot. Non tardano molto per vederle uscire e dirigersi verso il Bryant Park. “Ottima scelta, cara Simona. Ora so dove caricarti in macchina” si dice soddisfatto. Il piano prende forma.

Parcheggia l’auto e le segue a piedi nel parco senza farsi notare. Fischietta allegro, notando che come al solito è stracolmo di persone in cerca di refrigerio sotto gli alberi o sdraiati sul prato. Non c’è una panchina libera, tutte le postazioni sono piene di uomini e donne, che di sicuro non presteranno attenzione a una ragazza appoggiata in modo scomposto a un uomo.

Le osserva mentre si dirigono ai tavoli del Bryant Park Cafè, mentre lui si apposta non visto al limitare del prato.

Ormai è quasi buio e quando le vede spostarsi dal Café al Grill sente un buco nello stomaco.

«Sluts!» dice acido. «Voi mangiate e io qui a pancia vuota! Sluts

Mark pazienta perché sa che la preda è vicina e la vuole catturare.

«Sii paziente e avrai in premio questa donna! Sarà un divertimento assicurato. She will have that deserves it, the slut» ripete più di una volta a voce bassa, mentre reprime i morsi della fame. Per quella ci penserà più tardi.

È buio e la confusione è sovrana nel parco, dove sciamano sul prato moltissime persone. Neppure una panchina libera o un tavolino vuoto. Tutti sono alla caccia disperata di un posto e aspettano che se ne liberi uno.

Il momento si avvicina mentre le segue. Irene si attarda a osservare la giostra dei cavalli e lui colpisce con un colpo secco alla nuca Simona che crolla tra le sue braccia. La trascina verso l’auto senza che faccia un gemito.

Dick ha cupi presentimenti, mentre prosegue il lavoro che sembra non finire mai. La testa piena di pensieri gli impedisce di concentrarsi su quanto sta facendo. Alle dieci p.m. finisce e trasmette il rapporto alla direzione con un ritardo di qualche ora.

Adesso può dedicarsi alla ricerca del Mark di Miss Ferrari. Apre il fascicolo AIX, scarta le polizze piene di codicilli legali e passa a esaminare gli allegati tecnici. Uno di questi, vecchio di sette anni, porta la firma di un certo Mark Flannagan, che spara a zero sull’inefficienza delle serrature elettroniche e sulla disorganizzazione della security. Secondo il report l’assicurazione nello stipulare le polizze per coprire i rischi sulla sicurezza deve tenere conto di queste due gravi deficienze che la potrebbero esporre a probabili risarcimenti. Mark Flannagan suggerisce un contratto con premi maggiorati per coprire i rischi sulla sicurezza.

Un certo Anthony Davis in un allegato, datato tre anni dopo quello di Flannagan, consiglia il cambio delle serrature elettroniche e la riorganizzazione della security. Attraverso tabelle tecniche asserisce che nell’arco di un biennio l’investimento sarebbe riassorbito dai minori costi della polizza assicurativa. La direzione l’anno successivo ha deliberato la spesa e rinegoziato l’importo.

«Dunque è questo Mark Flannagan il Mark di Miss Ferrari!» esclama soddisfatto. «Un broker indipendente che lavorava per conto di AIX. Ecco il motivo di tanta sicurezza nei primi tentativi di entrare nel residence e poi quello notturno ben più pericoloso! Domani mi metto in contatto con l’assicurazione per conoscere l’indirizzo di questo Mark».

Dick sorride per i risultati dell’indagine e per l’intuizione avuta. Il sorriso si smorza in fretta perché la reception l’informa che Miss Ferrari è sparita nel nulla e che l’amica italiana arrivata oggi è in preda al panico.

La notizia riaccende i cupi presentimenti del primo pomeriggio, mentre si avvia alla reception per conoscere i dettagli.

 

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Cosa penso di questo libro

I migliori anni

Citazione da “I migliori anni” di Cinzia Giorgio.

Comprendeva tuttavia i sentimenti di sua cognata: essere amati era meraviglioso, ma non riuscire a ricambiare era una tragedia, che per Irene si era perpetuata nei mesi e negli anni, e che a lungo andare l’aveva logorata.

Di Cinzia Giorgio avevo letto in precedenza ‘La collezionista di libri proibiti’, ‘La piccola libreria di Venezia’ e il romanzo storico ‘Maria Maddalena’.

Niente di straordinario ma libri molto godibili. Fra i loro pregi c’era uno stile impeccabile e testi privi di errori o refusi  – evento insolito per la casa editrice Newton Compton famosa per le castronerie che lascia nei libri che pubblica.

Fiducioso ho comprato l’ultimo romanzo di Cinzia Giorgio e sono rimasto deluso non da come scrive ma dalla storia. Senza spoilerare il testo in pratica tratta di due storie con la stessa protagonista, Matilde, che al presente narra le sue angosce nel diventare nonna e scorre nel passato le sue vicende dal 1943 al 1948. Se i flashback hanno una forza espressiva che tiene avvinto il lettore, l’altra parte è di una noia senza fine, perché ripete con monotonia la sua ansia di diventare nonna.

Secondo me sarebbe stato sufficiente un paio di capitoli iniziali – massimo due – dove narra i suoi deliri esistenziale e un capitolo finale dove l’incontro con un vecchio amore la risveglia dal torpore. In mezzo senza interruzioni il lungo flashback che narra le sue vicende durante la guerra e nell’immediato dopoguerra.

Comunque io sono io, lei è l’autrice. Rimane il rammarico di una storia ben scritta a singhiozzo, interrotta qua e là da quel rimuginare e rimasticare la medesima cosa.

Quello che non ho capito se si tratta di un romanzo autobiografico che riguarda la nonna della scrittrice. Però non cambia molto il mio giudizio complessivo.

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Un viaggio, un incubo – diciottesima puntata

Eccoci all’appuntamento del venerdì con la diciottesima puntata dell’avventura di Simona. Per chi volesse leggere le puntate precedenti le trova qui.

Buona lettura.

Simona è incerta se deve raccontare l’episodio del giorno precedente oppure tacere. È un grosso dilemma che non riesce a districare. Alla fine decide di omettere il brutto episodio.

Irene vuole sapere tutto di Mark: com’è, cosa fa, quali impressioni ha ricavato senza incontrare grandi entusiasmi. Poche parole appena sussurrate escono dalla sua bocca, impedendo che il discorso si ampli e si approfondisca. Mostra scarso interesse a parlarne.

L’amica è piena di brio. Sembra aver smaltito in fretta la differenza di fuso orario, è un fiume in piena, mentre Simona nicchia, vorrebbe starsene tranquilla nella nuova suite, discorrere di questioni futili, poco impegnative.

«È presto per chiudersi qui. Il sole è ancora alto sull’orizzonte. Usciamo. Ho voglia di vedere delle novità» chiosa garrula come un merlo. «Ho letto di Holly. Non ti ricordi?»

«Holly?» ribatte Simona sgranando gli occhi. «Chi sarebbe?»

Irene sbotta in una fragorosa risata di fronte la candida ignoranza di Simona.

«Non ha mai visto il mitico George Peppard e Audrey Hepburn in ‘Breakfast at Tiffany’s’?» chiede con un sorrisino ironico, amicando con un occhio. «Non dire che ignori sia il libro che il film! Ha fatto sognare milioni di donne! Ho letto di un possibile itinerario in giro per Manhattan sulle tracce di Holly. Potemmo cominciare dalla New York Public Library, che è qui vicino, accanto al Bryant Park. Mi piacerebbe una foto sui leoni che stanno in cima alla scalinata. Quattro passi a piedi per sgranchire le gambe dopo essere stata molte ore seduta sono salutari».

Irene non smette di parlare, di estrarre nuove idee, di proporre itinerari e ristoranti come se fosse la guida, l’angelo salvatore dei turisti della grande mela.

Simona si trova in difficoltà, non sa come spiegare all’amica che Mark la sta braccando e ci ha provato più volte. Rimpiange di avere taciuto per prendere tempo. Giudica inadatto il momento per raccontare la brutta avventura con Mark. Si ripromette di farlo al rientro nella suite.

«Va bene» accondiscende rassegnata, mentre mentalmente spera che Dio gliela mandi buona. Ha cattive sensazioni e l’umore è basso.

Di passo lesto si avviano verso il Bryant Park ma rallentano perché il caldo afoso le avvolge in una nube di vapore acqueo che le costringe a riparare nel grande prato sotto gli alberi.

«È una favola!» esclama stupita Irene «E tu volevi costringermi a stare chiusa nella suite? È stracolmo di gente ed è immenso!»

Come una bambina incantata davanti alla vetrina di un negozio di giocattoli si ferma a leggere l’elenco degli spettacoli della sera. I gridolini di gioia si sprecano. Le guide di New York citano di sfuggita questo polmone verde vicino a Times Square nel cuore di Manhattan. È una mancanza grave, annotandosi mentalmente di segnalare questo nel forum di viaggi che frequenta sul web.

Si rifugiano nel Shady Side, il lato all’ombra, che presenta la più alta densità di corpi umani del globo. Apre la bocca per lo stupore. Lo spettacolo offerto dalle persone sotto il sole di luglio sedute su una singolare sedia con un piccolo tavolino incorporato per appoggiarvi sopra qualcosa e una specie d’incavo per carte o bicchieri.

Osserva ogni dettaglio: il grande giardino con le enorme begonie che colorano di rosso lo sfondo verde, i numerosi alberi che fanno da corona al prato curato in modo impeccabile.

«Sono assettata» esclama dopo avere parlato a macchinetta. «Ho letto che c’è un Café nell’edificio in fondo». E si avvia con decisione.

Simona viaggia a rimorchio dell’amica, annuisce, trotterella a fatica dietro di lei, che con tre falcate divora il prato.

È l’ora dell’aperitivo e tutti i tavoli all’aperto sono impegnati. Per Simona non è una novità il bar American Style: tutti in piedi attorno a un tavolino rotondo alto. Per Irene sì: osserva lo spettacolo, lo commenta, cerca l’approvazione dell’amica che si limita a pochi monosillabi.

Il sole sta calando dietro i grandi edifici e non inonda più il prato.

Simona è inquieta, si sente a disagio fra tutto quel vociare confuso e quel via vai tra tavolino e bancone con nuovi Martini e salatini. La testa le gira, forse è un po’ brilla, ma è lo stress accumulato che pretende il ticket. Si mostra serena, ascoltando Irene e rispondendo alle sue domande ma dentro non cessano le sensazioni negative attenuate dalla presenza dell’amica e dal fatto di essere circondata da molte persone.

A Simona si chiudono gli occhi per la stanchezza. È stremata e vorrebbe essere nella suite. La notte precedente quasi insonne e popolata da incubi terrificanti bussa nella sua testa senza fare sconti.

Irene ha fame e ritiene che sia ancora presto per rinchiudersi nel residence e passano nel locale accanto, Bryant Park Grill, per mangiare qualcosa.

Simona ordina prosciutto di Parma, melone, fichi neri, mascarpone importato e vino rosso, con un contorno di patatine fritte. Irene si fa dei ravioli al formaggio di capra conditi da qualcosa che vagamente assomiglia a un intruglio, dove si mescolano diversi ingredienti non ben identificati, e un filetto di salmone grigliato con salse varie.

«Non è male» afferma Irene con la bocca piena, mentre Simona osserva con disgusto quei piatti male assortiti.

Tra non molto Bryant Park chiude. Le due ragazze si avviano verso l’Avenue of Americas per ritornare al residence. Irene si ferma incantata al Carrusel, la giostra dei cavalli, che la fanno ritornare bambina quando moriva dalla voglia di fare un giro su quei cavalli dondolanti di cartapesta che girano in tondo.

Quando gira gli occhi non trova più la sago Carrusel ma di Simona e si inquieta. Si avvia nervosa all’uscita senza trovarla.

«Dove cazzo è andata?» dice in italiano mentre percorre di corsa le poche centinaia di yarde che la dividono dal residence.

Si ferma alla reception e chiede se Simona sia già rientrata, ottenendo una risposta negativa. Adesso in preda al terrore rifà la strada inversa sperando d’incontrarla. Incontra solo dei nottambuli semi sbronzi. Un senso di angoscia le chiude la gola perché Simona sembra essersi volatilizzata. Pare svanita nel nulla.

«Mi sono fermata un breve istante alla giostra dei cavalli e lei, puff! Si è smaterializzata» esclama con voce angosciata senza calmare l’intimo subbuglio.

Non le resta che tornare al residence per denunciare la sua scomparsa.

Riflette che non riuscirà a dormire, mentre la stanchezza cala su di lei.

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Parliamo di …

Di norma no pubblico qualcosa relativo all’attualità ma questa volte faccio un’eccezione.

WHO Officially Names Novel Coronavirus 'Covid-19', No More ...

Parliamo di … è l’argomento del giorno e ci credo 😀 !

Però non voglio parlare di come difenderci, cosa fare, chi è l’untore. Tutti argomenti che lascio al chiacchiericcio di esperti o presunti tali, di guru che scoprono l’acqua calda.

Preferisco soffermarmi su alcune considerazioni e proporre qualche riflessione.

Innanzitutto parliamo di Cina, immenso paese popolato da 1 miliardo e mezzo di persone e grande quanto l’Europa.

Se leggiamo i dati relativi al coronavirus c’è da rimanere strabiliati. Poco più di 80.000 persone hanno contratto il virus. Questo numero rapportato alla popolazione totale è zero, zero zero… Beh! Diciamo che è insignificante. Se consideriamo la città di Wuhan, paesone di quasi sette milioni di persone non è che il rapporto sia molto significativo. Facciamo anche la tara per difetto la considerazione non cambia. Come sono riusciti in questo miracolo i cinesi? Molto semplice hanno messo in quarantena tutta la provincia di Hubei e in particolare il suo capoluogo, Wuhan. Nessuno poteva entrare o uscire. In questo modo hanno evitato che la Cina diventasse un immenso lazzaretto.

Se analizziamo i nostri numeri, c’è da rimanere sbigottiti. Un numero infinitamente minore di popolazione rischia di mettere in ginocchio tutta l’Italia. Evidentemente qualcosa non ha funzionato nel contenere l’epidemia. Vuol dire che l’area a rischio non è stata sigillata a dovere, presumo, o in modo tardivo. Poi qualcuno suggerisce che il virus circolava da tempo. Può darsi ma credo cambi poco. Non siamo stati colti di sorpresa visto che in Cina c’era da oltre un mese. Quindi dovevamo sapere come agire per evitare la sua diffusione.

Infine riflettiamo sulle regole per contenere la diffusione del virus. Il famoso decalogo è un insieme di punti che tutti, indipendentemente dal momento, dovrebbero attuare. Lo dice il buon senso e una corretta pratica dell’igiene personale.

Le nuove regole sono inefficaci perché anziché consigliare le persone a restarsene per qualche settimana a casa si consente di visitare mostre – è ridicolo il discorso del contingentamento degli ingressi -, di fare viaggi in Italia e all’estero, dove siamo presi per appestati. A proposito di entrate contingentate o di distanza minima di un metro, chi controlla? Devo girare col metro e prendere a pedate il mio prossimo che si avvicina a novanta centimetri? Cerchiamo di essere seri.

Visto che i morti sono tutti, o quasi, over 65 anni, li si vuole obbligare a stare tappati in casa, come se questa fosse una fortezza dove il virus non arriva. Si dimentica che il 25% della popolazione supera questa soglia e che molti vivono da soli oppure non dispongono di una stanza e bagno personale. Ergo si dovrebbe attivare un servizio di assistenza che non esiste o sistemarli in strutture protette inesistenti. Per contro tutti i giovani possono infettarsi come vogliono. Tanto loro sono forti e robusti. Hai la febbre? Resta a casa! Tanto i tuoi familiari sono vaccinati!

E qui mi fermo.

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un viaggio, un incubo – diciassettesima puntata.

E così siamo arrivati alla diciassette. La storia ha un momento di relax. Arriva Irene. Per le altre puntate le trovate sempre qui.


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Simona terminato il pranzo si accinge a raggiungere il JFK Airport. Potrebbe prendere il bus o la sotterranea che con un costo modesto le permettono di arrivare in orario, ma ricorda le avvertenze di Dick. «Evita di prendere metropolitana o autobus, se puoi, usa il taxi, più costoso ma sicuro».

All’uscita da ESPN vede un Yellow Cab e lo ferma: «JFK Airport. Non ho fretta».

Nell’area degli arrivi aspetta di vedere sbucare il viso sorridente dell’amica. È in anticipo ma pazienta vedendo i viaggiatori di altri voli.

Irene è l’amica del cuore, che conosce da una vita. Sono cresciute in pratica in simbiosi: dove c’era una, c’era anche l’altra.

Lei supera Simona in altezza di una buona spanna. Col suo metro e ottanta è decisamente alta per essere una donna. Ha capelli biondi, rigorosamente artificiali, che lasciano intravvedere la crescita naturale, castano scuri. La stranezza sta nel colore degli occhi: un grigio azzurro perfettamente allineato con biondo dei capelli, invece del nocciola che accompagna di solito le castano scure. Simona è rimasta sempre incantata da quegli occhi e dalle lunghe ciglia che avrebbe voluto avere anche lei. Si deve accontentare di capelli vagamente rossi e occhi grigio verdi.

Arrivata a quarant’anni il corpo di Irene si è appesantito. Questo handicap la assilla perché fatica ad attirare qualcuno. È single come Simona, ma non demorde nella ricerca del grande amore, che sembra sfuggirle dalle mani ogni volta che crede di averlo trovato.

Irene avrebbe voluto fare il viaggio con lei, ma Simona è stata irremovibile: «Vado da sola». Così a malincuore ha rinunciato in un primo tempo, poi ha deciso di partire lo stesso a costo di rompere l’amicizia con Simona.

Atterra dopo un viaggio di undici ore e non vede l’ora di riabbracciarla. Percorso il lungo tunnel del terminal One intravvede dalle vetrate l’amica che la sta aspettando. Vorrebbe correre e stringerla. Però ha due incombenze da espletare. Passare al vaglio dell’addetto alla immigrazione, US Public Health, Immigration and Naturalization, con la minuziosa verifica di passaporto e documenti per l’ingresso negli States e ritirare il bagaglio. L’attesa alla dogana sembra interminabile, snervante, ma deve avere pazienza, perché è quello che ha letto sulle varie guide sugli arrivi negli USA: “Devi pazientare. Ci sono sempre code”.

Alla fine l’abbraccio liberatorio e i baci calorosi con Simona diventano realtà.

«Prendiamo una limousine con autista? Mi hanno detto che è un’esperienza scioccante!» chiede con l’entusiasmo di una ragazzina.

«Ma è carissima! Costa una follia! E poi siamo solo in due!» risponde imbarazzata Simona al pensiero dell’esborso per pagarla.

«Non ti preoccupare. Pago io! Poi… mi hanno detto che si trovano con facilità altri coi quali condividere la spesa».

Simona la guarda come se fosse spuntata da un mondo alieno: al solo pensiero di dividere l’auto con altri cinque o sei sconosciuti le mette ansia. Il ricordo di Mark è troppo fresco per rischiare.

«Va bene la limousine, ma niente estranei. Solo noi due!» afferma, dettando le condizioni per il viaggio all’interno di auto che sembra un transatlantico.

Per nulla convinta Irene acconsente alle limitazioni poste, anche se rimarca che ci sarebbero state altre tre ragazze pronte a salire con loro.

«No. Non desidero estranei!» ribadisce Simona con fermezza. «Uomini o donne non ha importanza. Sono sempre persone sconosciute».

La Cadillac Escalade è veramente enorme per ospitare solo le due ragazze, che parlano fitto degli ultimi avvenimenti durante il tragitto verso il residence.

Dick le osserva dalla finestra dell’ufficio quando scendono dal SUV e fanno il loro ingresso.

«Chi è quella ragazza che accompagna Miss Ferrari? Un nuovo arrivo? Un’altra sciocca alla ricerca di emozioni forti?» esclama scuotendo la testa.

Adesso sono due le donne da proteggere, mentre gli torna in mente la ricerca del mattino interrotta che deve essere ripresa. “Stasera con calma completo l’esame della documentazione”.

E torna a immergersi nella pratica che ha assorbito le sue forze e che deve completare senza ritardi prima delle sette.

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Ciao mamma, ciao papà! Sono tornato – seconda parte

Elena delle volpi  ha detto che la storia che potete leggere qui, non nha finale e mi ha chiesto di completarla. In effetti era mia intenzione di lasciare il finale aperto così che ognuno di voi poteva completarlo come meglio credeva.

Alla fine ho ceduto e presento la seconda parte ovvero come penso che sia andata a finire la storia.

Buona lettura.

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Fumetto di Andrea Pazienza

 

A Venusia di solito l’ingresso è aperto o socchiuso. Nessuno ha intenzione di andare a rubare in casa d’altri. Così Bruno può mettere la testa dentro senza suonare.

Amelia sbianca, mentre Dario sta per sbottare. “Che fare?” si domanda la donna, che si siede sulla sedia in cucina. È in ambasce. Non sa cosa fare. Guarda Dario sperando di trovare la giusta ispirazione per rispondere a Bruno che continua a urlare: «Ciao mamma, ciao papà! Sono tornato e per sempre».

Il figlio è nell’ingresso e si muove cauto. Non capisce perché i genitori non rispondano. Eppure li ha intravvisti attraverso i vetri della cucina.

«Ciao mamma, ciao papà! Sono tornato e per sempre» ripete come un disco rotto, avanzando di qualche passo verso la cucina.

L’ingresso è separato dalla cucina da un corridoio che termina con la porta sull’orto. Tutte le stanze della casa ruotano attorno a questo. Sulla destra c’è sala da pranzo e salotto. Sulla sinistra cucina, un servizio e le scale che portano alla zona notte.

Amelia si alza. Sa che deve affrontare Bruno prima che Dario lo investa come un uragano. Ne hanno parlato giusto ieri sera, mentre in salotto lei sferruzzava in modo svogliato e lui leggeva un libro.

«Che facciamo se Bruno si presenta alla porta?» ha chiesto Amelia alzando gli occhi verso il marito.

Dario ha emesso un ruggito prima di rispondere. «Lo prendo a calci nel sedere finché non torna da dove è venuto».

Amelia ha sospirato, pensando che il marito ha ragione. Quel figlio, finché è rimasto a Venusia, ha dato solo grattacapi. Fannullone, indolente e arrogante erano gli aggettivi che le sono tornati in mente. E forse non bastano per descrivere la loro esasperazione.

Però è sempre figlio loro. Sa in anticipo che a parte i buoni propositi sbandierati nella lettera sarà difficile che cambi personalità Era così già all’età di quindici anni. Adesso che ne ha dieci in più sarà improbabile che possa diventare quello che ha appena urlato.

Amelia esce dalla cucina seguita da Dario che mormora parole di fuoco da “l’ammazzo” a “lo prendo a calci nel culo”. Si volta, mentre ascolta i passi cauti di Bruno nel corridoio, mette un dito sulle labbra del marito. «Sss» fa per mettere fine a quel turpiloquio.

«Bruno perché sei tornato?»

Il ragazzo posa per terra la sacca che tiene sulla spalla. Strabuzza gli occhi perché la domanda non gli sembra pertinente. “Perché sono tornato? Mi pare evidente. Rivoglio il mio posto in questa casa”. Però resta in silenzio. La domanda l’ha mandato in cortocircuito. Balbetta qualcosa, mentre Amelia trattiene Dario.

«Lascialo rispondere» sussurra in un orecchio, abbracciandolo.

Bruno si ferma incerto se proseguire o tornare fuori. «Sono tornato perché sono pentito» bela in un sussurro, che le orecchie di Amelia appena percepiscono.

Il naso è ancora più affilato sull’ovale del viso bianco e smagrito con gli occhi infossati. I capelli sembrano un cespuglio di more tanto sono aggrovigliati e sporchi. I vestiti cascano addosso come sacchi troppo ampi per quello che devono coprire, sempre che si possano chiamare così. Sono talmente luridi e cenciosi che non sarebbero adatti nemmeno per strofinare per terra. Nei piedi porta dei sandali sformati che non assomigliano per nulla agli originali.

È talmente messo male che se fosse posto tra i filari della vigna paterna farebbe scappare tutti i predatori del cielo e della terra per lo spavento.

Bruno ha ai suoi piedi per terra la sacca di juta che ha tenuto sulla spalla destra e con gli occhi implora perdono.

Amelia lo guarda. Le fa pena vederlo ridotto in quello stato. Di slancio lo abbraccia per dargli il ben tornato, sapendo perfettamente che quel figlio inquieto andrà via di nuovo dopo averli fatti dannare con le sue intemperanze.

Dario osserva muto e gira i tacchi fuggendo nel salotto.

 

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Un viaggio, un incubo – sedicesima puntata

Pazientate e leggete la nuova puntata. Per chi ha perso le precedenti le può trovare qui.

Buona lettura.

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Mark rientra nel suo appartamento e si getta vestito sul letto fantasticando con quali sevizie vorrà sottoporre a Simona, quando sarà sua prigioniera. Sono sogni confusi e incerti che durano fino al risveglio del mattino.

«Slut!» è il primo commento quando riapre gli occhi.

«Slut!» ripete più volte, mettendosi in posizione eretta. «Ci vorrebbe una canna, ma non fumo per fortuna! Il residence è off. Dovrò trovare un’altra soluzione e sarà definitiva».

Si sente sporco e accaldato, ma ha bisogno di qualcosa di forte prima. Si prepara un caffè per riprendere vigore.

La giornata è piena d’impegni già scadenzati e la pratica Simona viene accantonata.

«Devo lavorare se voglio vivere» chiosa sorseggiando rumorosamente il caffè.

Una doccia veloce elimina umori e sudore che si sono incrostati sulla pelle tra il giorno precedente e la notte agitata. Indossa il vestito buono per fare colpo sui potenziali acquirenti delle polizze vita che sta piazzando con discreto successo.

È un bravo broker e molte assicurazioni gli offrono opportunità di lavoro, perché è convincente nel proporre le polizze, anche le più difficili da piazzare.

«Simona, aspettami. Tra non molto arrivo» afferma allegro, chiudendo la porta alle spalle.

Dick è inquieto. L’episodio notturno gli ha messo agitazione.

“Non è la prima volta che capita. Però stavolta ho sensazioni cattive. Quella giovane italiana” fa una breve pausa respirando rumorosamente. “Sarà giovane come sembra? Quella donna italiana ha un discreto fascino e sembra una calamita nell’attirare guai. Pare ingenua, ma secondo me non lo è. Poi quale malsana idea ha avuto di trasformare una conoscenza virtuale in una reale? Per di più si sciroppa un bel viaggetto per conoscere un tizio ambiguo. Il racconto è monco, anche se in apparenza sembra ben coordinato. Quale mistero inconfessabile mi ha nascosto? Ci sarà tempo e modo per conoscerlo. Ora concentriamoci su questo misterioso Mark”.

Secondo le sue ipotesi l’uomo deve essere qualcuno che conosce a fondo il mondo dei residence Inn Patriot, perché si è comportato con troppa sicurezza in ogni frangente.

Conosceva i punti deboli che ha cercato di sfruttare a suo vantaggio e in particolare sulle procedure operative della security. Ignorava il cambio delle serrature elettroniche e le nuove e più severe disposizioni sui controlli di chi entra nelle strutture. Queste lo hanno fregato. Essendo avvenute negli ultimi due anni, la ricerca si deve concentrare su fornitori o consulenti della security prima delle modifiche sulla sicurezza.

Dick deve farsi autorizzare per procedere nelle indagini e accedere alla documentazione.

Forte dell’autorizzazione ottenuta con qualche difficoltà, inizia a scorrere i documenti, che non sono moltissimi ma che devono essere esaminati con attenzione.

Esclude i fornitori, che non trattano nello specifico le due tematiche. Accantona in modo provvisorio altri che si interfacciano o con le serrature elettroniche o con la riorganizzazione della security. “Li riprendo in un secondo momento, se non trovo nulla d’interessante”.

Rimangono in evidenza una decina di documenti e una ventina di persone. “Dovrei farcela in poco tempo a esaminarli tutti”.

Scarta un paio di consulenti, perché nessuno di loro si chiama Mark, prima di passare al malloppo più consistente: le polizze assicurative e relativi allegati tecnici.

Sta per aprire la documentazione AIX, quando una chiamata lo distoglie e lo porta lontano dall’ufficio.

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Un reblog da leggere

Seguo da tempo questa blogger, leggendo i suoi post sempre misurati ed equilibrati. Parla di sanità e di ospedali con un tono che ho sempre apprezzato. Mai un urlo ma sempre un discorso dai toni  bassi ma dei contenuti apprezzabili.

Questa volta parla dell’emergenza attuale che monopolizza tutto dai giornali alle tv, dalle persone ai social.

Non è mio costume parlare di attualità, al massimo nelle risposte a qualche post. Però credo che questo sia da leggere con attenzione e rifletterci seriamente.

Chi volesse leggerlo lo può fare qui.

Buona lettura.

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Un viaggio, un incubo – quindicesima puntata

L’avventura di Simona si arricchisce di una nuova puntata. Per le altre basta cliccare qui.

Foto di Lukas Kloeppel da Pexels

Buona lettura

Tutto è finito. Mark non è riuscito nel suo intento, quel giovane l’ha rassicurata che per stanotte può dormire sonni tranquilli. Simona, invece di coricarsi nel letto, si siede sul divano mentre piange in silenzio.

Rimane sdraiata fino al mattino tra brevi sonni e risvegli bruschi con la mente invasa da ricordi amari e incubi angoscianti.

Si sente indolenzita per la scomoda posizione con gli occhi impastati di lacrime secche.

Due sono i pensieri che l’angosciano: l’incubo notturno interrotto dal provvidenziale squillo del telefono e il tentativo di Mark di forzare l’apertura della porta.

Si domanda perché ha sognato un appartamento sconosciuto con una precisa e meticolosa nitidezza. I ricordi sono netti e non cancellabili.

«Si trova in America, perché quel tipo di casa esiste solo qui» mormora, mentre sente inumidire le ciglia. «Eppure non ho frequentato nessun appartamento americano, a parte il residence, ma non è questo. È forse un ricordo di un film?»

Scuote la testa, mentre le lacrime bagnano la maglietta. Tuttavia quell’appartamento le è apparso familiare, come se fosse di casa lì. Però un altro pensiero si forma nella sua mente sul legame tra il viaggio americano, affrontato con grande entusiasmo e trasformatosi in un incubo, e quelle quattro persone. Non esiste ma per un motivo o per un altro quei tre uomini e la donna sono associati a ricordi, che hanno segnato la sua vita.

Simona distende le gambe sul divano, mentre la giornata si preannuncia afosa. Una leggera foschia aleggia tra le guglie dei grattacieli.

Analizza il sogno perché ricorda la sensazione terribile provata, quando ha tentato di chiedere aiuto e la voce non usciva dalla gola. È entrata nel panico per quella afasia. Sentiva le loro voci, ma non la sua. “È come se fossi rinchiusa in una bara senza riuscire a comunicare con l’esterno” pensa mentre un brivido percorre il suo corpo accaldato.

Tuttavia quello, che la spaventa, è stato il senso d’impotenza percepito: avvertiva i loro movimenti, senza che lei potesse muoversi o difendersi. Comprende cosa possa provare chi si trova in una condizione d’incapacità nell’uso della parola o delle mani. È una sensazione terribile.

“Come sono finita in quell’appartamento con Roberto, Enrico, Anna e Mark?” si chiede una volta di più. Però quello che la tiene in ansia è stato quando Mark ha tentato di entrare. Lei è rimasta paralizzata dalla paura. “Paura?” si domanda, stringendosi con le braccia. “No, peggio. Incapacità di reagire di fronte al pericolo”.

Quella manovra non avrebbe avuto successo con un atteggiamento mentale più aggressivo. Quello che la sta preoccupando è stata la mancanza di una qualsiasi reazione nervosa e l’apatia nel chiedere aiuto. In altre situazioni analoghe riconosce che le è già capitato. Dunque percepisce i pericoli, ma non è capace di attuare la strategia difensiva che la sua mente ha elaborato.

“Sì, io ero dietro la porta col telefono in mano, ma mi sentivo paralizzata, come nel sogno. Se fosse entrato, lui avrebbe fatto di me quello che voleva senza nessuna reazione da parte mia. Sono questi passaggi a vuoto che mi terrorizzano, perché capisco che non riesco a trovare la giusta scarica di adrenalina per difendermi. E se domani ricapitasse come mi comporterei? È questo che mi rende fragile”.

La notte insonne, lo stress degli eventi del giorno precedente la fanno sentire debole con la sola voglia di piangere.

“Oggi arriva Irene e non voglio farmi trovare ridotta a uno straccio. Non ho nessuna voglia di spiegare il motivo per il quale sono stanca e terrorizzata”.

Fa una doccia corroborante. Rimane a lungo sotto il getto che massaggia la pelle e la testa, percependo che la stanchezza sta scivolando via nel tubo di scarico insieme all’acqua insaponata. Avvolta in un morbido accappatoio e con un bel turbante azzurro a racchiudere i capelli bagnati, si concede una ricca colazione che consuma in camera.

Mette un Cd dei Coldplay in sottofondo, accende la TV- e inizia il breakfast sostanzioso come un pranzo. Seduta al piccolo tavolo di mogano in mutandine e reggiseno coi capelli umidi mangia bacon, uova al tegamino, salciccia, sandwich, verdure di ogni tipo. Il tutto condito con succo d’arancia e l’immancabile pancake ricoperto di sciroppo d’acero.

Mangia con lentezza per assaporare il gusto degli alimenti, quando sente suonare il campanello. Infila una polo bianca e un paio di jeans stinti. “Di certo non posso presentarmi seminuda” pensa, aprendo con cautela una fessura nella porta.

È Dick che le annuncia il cambio di suite.

«Stanotte non mi sono presentato» afferma allungando la mano. «Sono Dick, il responsabile della sicurezza del residence. Ti informo che la direzione è dispiaciuta per l’inconveniente notturno. Per evitare che possa ripetersi ha deciso, su mio suggerimento, di trasferirti in un’altra suite al terzo piano, dove sia più facile controllare il corridoio d’accesso. Riteniamo che quella persona ritenterà d’introdursi. Però stimiamo strano il comportamento. Per caso è un tuo conoscente?»

Questa domanda la impietrisce perché non sa come rispondere.

“Devo dire la verità oppure confezionare una bella bugia?” si domanda incerta Simona.

Alla fine decide per raccontare la verità, perché in effetti Mark le ha messo in corpo una bella fifa.

«So solo che si chiama Mark. Il cognome e dove abita lo ignoro. Ha una Buick nera. L’ho conosciuto su Twitter e poi abbiamo conversato a lungo con Messenger e Skype. Visto che avevo due settimane di ferie e non sono mai venuta a New York ho pensato di unire alla vacanza anche la sua conoscenza. Ieri mattina si siamo incontrati per la prima volta in Central Park. Però la prima impressione non è stata favorevole tanto che avevo deciso di non incontrarlo più. Come sia risalito dove alloggio non lo so, perché non glielo avevo comunicato».

«Gli hai telefonato dal residence?» domanda Dick.

«Si».

«Dai tabulati delle chiamate alla sua utenza ha ricavato l’indirizzo. Ora è un po’ più chiaro. Rimane come abbia puntato alla tua suite. Per caso ti ha mandato una lettera?»

«Sì».

«È uno stratagemma semplice ma sempre efficace. Basta osservare in quale casella viene deposta la busta e il numero della suite è indovinato» afferma Dick sorridente.

Si rallegra per l’opportuna decisione di cambiare l’appartamento e lasciare vuoto il 510, che farà sorvegliare discretamente senza insospettire nessuno.

Diversi tasselli sono stati incastrati nei posti giusti, ma percepisce che qualcosa è stato taciuto. “Dettagli o punti importanti?” si chiede. Alla fine opta che siano particolari secondari dal tono del racconto e ininfluenti per il programma di protezione.

«Due raccomandazioni» suggerisce Dick col volto serio. «Non frequentare posti isolati o poco frequentati, specialmente di notte. Per gli spostamenti usa in prevalenza il taxi. È più sicuro. Fai attenzione quando ti muovi per New York. Quel tipo è scaltro e pericoloso. Senza altre indicazioni non è possibile attivare la polizia. Se prepari le tue cose, tra mezz’ora passa un inserviente per il trasloco. Buona giornata» fa Dick congedandosi.

Lei riflette su quanto le ha riferito. Dunque è in pericolo e deve muoversi con cautela. Per fortuna è in arrivo Irene. Questo la rasserena un poco.

In fretta raccoglie il suo bagaglio, controlla di non avere dimenticato nulla e si trasferisce nella nuova suite al terzo piano.

Il trasloco l’ha resa di buon umore mentre si avvia all’ESPN per il pranzo. Il locale dista solo meno di mezzo miglio dal residence.

Si guarda intorno, ma non scorge il viso di Mark.

Forse ha capito d’avere perso la guerra e l’ha lasciata perdere.

 

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