Capitolo 29

Con la sola luce tremolante di una candela Laura provò e riprovò a scrivere qualcosa. Il suo problema era come iniziare: era la prima volta che si cimentava.

“Scrivo Reverendissimo … no, no! Non è un ecclesiaste. Gentilissimo .. no, no. Forse eccellentissimo .. sì, sì va meglio. Ma poi? Cosa metto? Vediamo un po’ Eccellentissimo Messer Duca .. No, no. Il messer non ci sta. Riproviamo Eccellentissimo Duca. Ricevo la vostra missiva .. No, non ci siamo. Uffa! Cosa si scrive a un duca in risposta a un suo messaggio?”.

La ragazza appoggiò la testa sulle mani a coppa, distesa sul letto, quando udì la voce della madre.

“Laura, spegnete la candela! Cosa state facendo? E’ tempo di dormire”.

“Sì, madre. La spengo subito” e con un soffio la luce tremula diventò oscurità. ” Non riuscivo a prendere sonno e .. Notte, madre”. Accomodò il cuscino di paglia sotto il capo e continuò a pensare al messaggio che doveva consegnare il giorno seguente.

La giornata si annunciava calda e serena, anche se la rugiada imperlava l’orto con minuscole gocce d’acqua. Un leggero velo di foschia aleggiava a mezz’aria a indicare che la notte era stata umida più che fresca.

Laura si levò come al solito al canto del gallo ma con sua sorpresa non era la solita stanza ma una ben più sontuosa, che non conosceva. Il letto ampio, comodo e vellutato non era quello ruvido e nodoso dove la paglia ricoperta da una tela grezza l’accoglieva ogni notte.

Si domandò stupita dove fosse, osservando i tendaggi che ricadevano ai fianchi del baldacchino che stava sopra la sua testa. Inquieta rifletteva quale magia l’avesse colpita, immersa in un effluvio di profumi diversi. Si eresse col busto e toccò il tessuto della camicia da notte: non era grezza, grossolana come quella che usualmente indossava ma morbida e frusciante. Le pareva lino.

“Mai posseduto qualcosa con questo tessuto. Non saprei nemmeno dire quali sensazioni si provano. Solo robusta canapa intessuta a mano. Cos’è questo prodigio?”.

Era immersa in questi mille pensieri e dubbi, quando udì un bussare discreto.

“Chi sarà?” si chiese con un mix di curiosità e ansia.

“Venite” esclamò

“Madonna Laura” disse una serva entrando con un enorme tavolo portatile. “Ecco la vostra colazione. Buona giornata” e silenziosa come era arrivata, se ne uscì lasciando sul letto ogni ben di Dio.

La ragazza osservava stupita quell’oggetto di legno dotato di quattro corte gambe sul quale in bella mostra c’erano tazze e piatti di fine porcellana e due bricchi di ceramica con un decoro smaltato.

Era senza parole per lo stupore.

“Mai vista una magnificenza del genere. Non credevo nemmeno che esistessero simili bellezze. I piatti di terracotta, che mi sono sempre sembrati bellissimi, impallidiscono di fronte a loro come il mendicante nei confronti del principe”.

Laura sollevò un fazzoletto di mussola,, riccamente decorato con due cifre dorate L e D. Questo nascondeva delle minuscole coppie, che profumavano del pane appena cotto.

“Mai viste prima. Ne avevo solo sentito parlare in toni misteriosi. Sono queste dunque le gambe delle ferraresi, sottili e ben tornite. La mitica ciupeta di pane bianco, ben cotto e croccante, che solo i signori si possono permettere!”

Inebriata dai profumi, emozionata per trovarsi in una stanza dai soffitti a cassettoni decorati con gli amorini, non osava toccare nulla per il timore che tutto sparisse come una bolla di sapone, quando vide comparire lui.

“Madonna Laura” udì, ma fu un attimo. Un’altra voce la chiamava quasi urlando: era quella aspra della madre.

Il risveglio non era quello che aveva assaporato poco prima. Aprì gli occhi e si ritrovò nell’usuale stanza, squallida dal pavimento in legno, sconnesso e polveroso, e nel letto stretto e scomodo.

“Laura! E’ tempo di levarsi!”.

Una grossa delusione si dipinse sul volto, perché quel sogno bellissimo era stato interrotto bruscamente da una realtà ben diversa. In compenso sapeva cosa scrivere nel messaggio. Semplicemente ora e luogo senza altri fronzoli.

Giacomo nei giorni successivi fece molte ispezioni nel cunicolo di Porta degli Angeli, portando con sé quello strano bastone, che usò per prendere misure accurate di altezza e larghezza.

Poi si sedeva sotto un pioppo appena prima della porta a riportare su carta col carboncino nero misure e schizzi di quello che aveva misurato e osservato.

Adesso aveva le idee più chiare, anche se molte nubi nere continuavano a offuscare la sua mente. Il cunicolo era stretto e a un certo punto impraticabile. La volta minacciava di franare tutte le volte e rimaneva in ansia finché non ritornava fuori. C’era da lavorare e non era detto che ci sarebbe riuscito. In pratica quel capitano, che senza troppi riguardi l’aveva bloccato, montava la guardia a qualcosa che non serviva a nessuno.

“Sfido chiunque a percorrerlo tutto dal rivellino nord alla Porta degli Angeli senza rimanere bloccato o incastrato. E poi senz’aria con una torcia si rischia di rimanere soffocati dal fumo. Il cunicolo da un senso di claustrofobia incredibile, una sensazione di ansia che toglie il respiro. Per renderlo praticabile serve un lavoro non piccolo e del personale capace”.

Poi visitò quel punto X sulla pianta. Era una solida casa con fregi in arenaria rossa, più o meno a quello che ricordava della passata vita. Un sorriso di scherno comparve sulle labbra.

“Più che passata vita direi quella futura. Qui sono in una dimensione che non conosco, dove stento a riconoscermi. Dei ricordi non me faccio nulla ma solo paragoni e qualche rimpianto”.

Si domandava dei motivi per i quali il Duca voleva costruire un terzo cunicolo per arrivare al Palazzo X, perché più che una casa era un imponente palazzo circondato da case basse senza molte pretese. Tutto era diverso dai suoi ricordi a parte il Monte di Pietà e qualche abitazione lungo via dei Piopponi.

Doveva tornare a corte e parlare col segretario e col Duca. L’impegno richiesto reclamava molti fiorini e forse non sarebbero stati sufficienti per portare a termine l’impresa.

La sera di metà maggio stava declinando col sole che tingeva di rosso alcune nuvole che solo pochi istanti prima erano candide. Sembrava che si fossero macchiate col sangue di qualche divinità. Non era tempo di voli poetici, doveva rincasare prima che l’oscurità calasse.

Forse stasera era nella vena buona di mettere alla prova la moglie, che si lamentava delle scarse attenzioni.

Chissà se ci sarebbe riuscito.

19 risposte a “Capitolo 29”

  1. Un episodio incentrato su Laura (molto ben descritte le sue perplessità riguardo alla lettera) e su Giacomo, attivo e determinato, malgrado tutto. Un altro ottimo capitolo, senza dubbio.
    Un caro abbraccio.

  2. Continui a deliziarmi, soprattutto con le emozioni della bella Laura
    Non vedo l’ora di poter assistere al sentimento che sbocceràt tra lei e il duca
    Bravo, “disponi “il lettore in modo piacevole e accattivante
    Baci
    Mistral

  3. Capitolo di domande questo. Laura alle prese con una lettera di ben difficile scrittura e un sogno così distante dalla sua quotidianetà. Sogno che é bene duro da abbandonare.
    Il tenero Giacomo alle prese con misure e claustrofobie e sempre più calato nella sua parte di ingegnere, tanto da domandarsi il perché di un nuovo scavo ducale da una parte, dall’altra s’interroga se riuscirà a scavare anche nell’animo di quella sua moglie così scontrosa.
    Capitolo che aumenta l’acquolina in bocca.

    1. Capitolo di domande alle quali si spera di dare adeguate risposte nei prossimi capitoli. Giacomo ha un compito: scavare. Ci riuscirà? Ai posteri l’ardua risposta.
      Spero che le prossime portate possano soddisfare la tua acquolina..

  4. …il sogno di Laura mi è sembrato talmente reale che non ho dubitato un istante, fino a che, si è svegliata bruscamente! Ho creduto davvero che il suo sogno si fosse avverato, talmente hai descritto con dovizia di particolari quella scena. Bravissimo!

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