Avviso a quel popolo di santi (lettori), poeti e scrittori (tanti), naviganti (viandanti tra un blog e l'altro)

Sono qui annunciarvi la lieta novella.
Col capitolo 45 cesso la pubblicazione della storia di Giacomo, Laura e Alfonso. Per deliziarvi ancora pubblicherò la puntata conclusiva, la numero 62. Tutte quelle dal 46 al 61 saranno secretate. «Era ora» mi sembra di sentire col tono di sollievo. Credo di avervi stancato a sufficienza con questa storia e quindi era giusto chiuderla, nel momento che il 2 novembre sono riuscito finalmente a mettere la parola fine al racconto fiume tipo Po in piena.
Chi chiederete atterriti che cosa vi propinerò al suo posto? Un revival, il primo racconto in assoluto scritto nel lontano 2007, rivisitato e corretto ma decisamente più corto. Nel frattempo cerco l’ispirazione per scrivere altro. Al momento le idee sono andate in letargo. Meno male, dice una voce sulla destra.
Per il secondo bog, quello ereditato da Windows Space, ci penserò.
A presto carissimi con la puntata conclusiva.

Capitolo 45

La primavera mostrava il suo volto sorridente e rinnovato, come Laura verso Alfonso, che dopo il periodo trascorso a Parigi era rientrato a Ferrara. La missione aveva avuto successo e forte dell’appoggio francese percepiva di essere ancora saldamente seduto sul trono. Il ducato nella sua integrità non era ancora salvo ma il tempo avrebbe smussato gli angoli e riconosciuta la sua autorità su tutti i possedimenti.
La relazione con Laura diventava sempre più stabile come le voci che circolavano che il duca avesse un’amante segreta, mentre si allentava il legame con la duchessa.
“Chi sarà mai?” si chiedeva la gente, avvezza alle avventure galanti di Alfonso. “E’ la solita passione effimera oppure stabile?”. Però nessun volto nessun nome prendeva corpo e le chiacchiere si infittivano
Nel mentre la gravidanza di Lucrezia proseguiva tra alti e bassi, tra le cure del governo durante l’assenza del consorte e quelle private relative ai parenti. Si sentiva sempre più debole ma nello stesso tempo determinata e ottimista a portare a compimento anche questa ottava gestazione
Anche la duchessa aveva un amore non troppo segreto, Francesco Gonzaga, suo cognato. Nella primavera del 1519 moriva consumato dal cosiddetto mal francese, lasciandola nello sconforto. Si ritrovava sola col consorte che dopo il rientro in città era sempre più distante e senza l’affettuoso sostegno del duca di Mantova. La cognata Isabella, che non era mai stata tenera con lei, strappò la lettera abbastanza formale che Lucrezia le aveva inviato per le condoglianze.
La duchessa avvertiva che qualcosa era mutato, nonostante si fosse avvicinata alla religiosità in maniera quasi totale, indossando il cilicio sotto la veste ducale.
Arrivò maggio mentre lei era sempre più inquieta. Non le erano sufficienti confessori e padri spirituali, comunicarsi tutti i giorni e pregare. Il peso dei suoi trentanove anni li avvertiva tutti, mentre la gravidanza si complicava. Il 15 di giugno del 1519 nacque una bambina, Isabella Maria, ma la duchessa fu assalita dalla febbre, mentre la figlia fu battezzata in gran fretta.
Il 24 giugno se ne andò, ormai incapace di comprendere il suo stato.
Alfonso in quei giorni non vide Laura, che l’aspettò paziente, sapendo che la duchessa era morente. Non si augurava che morisse nella speranza di succederle nel letto ufficialmente ma pregò per la sua anima.
Quando il paggio le recapitò il messaggio che era morta, sbiancò e si ritirò nella sua stanza, perché non voleva vedere nessuno. Si raccolse in preghiera e raccoglimento, pianse lacrime sincere. Comprese che da questo momento la sua vita sarebbe cambiata.
“Come?” si chiese. “Sarà nell’amore per Alfonso oppure nell’essere abbandonata?”
Non immaginava come sarebbe stato dipinto il domani ma doveva guardare avanti. Non era come pensava sua madre nel caso che tra lei e il duca ci fosse stata rottura. Era certa che avrebbe trovato un’altra persona con la quale condividere la vita.
“Ho solo diciannove anni e un’intera esistenza da consumare” rifletteva mentre pregava e piangeva la duchessa.
Era una calda sera di fine luglio, quando Laura incontrò Alfonso per la prima volta dopo la morte di Lucrezia. Erano seduti sotto il pergolato del casale del Verginese e parlavano tra loro sottovoce come se avessero paura che il vento potesse carpire loro dei segreti.
“Mi siete mancato, Alfonso. Ho percepito un vuoto dentro di me che non riuscivo a riempirlo. Però la morte della Duchessa, i funerali e il lutto hanno congiurato contro di noi” gli disse la ragazza, guardandolo negli occhi.
“Avete ragione. Tutto ha cospirato ma la morte di Lucrezia mi ha colpito” rispose il duca, tenendole le mani.
“Perché? Non pensiate che sia insensibile alla morte di qualcuno. Ho pianto lacrime sincere. Ho pregato con fede per la sua anima nella speranza che il buon Dio l’accolga in Paradiso. Ma vi domando cosa vi ha colpito, se volete dirmelo”.
“Ho sempre ritenuto Lucrezia una donna determinata nel raggiungere gli obiettivi che si prefiggeva. Anche in questa occasione l’ha dimostrato. Era malata ma ha sopportato la gravidanza con orgoglio, decisa a portarla a termine. Dopo la nascita della bambina, è stata assalita dalle febbri da puerpera e perdeva sangue dal naso. Però non era sua intenzione lasciarci. Temeva la morte, nonostante si fosse avvicinata a Dio. E’ rimasta aggrappata alla vita con tutte le sue forze ..”.
Alfonso fece una breve pausa, mentre Laura lo ascoltava in silenzio.
“Dunque era vero quel che hanno detto dopo la sua morte” rifletteva tacendo. “Non volevo credere alle voci circolate secondo le quali la duchessa aveva vissuto gli ultimi attimi nel terrore di morire”.
La ragazza raccolse le sue forze per formulare una domanda al duca.
“Come avete intuito che la vostra amata consorte fosse terrorizzata dalla morte imminente?”.
“Quando alcuni giorni dopo la nascita di Maria Isabella fui ammesso finalmente al suo capezzale, lessi nel suo viso stravolto dalla febbre, l’ansia, l’angoscia che la morte fosse accanto a lei. Sono sbiancato in viso per la consapevolezza di questa realtà. Non sono stato in grado di controllare le mie emozioni. Così lei ebbe la certezza che nonostante fosse decisa a vivere, non ce l’avrebbe fatta. Solo dopo questo incontro, è riuscita a distendere i lineamenti, preparandosi per la morte imminente”.
“Quel che dite è terribile e nello stesso tempo straordinario. Difficilmente una persona accetta serenamente un verdetto tanto spaventoso quanto irreversibile”.
“Basta. Parliamo d’altro. Lasciamo questi ricordi in un angolo” disse Alfonso per chiudere questo argomento.
Aveva provato commozione per la perdita della duchessa ma doveva guardare avanti e pensare al futuro che si apriva dinnanzi a lui.
Quel futuro aveva un nome Laura.

Capitolo 44

Giacomo, dopo essersi vestito a fatica, rimpiangendo l’assenza di Ghitta, scese nella corte alla ricerca di Eleonora. C’erano ancora nel casale parecchie dame e cavalieri, seduti al fresco del pergolato. Lo osservarono e bisbigliarono qualcosa, mentre lui finse indifferenza ai loro pettegolezzi. Il suo obiettivo in quel momento era la ricerca di qualche servo per ottenere l’informazione che gli interessava.
“Madonna Eleonora, dove la posso trovare?” chiese incrociando una serva che sta portando una brocca di sidro a una coppia leggermente defilata rispetto alle altre.
“Non saprei. Vengo dalle cucine e non l’ho ancora vista. Provate nelle sue stanze, al primo piano” rispose garbata.
“Grazie”. Giacomo salì al primo piano, sperando che l’informazione fosse giusta.
“Non posso bussare a tutte le stanze. Potrebbe essere imbarazzante” rifletteva mentre incrociava un cameriere.
“Mi perdoni. Mi sono perso e sono alla ricerca delle stanze di Madonna Eleonora”.
“Sono le ultime due. In fondo a questo corridoio” rispose indicando con la mano direzione e porta.
“Grazie”.
Entrato dopo aver bussato, la trovò davanti allo specchio, mentre una serva la stava pettinando.
“Buon giorno, Madonna” disse Giacomo baciandole una mano.
“Buon giorno, Messer Giacomo. Riposato bene?”
“Magnificamente. Siete una padrona di casa veramente eccezionale”.
“Andate pure, Maria. Lasciateci soli” disse per licenziare la donna.
Aspettò che fosse uscita, prima di abbracciarlo e dargli un bacio appassionato.
“E’ stato tutto magnifico. Festa, cerimonia e poi il resto della notte con voi. Questa giornata rimarrà per sempre nella mia testa ..”
“E perché avete consentito a dama Giulia di entrare nel letto al vostro posto, stamani?” chiese con un tono di voce duro.
“Me l’aveva chiesto poco prima che ci coricassimo. Forse non avete gradito?” replicò traendolo a sé.
“No. Avrei preferito alzarmi insieme a voi”.
“Perché?”.
“Questioni personali, che per il momento tengo per me”.
“Averlo saputo, avrei detto di no, trovando una scusa. Siete in collera con me?” chiese contrita la ragazza.
“Con voi, no. Siete deliziosa e fragrante come una rosa. Ma con dama Giulia, sì. Ma non parliamo più di questa dama. Vorrei vedere la mia consorte, Madonna Isabella” domandò con tono addolcito.
“Sta ancora dormendo sotto l’effetto della tisana purificatrice. Di solito si svegliano a metà pomeriggio. Però se volete vederla riposare, vi accompagno. Così troverete la strada da solo più tardi”.
Giacomo si aspettava di uscire ma lei con un gesto rapido si tolse la veste, rimanendo nuda. Aveva un corpo giovane e splendido che ammirò prima di stringerla a sé. Era entrato con propositi bellicosi ma quella vista lo calmò. Madonna Isabella poteva continuare a riposare tranquilla.
“Alla fine la colpa è stata di Giulia che con una scusa si è intrufolata nel letto. Eleonora ha creduto di farle un favore” rifletté mentre sentiva pulsare il corpo della donna che premeva su di lui.
Da Isabella ci andarono più tardi. Dormiva serena nel buio di una stanza d’angolo, mentre una serva nell’ombra sedeva accanto alla porta. Un respiro regolare, un palpitare ritmico del petto indicavano che era rilassata e tranquilla.
“Quando accenna al risveglio, avvertitemi” disse Giacomo, uscendo in silenzio per tornare nella sua stanza.
Non gradiva incontrare altre persone, doveva riflettere sulla situazione. Quindi preferì isolarsi. Era seduto su una sedia di legno, osservando fuori dalla finestra il cielo azzurro appena toccato da qualche sbuffo di nuvola, quando udì un bussare discreto.
“Avanti” disse con voce stentorea.
“Non ci fate compagnia a tavola per il pranzo?” chiese Eleonora vestita di azzurro e bianco.
“No. Non ho fame. Aspetto che Madonna Isabella si svegli” rispose stancamente Giacomo. “Siete uno splendore” disse ammirandola.
“Allora faccio preparare questo tavolo e mangeremo qualcosa insieme. Desiderate qualcosa in particolare?”.
“Non ho fame. Va bene tutto, purché sia qualcosa di leggero”.
Pranzarono e si stesero sul letto a riposare nell’attesa del risveglio. Era metà pomeriggio, quando la serva bussò per annunciare che Isabella stava svegliandosi. Giacomo si affrettò a raggiungerla, mentre Eleonora preferì restare nell’ombra.
“Madonna Isabella” disse l’uomo tenendole una mano. “Come state?”
“Oh! Messer Giacomo!” rispose aprendo gli occhi. “Mi sento bene come mai prima d’ora. Riposata e rilassata. Evidentemente dopo il brindisi mi devo essere addormentata, perché ricordo solo di aver visto il buio. Però mi ha lasciato un gusto dolce in bocca. Dovete sapere che ho fatto un sogno bellissimo e nello stesso tempo singolare. Ve lo voglio raccontare. Sedetevi accanto a me”.
“Certamente. Ascoltare i sogni mi piace” replicò sistemandosi vicino.
“Dopo essermi addormentata, mi è parso di essere passata in un’altra dimensione. Non saprei descrivervi come e cosa. Però ero in un paese sconosciuto, accecato dal sole. Quattro uomini dalla pelle scura, come Alì ..”.
“Lasciate perdere Alì, il padre di Anna. Continuate il racconto” la interruppe bruscamente.
“Quattro uomini portavano sulle spalle una specie di sedia di vimini intrecciati, che non avevo mai visto. Io ero seduta lì. Dietro stavano un sacerdote che assomigliava al maestro di ieri sera e delle fanciulle che agitavano uno strano strumento e cantavano. Mi hanno messo su un’imbarcazione che non avevo mai visto. Questa scivolava leggera su un fiume. Non era il nostro Eridano, dalle acque grige tumultuose e venate dal verde dei pioppi. Era immenso, calmo e di un colore azzurro come il cielo. La barca filava veloce e ben presto siamo arrivati a un tempio, dove mi hanno fatto sedere su un altare bianco. Era ormai il tramonto e abbiamo aspettato che le stelle salissero alte nel cielo. Poi ..”.
“Poi?” incalzò Giacomo che voleva conoscere il seguito del racconto.
“Poi ho provato delle sensazioni piacevoli, Non saprei raccontarvele, perché erano solo impressioni. Percepivo benessere e piacere mentre l’aria fresca della notte accarezzava il mio corpo insinuandosi sotto la veste”.
“Tutto qui e nient’altro? ” le chiese, perché gli sembrava una narrazione incompleta.
“No. Ricordo solo questo. Però quella sensazione di piacevole benessere è ancora ben fissa nella mia mente. Mi sento leggera e appagata come se questo sogno ristoratore avesse rasserenato lo spirito. E’ stato un toccasana per la mia anima che mi ha fatto comprendere molto di voi. La vostra presenza al mio risveglio mi ha stimolata. Giacete insieme a me” concluse Isabella.
“Come volete, Madonna” le disse abbracciandola.
Mentre stavano uno accanto all’altra, osservando il soffitto nella penombra del tardo pomeriggio, Giacomo cominciò a parlare.
“Ora che siete riposata e appagata nello spirito e nel corpo, vestitevi perché si torna a casa”.
“Perché, Messere? Stiamo bene qui. Poi dama Eleonora ha detto che la festa continua ..” replicò sorpresa.
“La festa continuerà a casa nostra”.
“Non comprendo, perché dobbiamo lasciare questa casa prima che sia finita”.
“Non ammetto repliche. Preparatevi per tornare a casa” concluse con un tono che impediva una qualsiasi obiezione.