Il Borgo – Capitolo 9

..E lei fu lì. All’improvviso. Comparve dal nulla con il suo volto, il suo sorriso e quegli occhi che lui adorava. Non era la prima volta e non sarebbe stata nemmeno l’ultima ma ogni volta gli pareva che uscisse dal bianco della carta o che affiorasse come se infrangesse una leggera crosta di ghiaccio. Doveva solo inclinare la bacinella affinché il liquido portasse a termine il miracolo: come per magia dove prima non c’era nulla, adesso c’era qualcosa. Poi lei compariva e lo fissava. Era l’istante impalpabile tra il vuoto e il pieno che gli rimaneva appiccicato a dosso come il miele sulle mani..

Marco al rientro dall’ispezione di Castiglioncello decise di stampare le fotografie fatte quel giorno. Spense la luce nell’anticamera prima di entrare nella camera oscura. Una tenue luce rossastra illuminava debolmente la stanza. Sembrava uno di quei film di una volta, in bianco e nero, dove il protagonista sviluppava in un’atmosfera torbida e tremolante. Si muoveva con sicurezza adattandosi alla scarsa luminosità con naturalezza. Una fila di cartoncini gocciolanti erano appesi a un filo che attraversava la stanza.

Li ignorò mentre riempiva la bacinella col liquido di sviluppo. Aveva anche un’altra serie di negativi da stampare con un unico soggetto: lei, Eva, la donna dei suoi sogni. Infilò il rullo nell’ingranditore senza tentennamenti. Si fermò un attimo a respirare prima di procedere con la stampa. Verificò che tutto fosse in ordine: bacinella, carta, filtri, rullo.

Marco odiava le moderne macchine digitali, perché diceva che perdonano tutti gli errori. Anche se usava reflex digitali professionali sempre più spesso, era rimasto fedele alla vecchia Fuijca Az1, un reperto archeologico, con la quale si divertiva a fotografare oggetti particolari e soprattutto lei. Faceva sempre più fatica a trovare la pellicola giusta, specialmente quella in bianco e nero. Gli amici ridevano per le sue fissazioni. Però lui scuoteva la testa come per scacciare insetti fastidiosi. Per lui la fotografia era rimasta ai tempi di Frank Capa.

Faceva tutto da solo dallo sviluppo del negativo alla stampa delle fotografie che riteneva ottimali. Non poteva sopportare la stampa meccanica, quasi industriale che ormai tutti praticavano. Aveva comprato per questo scopo un’attrezzatura di seconda mano, dismessa da uno studio fotografico, che si era convertito alle moderne tecnologie. L’aveva pagata pochissimo, qualche centinaio di euro, ma era come se possedesse una Rolls Royce. Qualcosa di straordinario, di gran lusso dal valore inestimabile. Almeno questo era il suo pensiero.

Stampano anche l’aria” bofonchiò arrabbiato mentre lavava la pellicola dopo il procedimento di sviluppo, facendo attenzione che non rimanesse nemmeno una goccia di solvente.

Tra l’attrezzatura dello studio c’era anche una stampante fotografica professionale ma quella la usava solo per il digitale, per le foto che gli commissionavano i clienti. Per quelle personali ricorreva all’attrezzatura manuale e alla preistorica AZ1.

Non c’è il minimo pathos. Tutto meccanizzato con il prodotto finale inscatolato nella busta col solito CD delle miniature e delle foto in formato jpeg” brontolava da solo mentre curava la pellicola appena sviluppata..

Odiava quel mondo asettico e privo di anima, dove contava solo la velocità e la quantità di materiale trattato. Lui voleva trattare i singoli fotogrammi uno per uno, soppesandone le qualità. La fotografia doveva essere un’opera d’arte da lasciare in eredità a chi sarebbe venuto dopo di lui.

Anche se usava la macchina digitale, poneva la medesima cura di quelle tradizionali nel trattamento finale. Scartava quelle che secondo il suo gusto erano imperfette, le ritagliava eliminando i particolari superflui e ritoccava quelle piccole imperfezioni che un occhio non esperto non riconosceva.

Per questa attenzione maniacale al minimo dettaglio e alla perfezione era molto ricercato e le commesse non mancavano nella sua agenda.

Appese la pellicola al filo e col phon la seccò con cura e delicatezza come se stesse asciugando i capelli dell’amata. Eva aveva una morbida cascata rossa, ondulata come il mare sotto la spinta di una leggera brezza. Marco si fermò un istante pensando a lei. Poi riprese a passare il getto caldo con attenzione, affinché non vi rimanesse una stilla di umidità.

Gli riempiva la mente con il suo sorriso, il suo corpo morbido e minuto, con quella chioma vaporosa e intrigante. Però erano soprattutto gli occhi, quelli che lo ammaliavano di più.

Con questi pensieri si avvicinò all’ingranditore, mettendo un nuovo fotogramma tra l’obiettivo e la luce. Si concentrò sulla messa a fuoco, anche se l’immagine della donna continuava a galleggiare eterea e impalpabile dinnanzi agli occhi.

Dopo aver armeggiato cautamente e pazientemente con l’obiettivo, coi filtri, si sentiva pronto a stampare la prima foto. Era ancora una volta il viso di Eva, colto mentre faceva una dei suoi sorrisi mozzafiato.

Un flashback apparve all’improvviso nell’osservare quel viso.

Era una domenica, qualche settimana prima per la precisione. Loro si trovavano nella pineta di ritorno dall’escursione domenicale al mare. Era una giornata ventosa che mitigava la calura di luglio. Un tipico giorno popolato dal quel turismo mordi e fuggi che ormai era diventato una costante in tempo di crisi. Mentre le ombre giocavano a rimpiattino con suo viso, Marco puntò l’inseparabile reflex verso di lei.

Oh! No!” esclamò spalancando gli occhi in quel momento in ombra.

Oh! Ancora una! Non ti stanchi mai?”

No.” replicò dopo una serie di scatti in rapida sequenza.

L’abbronzatura dorata del corpo veniva valorizzata dal pareo azzurro che l’avvolgeva come un fascio di rose.

Eva si strinse a lui, facendogli sentire il profumo del suo corpo: un misto di crema solare e odore pungente, come muschio acidulo, che emanava sensualità. Marco inalò quell’effluvio di aromi che lo eccitarono. Si sarebbe fermato in quel tratto di pineta per fare all’amore con lei incurante delle persone che stavano intorno a loro ma proseguì.

Marco scacciò questi pensieri per concentrarsi sulla stampa della fotografia. Il timer suonò e spense la luce, mentre lui afferrò il cartoncino bianco e si avvicinò alla bacinella per lo sviluppo.

Ricominciava la magia del non c’era e del c’era.

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42 risposte a “Il Borgo – Capitolo 9”

  1. Lo so che parte di questo capitolo l’avete già letto tempo fa. Però quando ho cominciato a pensare a questo racconto e ai personaggi che l’avrebbero popolato, ho inserito Marco, il fotografo controcorrente, pensando proprio a quel post opportunamente modificato e adattato al contesto del racconto.

  2. In una fotografia c’è il ricordo di un attimo che non tornerà mai più e un pezzo di cuore di chi l’ha scattata cercando invano di fermare il tempo. Buona serata e un abbraccio

  3. Bellissima questa miscela di emozioni intrecciate fra due passioni: quella per la cura della sua arte fotografica, nei gesti attenti e premurosi durante la creazione dell’ opera d’arte (ogni volta il fremito è come la prima volta) e quella evocata nella trepidazione e nell’attesa della rivelazione del volto amato.
    Complimenti per il pathos
    Pan

  4. Caro Gian Paolo hai fatto bene a integrare il racconto sul fotografo, calza a pennello… penso che a tutti, leggendo il capitolo, sia successo di vedere affiorare dal nulla ricordi personali, fermati in una vecchia foto, che le parole, come per magia, riescono a rianimare…
    un abbraccio

    1. Ti ringrazio Maria per le belle parole nei miei confronti. Rivedendo vecchie fotografie ma anche recenti ho percepito mille sensazioni piacoivoli e tanti ricordi.
      Un abbraccio

  5. Sensualità e intrigo la fanno da padrona, in questo episodio in cui gli effluvi rievocano ricordi e si mescolano con le immagini…un caro saluto

  6. Un buon fotografo è colui che scatta con gli occhi dell’anima
    Marco, con la sua amabile sensibilità, appartiene a questa tipologia
    Grazie, ho gradito molto questo spaccato su Marco
    Un abbraccio
    Mistral

  7. Questo fotografo “m’intriga”, nel senso che lo trovo letterariamente un bel personaggio. Fior di scrittori hanno usato l’espediente dell’interazione o dell’allargamento. Bello e stimolante il tuo sperimentare. .
    Abbraccio notturno.
    grazia

  8. I really like this, I was like Marco did not like digital cameras but had to embrace them, like the detail of your writing here so much information and that last line says so much.

  9. ░░░░░░░░░░░░░░╯░░░░╯░
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  10. con scioltezza e maestria hai descritto i pensieri di Marco, indaffarato nello sviluppo fotografico, e i suoi ragionamenti si sono susseguiti, legati l’uno all’altro dai ricordi, nella serenità del momento. Hai colto in pieno un momento di vita vera. Perfetto!

  11. C’é tutto. Assolutamente. L’immagine di una fotografia, che poco a poco si sta perdendo, rischiando di diventare proprio come il Borgo e il Borgo stesso, richiamato con un sussurro. Luogo carico di memorie, di vite e di immagini.
    Non perfette, asettiche, clonabili in un brutto infinito.
    La fotografia come quella di Marco, che permette imperfezioni, anche di memoria per rendere tutto più vero e soprattutto che permette di recuperare la memoria, attraverso una luce, un odore, un profumo.
    A questo punto, questo capitolo diventa indispensabile.

    1. Ho cercato di ricostruire le sensazioni che si provavno nel fotografare vecchia maniera e nello stampare con acidi e solventi.
      Dai commenti mi pare di aver centrato l’obeittivo.

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