Il racconto prosegue…

La non pubblicazione dei nuovi capitoli è puramente tecnica. Il mio PC ha preso l’influenza ed è sotto cura di antibiotici.

Le pubblicazioni, spero, riprenderenno presto!

Il giorno dopo la tempesta

Rientrata a casa Micaela trovò la casa vuota e non dovette dare spiegazioni penose ai propri genitori. Si tolse tutto, tanto non c’era un indumento asciutto o in buono stato, fece una doccia calda per togliersi da dosso tutto l’umido accumulato in precedenza prima di infilarsi tremante nel letto.
Il telefono squillò a lungo e ripetutamente: era il numero di Matteo. Lo spense, perché non voleva sentire quel suono che le trafiggeva la testa come una corona di spine. Tra brividi di freddo e sussulti di lacrime non riusciva ad odiarlo, ma percepiva una violenta irritazione nei confronti di lui e verso se stessa, perché si era lasciata trascinare dalla curiosità di una domenica diversa, di conoscere le proprie reazioni e capire le reali intenzioni di Matteo, che pareva averla stregata.
Tra i ricordi confusi di una serata da dimenticare le sembrava di ricordare qualche frammento di conversazione con il proprio salvatore del quale aveva già scordato il nome.
Le sembrava, ma non era certa perché era come sospesa tra realtà e sogno con un senso di indeterminatezza dello spazio e del tempo, che avesse detto: “Lavoro vicino a casa tua. Faccio..” e qui i ricordi sfumavano nel delirio.
I brividi aumentavano, ma era la febbre che incalzava, mentre il petto era squassato dai sussulti di singhiozzi non più tenuti a freno dalla volontà di vincere la rabbia che prepotente cresceva dentro di lei.
Si rannicchiò sempre di più per proteggersi dal freddo che sentiva dentro e fuori di sé, ma il corpo non percepiva calore a parte il viso che sembrava bruciare per la febbre. Non trovava la forza di alzarsi e prepararsi latte caldo, miele di castagno ed aspirina per combattere la grossa infreddatura rimediata nel ritorno da Monselice. Scivolò lentamente nel dormiveglia agitato e confuso, pieno di sogni da incubo con Matteo che la possedeva con furore ed una punta di sadismo. Lei avrebbe voluto urlare, scappare, ma mille lacci e laccioli la trattenevano tra le braccia di ferro di lui impedendole la fuga. Non comprendeva perché non riusciva a rompere quei deboli legacci che la imprigionavano in una casa sconosciuta. Farfugliava parole senza senso, pronunciava pensieri sconnessi, vedeva ruotare attorno a sé le pareti come un gigantesco caleidoscopio che scomponeva immagini per poi ricomporle in modo differente.
Aveva perso la percezione spaziale-temporale della propria esistenza, quando la madre la svegliò per coprirla con un plaid e farle bere latte caldo con l’aspirina.
La mattina seguente sentì la fronte bruciare per la febbre e la gola piena di mille aghi che si divertivano a pungere con sadismo, mentre i ricordi confusi si ricomponevano lentamente nella mente. Per diversi giorni non avrebbe potuto aggregarsi al gruppo con grande dispiacere perché avrebbe perso le lunghe riunioni e discussioni su come procedere nel recupero dell’area. La raccolta delle informazioni nel cantiere erano terminate, ora si doveva analizzarle e sintetizzare per dare vita al progetto definitivo. Avrebbe perso la metodica con la quale si sarebbero separati i dati importanti da quelli ininfluenti per poi aggregarli secondo criteri tecnico-economici nelle linee guida da presentare alla proprietà.
Sentiva montare dentro di sé una rabbia sorda verso Matteo che con il comportamento tenuto l’aveva costretto a letto febbricitante. Cercò di concentrare la propria attenzione su quel uomo corpulento che l’aveva salvata sotto il temporale, ma non ricordava il viso, le mani e il corpo, ammesso che lei lo avesse fissato intensamente. Faticava a ricordare il nome, che le torno alla mente dopo lunghi sforzi di concentrazione, ma tutto era fumoso come le dense nebbie autunnali che avvolgevano Padova.
Però si era ripromessa che sarebbe andato a cercarlo per ringraziarlo dell’aiuto provvidenziale a ritornare a casa.
Adesso doveva concentrarsi per guarire al più presto e non voleva pensare ad altro.
Matteo, rientrato a Rubano in preda all’ira, si rese conto dell’enormità che aveva commesso. Era stato imperdonabile lasciarla sul ciglio di una strada pericolosissima e sotto il diluvio universale e colto da un senso di colpa sgomento e tremendo riprese l’auto per tornare là dove l’aveva lasciata perché contava che erano passati pochi minuti.
Sentì in lontananza il sinistro suono di una ambulanza e credette di morire per il terrore che avesse soccorso Micaela. Perlustrò la statale senza trovare traccia di lei o segnali di un passaggio. Si fermò per comporre febbrilmente il numero di telefono, ma la fretta lo indusse in errore chiamando altre persone. Finalmente calmati i tremiti della mano sentì squillare il telefono giusto senza ottenere risposta. Come impazzito si precipitò al pronto soccorso dell’Ospedale Civile di Padova per informarsi se una giovane donna fosse stata ricoverata di recente.
Riuscì a calmare l’ansia, rassicurato che in qualche modo Micaela aveva raggiunto la propria abitazione, mentre pensava a come scusare un comportamento incivile e non troppo degno di una persona innamorata.
Non trovava parole ed avrebbe faticato a individuarle, perché aveva avuto una reazione sproporzionata alle circostanze dei fatti.
“E’ vero che è stata una giornata pessima e storta da ogni punto di vista” si diceva mentre entrava in casa “Però sono stato io ad invitarla e tutto sommato aveva ragione a lagnarsi perché ero nervoso ed irritato. Poi anziché proteggerla dalla pioggia, l’ho lasciata inzupparsi per benino perché ho ritenuto che fosse la giusta punizione alle sue rimostranze. Ora come farò a presentare delle scuse accettabili?”
E questo pensiero lo accompagnò per tutta la notte.
L’indomani prima di recarsi in ufficio tentò inutilmente di mettersi in contatto, ma il telefono era muto e spento. Riprovò più volte nella mattinata, ma sentiva solo una voce metallica registrata che diceva “Il cliente da lei cercato non è al momento raggiungibile…”.
L’ansia si stava impadronendo di lui distogliendolo dal lavoro mentre percepiva che ricucire lo strappo sarebbe stato pressoché impossibile.
Doveva rassegnarsi perché stavolta l’aveva persa in modo irrimediabile.
(Capitolo 21)

Volando sopra una piuma

Volando sopra una piuma
vado là dove mi porta il vento.
Leggero ed etereo
sento l’alito di te.
Il cielo grigio
promette pioggia
che cade sul prato
bagnato dalle lacrime
del mondo.
Siamo qui
solo di passaggio
e il tempo vola
tra nuvole e sole.
Non mi volto
e guardo diritto
innanzi a me
non c’è nulla.

La rottura

Nella prima domenica di settembre si teneva a Monselice la tradizionale Giostra della Rocca, un evento in costume che richiamava nella cittadina patavina un gran folla di turisti e curiosi. Era un classico appuntamento molto sentito nella zona.

Matteo da quando aveva intrapreso la professione di informatico si recava lì per sovraintendere all’installazione di tutte le apparecchiature tecniche necessarie al buon svolgimento della manifestazione ed al controllo del loro funzionamento.

I primi anni erano stati entusiasmanti per lui muoversi, aggirarsi senza vincoli tra figuranti, contradaiuoli festanti e protagonisti delle gare. Però passata l’eccitazione iniziale della novità non provava più gli stimoli delle prime volte, perché adesso gli sembrava banale routine con la perdita di un week end di riposo.

Dal ritorno delle vacanze non aveva avuto un attimo di respiro perché l’impegno di Roma non era previsto facendogli saltare un fine settimana, poi si erano accavallati tutti i progetti programmati ed ora anche questo compito a Monselice del quale ne avrebbe fatto a meno volentieri.

Aveva dovuto suo malgrado trascurare Micaela alla quale aveva dedicato solo qualche telefonata e un paio di messaggi senza riuscire a trovare il tempo per vedersi di persona. Quindi pensando di farle cosa gradita e con la speranza che la giornata fosse più piacevole rispetto all’anno precedente, la invitò ad accompagnarlo. Sarebbe stata una buona occasione per riannodare i fili del discorso interrotto bruscamente qualche mese prima e verificare lo stato di salute del loro rapporto un po’ zoppicante e balbettante a dire il vero.

Partirono di buon’ora con la macchina di Matteo sotto un bel cielo azzurro, limpido e senza nubi. Micaela era allegra perché poteva assistere all’evento da una postazione privilegiata, il palco d’onore, per il pass che le aveva procurato. Ne aveva parlato con entusiasmo con Silvia che la consigliò su come vestirsi, su come comportarsi e su altre mille minuzie, mentre la testa di Micaela si riempiva in modo caotico con tutte queste indicazioni, che dimenticò al termine della telefonata.

Durante il viaggio ci furono i primi screzi, che diventarono crepe nel corso della giornata. Lei aveva voglia di parlare dell’evento, mentre lui voleva discutere della loro relazione. Così Matteo, già nervoso e di malumore per la domenica sprecata, non riuscì a nascondere la propria irritazione percependola distante ed indifferente alla passione che covava dentro di lui. Poi anche lei ci mise del suo per creargli ulteriori grattacapi e inquietudini, tanto che alla fine bisticciarono su tutto dal mangiare a come si erano vestiti.

Così la giornata che sembrava promettere bene, cominciò a rannuvolare con nubi nere e cariche di pioggia, come gli umori dei due giovani che volsero al brutto, anzi alla tempesta.

Micaela, vestita leggera come si conviene in un settembre caldo e soleggiato, disse di avere freddo e che voleva tornare subito a Padova prima della pioggia, mentre lui doveva accertarsi che la cerimonia finale con le premiazioni attese per le 18 filasse tutto liscia senza intoppi. Lei stava imbronciata sul palco d’onore completamente estranea alle grida di giubilo della contrada vincitrice il Palio dei Santi, aspettando solo il momento di riprendere la strada di casa.

La tensione cresceva fra loro come le saette che a zig zag solcavano il cielo sempre più nero, poi cominciarono a volare parole pesanti come i goccioloni che i cumuli nembi stava dispensando su di loro.

Finalmente bagnati ed infreddoliti sciamarono velocemente verso la macchina e si immisero sulla statale Adriatica per rientrare a Padova sotto una pioggia battente e fredda.

Lui era incattivito per i troppi intoppi informatici, che avevano costellato una giornata nata sotto cattivi auspici, ed era stressato dalle lamentele continue di Micaela, che non stava zitta un secondo.

Lei con la camicetta bagnata ed appiccicata al corpo, i sandali distrutti e capelli ridotti in pessimo stato dalla pioggia si lamentava in continuazione perché accusava Matteo se si trovava in quello stato. Starnutiva e si soffiava senza soste il naso, che assomigliava più ad una fontanella che ad un organo sensoriale.

“Mi hai fatto prendere un accidente” disse mentre l’ennesimo starnuto inondava il parabrezza della macchina.

“Dovevi vestirti più adeguatamente” replicò lui irato ed arrabbiato per la pessima idea di averla invitata durante l’esecuzione dell’attività professionale.

Fuori infuriava un violento temporale, mentre Micaela era sempre più petulante ed indisponente, finché arrivati al semaforo della Paltana lui non aprì la portiera mettendola sulla strada senza proferire una parola.

Passato un primo momento di sbigottimento coi capelli ridotti a tagliatelle cominciò a tempestare il vetro della macchina perché voleva risalire e ripararsi dalla violenza della pioggia. Però lui quando scattò il verde mise la prima e sparì verso Padova.

Micaela incredula rimase lì sul ciglio della statale sfiorata pericolosamente da macchine e corriere senza comprendere se l’acqua che scorreva sul viso fosse pioggia o lacrime..

A questo punto incamminarsi verso la città sarebbe stata pura follia, quindi attese il rosso e si avvicinò ad un auto che aveva alla guida un uomo dalla corporatura abbondante.

Bussò al vetro e disse: “Il mio ragazzo mi ha abbandonata qui sotto il temporale e non so come arrivare a Padova”.

“Sali” rispose garbatamente mentre apriva la portiera per farla accomodare.

Micaela gocciolante e tremante per il freddo inondò il sedile con l’acqua che colava dai capelli e dal corpo come una fontana.

“Micaela ” si presentò starnutendo in continuazione.

“Piero” rispose mentre ripartiva in direzione di Padova “Bello scherzo ti ha fatto il tuo ex”.

(Capitolo 20)

Matteo e Micaela

Micaela riprese a frequentare il cantiere, a prendere appunti, a rendersi utile al gruppo di lavoro al quale era aggregata, ma percepì subito che qualcosa stonava con Marco, perché non era nulla come prima. Quando gli sguardi si incrociavano, si soffermavano un attimo, poi si fissava altrove, come se si volesse nascondere un segreto. Quando si parlavano, capitava che lui dicesse a Micaela “Lei faccia…” subito corretto da “Tu fai…”.
Tanti segnali erano captati che qualcosa si era rotto nel meccanismo. Questo da un lato la rammaricava perché percepiva freddezza e una punta di astio, dall’altro lato le faceva comprendere che aveva avuto abbastanza intuito nel respingere quel appena accennato corteggiamento. Si domandava incerta e dubbiosa cosa sarebbe avvenuto se avesse accettato di uscire quella sera.
Questi pensieri ronzavano nella testa come vespe impazzite distogliendola non poco nel prestare attenzione a tutto quello che avveniva nel cantiere. A volte si accorgeva che perdeva pezzi dei loro discorsi o rimaneva indietro rispetto a loro. Sentiva su di sé gli interrogativi dei componenti del gruppo che con gli sguardi si domandavano i motivi del brusco cambiamento e dello scarso interesse che lei mostrava.
Si impose di scacciare dalla propria testa tutto quello che non era attinente all’attività che stava svolgendo, esattamente come erano stati cacciati i mercanti dal tempio. Matteo era lontano e non costituiva un motivo d’affanno perché per diversi giorni non avrebbe dovuto pensare a lui. Quello che stava facendo era interessante e molto di più di quello che aveva pensato inizialmente, Il materiale raccolto per la tesi era copioso e di buona fattura, tanto che sarebbe stato difficile scegliere e sfrondare per limitare il numero di pagine.
Le rimaneva un grosso rammarico perché intuiva che sarebbe stato improbabile per lei una volta laureata entrare nello studio AccaKappa a causa di Marco.
“Pazienza” si disse più di una volta facendo mente locale su questo dettaglio “Esistono altri studi di architetti dove posso incominciare con l’apprendistato”. Di certo l’esperienza che stava maturando in questo progetto, la tesi che presagiva più che buona sarebbero stati un valido passpartout per aprire diverse serrature importanti in campo professionale.
Però quando pensava a questo le sembrava di assomigliare alla volpe della famosa favola di Esopo, perché non era questo l’epilogo che aveva a lungo sognato.
Tra qualche giorno Matteo sarebbe tornato da Roma, dove era per motivi di lavoro. Quindi era giunto il momento di concentrarsi su di lui.
Si erano sentiti per telefono al suo rientro dopo la vacanza a Madonna di Campiglio, ma era stata quasi una formalità. Lei era impegnata con un battesimo, lui doveva riordinare la casa dopo quasi tre settimane di assenza prima di riprendere il lavoro. Micaela non aveva mostrato nel tono della voce soverchio entusiasmo, era stata un po’ freddina. Si era interessata alle ferrate, alle passeggiate nei boschi, alle località visitate con domande monotone, prive di mordente, perché tutto sommato non provava grande curiosità nel conoscere quei posti. Matteo aveva risposto con calma, moderando la voce, trattenendo lo spirito guerriero e possessivo che affiorava pericolosamente dalla palude della sua personalità. Stava facendo un enorme sforzo per tenere a bada il carattere egocentrico e geloso nel tentativo di rispettare quanto si erano detti qualche giorno prima.
La telefonata proseguì stancamente finché Matteo risolutamente non vi pose fine, accennando ad un ipotetico e pressante impegno che richiedeva la sua presenza.
“Scusa, Micaela” disse alzando il tono della voce da dolce e appena sussurrata ad aspra e decisa “E’ arrivato pochi minuti fa un messaggio del capo, che mi chiede un incontro urgente. Non ho fatto in tempo a mettere piede in casa, che subito ha urgenza di parlarmi. Non poteva aspettare domani in ufficio”.
“Non ti preoccupare” rispose Micaela più distesa e rilassata, perché ormai aveva esaurito tutto il bonus di domande e di argomenti da trattare e cominciava ad essere in affanno.
Matteo, chiusa la telefonata bruscamente perché era diventato un melenso gioco delle parti che non stava portando da nessuna parte, cominciò a riflettere sul loro rapporto. Si chiedeva se aveva senso proseguire, perché la percepiva lontana, distaccata, quasi indifferente. Micaela non gli sembrava più quella donna determinata e volitiva che aveva conosciuto nel supermercato dell’Arcella, con la quale aveva avuto quello scontro verbale in Piazza delle Erbe. Ora appariva molliccia, poco reattiva, diversa da come l’aveva immaginata nel corso delle lunghe passeggiate in solitario per i rifugi del Trentino. Se la aspettava grintosa, pronta a sfoderare le unghie, invece si era limitata a poche domande banali ed inutili sulle vacanze senza approfondire nulla.
Micaela aveva ancora il telefono in mano accovacciata sulla poltrona della sua stanza mentre si interrogava sulle sensazioni provate sentendo la voce di Matteo. Percepiva strane impressioni che stavano tra l’indifferenza e l’incredulo, perché non aveva riconosciuto nessun afflato amoroso od emozione dentro di sé. Lei era stata asettica e distaccata nel parlare, ma lui sembrava un altro, la pallida controfigura dell’uomo tutto nervi e determinazione che aveva conosciuto.
“E’ vero” si disse “E’ vero che non c’è stato il minimo sentimento nelle mie parole. Però lui è stato misurato anche troppo nelle manifestazioni d’affetto. Sembriamo due estranei che non hanno niente da dirsi”.
Si erano lasciati senza chiedersi o promettersi di vedersi nei prossimi giorni. Aveva quasi il sapore di un addio anziché di un arrivederci. Poi era arrivata la telefonata che le annunciava che Matteo sarebbe stato lontano da Padova per almeno dieci giorni.
Questo le aveva tolta molta ansia, perché avrebbe rimandato a più avanti tutti i chiarimenti come se non sapesse quello che il cuore e la mente avevano già deciso.
(Capitolo 19)

La vita riprende

Micaela non comprendeva il senso della telefonata di Marco, ambigua e strana, Si sarebbero visti il giorno dopo e avrebbero passato insieme almeno altre due settimane di lavoro; si chiese perché si era mostrato tanto insistente su quali progetti aveva per la sera, se era stata in vacanza e dove.
Si era data un codice che intendeva rispettare: non concedere troppe confidenze alle persone che incrociava per motivi professionali. Era fermamente convinta che mescolare questioni personali con le problematiche legate alla professione sarebbe stato l’errore più grossolano che poteva commettere. Aveva percepito che le relazioni nate sul luogo di lavoro sarebbero state foriere di problemi e incomprensioni. Accettare i corteggiamenti di qualcuno che un domani avrebbe potuto essere un superiore o quanto meno rapporti subalterni avrebbe messo a rischio le possibilità professionali di trovare lo sbocco più idoneo alle proprie esigenze.
Questa telefonata l’aveva messa di cattivo umore dopo una giornata che sembrava destinata al bello stabile.
“Pazienza” si disse mentre si stiracchiava come una gatta dopo una bella ronfata accanto al fuoco spento “Spero di non essere stata troppo scortese, ma non avevo alternative. I corteggiamenti sul posto di lavoro li ho sempre considerati disdicevoli”.
Chi era Marco? Per lei non era nessuno, a parte il ruolo nel gruppo di lavoro, perché ignorava tutto: se aveva una donna con la quale viveva o che frequentava con regolarità. Inoltre era decisamente troppo vecchio per lei: quindici o sedici anni di differenza erano indiscutibilmente un differenziale troppo ampio per potere condividere interessi e pensieri.
Un dubbio si insinuò in lei come un minuscolo tarlo che scavava lunghe gallerie nel legno: “Era forse un nascosto ricatto sessuale poiché ho palesato in maniera limpida il mio desiderio di entrare nello studio una volta completato il percorso formativo?” si disse “Ma forse sono solo fantasie”. Però il tarlo lavorava e quella sensazione sgradevole rimaneva appiccicata al palato come una fastidiosa buccia di mela che nonostante gli sforzi profusi stava immobile nella trachea.
Cercò di pensare ad altro, ma ritornava sempre al motivo della telefonata che faticava ad inquadrare in un quadro logico. Era troppo di pessimo umore per chiamare Matteo, perché non aveva la lucidità necessaria per parlare con lui. Però non voleva disturbare ancora una volta Silvia con le proprie paure, i problemi personali ed essendoci ancora luce si preparò per uscire.
Matteo dopo le giornate intense di ferrate e sentieri di alta montagna, aveva deciso di fermarsi a Madonna di Campiglio a godere la sensazione di mondanità di questa celebre località turistica. Il grosso dei vacanzieri era ormai andato complice il tempo che si andava rapidamente guastando: i primi temporali agostani avevano abbassato le temperature e le perturbazioni scorrevano veloci ed imprevedibili. Tutto questo non lo disturbava più di tanto perché sapeva come comportarsi e cosa evitare.
Lui si considerava un montanaro pur essendo nato in una zona dove il punto più alto era il cavalcavia sulla ferrovia, perché amava quella natura aspra e silenziosa da rispettare e conservare, tanto avara quanto ricca.
Stava percorrendo il sentiero delle cascate che da Pinzolo portava verso la Presanella lungo Val Genova, quando gli tornò alla mente la lunga e tormentata telefonata con Micaela.
Lei aveva ragione quando diceva che doveva smettere di essere troppo possessivo ed ossessivo, ma la natura del proprio carattere era più forte del freddo raziocinio. Per un lasso di tempo limitato riusciva a mettere un freno alla personalità autoritaria e determinata, che era validissima ed apprezzata in campo professionale. ma era fonte di scontri continui nel quotidiano e nelle relazioni sentimentali.
Solo Laura lo aveva accettato così come era ed avrebbe fatto carte false per avviare con lui un rapporto meno episodico di quello che avevano avuto finora.
Però erano due personalità diverse ed emanavano un fascino diametralmente opposto. Laura era dolce, remissiva, dalla cultura quasi enciclopedica e dai molteplici interessi, ma era poco stimolante per lui perché non sentiva opposizione al suo carattere, al suo modo di pensare e di agire. Gli sembrava troppo scipita per potere avviare un rapporto stabile anche se fisicamente era una gran bella ragazza, ma la bellezza non era sufficiente.
Micaela era invece attenta, determinata. allegra, ma qualcosa di lei gli sfuggiva, gli restava misterioso; avvertiva la presenza di un nucleo inafferrabile, di un enigma che contribuiva al fascino che emanava. Per questo poteva dire, con ragionevole certezza, che non era ciò che sembrava apparire. Non era mai banale quando parlava di qualcosa che le stava a cuore. Non si rifugiava nei luoghi comuni, nei cliché del “cosa significa essere donna” e non era una persona concentrata esclusivamente su di sé: prima di rispondere si concedeva una breve pausa di riflessione. Era un qualcosa di speciale che lo attraeva.
Mentre camminava di buona lena lungo il sentiero che costeggiava il Sarca ed osservava le numerose cascate che facevano corona a destra ed a sinistra, si interrogava per l’ennesima volta se sarebbe riuscito ad esercitare l’autocontrollo sulla propria personalità, perché quella era la vera scommessa con se stesso.
Tra qualche giorno sarebbe ripartito per Padova e solo allora avrebbe capito se la forza di volontà avrebbe avuto il sopravvento sul carattere.
(Capitolo 18)

Il rientro

La vacanza finì anche fin troppo presto tanto volò il tempo. Avrebbe voluto trattenersi ancora, ma il lavoro nel cantiere l’aspettava e poi non poteva permettersi economicamente un periodo più lungo.
Rientrò a Padova comodamente seduta sulla macchina con Silvia e Gianni, abbronzata di un bel colore dorato, col viso disteso e senza increspature.
Ricordò con soddisfazione e piacere le diverse cavalcate per i tratturi intorno all’agriturismo. Era riuscita a vincere la paura del cavallo con l’aiuto dell’istruttore mentre i sobbalzi dell’auto le rammentavano l’andatura della giumenta pezzata che aveva cavalcata.
Poi vedeva Piazza del Campo dall’insolita forma a conchiglia strapiena di contradaioli festanti e turisti vocianti durante il Palio dell’Assunta. Erano riusciti tramite il proprietario dell’agriturismo a trovare un posto dall’ottima visuale senza essere intrappolati nella folla. Era stato uno spettacolo indimenticabile, che aveva riempito i loro discorsi per diversi giorni, molto più avvincente di quello che si poteva assaporare nelle riprese televisive.
Però i ricordi di quei dieci giorni erano troppo intensi per potere essere rammentati tutti durante il viaggio di ritorno.
Micaela si sentiva veramente bene: serena, tranquilla e rilassata, con la mente sgombra dai pensieri, pronta l’indomani a riprendere contatto col gruppo di architetti che aveva lasciato due settimane prima.
La sua stanza le sembrava minuscola ed angusta rispetto a quella che aveva lasciato poche ore prima, ma la sentiva sua perché stava tra quegli oggetti famigliari e pieni di ricordi. Si distese sul letto senza disfare la valigia dopo un breve saluto ai genitori, perché voleva riordinare i pensieri che confusamente si aggiravano dentro di lei. Inserì nello scomparto il CD preferito dei Coldplay, “Parachutes” e mentre i suoni sensuali della musica invadevano la sua mente, cominciò a riflettere su di lei e Matteo.
Non era più tanto sicura di volere ascoltare la voce di lui o rivederlo a breve, non perché si fosse pentita di quello che si erano detti nei giorni passati, ma perché percepiva che l’infatuazione stava lasciando il posto all’indifferenza.
Si chiese se era giustificabile il tentativo di alimentare nuovamente il fuoco morente con altra legna, forse umida e fumosa, ma la curiosità era forte in lei. Voleva verificare di persona se le sensazioni attuali erano il frutto della lontananza oppure della mancanza di interesse verso di lui.
Mentre era immersa nel fluire di questi pensieri, scivolò lentamente nel limbo della dormiveglia con molte figure maschili indefinite nei contorni e nell’aspetto, con la sovrapposizione di paesaggi contrastanti e contraddittori. Vedeva Marco, il responsabile del progetto di recupero architettonico di Padova, con l’aspetto di Gianni immerso nella campagna senese a ristrutturare un vecchio casale abbandonato, sul quale aveva fantasticato a lungo dopo averlo scoperto durante una passeggiata a cavallo. Lo spazio non era più spazio e il tempo non era più tempo: il tutto era un fluire incerto con personaggi mai conosciuti ed ambienti mai visti.
“Quanto ho dormito?” si chiese risvegliata dal suono insistente della suoneria di Elisa “E chi è che mi cerca?”. Finalmente il suono si chetò come il cuore che aveva accelerato i suoi ritmi per quel brusco risveglio.
Ora la stanza era in silenzio illuminata dal sole morente mentre lei era ancora distesa pigramente sul letto.
I sogni erano svaniti e con essi anche le sensazioni piacevoli che aveva assaporato durante quel sonno agitato e tumultuoso. Avrebbe voluto che non fosse stato interrotto mentre si svolgeva quel complicato connubio tra realtà diverse mescolate e fuse tra di loro.
Si chiese il motivo per il quale aveva sognato il viso di Gianni sovrapposto a quello di uno sconosciuto e poi ancora perché Matteo non era comparso in nessuna di quelle figure ibride ma non mostruose dall’aspetto composito di tante persone conosciute o no.
Nei dieci giorni trascorsi con Silvia e Gianni era rimasta piacevolmente sorpresa da lui. Aveva un carattere riservato e dolce, anche se al momento giusto sapeva tirare fuori gli artigli che colpivano come rasoiate. Era meno impetuoso di Matteo, più razionale e riflessivo. Apparentemente sembrava freddo e talvolta distaccato, quasi estraneo alle conversazioni, ma in realtà era sempre attento a cogliere tutte le sfumature dei discorsi che puntualmente rimarcava e puntualizzava. Era più facile leggerne le mosse, i pensieri e con un minimo di attenzione avrebbe saputo prevedere cosa avrebbe fatto o proposto tra un secondo.
Era un bel uomo alto e slanciato, con una buona cultura di base, dalla personalità seria e determinata, sempre sicuro delle proprie azioni. Però non era il tipo adatto alla lei, perché non aveva la vena romantica ed imprevedibile di Matteo. Sicuramente con Silvia formava una bella coppia per i caratteri complementari.
Lei cercava una persona dal fascino concreto e speciale, romantico e sognatore, imprevedibile e non ripetitivo. Matteo aveva molte di queste caratteristiche, ma la personalità possessiva e soffocante non era quello che pretendeva in un uomo. Voleva un rapporto sciolto, libero e allo stesso tempo profondo. Non gradiva essere subalterna a nessuno, ma essere considerata alla pari. C’erano molte contraddizioni nei pensieri con la ricerca di una relazione che doveva essere speciale, variegata e non monotona e contemporaneamente rispecchiare i canoni tradizionali dell’amore romantico.
Forse era per questo motivo che continuava a sognare persone dove l’aspetto fisico era l’unione di tante personalità distinte.
Guardò chi l’aveva svegliata facendo svanire un sogno che ora non ricordava nemmeno più.
“Sarà Silvia o Matteo?” disse ad alta voce e invece con sorpresa vide il numero di Marco.
“Cosa dovrà dirmi di tanto urgente da cercarmi a casa” si interrogò dubbiosa Micaela, mentre componeva il numero “Adesso lo saprò”.
(Capitolo 17)