Mal di pietre

Mal di pietre di Milena Agus

 Alcune sere stavo discettando dottamente sull’italiano e le sue regole con una carissima amica sarda, perché ormai quasi più nessuno scrive in modo sintatticamente grammaticalmente corretto racconti e romanzi.
Quando mi dice che una scrittrice sarda, Milena Agus, ha scritto un racconto ‘Mal di pietre’ in modo quasi impeccabile dal punto di vista linguistico e mi invitava a leggerlo.
Spinto dalla curiosità ho fatto un passaggioin libreria per acquistarlo, con una certa difficoltà non essendo più una novità.
Sabato pomeriggio e sera non avevndo niente di interessante da fare, li ho dedicati alla sua lettura. Come era ovvio la lettura del ‘bugiardino’ di quarta pagina di copertina non raccontava il vero e faceva balenare quali scenari piccanti, che in realtà non ci sono per niente.
La domenica mattina ho letto che il libro era arrivato secondo al Premio Campiello riportando le interviste con la scrittrice. Diceva che “scriveva per insoddisfazione” e “ha descritto una perdente, che non sapeva di essere felice”.
Sembrano più affermazioni ad uso mediatico che corrispondenti al suo pensiero.
Si scrive per due motivi
1 – si scrive per mestiere e guadagnarsi da vivere (come ha detto la vincitrice);
2 – si scrive perché la mente elabora quello che i cinque sensi trasmettono.
Vie intermedie per me non esistono. Nel primo caso nascono romanzi e racconti ineccepibili dal punto di vista strutturale, ma aridi e privi di sentimenti e commercialmente ineccepibili. Nel secondo la difficoltà consiste nel esprimere le sensazioni nel modo corretto in maniera tale che possano essere compresi; però è un prodotto difficle da piazzare.
Ergo nessuno scrive per insoddisfazione. Così come una perdente (o un perdente) non potrà mai essere felice, sarebbe l’equivalente del dire ‘mi do le martellate sulle mani e dico che è divertente’.
Chiusa questa lunga parentesi, torniamo al libro. Ci sono due universi uno femminile, perdente e negativo, ed uno maschile, un po’indecifrabile, ma che sembra il vero protagonista del racconto.
La voce narrante del libro è la nipote della nonna paterna, che dovrebbe essere la reale protagonista. Accanto a lei ci sono la bisnonna paterna, la nonna materna, la madre e le prozie.
La madre sembra vivere in un mondo tutto suo fatto di sogni e al servizio del marito, musicista di fama. L’unico sussulto è quando va alla ricerca del padre mai conosciuto.
La bisnonna è una donna bisbetica e gretta come lo erano un tempo nelle realtà rurali. Non desta nessuna compassione.
Le prozie sono caricature di donne specialmente nell’episodio dell’incontro con la futura moglie del nipote.
La nonna materna, attorno cui ruota l’intero libro, è una figura scialba che si illumina solo quando fa “le prestazioni” al marito e al Reduce. E’ la classica perdente, che accetta il suo ruolo senza protestare, ma che sia felice senza saperlo, quello mai. E’ un vero peccato, perché la scrittrice avrebbe potuto scavare maggiormente la psicologia.
La nonna materna desta più ammirazione perché ragazza madre in un periodo e in un contesto sociale troppo antiquato ha la dignità di andarsene dal paese e vivere una esistenza modesta di lavoro a fronte alta.
I veri protagonisti sono il nonno paterno e il Reduce, che potrebbe essere lui il vero nonno materno; sempre presnti anche quando non sono citati. Entrambi hanno grande dignità e signorilità in ogni momento della loro esistenza. In particolare il nonno paterno sa e non dice nulla, supera gli ostacoli e le difficoltà senza darsi mai per vinto. E’ riconoscente verso il suo prossimo. Una figura sicuramente positiva.
Il Reduce, che dovrebbe avere reso felice la nonna durante il breve amore alle terme, aleggia sempre a mezz’aria come un fantasma. La lettera che è trovata dalla voce narrante è un momento molte felice, che suggella il libro.
In conclusione è un libro fresco e bello, che mostra uno spaccato del mondo sardo nel bene e nel male, dall’impianto non tradizionale,. Merita di essere letto (costa solo 12€) e può stare tranquillamente nella biblioteca (è piccolo e sottile e non occupa molto spazio).

14 risposte a “Mal di pietre”

  1. si scrive anche per necessità (nel senso che non se ne può fare a meno) e quel che si produce sono le parole che ci abitano dentro con il loro carico di passione e dolore.

  2. Non sono molto d’accordo…credo che si scriva anche per insoddisfazione, di sicuro perchè manca qualcosa, come a tutti del resto..solo che chi scrive ne è consapevole e cerca di riempire quel vuoto davanti a un computer, isolandosi e allo stesso tempo desiderando comunicare col mondo intero

  3. Cara Paola, se scrivi l’insoddisfazione esprimi qualcosa, ma scrivere “per insoddisfazione” non esprimi niente, ma semplicemente riempi un vuoto. E’ come scrivere per mestiere.

  4. Io ho un vero cruccio per quanto riguarda la grammatica e l’uso giusto delle parole. Vorrei o mi piacerebbe scrivere in modo ineccepibile per una questione di rispetto prorpio nei riguardi della nostra lingua…

  5. Notedime
    il tuo è un cruccio comune anche a me, per quanto mi sforzi di scrivere in un italiano decente.
    Concentrandosi e sforzandosi ci puoi riuscire, come sei riuscita in tante altre attività

  6. Caro Orso, so che non ami i commenti lunghi, ma temo che in questo caso non potrò essere sintetica.

    Inizio con il linguaggio utilizzato da Milena Agus: dal punto di vista sintattico le strutture sono lineari, molto semplici, senza periodi complessi, come invece spesso capita in autori che lasciano fluire i pensieri secondo il flusso di coscienza; anche dal punto di vista grammaticale il linguaggio è corretto; pure il lessico è semplice (forse troppo semplice!), non ci sono termini ricercati, ma parole d’uso molto comune. Il tutto conferisce al linguaggio utilizzato dalla Agus l’aspetto di un modo di parlare da bambina (e sotto questo profilo ha già ricevuto qualche critica). Però io credo che non stoni né con la vicenda narrata, né con il modo semplice di esprimersi dei Sardi quando parlano l’Italiano (non a caso, quando vogliono essere brevi e incisivi, loro intersecano il discorso italiano con frasette e tipiche espressioni colorite in lingua sarda). In Mal di pietre, “su mali de is perdas”, perdas sono le pietre dei calcoli renali, termine concreto che aderisce perfettamente al reale dolore che provocano queste pietruzze. i Sardi sono molto concreti e non usano giri di parole per descrivere oggetti appartenenti alla loro diretta esperienza. Più avanti, quando entrerà in gioco il Reduce, “su mali de is perdas” assumerà metaforicamente il senso di “mal d’amore” .
    Ed ora vengo alla questione dell’analisi psicologica. Tu stesso hai fatto notare che non c’è una profonda analisi psicologica: infatti c’è, piuttosto, la descrizione della reazione di un disagio, tramite una rappresentazione concreta: penso alla nonna paterna che dopo aver fornito al marito le prestazioni delle Case Chiuse (così finalmente in casa si poteva risparmiare denaro!) dorme sul bordo del lettone e penso a lui, che fa altrettanto. L’uno e l’altra, terminato l’atto sessuale, per lui solo esigenza fisiologica e per lei atto di riconoscenza per il quale non prova neppure piacere, dormono ognuno sul bordo del letto come due estranei, rischiando anche di cadere. Ma, quando la nonna immagina nelle sue fantasie di fare l’amore con il Reduce, il piacere lo prova eccome! Ed anche in questo caso la Agus descrive la reazione di un benessere attraverso la rappresentazione di atti fisici e concreti, ancorché questi scaturiscano dall’immaginazione del personaggio.
    Nel corso dello sviluppo della storia, però, molte situazioni cambiano e portano la nonna alla riflessione sull’atteggiamento che lei ha con il proprio marito e alla fine trarrà piacere dal “gioco della Casa Chiusa”.
    La nonna, personaggio “perdente”, sembra trovare la sua rivincita nell’immaginazione e scrive. Con la scrittura vede realizzato quanto vi è nell’immaginazione, attingendo direttamente a un desiderio dell’anima (intesa come inconscio collettivo della psiche, l’Anima, l’eros, contrapposta all’Animus, la razionalità), non ai cinque sensi. Nella donna sembra cioè prevalere quella parte della psiche che solitamente prevale nell’uomo, mentre l’Animus, l’inconscio razionale, appare raramente. Certo, a noi può sembrare matta…
    Vorrei osservare che probabilmente più che mirare ad un’approfondita analisi psicologica, il libro vuole trasmettere un messaggio: l’immaginazione provoca un’estraneazione da una situazione di disagio e genera soddisfazione (seppur momentanea). L’atto della scrittura, in questo caso, rende (facendolo apparire quasi concreto) l’oggetto dell’immaginazione, pur non restituendo una situazione reale.
    Riporto solo una piccola parte finale della lettera del Reduce:
    “Ma torniamo al suo racconto. Non smetta di immaginare. Non è matta. Mai più creda a chi le dice questa cosa ingiusta e malvagia. Scriva”.
    Personalmente, credo che si possa trovare una soddisfazione (momentanea) nello scrivere anche quando l’immaginazione non interviene a migliorare la realtà di uno stato di disagio, perché il fatto stesso di scrivere sposta la nostra attenzione sull’atto artistico in sé (una specie di esorcizzazione del disagio, quasi una contemplazione del disagio con mente distaccata).
    Un saluto,
    Rosalba

  7. Cara Rosalba,
    aspettavo il tuo intervento e immaginavo che sarebbe stato lungo.
    Concordo con te che è un inno alla immaginazione, al sognare. Quando sabato sera l’ho terminato pensavo di dare un taglio diverso, ma leggendo le interviste dopo il campiello ho cambiato tono. Perché Agus non può fare dichiarazioni del genere solo perché è in TV.
    I perdenti non possono essere felici, ma chi usa l’immaginazione si.
    Il linguaggio è semplice certo, ma ho scritto che il libro è fresco e bello e rappresenta uno spaccato del mondo sardo, come hai detto anche tu. Lo scrivere semplice non equivale allo scrivere povero.
    Ti ringrazio e ti saluto.

  8. “Lo scrivere semplice non equivale allo scrivere povero”….vedi John Fante, John Kennedy Toole, Peter Cameron, William Saroyan…e sicuramente molti altri che ora non mi vengono in mente.

  9. Io non mi chiedo mai perchè scrivo.. per me è un semplice elaborare me stessa…un pò come faceva Hermann Hesse o come faceva Pirandello con esempi altrui.
    Ma loro scrivevano in un tempo in cui la gente era chiusa in se stessa, aprirsi non era mai accettabile, e chi lo faceva anche solo scrivendo attirava indubbiamente la curiosità maggior parte delle persone.
    Oggi troppi parlano di sè e non interessa più a nessuno.. che un libro possa o meno insegnare qualcosa.
    Baci, Misia

  10. Hai ragione Misia. Scrivere è parlare di sé dentro di sé per far conoscere le proprie emozioni. Poi quello che uno scrive può piacere oppure no, insegnare qualcosa oppure no, ma resta la propria soddisfazione di avere elaborato il proprio intimo.

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