Una sera a teatro – parte 2 di 2

Iréne si sedette immobile sulla sedia, mentre in lontananza udiva quel suono melodioso che accompagnava i suoi pensieri. Quei lontani giorni adesso sembravano vicini come se fosse ieri. Quel ragazzo gentile, più vecchio di lei di qualche anno, era diventato un uomo, affascinante e gentile. «Se mi vedessero tutte quelle odiose filistee, pronte solo a pettegolare, e quello sciocco di mio marito, smorto come un cencio slavato, capirebbero quanto ero felice a Parigi in quella casa sempre allegra e piena di gente sincera e rumorosa». Era venuto finalmente il tempo di parlare a cuore aperto con qualcuno che stimava e amava. Voleva sentire la sua opinione, cosa avrebbe potuto dirle sulla sua condizione. La musica, che debolmente arrivava alle sue orecchie, accompagnava in sottofondo i suoi pensieri mentre rigida sedeva in quella stanzetta scarsamente illuminata e disadorna.
Avvertì l’aprirsi della porta e lo vide entrare pallido e sudato, ancora fremente per l’impegno nel suonare il fortepiano.
“Jacques” disse accogliendolo. Ma lui la scostò con gentilezza. “Lasciami asciugare il sudore e poi sono da te”.
Dopo qualche attimo le prese le mani e gliele baciò. “Quanti anni sono passati dall’ultima volta che ti ho vista?” le chiese fissandola negli occhi.
“Troppi” fu la sola risposta che seppe dare.
“Sei veramente una donna adorabile e meravigliosa. Ma raccontami di te” le chiese tenendole sempre la mani con forza.
“Oh, no. Ci vorrebbe troppo tempo e non ne abbiamo a sufficienza” rispose dispiaciuta.
“Allora mi racconterai mentre di accompagno a casa oppure c’è qualcuno che ti aspetta?”
“No, sono sola. Parleremo di noi durante il tragitto” disse.
“Bene. Il tempo di raccogliere le mie cose, salutare qualcuno e poi sono pronto” disse mentre metteva in una borsa qualche oggetto, appoggiato su un tavolino d’angolo.
Uscirono e le disse di attenderlo un attimo. Sparì inghiottito da una porta che nella semioscurità del corridoio si materializzò per dissolversi di nuovo.
Iréne rimase nell’ombra, osservando gli ultimi spettatori che rumorosamente si avviavano verso il portone di uscita. Aveva le guance che avvampavano di calore e per la grande agitazione interiore, mentre la testa le girava per la forte emozione della vista di Jacques.
“Eccomi” disse ricomparendo vicino a lei. “Possiamo andare”.
La prese sotto il braccio mentre scendevano lo scalone appena illuminato da poche lampade, mentre le ombre dei quadri continuavano a scrutarli, disapprovandola..
“Devo chiamare un taxi?” le chiese premuroso, stringendola con calore.
“No. Possiamo fare quattro passi a piedi. La mia casa non dista molto da qui. E poi avrei l’auto poco distante parcheggiata in quella grande piazza laggiù” e indicò col capo un lontano chiarore sullo sfondo di una via diritta innanzi a loro.
L’uomo gettò uno sguardo distratto verso quel punto che non gli diceva nulla e riprese a parlare.
“Dunque raccontami tutto. Come stai? Cosa fai?”.
“Oh, Jacques! Non sai quanto ho sofferto. Mi hanno torturata, imponendomi il loro stile di vita. Non potevo sfuggire alla loro persecuzione. Non potevo scappare, perché ero senza un soldo, nemmeno per affrancare una lettera e chiedere aiuto. Mi hanno costretta a riprendere gli studi, a prendere lezioni di bon ton, a stare in società. Un mondo frivolo e senz’anima, pronto solo a bruciare sul rogo della vanità chi osava starsene ai margini o chi era dissenziente. Avrei voluto fuggire .. Ma dove?”
Iréne fece una pausa per consentire all’uomo di dire qualcosa.
“E’ terribile quello che mi dici. Una condizione orribile”. Tacque per invogliarla a proseguire.
“Ero senza amici, senza nessun col quale confidarmi. Mi sentivo sola. Avrei voluto morire. Bon Dieu, tu poi non immagini cosa dicevano di Alberto, che era il diavolo, anzi il capo di tutti i diavoli dell’universo. Non potevo difendere mio padre, perché secondo loro ero stata la vittima sacrificale di un uomo senza testa e senza ritegno. Riesci a concepire mio padre come se fosse un arcidiavolo? Tu l’hai conosciuto ..”.
“Sì, lo ricordo bene. Un gran uomo pieno di amore disinteressato verso gli altri” e fece un sorriso, mentre la stringeva con maggior vigore.
Erano ancora sotto i portici del Collegio, quando le pose una domanda.
“Ci fermiamo da qualche parte, così possiamo continuare la nostra chiacchierata al caldo?”
“No. Se non hai fretta possiamo fermarci nella dependance della mia villa. E’ l’unica cosa che possiedo. E’ tutta mia e là mi rifugio per ritrovare me stessa”.
Camminarono spediti lungo il viale, mentre lei le raccontava altri particolari della sua vita.
“Dopo qualche anno al termine degli studi il conte Cittadini chiese la mano a mio zio Matteo, che fu ben felice di rispondere sì. Così finii sposa di quest’uomo grigio e monotono. Ero diventata la sua prigioniera senza possibilità di fuga. Sono sposata da cinque anni ma mi sembrano cinque secoli”.
“Mon Dieu!” esclamò Jacques. “Hai avuto un’esistenza travagliata, a quanto pare”.
“Sì” rispose scostandosi da lui. “Siamo arrivati” e prese una chiave per aprire il cancello.
Si avviarono per un viottolo oscuro verso una costruzione bassa e buia, contornata da piante e cespugli che apparivano come neri custodi della costruzione.
Sentiva scorrere il sangue nelle vene come mai gli era capitato negli ultimi anni dopo tanto grigiore della vita matrimoniale. Era felice e spaventata allo stesso istante. Era rapita dall’uomo che stava al suo fianco ma ne percepiva anche la pericolosità. «Cosa ci vado a fare nella dependance?» si chiedeva tra trepidazione e ansia. Eppure era un ritorno al passato, a quel passato che non aveva mai smesso di sognare neanche quando faceva all’amore con Antonio, suo marito. Le serviva per sopportare quell’atto che compiva senza amore e senza stimolo solo per adempiere a un dovere, perché così le avevano insegnato.
«Ma è veramente un dovere oppure una costrizione?» rifletteva mentre in silenzio si avvicinava alla porta d’ingresso. Sapeva che stava varcando le colonne di Ercole e avventurarsi in un mare ignoto come gli antichi navigatori. Però avvertiva la necessità di condividere con qualcuno che aveva amato il contenuto di quello che stava dentro. Fremeva sia per l’impazienza di passare quell’uscio sia per il terrore di quello che sarebbe successo.
«Sei ancora in tempo, Iréne. Puoi fermarti lì e ringraziarlo per la compagnia. Ma lo vuoi proprio mandare via?” e si coricò per prendere la chiave dalla fioriera accanto alla porta.
Entrarono e accese le luci, che illuminò una camera nemmeno troppo grande.
“Ecco questo è il mio regno che nessuno prima di te ha mai violato” disse mostrando con un ampio gesto della mano la stanza dinnanzi a loro. “Ecco qui i miei tesori, i miei ricordi”.
Le pareti erano ricoperte coi quadri del padre, su un mobile basso campeggiava una sanguigna dove era ritratto Jacques al piano. Ovunque c’erano ricordi di Parigi, del padre, degli amici del padre e i suoi personali.
“Ti piace” chiese trepidante, perché sentiva pulsare dentro di sé l’emozione e la gioia dell’amore, come una quindicenne in preda a una crisi ormonale.
Lui si guardò in giro, poi osservò la donna. Si tolse il cappotto e la sciarpa che gettò in un angolo, mentre lei tremava per un amore selvaggio come se fosse il primo della sua vita. Percepiva che doveva donarsi, che la doveva possedere ma non osava fare il primo passo. Rimase ferma e muta in mezzo alla stanza con il mantello ancora in dosso.
“Vieni” le disse avvicinandosi. “Ti aiuto a togliere ..”.
“No!” gridò in un sussulto di vergogna ma non si mosse e lo lasciò fare.
“No! Non toccarmi! Non toccarmi!” ripeté più di una volta ma senza opporre resistenza si abbandonò voluttuosa fra le sue braccia.
Era quasi mezzanotte quando rossa in viso, accaldata e coi vestiti in disordine fece l’ingresso nella villa.
Si avviò verso la scala per raggiungere la sua stanza.
“Sei tornata?” chiese Antonio, uscendo dal salotto del pianoterra. La scrutò, la guardò con attenzione e tenendo un libro in mano le domandò della serata.
“Com’è andata?”
“Ottima musica” rispose preparandosi a salire per sfuggire all’occhio del marito.
“Sei spettinata” incalzò seguendola.
“C’era vento mentre rincasavo”.
“Ma la macchina ..”.
“L’ho lasciata al parcheggio. Desideravo fare due passi. La serata è fredda ma il cielo è limpido. Buona notte, caro” aggiunse, mentre con passo deciso salì i gradini che portavano alla zona notte.
Arrivata nella sua stanza si tolse i vestiti con calma, annusandoli per sentire ancora l’odore di Jacques.
“Ti ho ritrovato, Jacques! Non mi sfuggirai di nuovo! Domani ti rivedrò e fuggirò con te!” disse mentre si spazzolava i capelli prima di coricarsi.
Jacques ritornò all’hotel dove alloggiava, ritirandosi nella sua stanza.
Prima di coricarsi, annotò sul diario, come sua abitudine per leggerlo poi insieme a Yvette.
«Cara Yvette, non immaginerai mai chi ho incontrato al concerto? Iréne. Sì, proprio lei! Ti ricordi? La figlia di Albert. E’ diventata una donna affascinante, moglie di un rispettabile cittadino dell’alta borghesia e per di più un nobile. Dicono che sia molto ricco il marito. Ormai non è più una di noi con suo modo di fare civettuolo e aristocratico. Non la riconosceresti più, tanto è cambiata nel modo di porgersi. Pensa che crede di riaccendere quei fuochi ormai spenti da tempo con la credenza tutta femminile di farlo ricordando il passato. Ce qui est passé est bien passé. Che noia! Non riuscirebbe a eccitare più nessuno di noi. E’ veramente banale e deprimente. Spero che non capiti pure a te una così totale metamorfosi. Sarebbe deludente. Ha parlato male del marito dicendo che è tedioso. Sì, proprio così. Noioso e monotono, tanto che ho pensato al quel modo di dire che usiamo noi. “E’ talmente grigio che non lo sopporterebbe nemmeno la sua ombra”. Domani mattina dovrò evitarla mentre faccio l’ultima passeggiata per la piazza principale e poi volo da te tra le tue braccia, mon Chérie. Non vedo il momento di stringerti a me.
Adieu, à demain!
Bisou, mon Chérie»
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Il Borgo – Capitolo 5

Finite le fotografie e dopo aver camminato per Castel del Rio come gitanti della domenica col naso all’insù, ripresero il loro viaggio verso la meta che non doveva distare ormai troppi chilometri.

Arrivati nel paese di Moraduccio, persero il cartello con l’indicazione Castiglioncello, superando le quattro case della frazione.

Eppure le spiegazioni del tragitto parlavano chiare” sbottò Laura, innervosita dal contrattempo. Non amava sbagliare strada né chiedere le informazioni a qualcuno. Si fidava troppo della sua memoria, del suo senso di orientamento e di osservazione anche durante la guida ma stavolta aveva le polveri bagnate.

Non fa nulla” disse Eva, mettendole una mano sulla spalla per tranquillizzarla. “Torniamo indietro e chiediamo. Nessuno ci mangerà”.

La ragazza borbottò qualcosa di poco intellegibile e al primo spazio utile fece una bella manovra a U, tornando in paese che pareva disabitato.

Che sia questo il borgo fantasma?” chiosò Marco, cercando una battuta che rompesse il clima teso. “Non si vede anima viva!”

Non sono in vena di spiritosaggini sarcastiche” rispose acida una Laura piuttosto infastidita.

Una cappa di gelo divenne ancora più tangibile nell’abitacolo come se l’inverno fosse piombato lì con grande anticipo.

Giacomo fece un sorriso e rompendo il silenzio disse di fermarsi in quello spazio tra le due case. “Proprio quello di fianco a quell’abitazione bassa e dalle persiane rosse”, indicandola con il dito della mano.

Scendo e busso a una porta per avere qualche informazione, Non mi pare che non ci sia nessuno”. Aveva appena pronunciato quelle parole che un vecchio con la pipa spenta in bocca uscì da una porticina con una sedia di legno impagliata, mettendosi a osservare le manovre dei ragazzi.

Buongiorno!” disse Giacomo avvicinandosi sorridente. “Abbiamo perso l’indicazione per Castiglioncello. Non saprebbe dirmi dove la trovo?”

Il vecchio accennò col capo verso destra senza proferire parola. Il ragazzo guardò in quella direzione e come per magia comparve il segnale turistico per il borgo fantasma. Stava per ringraziarlo, quando un voce flebile gli domandò perché volevano andare là.

Abbiamo letto che è un borgo fantasma, abitato solo dal vento e dagli spiriti” rispose garbatamente Giacomo. “Grazie per l’indicazione”.

Fate attenzione. Ogni tanto crolla qualcosa” replicò asciutto, masticando il beccuccio della pipa.

Grazie per l’avvertenza. Faremo molta attenzione a che non ci piova qualcosa in testa” rispose educatamente salutandolo con un cenno della mano.

Si avviò sereno e fischiettante verso l’auto facendo ampi gesti per segnalare il cartello affisso sulla parete della casa.

Visto. Tutto risolto” affermò il ragazzo risalendo in macchina. “Ci potevamo passare davanti mille volte ma sarebbe stato un fantasma anche quel segnale. Ci voleva la presenza e la saggezza di quel vecchio per farlo materializzare”.

A questa battuta tutti risero allegri mentre i musi lunghi lasciarono il posto a visi sorridenti.

«Simpatico, Giacomo!» pensò Eva, osservandolo con curiosità. «Se non fosse stato per lui, questa gita spensierata si sarebbe trasformata in una lagna di tutti contro tutti. Però Laura è un bel peperino. Non ammette sconfitte. Sempre sicura di sé anche quando ha torto. Non si può dire che sia una perdente».

Marco strinse le labbra e storse il naso. «Se questo è il leitmotiv dell’avventura, non promette bene» ragionò lucido.

Pace, Marco?” disse inaspettatamente Laura con fare umile. “Ho sbagliato a reagire così bruscamente prima. Mi ero innervosita e ce l’avevo con me stessa. Però ho risposto con parole inappropriate alla tua battuta che aveva l’intenzione di sdrammatizzare l’atmosfera. Spero che accetti le mie scuse”

Okay. Episodio già dimenticato” replicò con tono neutro il ragazzo, non del tutto convinto del ramoscello di ulivo offerto dalla ragazza.

Infilato il viottolo stretto ma asfaltato, scesero fino a uno spiazzo sul greto del Santerno, dove era possibile lasciare la Panda. Un minuscolo ponticello permetteva l’accesso alla carrareccia, che portava al borgo, che si intravedeva malinconico su un poggetto tra le chiome degli alberi.

Dobbiamo lasciare l’auto qui e proseguire a piedi” disse Laura, spegnendo il motore. I quattro ragazzi si guardarono intorno inspirando l’aria frizzante del posto, che stimolava pace e serenità.

Che bella cascatella!” esclamò Eva indicando il rivolo d’acqua che scendeva da una spaccatura della montagna poco più a valle rispetto loro.

E’ la cascata del Rio dei Briganti” confermò Laura.

E’ zona di briganti, questa?” chiese Giacomo con un misto di ironia e curiosità.

Non lo so ma lo presumo. Questa è un’area di confine. A ogni passo cambiamo regione dalla Romagna alla Toscana e viceversa. Un tempo, dicono le cronache, era un posto conteso e strategicamente importante, perché da qui passavano le merci dall’Adriatico al Tirreno” proseguì la ragazza, mentre i compagni l’ascoltavano in silenzio.

Il rumore delle acque, che gorgogliavano tra la petraia del fiume, il ronzio degli insetti che avvertivano ancora il tepore dell’estate, il volare di farfalle bianche e colorate conferivano al posto un qualcosa di magica tranquillità.

Scarichiamo la macchina. Ci aspetta un viottolo ripido prima di arrivare alla meta della nostra gita” sollecitò Laura, che non stava più nella pelle di vedere coi propri occhi le rovine del paese.

In silenzio ognuno prese con sé quanto era necessario per la giornata.

La grande avventura aveva inizio.

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Una sera a teatro -parte 1 di 2

Iréne, avvolta nella cappa bordata di pelliccia, saliva lentamente lo scalone di ardesia del Collegio San Carlo nella zona centrale della città. Alzò la vista verso i quadri disposti lungo le pareti, che arcigni parevano seguirla con gli occhi. Si strinse ancor di più nel mantello come per proteggersi da un nemico invisibile. Continuò a salire cercando di distogliere lo sguardo e non pensare a loro.
Aveva deciso di partecipare a questa serata di musica classica per un motivo molto particolare ma l’aveva relegato in fondo all’anima per non pensarci troppo. Non era sua abitudine a partecipare a questi eventi, ma stasera faceva un’eccezione.
Con un sottile senso di inquietudine percorse il corridoio silenzioso che portava nel vestibolo del piccolo teatro collocato all’interno di questo Collegio secolare. Si udivano solo il ticchettio dei suoi tacchi e nulla più. Avvertiva un senso di pace passare tra questi muri che avevano visto numerose generazioni di studenti impegnati ad apprendere il sapere ma nel contempo percepiva che aveva sbagliato a venire. Erano sensazioni contrastanti che non riusciva a conciliare ma le provocavano un senso di angoscia ed euforia allo stesso tempo.
Si avvicinò al tavolo per pagare il biglietto d’ingresso e prendere il programma della serata, che scorse velocemente senza molto interesse. Non amava molto la musica classica in particolare quella strumentale ma aveva deciso di ascoltare questo concerto particolare.
Si guardò intorno alla ricerca di visi amici ma erano tutte facce sconosciute. Comprese di essere nel posto sbagliato: lei vestita in maniera ricercata, loro in jeans e maglione senza nemmeno abbinare troppo i colori. Li udiva parlare ad alta voce come se profanassero il luogo, che invitava al raccoglimento e al silenzio. Stava già meditando di andarsene, quando vide l’amica, la signora Massone, che più che amica era una conoscente un po’ pettegola e invadente. Nonostante questi pensieri tirò un sospiro di sollievo per non sentirsi sola.
Le due donne si mossero all’unisono una verso l’altra per salutarsi.
“Buona sera, contessa Cittadini” disse allegra porgendole la mano.
“Buona sera, signora Massone. Anche lei qui ad ascoltare questa serata di buona musica?”
“Sì. Ma la vedo sola. Il signor conte non è venuto? Non apprezza i virtuosi del pianoforte?” domandò un po’ maligna la donna.
Iréne stette in silenzio per qualche attimo per soppesare le parole della risposta.
“Sì. Mio marito ha preferito rimanersene al calduccio accanto al camino, piuttosto che affrontare il freddo della sera”.
Un lieve sorriso increspò il viso della signora Massone. “Saggia decisione. E’ più prudente di noi donne, che abbiamo privilegiato la voglia di evasione al caldo della casa”.
“Ops ..” aggiunse voltandosi verso chi le stava alle spalle. “Che poco elegante sono stata con lei. Non le ho presentata la mia amica. La contessa Iréne Cittadini” e poi facendosi di lato continuò. “Questa è la mia carissima compagna di uscite serale. La signora Boschetti”.
Uno scambio incrociato di mani e un qualche borbottio che assomigliava a un «piacere» concluse le presentazioni, prima che calasse un silenzio imbarazzato.
“Se non vi dispiace prendo posto in sala” disse Iréne allontanandosi dalle due donne per sedersi nelle ultime file, vicino all’ingresso e porre fine all’imbarazzo di una conversazione mai sbocciata.
La signora Massone osservò l’amica che prendeva posto e, prendendo sotto braccio la signora Boschetti, la guidò verso le prime file.
“Vede” cominciò sottovoce. “La contessa ha una bella e interessante storia dietro di sé. Lei è la figlia di Alberto Pierotti, il fratello minore di Matteo Pierotti, quel ricco uomo d’affari, che sicuramente conosce”.
Un lieve cenno del capo avvalorò le ultime parole, mentre la donna riprese il racconto.
“Alberto era uno scapestrato. Amava girare tra le osterie a bere e ubriacarsi come tanti poveracci e appena poteva scappava a Bologna al Caffè San Pietro, dove si radunavano pittori e scrittori. Lui ambiva a diventare pittore e non ne voleva sapere di studi o mettere la testa a posto. Nel 1939 aveva solo vent’anni con la guerra imminente e dietro l’angolo, quando scappò a Parigi, nascondendosi tra i pittori della rive guache a Montparnasse. Lì scollinò la guerra e l’occupazione tedesca”.
“Ma non era imprudente starsene all’estero in un paese non proprio amico?” chiese la signora Boschetti.
“Ha ragione, Ivana. Ma al ragazzo mancava il senso pratico e la prudenza del fratello. Era un autentico buono a nulla, che amava vivere di espedienti piuttosto che fare una vita normale”.
Un sorriso comparve sui loro volti, che giudicavano questi atteggiamenti come disdicevoli. La signora Massone riprese la narrazione dopo una breve pausa.
“Poi negli anni tumultuosi del dopoguerra conobbe una donna senza censo e anonima, che sposò in gran segreto. La famiglia di origine non seppe nulla finché non nacque Iréne, la signora che le ho presentato stasera”.
Fece una piccola sosta nel parlare, osservando se la signora Boschetti la seguiva nei suoi discorsi.
“Prosegua, Paola. Non conoscevo questi dettagli sui signori Pierotti e sulla contessa”.
“Come le ho detto Alberto era uno scapestrato senza testa e senza talento. Viveva di espedienti e piccoli lavori, facendo debiti a profusione. Sembra che la madre di Iréne sia morta qualche mese dopo la nascita della ragazza. Ma qualcuno vocifera che sia fuggita con un uomo ricco e importante. Tralasciando questi miseri pettegolezzi, la ragazza fu cresciuta in qualche modo dal padre e dai suoi amici in un ambiente malsano e privo di scrupoli o moralità, finché a vent’anni anche Alberto morì lasciandola sola. Lo zio Matteo, di animo generoso, l’accolse nella sua villa, appena fuori la città, e le consentì di completare gli studi. Le diede un futuro meno ambiguo e grigio del padre trasformando una ragazza senza cultura ed educazione in una una splendida fanciulla ammirata da tutti. Dicono che abbia acquisito la bellezza dalla madre, che nessuno ha mai potuto ammirare”.
Fece una piccola pausa voltandosi leggermente verso le ultime file della sala per osservare Iréne, che compunta teneva in grembo la mantella.
“Lo è ancora adesso una stupenda donna nel fiore della maturità, a dire il vero. Ma andiamo avanti col racconto. Molti corteggiatori si fecero avanti ma alla fine la spuntò il conte Cittadini, che la sposò. Non hanno ancora figli ma pare che sia una coppia affiatata” concluse la signora Massone.
“Senza dubbio una storia interessante che non conoscevo, Paola. Ma ora ..” e non riuscì a concludere il pensiero perché il pianista aveva fatto il suo ingresso, accompagnato da un caloroso applauso del pubblico presente. L’artista fece un inchino verso di loro e in un italiano approssimativo si presentò.
Iréne lo vide e cercò di nascondersi, mentre occultava il nervosismo serrando le mani sulla mantella. Alle prime note dello strumento una forte ondata di emozioni l’assalì salendo verso il volto per poi scendere verso il basso. Osservò con attenzione Jacques Saint Just, i capelli ancora lucidi e scuri, la mani diafane e affusolate, che scivolavano leggere a sfiorare i tasti del fortepiano.
La musica settecentesca di Haydn e di Muzio Clementi riempì la sala che ascoltò in silenzio i virtuosismi del pianista fino all’intervallo. Un lungo ed entusiastico applauso accolse la fine della prima parte del programma.
Iréne si alzò e uscì prima che Jacques Saint Just salutasse il pubblico e si ritirasse nel camerino.
“Dov’è il camerino dell’artista” chiese la donna all’addetto del ingresso.
“Nel corridoio la seconda porta” rispose indicando con la mano il percorso. Si avviò con passo deciso verso il punto dove l’uscio si confondeva con la parete. Era in preda all’agitazione per l’emozione, che l’aveva turbata a quella visione, facendola piombare in anni lontani. Bussò con discrezione e attese che qualcuno si facesse vivo.
“Desidera?” chiese una donna facendo capolino dalla porta appena socchiusa.
“Devo vede Monsieur Saint Just” disse con un filo di voce.
“Non è possibile. Deve aspettare la fine del concerto” replicò accennando a richiuderla.
“Ho un appuntamento con lui” rispose in maniera convincente.
“Aspetti” e sparì.
Dopo qualche istante ricomparve e le fece cenno di seguirla.
La contessa sentiva crescere dentro di sé un mix esplosivo di gioia e angoscia che lottavano tra loro. La decisione di vedere il pianista era stata emotiva, irrazionale ma adesso pareva pentita della decisione. Non poteva più tornare indietro. Entrò in una stanzetta disadorna e lo vide.
“Jacques!” disse allargando le braccia per abbracciarlo.
“Iréne! Che bella sorpresa! Non sapevo che tu fossi qui”.
L’artista si alzò dalla sedia, stringendola forte a sé.
“Lasciati ammirare!” soggiunse, osservandola. “Sei ancor più bella di quella che ricordavo. Allora eravate una fanciulla acerba, ora siete una donna meravigliosa piena di charme e nel fiore della vita”.
Le labbra si unirono in un bacio caldo e passionale. Poi si staccarono per scrutarsi a vicenda. Erano visibilmente commossi per essersi ritrovati dopo tanti anni.
Le girò intorno, stentando di riconoscere quella fanciulla alla quale aveva insegnato i primi rudimenti di musica nella Parigi scapestrata e bohemien del dopoguerra. Lei lasciò cadere una lacrima, ricordando quegli anni felici trascorsi col padre e tutti quegli artisti che l’avevano allevata e coccolata come se fossero tanti padri e tante madri.
“Oh!” furono le sole parole che le uscirono. Avvertiva la necessità di ascoltare quella voce calda e di essere tenuta stretta da quelle mani affusolate da pianista. “Oh, Jacques!”
“Sst!” e le mise un dito sulla bocca. “Tenez” le disse allungandole una sedia. “Aspettami qui fino al termine del concerto. Nessuno verrà a disturbarti”. E uscì per riprendere a suonare.
Nel mentre la signora Massone la cercava con lo sguardo senza vederla.
“Iréne se ne è andata” confidò all’amica. “Evidentemente quel pianista francese non era di suoi gradimento”.
“Io l’ho trovato fantastico nel suonare quel antico pianoforte dal timbro forte e deciso” rispose aggrottandole sopracciglia. Non comprendeva le motivazioni per le quali era venuta, se poi non aveva apprezzato la musica.
“Rientriamo. Tra qualche istante il concerto riprende”.
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Il Borgo – Capitolo 4

Era il 5 settembre del 2009, quando Laura scese in strada per aspettare i compagni di questo viaggio visionario e fantastico. Era eccitata, come la prima volta che aveva affrontato da sola un tour in Germania, e nel contempo intimorita e impaurita per la complessità del progetto che desiderava avviare.

La giornata prometteva bene. Un bel sole caldo riscaldava l’aria, appeso in un cielo terso e limpido privo di nuvole. Aveva trepidato leggendo le previsioni meteorologiche di Arpa dell’Emilia Romagna nei giorni precedenti. «Oggi annunciano sole pieno e tempo sereno con temperature intorno ai 20°» diceva dentro di sé per esorcizzare il timore che avessero sbagliato le stime. «Non sarebbe la prima volta e neppure l’ultima» rifletteva mentre si lisciava i capelli per il nervosismo.

Era raccolta in queste riflessioni, quando osservò una vecchia Punto che accostava timidamente al marciapiede qualche metro dopo di lei. Non aveva mai visto i loro visi come loro non avevano avuto la possibilità di vedere una sua fotografia. Quindi era un incontro al buio e tutte le cautele erano d’obbligo per non incappare in malintesi antipatici.

“Forse è Giacomo” pensò rimanendo immobile dov’era.

Dall’auto scese un ragazzo non molto alto coi capelli scuri tagliati corti ma non troppo. Una leggera peluria biondo rossiccia incorniciava il viso ma era lo sguardo franco e accattivante che la colpì. Si mossero quasi all’unisono andandosi incontro.

“Laura?” chiese un po’ incerto.

“Giacomo?” rispose la ragazza, allungando la mano.

“Felice di conoscerti” replicò, stringendola con vigoria senza stritolarla.

Una risata ruppe l’incantesimo del momento, sciogliendo quel leggero velo di incertezza che li aveva colti.

“Manca solo Eva”. Tacque una frazione di secondo prima di riprendere a parlare. “Hai qualcosa da caricare sulla mia Panda 4X4?”

“Si” disse, aprendo il baule della Punto per estrarre uno zaino della Invicta gonfio e pesante.

Erano intenti nel trasbordo, quando videro una Polo grigia che avanzava verso di loro con lentezza come se stesse cercando qualcuno. Laura notò che era una coppia di ragazzi, un uomo e una donna, e non li associò a Eva. «Dovrebbe arrivare una ragazza e non una coppia. Forse stanno cercando qualcun altro che non sono io» rifletté, osservando l’auto con la coda dell’occhio, mentre manovrava per accostare al marciapiede. Parcheggiò dinnanzi alla macchina di Giacomo, perfettamente allineata al cordolo.

“Forse hanno necessità di informazioni” si disse controllando le mosse degli occupanti.

Un ragazzo e una ragazza si mossero verso di loro. La giovane non era molto alta e aveva un bel sorriso luminoso. A Laura piacque immediatamente. Il giovane era alto e biondo dal viso serio e leggermente annoiato. Però si faceva notare per il modo franco di camminare. Sicuro di sé e per nulla altezzoso.

“Ciao. Sono Eva” esordì la ragazza. “Laura?”

“Ciao” rispose. “Benvenuta in questa compagnia di visionari amanti della natura”.

Osservò il ragazzo con attenzione domandandosi se era un semplice accompagnatore oppure era un aggregato inatteso e dell’ultima ora.

“Questo è ..” disse Eva girandosi verso il compagno che stava alle sue spalle. “Questo è Marco, il mio ragazzo. Se non è d’impiccio, ci farà compagnia in questa escursione”.

“Ciao” rispose Laura, che quasi si stava dimenticando di Giacomo. “Certamente è il benvenuto tra noi”. Poi come colta da un’improvvisa folgorazione aggiunse ridendo per coprire l’imbarazzo. “Non vi ho presentato Giacomo, l’altro componente della spedizione”.

Una serie di «Ciao» e un intreccio di mani misero fine alle presentazioni.

“Ho strappato Marco dal suo antro, la camera oscura. Lui ama la fotografia ed è un valente fotografo. Credo che le sue magie ci possano essere utili oggi ma anche domani se il progetto prende forma” disse Eva per giustificare la presenza del compagno.

“Meraviglioso” esclamò Laura battendo le mani come una bambina felice di aver ricevuto un regalo inatteso.

“Calma, calma. Eva mi spaccia per un Frank Capa in miniatura ma sono molto meno abile. Un modesto dilettante al quale piace inquadrare degli oggetti e delle persone” replicò senza troppi trionfalismi.

“Non dategli ascolto. Marco è bravissimo. Vedrete e toccherete con mano la sua abilità con gli obiettivi”.

“Bene. Che ne dite di avviarci?” chiese Laura. “Avete qualcosa da scaricare, prima di metterci in viaggio?”

Marco si avviò col suo passo deciso e svelto verso il baule della Polo, da dove tolse uno zaino, una sacca e delle borse tipiche del fotografo.

Il viaggio stava iniziando sotto i migliori auspici. Lasciata Bologna avevano deciso di percorrere la via Emilia per godersi un viaggio meno monotono rispetto all’autostrada.

“Facciamo una sosta da Dino” disse Laura, dirigendosi verso Castelguelfo.

“Chi sarebbe?” chiese Eva.

“Un bar pasticceria dove possiamo fare un’ottima colazione e portare con noi un bel dolce della casa”.

“Ma lo conosci?” chiese curioso Giacomo.

“No. Cercando sul web qualche notizia ho trovato sul sito Itinerari di Bologna che andando verso Castiglioncello c’è questa ottima pasticceria”.

“Ma allora ci usi come cavie?” proseguì per nulla convinto Giacomo. A questa battuta tutti risero, perché era stata detta con un tono talmente serio e compunto che non era possibile resistere.

“Ma no! Ne ho sentito parlare. Un tempo era famosa. Cosa costa fermarci?” disse cercando di togliere i dubbi.

“Ma perché parli al passato?” continuò imperterrito l’ingegnere. Ormai il dialogo pareva surreale: da una parte Laura che tentava di fugare le perplessità senza riuscirci, dall’altro Giacomo che incalzava con nuove domande senza essere persuaso dalle spiegazioni.

“Ma sei sempre così diffidente?” chiese Eva.

“No, non sono diffidente” si difese il ragazzo. “Mi piace capire quello che si fa e ..”

“Spaccare il capello in quattro” sbottò Marco.

“No, no!” disse Laura. “Sei un ingegnere tosto e quadrato. Fai benissimo a chiedere”. Non voleva dare l’impressione che tutti remassero contro di lui.

“Beh! Insomma .. Manca molto per arrivare da Dino. Almeno il caffè lo fa?” replicò arrossendo un po’.

“Credo di sì. La pubblicità parlava di pasticceria bar. Non siamo molto distanti. Ancora qualche minuto di strada”.

“Sembri pratica delle strade ..” notò Giacomo.

“Eh! Beh! Sì” farfugliò Laura. “Non hai mai sentito parlare del outlet di Castelguelfo?”

“No. Mai” esclamò divertito il ragazzo. “E roba da donne ..” aggiunse calando di nuovo la maschera della persona seria.

“Ci passiamo di fianco. E’ ancora presto ma tra poco le strade saranno intasate di macchine”.

L’atmosfera nell’abitacolo s’era riscaldata con battute e frecciate ma si respirava un bel clima.

Fatta la sosta da Dino, ripresero la via Emilia fino a Imola, dove presero la provinciale la Montanara che avrebbe condotto verso la meta del viaggio.

Era passato da poco più di un’ora dalla partenza, quando raggiunsero Castel del Rio, prima di affrontare l’ultimo tratto del viaggio verso il borgo fantasma. Si fermarono in paese per una rapida visita, perché avevano letto che meritava una piccola sosta, prima di proseguire per Moraduccio, quattro case immerse nel verde dei primi contrafforti dell’Appenino tosco-emiliano al confine con la Toscana.

Marco estrasse una reflex per scattare diverse istantanee degli angoli più caratteristici del paese. L’occasione permise a Laura di osservare meglio la coppia, che le pareva ben assortita e affiatata. Lui di sicuro non aveva il sorriso contagioso, perché era sempre serio ma mai col broncio. Dalla battuta pronta e incisiva non perdeva l’occasione per far sentire la sua voce. Alla ragazza fece un’ottima impressione e avvertì una certa invidia nei confronti di Eva, solare e sorridente. Se il ragazzo appariva introverso, lei era di certo estroversa. L’impressione era che fossero complementari e mai antagonisti. Mentre osservava il ragazzo, concentrato nello scegliere l’inquadratura più vicina ai suoi gusti di fotografo, la ragazza chiacchierava fittamente con Giacomo, come se fosse disinteressata a Marco.

Laura rifletté che era solo apparenza, perché con discrezione seguiva l’armeggiare del compagno, pronta a portargli la borsa, qualora se ne presentasse la necessità.

“Si” convenne dopo queste osservazioni. “Sicuramente è una coppia ben affiatata. Nessuno dei due sta col fiato sul collo dell’altro”.

Mentre faceva queste considerazioni, la sua attenzione cadde su Giacomo, che era rimasto defilato dopo il duetto per la sosta da Dino.

“L’ho trascurato” pensò la ragazza. “Dopo il primo contatto ho scambiato con lui solo quattro battute per lo più banali e scontate”.

Non era riuscita ancora a inquadrarlo perfettamente. Le sembrava tetragono agli entusiasmi suoi e di Eva ma forse era solo una sensazione passeggera.

Mentre Laura era impegnata a valutare e riflettere sui compagni di viaggio, Giacomo analizzava Laura, Eva e Marco.

Gli era sembrato che Laura prestasse troppo interesse a Marco, che per contro pareva poco interessato a lei. Però era simpatica e piena di idee. «Un piccolo vulcano in perenne eruzione» era il concetto che si era fatto. Senza dubbio aveva un certo fascino che colpiva la sua immaginazione. “Alta nella media. E’ leggermente più bassa di me. Se mettesse i tacchi mi sovrasterebbe” rifletteva, osservandola con rapidità mentre chiacchierava con Eva. “Però sono quegli occhi mobili e luminosi il punto di forza del suo aspetto. Quel grigio per nulla slavato, appena venato di un azzurro pallido mi hanno colpito fino dal primo istante”.

Un altro aspetto aveva accesso il suo interesse: la capacità di parlare con proprietà su argomenti diversi tra loro.

Fino quel momento non era pentito di aver accettato questa avventura quasi irrealizzabile. “Sono tutti veramente simpatici. Ascoltarli è un vero spasso”.

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Andando in treno – parte 2

Rimasi scioccato e senza parole. Quell’uomo dai capelli bianchi e dal viso affilato come una lama mi guardò prima torvo poi addolcì l’espressione.

Ma lei dovrebbe avere almeno ottant’anni per essere Paolo Morieri” dissi riacquistando l’uso della parola.

Infatti” replicò visibilmente scocciato dalla mia incredulità e diffidenza. “Ho ottantatre anni. E poi confronti la fotografia che sta a pagina ..” e cominciò a sfogliare il libro, finché non trovò quello che cercava.

Guardi” e mi mise sotto il naso una fotografia di un ragazzo giovane dai capelli scuri e con un pizzetto alla Italo Balbo.

Convenni che il taglio degli occhi e la forma del naso sembravano le copie conformi di quelle che vedevo accanto a me.

Ora sono smagrito, coi capelli candidi e senza pizzetto ma sono io nel resto dei dettagli”.

Già” ammisi laconicamente ma ancora non potevo credergli che la persona accanto a me fosse il protagonista del romanzo che teneva in mano.

Mi dica” proseguii con tono dubbioso, “chi è per lei l’autore? Come ha potuto scrivere una simile storia?”

Un raro sorriso illuminò quel viso leggermente rugoso, mentre la ragazza della battaglia navale si era girata verso di noi ascoltando con attenzione la nostra conversazione.

Michi, vuoi la rivincita?” udì dalla voce del ragazzo che non si era accorto dell’interesse della compagna alle nostre parole.

Sss! Non disturbarmi” replicò con un sussurro appena accennato.

Chi è?” domandò ad alta voce, facendo girare quasi tutti i viaggiatori del vagone. “Chi è? Lo sapessi!” Urlò come un tuono in piena notte.

E secondo lei come ha potuto scrivere questo romanzo?” gli chiesi con un tono più moderato.

Lo sapessi!” ribadì questa volta meno irritato.

Non riuscivo a comprendere come Arduini, l’autore, fosse collegato con questa persona, che era molto più vecchia di lui e che difficilmente l’avrebbe conosciuto.

Dunque mentre stavamo conversando in maniera quasi sincopata, gli domandai di raccontarmi la sua storia.

Guardi” cominciò sospirando. “Guardi, la mia vita è come un reality” e cominciò con un racconto al limite dell’incredibile.

Mio padre era ricco, molto ricco. Possedeva una banca che portava il suo nome. Una banca piccola con un solo sportello e degli uffici discreti e ovattati ubicati nel centro di Milano. Da qui passava tutto il gotha dei gerarchi milanesi e tanti altri personaggi che amavano l’anonimato per trasferire le proprie ricchezze in Svizzera. Allora ero ancora all’università ma entrai lo stesso a lavorare presso mio padre. Specialmente ora che la guerra si avvicinava. Mio padre riuscì con abilità a convincere il federale di Milano, una persona influente, a certificare che la mia presenza in città era vitale, così che evitai l’arruolamento e quel tritacarne che era guerra”.

Prese un fazzoletto per asciugarsi le labbra prima di riprendere a parlare.

Era il dicembre del 1942. Il giorno non lo ricordo ma l’immagine è viva nella mia memoria. Dunque quel giorno un certo Michele Scialopoti, che conoscevo vagamente, venne da me per chiedermi un prestito di mille lire. Era una cifra enorme a quei tempi ma io disponevo di un conto personale a sei cifre, frutto delle donazioni di mio padre e mio nonno. Mi implorò a tal punto che cedetti il denaro in cambio di un pagherò che sarebbe scaduto un anno dopo. Nella notte tra il 7 e 8 agosto del 1943 Milano subì un furioso bombardamento. Io nella fuga durante la notte, al buio perché la città era oscurata, caddi e persi i sensi. Quando mi risvegliai, mi trovai in uno stanzone con decine di altre persone del tutto sconosciute. Non capivo nulla e nonostante i miei tentativi di mettermi in contatto con mio padre finì su un treno con altri deportati. Colto da febbre altissima durante il viaggio persi conoscenza e poi non ricordo più nulla”.

Era il racconto più fantastico che avessi mai ascoltato. Cercai di dissimulare la mia incredulità e gli posi altre domande, alle quale rispose in maniera ancora più incredibile.

Di solito i romanzi sono opere di fantasia e non riproducono la realtà. Oppure sono in difetto?” mi domandò a bruciapelo.

No” risposi. “Di norma gli editori li chiamano non-fiction, perché si collocano a metà strada tra la fantasia e la realtà. Però questo è stato catalogato come fiction, ovvero opera di pura fantasia ..”.

Paolo Morieri alle mie parole aprì il testo a caso e lanciò un urlo, udito distintamente da tutti i compagni di viaggio.

Vede” disse indicando una pagina. “Mi dice che oggi è «martedì», il martedì dell’aldilà, dove io annuso dei fiori. Non sente il profumo di lavanda?”

Mi avvicinai e provai ad annusare. Sentivo solo l’odore della stampa fresca e null’altro. Non dissi nulla. Non volevo innescare un altro contenzioso, anche se lui continuava a elencare fiori e odori, che non percepivo per nulla.

E qui” aggiunse indicando una fotografia. “Sono nudo che ballo con una fanciulla discinta! Ma io non so ballare e quella giovane donna non la conosco!”

Si calmi” gli dissi cercando di tranquillizzarlo.

Sarebbe tranquillo lei, se mio padre o qualche conoscente lo leggesse?”

Certamente” replicai poco convinto.

Io no! Ballare nudo con una donna che non si conosce non mi pare un modo educato di comparire in un libro ..”

Però quella pagina è davvero seducente..” provai a contraddirlo.

Sarà ma c’è da vergognarsi. Come potrò tornare in ufficio nella banca di mio padre senza essere oggetto del dileggio dei colleghi?”

Indubbiamente aveva ragione ma non potevo ammetterlo. Quindi preferì glissare sull’argomento.

Stavo per replicare, quando una voce femminile un po’ gracchiante uscì dagli altoparlanti del vagone.

«Milano. Stiamo entrando nella stazione Centrale di Milano. Trenitalia ringrazia i signori passeggeri. ..».

Mi distrassi un attimo.

Signor Morieri viene con me a Vigevano dall’autore del libro?” ma allibito non vidi nulla accanto a me. Solo il libro aperto sulla pagina con la sua fotografia.

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Leggo questo post, che trovo magnifico, di una cara blogger, appassionata come me di Leopardi, scrittore, poeta e grande filosofo.
Spero che possiate giustarlo anche chi passando da me, lo leggerà.

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Il Borgo – Capitolo 3

Esaminò con cura l’elenco di località che attualmente erano abitate da fantasmi e un tempo da persone, per restringere il cerchio su un posto che fosse vicino a Bologna e interessante per farlo rivivere.

La scelta cade su Castiglioncello che distava da Bologna appena cinquanta chilometri. Se faceva una ricerca col nome compariva solo una celebre località turistica della costa toscana, mentre il borgo fantasma rimaneva tale.

Trovò qualche indicazione su come arrivarci, qualche descrizione sparsa in qua e in là con diverse fotografie. Era veramente poco per cominciare un’avventura della quale non conosceva né i dettagli né come sarebbe finita. Però non si scoraggiò. Non era facile dissuaderla una volta che aveva in mente un obiettivo.

La sua idea era pazzesca: rimettere in sesto un borgo e poi abitarlo.

“Con quali soldi?” si domandò con un filo di incoscienza. “Non lavoro e non produco reddito ma vivo alle spalle dei miei genitori. Studio ancora con una prospettiva futura incerta. Mi chiedo se riuscirò a dare corpo a questo sogno”.

Naturalmente erano solo riflessioni inutili, perché aveva ormai deciso di ridare vita a questo borgo popolato da ruderi ed erbacce.

Parlarne coi genitori non ci pensava per nulla, almeno in questa fase. Sarebbe stato troppo prematuro. E poi avrebbero mosso mille obiezioni, tutte giuste e pertinenti, nel tentativo vano di farla ragionare.

“Da dove comincio?” si pose come primo quesito. “Una visita al borgo può starci. Anzi è una tappa obbligata per rendermi conto della grandezza dell’impresa”. Era un puro eufemismo, perché il progetto era talmente complesso che il solo pensarci faceva venire il mal di testa. “Un paio d’ore di macchina per raggiungere la località. Poi osserverò di persona lo stato di abbandono del borgo e le condizioni dei ruderi”.

Doveva coinvolgere qualcuno in questo primo approccio, perché quattro occhi vedono meglio di due, mentre due teste ragionano meglio di una.

“Chi potrà essere?” si chiese come secondo quesito, mentre sognante già immaginava di essere la castellana del borgo. “Chi? Nessuna amica ha mai approvato questa mia mania di cercare località sconosciute e misteriose. Amici? Ne ho ben pochi ..”. Un largo sorriso le illuminò il viso, perché era terribilmente single. Quei pochi ragazzi che avevano tentato di abbordarla erano stati messi in fuga dal suo carattere ribelle e scontroso, dalle sue idee e passioni. Tempo di conoscerla solo appena un poco e poi «Rimaniamo buoni amici» dicevano prima di defilarsi elegantemente e sparire dal radar di Laura. Le rare amiche la sopportavano di più, perché era l’unica sempre disponibile senza essere mai troppo invadente.

Eppure era una bella ragazza dai capelli mossi color castano che incorniciavano un viso regolare. Non aveva uno charme prorompente ma attirava gli sguardi degli uomini. Il tallone d’Achille era il carattere tutto pepe, un trottolino mai fermo dalla battuta pronta e tagliente. Non era facile domarla, perché amava la propria indipendenza, forte di un carattere deciso e per nulla accondiscendente.

Era agosto, anzi verso la fine del mese, quando pensò di dar vita al progetto.

“Se voglio organizzare qualcosa devo darmi da fare. Settembre è un mese ideale per uscire all’aria aperta ma le giornate sono corte e le probabilità di temporali in montagna sono elevate. Quindi devo sbrigarmi prima che poi sia troppo tardi”.

Rifletté e decise che Facebook sarebbe stato il veicolo ideale per trovare qualche compagno di viaggio o meglio qualche pazzo come lei.

«Cerco un compagno o compagna, che ami l’avventura per un progetto pazzesco nella vicinanze di Bologna» era l’annuncio sulla sua pagina del social network, che frequentava in maniera saltuaria.

“Mi do tempo una settimana per trovare qualcuno, poi vado da sola” si disse dopo aver scritto questo tra gli eventi. “Però dovrei mandarlo in giro. Ma a chi? Gli amici si contano sulle dita di una mano. Le visite ancora meno. Devo cominciare a esplorare gli amici dei pochi amici che ho e allargare il giro”.

Si dedicò con passione e puntiglio alle visite dopo aver stretto nuove amicizie., creando un certo movimento. Scrisse qualche riflessione intelligente, qualche battuta tra l’ironico e il sornione, finché racimolò due contatti. Le parvero interessanti: una ragazza di Modena e un ragazzo di Ferrara. Entrambi avevano più o meno la sua età tra i ventidue e ventiquattro anni.

La ragazza, Eva, studiava architettura a Ferrara, era incuriosita dal progetto e mostrava segni di vivo interesse. Sarebbe stata un’ottima occasione per applicare quello che stava studiando e avrebbe potuto essere un buon argomento di tesi.

Il ragazzo, Giacomo, amava viaggiare, le avventure anche pericolose ed era attratto da tutto quello che era fuori dell’ordinario. Si era appena laureato in Ingegneria. Si concedeva questa avventura come premio del traguardo raggiunto.

Si diedero appuntamento al primo sabato di settembre sotto casa di Laura, nel quartiere Mazzini, alle nove del mattino.

Cominciava la grande impresa tra allegria e sole caldo.

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Annie Valentine Cook – sono nata il giorno di San Valentino (parte finale)

Era una splendida bambina coi capelli scuri e la carnagione leggermente ambrata come se si fosse dorata al sole. Quel colore metteva in risalto il viso delicato e due grandi occhi azzurri, alquanto singolari nel complesso di quella figura acerba. Quando il primo giorno della Primary School si presentò al cancello del college, la suora guardò male prima lei poi la madre e storse il naso.
Non si accettano bambine di colore. Avete sbagliato ingresso. Più avanti c’è la scuola pubblica” disse con tono acido sbarrando il passo.
Patricia la fulminò e senza aprire bocca avanzò trascinando Annie Valentine per guadagnare il grande portone.
Dove credete di andare?” proseguì aspra e dura.
Nel St. Therese’s College. Ora fattevi da parte, perché devo entrare” rispose fiammeggiante la donna. “Se non vi sbrigate, domani andrete a spazzare i corridoi”.
L’alterco, che stava radunando una piccola folla di curiosi, non sfuggì alle attenzioni di Madre Marie, la superiora, che accorse immediatamente.
Annie Valentine era frastornata, perché non comprendeva tutto quel trambusto. Avrebbe fatto volentieri a meno di andare a scuola ma la madre le aveva spiegato che era un posto dove avrebbe conosciuto altre bambine e imparato a leggere e a scrivere. Però il primo impatto non era quello che le avevano descritto i genitori. Suore altezzose, bambine che arricciavano il naso vedendola.
Che sta succedendo?” chiese Madre Marie, osservando prima la consorella poi la donna di colore.
Nulla” rispose calma Patricia. “Questa suora” e la indicò col capo “mi ha sbarrato l’accesso senza motivo, impedendomi di accompagnare Annie Valentine Cook, mia figlia, di entrare regolarmente a scuola, alla quale è iscritta”.
Il nome le suscitò un ricordo e un lampo nella mente. Era la figlia di un commodoro della Royal Navy, che a Plymouth era conosciuto e stimato, soprattutto adesso che infuriava la guerra e con l’Inghilterra sotto attacco, un personaggio importante da trattare con tutti i riguardi.
La prego di scusare sorella Agnes, che non l’ha riconosciuta. E’ un onore avere nel nostro college la figlia del commodoro Cook” disse mettendosi da parte e fulminando con un occhiataccia la suora guardiana, per nulla convinta del proprio errore.
Non fu l’unico episodio sgradevole che Annie Valentine conservava nella mente di quei lunghi sette anni trascorsi in questa scuola esclusiva e altezzosa tra angherie e piccoli soprusi che dovette subire da suore e campagne.
Con immenso sollievo salutò tutti nell’agosto del 1947 quando per l’ultima volta varcò quel cancello che le erano apparse come le sbarre di una prigione dorata. Adesso era una splendida ragazzina di tredici anni dal seno acerbo e dalle movenze feline e suscitava l’ammirazione dei coetanei e le invidie delle altre ragazze magre e dal viso deturpato dall’acne giovanile.
La rigida educazione religiosa del college lasciarono un’impronta indelebile nel suo carattere ingenuo e aperto. Mostrava una fiducia nel suo prossimo spontanea e sincera, senza ravvisare malizie o fraintendimenti. Questa semplicità nel carattere la rendeva vittima di sottili tranelli, nei quali cadeva quasi senza accorgersene.
Quando nel dicembre dello stesso anno salpò coi genitori per fare ritorno nell’isola di Antigua, la sua spensierata innocenza fu oggetto di molte attenzioni da parte di uomini che avrebbero desiderato possederla. Sembrava più matura della sua età, come se fosse una ragazza di qualche anno più vecchia. Sarebbe caduta nella rete di queste persone se i genitori non l’avessero tenuta continuamente sotto controllo.
A diciotto anni era diventata una splendida fanciulla corteggiata da moltissimi uomini. Era un fiore da cogliere ma non era ancora arrivato il momento di recidere il gambo. Lei era ancora indecisa a chi donarsi per prima, non vedeva inganni nelle loro attenzioni ma un sottile gioco di corteggiamento.
Le suore mi hanno insegnato di mantenermi pura fino al giorno del matrimonio” si diceva mentre sdraiata sulla sabbia bianca della spiaggia di Deep Bay si dorava al sole di giugno. “Mi domando per quale motivo dovrei conservarmi casta. Sento un forte richiamo verso gli uomini. Loro mi ronzano attorno fastidiosi come calabroni. Ma tutto questo mi eccita e mi stimola eroticamente”.
Era luglio 1955, quando seduta sul molo del porto di St. John’s vide sbarcare da una nave da crociera un ragazzone biondo, alto come una guglia della cattedrale. Rimase affascinata, lo seguì con lo sguardo finché non sparì tra la calca della folla. Stanca e annoiata riprese la strada di casa, mentre il sole picchiava duro. Non pensava più a quel ragazzo, quando all’improvviso lo incrociò su High St. Ebbe un tuffo al cuore, si fermò per osservarlo con cura mentre camminava spedito con una piccola valigia verde.
Dove sarà diretto?” si chiese, sperando che le chiedesse qualche informazione.
Come se un sottile filo avesse guidato i pensieri dell’uomo, lui si fermò alla ricerca di qualcuno. La vide ferma sul marciapiede e si avvicinò.
Mi scusi” cominciò posando la valigia per terra. “Saprebbe indicarmi dove si trova Green Bay Hotel? Mi hanno dato le indicazioni ma credo di essermi smarrito”.
Annie Valentine non rispose immediatamente come se fosse stata colpita da un’improvvisa afasia, poi si riscosse sfoderando un sorriso luminoso, mostrando una dentatura perfetta e candida.
Se vuole, l’accompagno. Le spiegazioni sarebbero complicate”.
Grazie volentieri” rispose, riprendendo la valigia in mano.
Così iniziò quell’avventura con John, un gallese galante ma rude e infingardo, che le fece conoscere i segreti del sesso. Annie Valentine si sentì attratta da lui a prima vista e perse ogni senso delle proporzioni. Non riuscì a distinguere le bugie, anche evidenti, che raccontava dalle verità che non volle mai accettare. Il loro rapporto fu tumultuoso nonostante l’opposizione netta di Patricia, che aveva intuito la vera natura del gallese.
Lascialo” le disse un giorno di settembre sua madre. “Ti sta nascondendo la verità su di lui e la sua famiglia. E’ un bugiardo nato. Ci evita come la peste, perché sa che smaschereremo le sue presunte verità in un batter d’occhio”.
Pat” disse la ragazza, che chiamava sempre sua madre col nick. “Lo amo e lui ama me. Mi ha chiesto di sposarlo. Se fosse per lui anche domani”.
Bene” rispose sorridente come se la gatta che era in lei avesse avvistato il topolino col quale giocare prima di ucciderlo. “Invitalo domani sera a pranzo. Io e tuo padre saremo lieti di accoglierlo come futuro genero”.
Annie Valentine riferì a John quello che aveva detto sua madre.
Alle otto di domani sera. Sarai puntuale?” gli domandò premurosa.
Puntualissimo. Sarà un vero piacere incontrare i tuoi genitori” replicò sorridente e gentile.
Il giorno dopo era sparito. Si era volatilizzato. Nessuno sapeva dov’era, nemmeno gli amici più fidati. Qualcuno affermò d’averlo visto sul traghetto notturno verso la Giamaica, altri imbarcarsi su una nave diretta verso il continente. John non si fece più vivo, lasciando Annie Valentine nel dolore più atroce con il cuore spezzato. Pianse per lunghi giorni, nonostante Patricia tentasse di consolarla e farle intuire che tutto sommato le era andata bene, perché quel gallese era un farabutto.
Lei era troppo sincera, troppo passionale per non cadere nei tranelli dei corteggiatori. A volte era persino ingenua nel non credere alle evidenze dei fatti.
Un giorno, aveva circa trent’anni, incontrò un uomo che definì «incredibilmente bello» e se ne innamorò perdutamente tanto che non si accorse nemmeno che era sposato con una donna gelosa e possessiva.
Stava salendo al primo piano per raggiungere il monolocale dove viveva da single, quando Susie, la moglie, l’affrontò decisamente.
Siete una puttana!” le urlò in faccia sulla prima rampa, afferrandola per i capelli. “Lasciate stare il mio Paul!”
E perché mai dovrei?” chiese ingenuamente Annie Valentine.
E’ mio marito ..”
Tuo marito? Forse avete sbagliato Paul.. Quello che frequento è libero come un uccello ..” affermò cercando di liberarsi dalla presa della donna, che la teneva inchiodata al corrimano.
Sì, come un uccello in gabbia. E la gabbia dorata sono io” replicò ironicamente.
Lasciatemi!” urlò avendo il viso contratto da smorfie di dolore.
Certo!” e la scaraventò giù dalle scale. “E questo è nulla se vi vedo ronzare ancora attorno a Paul”.
L’atterraggio non fu morbido ma nemmeno disastroso, perché era finita su rotoli di corda che le lasciarono solo dei lividi per qualche giorno.
L’uomo, conteso dall’amante e dalla moglie, le telefonò una settimana più tardi.
Mi spiace” cominciò senza troppi tentennamenti come se non dovesse confessare nulla. “Susie, l’avrai conosciuta, è troppo gelosa ed è capace di tagliarti la gola e di evirarmi, se ti frequento ancora”.
Così per l’ennesima volta fu lasciata.
Annie Valentine sull’amaca, mentre osservava nel crepuscolo della sera il mare appena increspato da spume bianche, si domandava perché arrivata a quarant’anni non era ancora riuscita a trovare un compagno stabile ma solo tanti effimeri fantasmi che comparivano e sparivano senza lasciare tracce.
Io dono tutta me stessa ma loro mi portano via ogni volta brandelli della mia anima senza chiedermi il permesso. Ormai ne è rimasta solo qualche piccola briciola. Non riesco nemmeno più a piangere, perché le ho esaurite tutte. Vorrei un uomo che mi rispettasse e donasse un pizzico d’amore sincero ma non lo trovo. L’unico era ..”.
Vide una figura che lentamente camminava sulla battigia, illuminata dal sole morente. Questa si fermò e facendosi schermo la mano, la osservava dalla spiaggia come se fosse incerto se proseguire nella camminata o dirigersi verso il cottage di Annie Valentine.
Lei smise di dondolarsi e aspettò ansiosa.
Prese una decisione e si avviò deciso.
Ciao, Annie” disse.
Ciao, Jack” rispose.
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Potete scaricare l'ebook di Goethe e la felicità nascosta

Avrei voluto lasciare i quadri della Kauffmann ma sembra che diano noia nella pubblicazione su smashwords del racconto Goethe e la felicità nascosta, così li ho tolti. Ma pare che ci siano altri dettagli da sistemare, come le note e alcuni paragrafi, che diano fastidi. In effetti l’epub è abbastanza impaginato bene, il mobi molto meno.
Con un po’ di pazienza sistemerò anche questi.
Chi volesse leggerlo senza impazzire sul mio blog lo può scaricare da https://www.smashwords.com/books/view/272974 in download gratuito, perché era così anche l’originale su Lulu.
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