Il Borgo – Capitolo 31

Emma stava cucendo dei bottoni di una camicia in sala sul divano accanto a Ernesto, che come di consueto era profondamente immerso nella lettura del quotidiano sportivo.

Chissà com’è Mattia” esordì all’improvviso, rompendo il silenzio della sera.

Chi?” disse alzando gli occhi al di sopra del giornale.

Mattia. Il nuovo amico del cuore di Laura” affermò dolcemente la donna.

Ma non si chiamava Giovanni?” replicò l’uomo, riabbassando gli occhi sull’articolo che stava leggendo.

No, Ernesto. Si chiamava Giacomo”.

Volevo ben dire Giacomo. Perché non è più il fidanzato della Laura?” domandò leggermente stupito e un po’ innervosito dalle continue interruzioni di Emma.

Non era il fidanzato, Ernesto. Solo un amico” rispose paziente la donna. “Poi ora non è più come ai nostri tempi. Ti ricordi quando sei venuto per la prima volta a casa mia per conoscere i miei genitori?”

Qualche grugnito superò la barriera del giornale prima che l’uomo chiudesse il foglio e lo deponesse sul tavolino di fronte.

Ma questo … Ma … Mi … insomma questo benedetto ragazzo chi è?” domandò sorpreso. “Ma quanti ne cambia? Io ti ho preso senza tante storie. Ci siamo fidanzati ufficialmente e poi sposati. Certo che ricordo quel giorno. Se non fossi venuto …”. Fece una sospensione nel discorso, perché stava aggiungendo «magari non fossi venuto! Sarebbe stato meglio!» ma poi continuò senza esternare il pensiero. “Se non fossi venuto, i tuoi genitori, anzi tua madre, che è sempre stata un’impicciona …”.

Ma no! La mamma voleva solo conoscerti e chiederti se avevi intenzioni serie!”

Ma che dici, Emma! Tua madre è come tutte le suocere. Voleva ficcare il naso dappertutto! Non andava bene niente. Come vestivo, come parlavo! E se non l’avessi cacciata da questa casa, avrebbe imperversato anche qui! Altro che curiosa!”

La moglie capì che si stava innervosendo parlando della madre ed era più prudente tornare al discorso iniziale molto più neutro e senza punti pericolosi.

Mi piacerebbe conoscere Mattia. Ma Laura difficilmente ce lo presenterà. Tu non sei curioso?”

Ernesto si grattò in testa, passò la mano sul viso e poi rispose.

Conoscere Mario …”.

Si chiama Mattia” lo corresse la moglie con pazienza.

Uffa Marco o Mario, che differenza fa! E’ pur sempre il fidanzato della Laura” rispose visibilmente inquieto. “No, no! Non ci tengo a conoscerlo! Tanto ne cambia uno al giorno come se fossero dei vestiti! Alla fine conoscerei tutti i ragazzi della città! E poi ricordo come stavo male quel giorno! Seduto sul sofà che pareva foderato di carboni ardenti. Non vedevo l’ora di scappare … invece ero lì, inchiodato sul letto del fachiro, a rispondere all’interrogatorio di tua madre, quel cerbero vestito da angioletto. Ma il tuo povero papà come faceva a sopportarla? Io l’avrei mandata a quel paese trenta secondi .. anzi non l’avrei nemmeno sposata!”

In primo luogo Mattia non è il fidanzato. Adesso il ragazzo si chiama amico …”

Allora Giuseppe è l’altro fidanzato?” la interruppe Ernesto che ricordava quanto detto pochi istanti prima dalla moglie.

Ma no! Giacomo era solo un amico …”.

Mi hai appena detto che non si chiama più fidanzato ma amico. Ma quanti fidanzati ha la Laura?” sbottò innervosito perché pareva che si divertisse a confonderlo.

Emma si allungò baciandolo.

Sei sempre il solito, Ernesto! Per questo ti ho sposato e non ti cambierei con nessun altro” esclamò la donna prima di aggiungere qualcosa che ebbe l’effetto di un sasso nello stagno. “Però non vorrei conoscerlo solo il giorno prima del matrimonio …”.

Perché la Laura si sposa senza dire nulla?” domandò sospettoso.

Ma cosa hai capito?” gli domandò sorpresa.

Quello che hai appena detto che Marcello lo conoscerai solo fra qualche giorno alla vigilia del matrimonio …” replicò con tono stizzoso.

Ma no. Non si sposa nostra figlia, ammesso che usi ancora sposarsi. Adesso si convive. Torna pure a leggere Stadio. Non ti disturbo più con le mie chiacchiere” concluse Emma con un sospiro, perché aveva notato che la conversazione stava prendendo un piega che non le piaceva.

Rifletteva che con Ernesto non si poteva fare un discorso serio, perché lui, sempre immerso nella lettura del quotidiano sportivo, si confondeva, non ricordava i nomi, storpiandoli. Convenne che non era il caso di chiedere il suo parere su Mattia, perché non avrebbe compreso che si trattava di chiacchiere in libertà. Sospirò e riprese ad attaccare i bottoni.

Allora non capisco quello che dici …” concluse, riprendendo il giornale piegato sul tavolino.

Borbottò qualcosa e pensò che con Emma non si poteva parlare di nulla, perché era sempre vaga e timorosa nell’esprimere i pensieri. Gli sembravano messaggi confusi e criptici quelli che faceva sull’unica figlia. «Meno male che ne abbiamo solo una» rifletté rilassato, prima di tornare a leggere le ultime notizie del Bologna.

Mentre i genitori discutevano su di lei, Laura stava andando all’appuntamento con Mattia in centro.

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Short stories – 2154

Questa settimana presento un short stories messa su 20lines dove solo l’incipit non è mio. Diversamente dal solito la pubblico integralmente. Una storia al futuribile ma forse non troppo.
 
Giunse un’epoca in cui le disparità della nostra specie si acuirono nonostante tutte le lotte, tutte le ribellioni, tutte le conquiste dei secoli precedenti per abolirle. Giunse un’epoca in cui il mondo ripiombò nel caos, nel disordine e nella miseria e il 10% della popolazione si rifugiò su stazioni spaziali lussuose e paradisiache, nuovi ed autentici mondi lontani dal nostro, divenuto inabitabile e sovrappopolato. Il governo del pianeta stabilì nuove leggi sull’immigrazione cercando di fermare la fuga di molte persone che continuamente tentavano di arrivare su queste stazioni spaziali, per preservare il lusso e il benessere per i pochi privilegiati, senza guerre, senza povertà, senza malattie… (by Re Edoardo I)
 
“Dobbiamo imbarcarci per Minosse” disse Anna, una formosa donna al suo amante.
“Come” rispose spaventato.
“Non importa come, ma tu ci devi riuscire” replicò spazientita.
L’uomo si strinse nelle spalle, perché sapeva che era più facile passare dalla cruna di un ago che i varchi dell’astrostazione di Megalopoli, l’unica abilitata a voli interplanetari. Anna se ne era andato sculettando sotto gli occhi cupidi di diversi uomini dagli occhi arrossati per il continuo bere di sarkipede, una bevanda estratta dalle alghe del mare e che producevano effetti allucinogeni. Matt scosse la testa e pensò che uno di queste volte quegli uomini che bivaccavano giorno e notte sui marciapiedi e le panchine del Central Park se la sarebbero fatta lì incuranti delle persone che passavano. Lo sapeva ed era ben conscio che nessuno avrebbe mosso un dito. Quando finalmente la sagoma dai capelli rossi della sua amante scomparve all’orizzonte, si mosse per tornare a casa.
Era appena entrato, quando il videotelefono galattico prese a vibrare dicendo: «Per Matt Demon c’è una chiamata entrante. Il chiamante non vuole dichiarare la sua identità. Cosa faccio? Apro la comunicazione oppure la respingo?». “Chi sarà mai la persona che vuol mantenere l’anonimato?” si chiese gettando la giacca sul divano ad acqua. Il videotelefono continuava imperterrito la sua litania. Matt incuriosito da tanta insistenza gli comandò «Apri la comunicazione e metti il vivavoce con registrazione della chiamata». “Matt Demon apre in vivavoce con registrazione. Parlate” (by orsobianco9)
 
“Caro sono io” disse una voce che riconobbe subito.
“Cosa c’è?” le chiese.
“C’è un intoppo”.
“Quale?”
“Non posso venire su Minosse”.
“Hai cambiato idea?”
“A dire il vero, no. Ma per un gruppo di uomini, sì”.
Stava per dire qualcosa, quando udì una voce impastata di alcol «Fatti da parte. E’ il mio turno». Rabbrividì. Dunque le sue fosche previsioni si erano avverate prima di quanto immaginasse.
“Quando pensi di essere libera?” le domandò.
“La fila è lunga” rispose sconsolata.
“Dove sei esattamente?”
“Forse nelle viscere della metropolitana”.
“Il volo per Minosse è fra 6 ore. Prova a sveltire la coda servendone due o tre per volta”. “Ci proverò. Ma non so se sarò in condizioni presentabili” ammise sospirando.
Era arrabbiato con Anna. Voleva partire per Minosse subito, aveva smosso mari e monti per ottenere due pass d’imbarco per un volo diretto e adesso lei era quasi spacciata, perché dubitava che l’avrebbero lasciata libera tanto facilmente.
“Devo trovare un’altra compagna di viaggio e chieder il cambio del nome”.
Chiamò Lucia, l’amante di scorta, meno appetibile di Anna ma con prestazioni non male. “Ciao. Ho un pass per Minosse. Sei libera?”
“Per te mi libererei di tutto, compresa la prima pelle”.
“Prepara un bagaglio leggero. Max 20 once. Ti passo a prendere tra due ore”.
“Ma non porto nulla!” esclamò esterrefatta.
“Non importa. Comprerai il resto a Minosse”.
“Ma là mi dicono che tutto costa il doppio”.
“Pazienza”.
In effetti Anche per Matt era un peso ridicolo ma chi gli aveva fornito i pass era stato categorico. Chiamò il taxi-disco per raggiungere la astrostazioine. Aveva appena recuperato Lucia, quando il videotelefono galattico riprese a vibrare. “Una chiamata non dichiarata per Matt Damon”. (by orsobianco9)
 
“Matt!” udì una voce disperata, senza vedere nulla. “Aiutami!”.
“Non posso. Mi sto imbarcando per Minosse” e chiuse la conversazione.
“Chi era?” chiese Lucia.
“Anna” rispose l’uomo con noncuranza. “Ora prepariamoci all’imbarco” le disse.
“I signori astronavigatori in partenza per Minosse sono pregati di mettere il bagaglio nel cilindro 3 e entrare nella cabina di lievitazione 21”. Eseguite le istruzioni si ritrovarono col bagaglio fra i piedi e distesi in una capsula a due posti.
“Sono emozionata” disse Lucia.
“Primo viaggio?” le domandò.
“Primo in tutto. Non vedo l’ora di arrivare” rispose entusiasta. Dalle cuffie sentirono il messaggio di benvenuto del comandante e le ultime istruzioni. “Allacciate le cuffie stereofoniche, restate distesi e respirate con molta lentezza. La partenza è prevista tra 3 nanosecondi e l’arrivo, salvo tempeste intergalattiche tra 9 anni luce”. Un brivido percorse la schiena di Matt. Nove lunghi anni immobile e disteso. Tacque e ascoltò la musica cacodeifonica del 2154 fino allo sfinimento. Lucia gli teneva la mano ma rimase in perfetto silenzio per i nove lunghi anni. Se non fosse stato per le cuffie sarebbe stato perfetto. Nessun suono a ottundere la mente e le orecchie. In un lampo si domandò se Anna fosse riuscita a tornarsene a casa con le sue gambe. Al rientro da Minosse l’avrebbe saputo.
“Il comandante vi saluta. Siete arrivati su Minosse in perfetto orario. Buon soggiorno. Vi aspetto per il prossimo viaggio intergalattico”. Un perfetto sistema di lievitazione mentale sbarcò Matt e Lucia sul pianeta più distante dalla Terra. Una città futuribile apparve ai loro occhi. (by orsobianco9)
 
La città era avvolta in una cupola trasparente e tutti viaggiavano col pensiero. Ogni tanto c’erano degli scontri mentali e qualcuno ne usciva ammaccato. Si chiamava il 3018 e una elilevoambulanza li raccoglieva. Li intubavano e li sparavano direttamente al futuro-hospital, dove robot femmine fungevano da assistenti. Le infermiere erano sconosciute. Robot etero o ermafroditi operavano col laser. La malasanità esisteva anche su Minosse. Ogni tanto il software si avariava e sbagliavano o diagnosi o interventi. Se ti andava male rimanevi storpio con una pensione da fame, così morivi prima. Se ti andava bene, avevi un funerale interspaziale di lusso. Tutto a carico del IGAMSI.
“Cosa significa quella sigla strana?” chiese un giorno Lucia passeggiando per i giardini volanti di Minosse.
“E’ meglio non saperlo. SI ovvero Salute Infausta” le rispose, sedendosi su una panchina sospesa a 3000 piedi.
“E’ possibile uscire da Minosse per visitare il pianeta?”
“Certo ti infili nel taxi-tubo. Metti quattro galli e mezzo nella feritoia e punti il dito sulla carta planetaria. In un amen ci finisci”.
“Potremo andarci un giorno” gli disse.
“Certamente, Lucia. Prendiamo un duotaxi-tubo a due posti”. A Matt cominciava andare stretto Minosse, perché essere sempre in contatto telepatico era faticoso come fare sesso. Fare sesso era davvero complicato. Dovevano tenersi stretti, anzi legarsi con apposite cinture. Non ci poteva dimenare troppo o urlare, né fare petting. Solo una sveltina veloce veloce e poi a rifiatare. Morale non si faceva nulla.
“Torniamo sulla terra” le disse un giorno. “Sono stanco di questa vita monotona. Mai nulla di interessante”. Detto e fatto. Furono sparati per nove lunghi anni luce verso Megalopoli. (by orsobianco9)
 
Tornato sulla Terra, a Matt parve che non fosse cambiato nulla, come se fossero passate poche ore da quando Anna gli aveva richiesto aiuto. Molti runner continuavano a correre imperterriti per i viali di Central Park, venditori ambulanti di cianfrusaglie erano sempre fermi agli angoli. Robot-poliziotti si aggiravano per le strade. Insomma tutto immutato. Eppure aveva fatto un lungo viaggio verso Minosse, aveva soggiornato per un tempo indecifrabile e aveva rifatto il tragitto inverso. Si chiese se avesse fatto un lungo sogno. “Ciao, Lucia” le disse al videotelefono.
“Ciao! Quale misterioso motivo ti stimola questa chiamata?”
“Volevo sapere …”.
“Cosa? E’ un secolo che non ti fai vivo e vuoi sapere qualcosa da me?”
Matt deglutì vistosamente, perché qualche conto non quadrava più. Stava per dirle «Ma come ci siamo lasciati all’astrostazione di Megalopoli non più di 2 ore fa», quando balbettò qualcosa, una scusa puerile. “Niente. Volevo invitarti stasera al ristorante Exoticum per una cena in stile vintage”.
Una bella risata risuonò nei timpani. “Mi vuoi prendere in giro? Sono secoli che fai vita ritirata. E poi Anna … Non è questo il motivo della telefonata”.
“In effetti …” cominciò balbettando. “Mi sento strano come se vivessi un sogno …”.
“Fa una seduta psicoanalitica. Potrebbe risolvere i tuoi problemi”.
Matt incapace di connettere era seduto sul divano dei pensieri, quando il videotelefono cominciò a vibrare. “Anna Moore chiama Matt Damon. Apro?”. “Sì” rispose vedendola sul display arrabbiatissima. “Dove sei stato disgraziato? Sono due ore che ti aspetto alla porta Est di Central Park”. Fu il colpo di grazia. (by orsobianco9)
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L'incontro – Capitolo 9

Con un piccolo ritardo annuncio che il capitolo 9 della storia di matteo e Miacela, L’incontro è uscito sul mio secondo blog.
Buona lettura

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Il Borgo – Capitolo 30

Un tempo Castiglioncello era un importante nodo strategico di passaggio dalla Toscana alla Romagna imolese. Merci e persone transitavano da lì e pagavano pedaggio. Poi vennero aperti nuovi varchi, nuove strade con un effetto devastante. Il Borgo perse la sua importanza e cominciò il declino che portò in breve a diventare un piccolo posto di dogana tra il Granducato di Toscana e gli Stati Pontifici di Romagna. Nel settecento la via che passava di qua era diventata una mulattiera quasi impraticabile perché le merci e le persone usavano la nuova strada più comoda sulla destra del Santerno, quella che passa per Moraduccio, dove potete ancora ammirare nella sua magnificenza il posto di dogana …”.

Ma voi cosa avete fatto? Non avete provato a ribellarvi all’isolamento che vi strangolava?” chiese Betta, attenta nel seguire il filo del discorso.

Cosa potevamo fare? Ci hanno tagliato fuori come alcuni secoli prima avevano fatto piombare nell’oblio la strada del passo dell’Osteria Bruciata, che non dista molte miglia rispetto a noi. Un valico agevole e basso ma con una triste fama”.

Il passo dell’Osteria Bruciata?” domandò curioso Mattia, che si ricordava vagamente di una leggenda che gli avevano raccontato molti anni prima. Era abbastanza conosciuta nell’imolese ma a lui interessava poco o niente, tanto da averla dimenticata.

Non so molto di questa storia truce e misteriosa” ammise il vecchio. “Conosco bene quelle del Borgo ma degli altri posti so solo quello che ha trasportato il vento nel suo vagabondare tra valli e crinali. Quindi sarà pieno di lacune il mio racconto. Si narra che esistesse un’osteria, eretta in cima a un passo agevole da percorrere per ospitare i viandanti in viaggio verso la Romagna. I poveretti erano attesi da un triste destino dopo aver percorso la strada che porta dalla vallata del Sieve a quella del Santerno. Vedevano finalmente nell’osteria un posto dove rifocillarsi e riposare. In realtà avrebbero fatto meglio a passare oltre, perché durante la notte venivano uccisi e le loro carni usate come cibo per gli altri pellegrini …”.

Diamine!” esclamò Marco. “Bel posticcino davvero per passarci la notte! Accogliente e ospitale come pochi. Capisco anche perché venne distrutta dal fuoco. Mi sa che è meglio girarci al largo. La storia è truculenta e poco edificante”.

Uno stanco sorriso illuminò il viso del vecchio che piegò la testa per annuire alle affermazioni del ragazzo.

Sembra quasi un film dell’horror quello che abbiamo ascoltato” aggiunse Laura, che si strinse ancor di più a Mattia.

Erano tutti scossi da questa leggenda narrata in maniera seppur frammentaria ma dai contorni violenti, quando arrivò a spezzare la capa di tensione una domanda di tutt’altro genere.

Ma la chiesa che sta alle nostre spalle a chi è dedicata?” domandò Betta.

Venne edificata sul finire del diciottesimo secolo. Era detta del Poggio, perché da lì si poteva osservare la vallata del Santerno. E’ dedicata ai Santi Giovanni e Paolo. Il 26 di giugno era gran festa per il Borgo e i suoi 83 abitanti. Ma ora è in completo sfacelo. Rimane in piedi solo il campanile”.

Ma nessuna storia dei suoi abitanti?” chiese Laura, che era rimasta in silenzio nell’ascoltare quella voce che pareva giungere da molto lontano.

Di loro ne avremo tempo di parlarne. Vi chiedo di riportare in vita il castello e la chiesa. Per le abitazione scegliete voi. Ora vi lascio ai vostri discorsi e mi ritiro tra questi muri ridotti a macerie”. Con queste parole si allontanò lentamente e sparì tra cumuli di pietre.

I ragazzi rimasero per diversi minuti in silenzio, mentre ciascuno di loro metabolizzava le parole del Borgo. Si era mostrato invocando il loro aiuto, aveva narrato alcune vicende del luogo e aveva accennato a storie oscure, efferate e sanguinarie. Ormai avevano assunto pubblicamente il ruolo di salvatori e dovevano onorarlo al meglio.

Fu Giacomo a rompere quel silenzio carico di tensione, cominciando a ragionare ad alta voce.

Il Borgo assomiglia a un trollo di corteccia e mi è apparso stanco, affannato. Il castello sarà un bel impegno ma la chiesa molto di più. Poi c’è la cinta muraria, crollata a terra in molti punti da rimettere in sesto. Per le case ci penseremo in un secondo tempo. Ma ci riusciremo?”

Perché dubiti?” domandò irata Laura. “Non vedo il problema. Durante i prossimi mesi metteremo a punto i piani di recupero e chiederemo le necessarie autorizzazioni”.

Pensavo a Castel del Rio come punto di riferimento, ma in realtà dobbiamo puntare su Fiorenzuola, sperando che qualcuno ci dia ascolto” aggiunse Eva, che ragionava in termini professionali. “Oggi devo prendere qualche misura e qualche schizzo sul quale lavorare nei prossimi giorni”.

Ti darò una mano” disse Mattia, staccandosi da Laura. “Credo che dovremo metterci subito al lavoro, perché presto ci sarà buio. Non mi piace aggirarmi con le ombre della sera incipiente tra questi ruderi che paiono crollare da un momento all’altro”.

Hai ragione” concordò Betta, alzandosi. “Mi dai una mano Giacomo nel sopralluogo in chiesa?”

Io scatto qualche altra fotografia seguendo le vostre indicazioni” concluse Marco.

E io che faccio?” domandò Laura delusa per essere stata quasi esclusa dai vari progetti.

Vieni con noi” le disse Mattia. “Ci sarà da tenere attrezzi e metri per le misure. Una mano in più farà molto comodo”.

I ragazzi si sparpagliarono per il Borgo senza mangiare a misurare, a fotografare a prendere appunti e schizzi, finché il sole non calò all’improvviso sull’orizzonte e le ombre si allungarono maligne tra le pietre.

E’ ora di mettersi in marcia per tornare nel mondo civile” affermò Laura, chiamandoli a raccolta.

La giornata era finita, mentre il Borgo apparve fugacemente per salutarli.

A presto, ragazzi” disse prima di sparire inghiottito dal buio.

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Short stories – L'esitazione dell'ultimo minuto – parte seconda

La prima parte la trovate qui.
 
Alba filò dritta verso la stazione centrale, senza più voltarsi indietro. Tuttavia, il suo cuore batteva con insolita pesantezza, e tanti pensieri si muovevano nel caos della sua mente.
Paolo le aveva dato tutto quello che lei avrebbe potuto chiedere dal giorno in cui era uscita da quella stramaledetta casa-famiglia, due anni prima. Si erano visti di rado, certo, ma tra loro correva quel qualcosa che fa sì che le persone si capiscano nonostante la differenza di età e l’assenza di troppe parole. Lui, di vent’anni più vecchio di lei, l’aveva ascoltata senza l’arroganza di chi sa di essere uscito dall’assurdità dell’adolescenza. Era sempre in viaggio, ma quando tornava riusciva sempre a dedicare una mezza giornata a quella ragazza che non sapeva dove sbattere la testa. E chissà, forse l’amava, come avrebbe potuto capirlo? Anche lui era cresciuto in casa famiglia e non poteva comprendere meglio la confusione che ti nasce in testa, quando non hai idea di chi sei, quando l’identità dei tuoi genitori è segreta, perché sono persone pericolose.
Era una ragazza estremamente intelligente, una piccola, diabolica maga dei computer. Lui aveva contatti con assistenti sociali e associazioni in tutto il mondo. Da lì, l’idea.
Si sarebbero separati, nessuno avrebbe saputo che collaboravano. Alba avrebbe hackerato il sistema del governo, Paolo avrebbe chiesto di restituire i favori che aveva fatto, e avrebbero scoperto le verità che da troppo tempo non conoscevano. (by Frency Worka)
 
Prese il primo treno in partenza. Non sapeva dove era diretto. “Che importanza ha?” si domandò, mentre si sedeva al primo posto libero. La valigia era troppo pesante per essere messa sopra nel vano e la lasciò di fianco a lei lungo il corridoio.
“Se vuole, posso metterla sopra, così non disturba chi passa” disse un ragazzo che aveva osservato l’armeggiare di Alba col bagaglio.
“No, no. Resta dov’è. Poi non saprei come riprenderla” replicò leggermente infastidita.
“Lo posso fare io”.
“Non sa nemmeno dove sono diretta” gli rispose ironica.
“Me lo dica. Così mi regolo e scendo anch’io”. Una breve risata uscì dalla bocca di Alba.
“Mi corteggia?”
“C’è qualcosa di male?”
“Sì. Non mi piace essere abbordata” gli disse dura e decisa, aggrottando la fronte.
“E’ una splendida ragazza. E io ci provo” aggiunse per nulla intimorito. “Io sono Lorenzo. Renzo per gli amici” completò impertinente.
“Beh! Si dà il caso che non sono nel novero dei tuoi amici”.
“Ma potrebbe entrarci tranquillamente”.
Alba non rispose e guardò fuori dal finestrino. “Chissà dove arriva questo treno”.
“Non mi hai detto come ti chiami” riprese il ragazzo che non demordeva.
“Non ho nessuna intenzione di dirtelo”.
“Sei scontrosa. Eppure …”
“Eppure cosa?”
“Niente”. (by orsobianco9)
 
“Che scocciatore questo ragazzo!” pensò Alba, guardando fuori dal finestrino.
“Biglietti, prego. Biglietti”.
La ragazza sorrise, perché finalmente avrebbe saputo dove andava il treno.
“Non ho il biglietto. Ho preso il treno in corsa” disse al controllore, mentre il ragazzo era tutto orecchi per ascoltare dove scendeva.
“Dove scende?”
“Me lo dica lei. Non lo so. L’ho preso a Pisa ma non so dove arrivi” rispose candidamente Alba.
L’uomo la guardò basito prima di rispondere.
“Questo è un intercity che arriva a Milano Centrale alle 11 se è in orario”.
“Allora Milano Centrale va benissimo”.
“Sono 49€, Tasse comprese”.
Il ragazzo ritornò all’assalto non appena il controllore passò nello scompartimento adiacente. “Anch’io scendo a Milano”.
“E chi ti ha detto che scenderò a Milano? Potrebbe essere anche Firenze”.
“Ah! Ah!” rise di gusto, lasciando allibita Alba.
“Gufi?” gli chiese. “No” le rispose con le lacrime agli occhi.
“Questo è scemo” pensò la ragazza.
“Questo non passa per Firenze” aggiunse. “E che giro fa?” gli domandò allarmata.
“Arriva a Genova e da lì un volo a Milano”.
“Ma ci mette una vita!”. “Abbiamo una vita di 4 ore per conoscerci meglio”. (by orsobianco9)
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L'incontro – capitolo 8

Nunzio Vobis Il capirtolo 8 de L’incontro è disponibile alla lettura. Si entra grats e si legge a gratis. Il tutto per un modesto clic qui sotto

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Il Borgo – Capitolo 29

Emozionati come bambini si affrettarono a raggiungere la chiesa e si accoccolarono in cerchio, mettendo gli zaini nel centro. Pareva il cerchio magico dove si aspettava l’ospite misterioso che doveva produrre la magia.

Sei sicuro, Giacomo?” chiese dubbiosa Betta. “Sei sicuro di aver ascoltato la voce del Borgo e non un sibilo del vento che si insinua tra questi ruderi?”

Laura la guardò storta. «Ora anche lei ci si mette a dubitare che il Borgo parli? Non erano sufficienti Marco e Giacomo a fare i Borgo-scettici?» rifletteva mentre afferrava la mano di Mattia, che ricambiò la stretta.

Sì, ne sono certo. Questa volta l’ho sentito chiaramente”.

Rimasero in silenzio avvolti nei loro piumini, nei loro Moncler in gorotex per proteggersi dalle frustate gelide del vento di inizio novembre.

Ecco. Lo vedo che si sta avvicinando” disse Giacomo accennando col viso la direzione dalla quale proveniva il Borgo. “Sì, pare proprio un trollo di corteccia”.

Betta strinse le labbra per non far uscire i pensieri che si affollavano nella mente. Le sembrava una situazione ridicola al limite dell’assurdo ma non poteva permettersi di ridere su quelle parole. Era il suo ragazzo e ricordava bene cosa le aveva raccontato durante uno dei viaggi Ferrara Bologna e cosa era successo dopo tra lui e Laura. Inoltre tutti gli altri parevano sicuri e certi di quanto stesse dicendo Giacomo, mentre lei ne dubitava. Avrebbe voluto entrare in chiesa, osservare quel che restava dei dipinti, raccogliere i frammenti colorati che giacevano tra la polvere impastata di fango e legno marcito ma si trovava grottescamente seduta in circolo con gli altri cinque compagni.

Benvenuto tra noi!” esclamò Giacomo. “Siamo qui ad ascoltare quello che ci vorrà raccontare”.

Una voce profonda e stanca cominciò a parlare di sé e delle altre abitazioni ridotte a scheletri pericolanti.

Vi ringrazio per essere venuti” esordì in un sussurro che si perse nella vallata sottostante. “Non ci speravo più di rivedervi prima che la brutta stagione venga ad albergare qui”.

Un brivido di freddo percorse le schiene dei ragazzi, come se un fantasma fosse passato a sfiorarli. Laura si strinse a Mattia, mentre Betta si fece abbracciare da Giacomo. Solo Eva e Marco rimasero vicini ma distanti.

Tutti avevano udito quelle prime parole e rimasero muti in silenzio attenti a cogliere ogni minimo mormorio del Borgo, disturbato dalle folate di vento.

«Abbiamo udito veramente la voce del Borgo oppure è solo suggestione collettiva che le pietre di questo luogo abbandonato ci trasmettono?» Erano questi i pensieri che Marco rimuginava tra sé senza lasciare trapelare i suoi dubbi.

Vi ringrazio per conto di tutte la case del Borgo. Volevo raccontarvi qualcosa di noi. Qualcosa che è durato oltre mille e duecento anni, anche se le carte dicono che siamo più giovani …”.

Il vecchio li guardò a uno a uno in viso per scorgervi tracce di dubbi sulle loro facce.

Volete ascoltare la nostra storia?” chiese con tono greve e appena sussurrato.

Ma certamente!” rispose Laura che fino a quel momento aveva taciuto. “Siamo tutti d’accordo. Vero ragazzi?”

Un cenno del capo indicò che loro avrebbero prestato attenzione alle parole del Borgo. Il silenzio era concreto come il sibilo del vento che si insinuava tra i muri diroccati.

La voce del Borgo riprese a parlare, mentre Betta sussurrava in un orecchio di Giacomo. “Ma tu lo vedi?”

Sì” disse mimando con la testa l’avverbio affermativo.

Ma non lo vedo. Com’è?” gli chiese stupita.

Il ragazzo le mise un dito sulla bocca per farle capire che non era il momento di fare una discussione su questo tema, mentre Laura si stava irritando vedendo i due dialogare senza che prestassero attenzione al narratore.

Vi siete chiesti perché vi trovate in Toscana?” cominciò con una domanda il vecchio.

Un moto di sorpresa li colse a questa affermazione, mentre Eva fu la prima pronta a rispondere. “No. Ma la Toscana non è dietro quel crinale alla nostra sinistra?”

Una leggera risata risuonò e si perse nella vallata.

Siamo in Toscana. Questo borgo è l’ultima frazione di Fiorenzuola, che ormai ci ha dimenticati, sul limitare della linea di confine, che è sul greto del Santerno. L’avete passata scavalcando il fiume. Apparteniamo idealmente alla Romagna come le altre zone qui vicino ma dal punto di vista amministrativo siamo toscani …”.

Ma credevo che fosse invece di Castel del Rio” disse Laura che stranamente e inspiegabilmente era stata parca di parole fino a quel momento.

E’ una storia vecchia di tanti secoli fa, quando queste terre erano contese tra i fiorentini e una famiglia che dominava la valle del Mugello e del Santerno, imponendo gabelle e pedaggi a tutte le merci che transitavano su questo tratto del crinale appenninico. Il nostro borgo venne edificato più tardi. Ma probabilmente queste strade erano battute già ai tempi degli etruschi per accedere alle saline delle valli di Comacchio e di Cervia, perché qui ci sono i passi più bassi e agevoli tra Firenze e Bologna e la costa adriatica. Si narra che la Flaminia minor passasse da queste parti poco più a nord del Borgo. Ma ora sto divagando perso nei miei ricordi”.

Il vecchio tacque come per riprendere fiato dopo una lunga corsa, aspettando qualche domanda da parte di quei giovani che seduti in cerchio lo stavano ascoltando.

Marco pareva assorto nei suoi pensieri e perso a rincorrerli, mentre Eva era attenta ad ascoltare le parole. Laura era in silenzio come se fosse stata colta da un’improvvisa afasia. Quello che l’infastidiva era che lei non era più in questo momento il centro motore del dialogo col Borgo, perché questo ruolo era stato assunto da Giacomo. Betta era sempre incredula e avrebbe voluto formulare molte domande ma aveva compreso che non era il contesto adatto. Doveva tacere e fingere meraviglia per quello che vedeva e udiva. Mattia osservava i compagni senza essere troppo coinvolto dalle parole del vecchio, che a dire il vero non sentiva. «Qualcuno poi mi riferirà cosa ha detto» rifletté rapidamente senza mostrare turbamento o disagio. Però in compenso trovava Laura affascinante e pensava che sarebbe stato intrigante iniziare una relazione con lei, Giacomo permettendo.

Perché si è fermato nella narrazione? Ci rende curiosi di conoscere la storia millenaria di queste pietre” disse con convinzione Giacomo.

Allora proseguo il mio racconto” aggiunse il Borgo e ricominciò da dove si era interrotto.

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Short stories – L'esitazione dell'ultimo minuto – prima parte

Eccomi col secondo appuntamento delle short stories. La storia sarà divisa in due parte. La prossima giovedì 25 luglio.  Come per ‘Amor profano’ l’incipit è opera di Frenky Wronka, come il primo snodo. Il secondo è opera mia. Nella seconda parte il primo snodo è di Fenky Wronka, i restanti sono miei. Dunque una short stories a quattro mani. Buona lettura
La ragazza lo guardò negli occhi, persa in quello sguardo pieno di aspettativa. Il labbro inferiore, rosso e carnoso come una fragola in piena stagione, era stretto tra quei denti un po’ troppo grossi, così stretto che si spaccò, e una minuscola, perfetta sfera di sangue ne uscì.
L’uomo sorrideva, sicuro, le pupille dilatate e la bocca socchiusa in un’espressione di vago stupore. Il discorso era partito come uno scherzo, ma poi si era evoluto, fino a che a entrambi fu chiaro che si parlava seriamente. E su certe cose si fa presto a scherzare, ma non tanto a considerarle come vere e proprie possibilità, e prendere decisioni.
La risposta di lei lo aveva un po’ scosso, proprio come una carica elettrica lo pervadeva dal profondo. Era stimolante più di qualunque altra situazione che lui avesse vissuto: e di situazioni eccitanti, lui, ne aveva vissute molte. Solo, non era sicuro che quella fosse una cosa giusta. Lo turbava la sicurezza con cui quella giovincella aveva parlato, la sicurezza di chi non ha idea di ciò che l’aspetta. Forse avrebbe dovuto parlarle più a lungo, capire cosa realmente voleva, cercare di dissuaderla dal prendere decisioni così drastiche e avventate. Ma il tempo stringeva, e non voleva che lei si ricredesse.
Era bellissima, con la sua pelle chiara e quella gocciolina di sangue sul labbro, che tradiva la tensione. Era combattuto tra il baciarla e il cercare di fermarla, e infine decise di rimanere lì, a guardarla con l’ammirazione con cui si guarda un’artista. (by Frency Worka)
Non si era mai sentito così insicuro, lui, lo spirito libero che si era sempre andato a prendere quel che voleva. Non aveva mai fatto del male a nessuno, e non aveva mai dubitato di sé stesso, fino ad ora.
La sveglia suonò, e l’uomo tirò un profondo respiro. Per la prima volta dopo anni, era felice di non avere più tempo, di non poter più decidere.
«Sei sicura?» riuscì solo a dire.
La ragazza annuì, stavolta senza tradire ansia o preoccupazione. Era felice di quel che aveva scelto, anche se non era certa del risultato che avrebbe portato. Raccolsero le valige da terra e si apprestarono a uscire dalla stanza ormai buia.
L’uomo estrasse dalla tasca dei pantaloni un pesante mazzo di chiavi e serrò l’antico portone di legno della ricca abitazione in centro. Apparteneva alla sua famiglia da generazioni, ma lui ci passava pochissimo tempo.
La ragazza si guardò intorno e trasse un profondo respiro.
Il cielo un po’ ingrigito dallo smog e dalla perenne nebbiolina iniziava a schiarirsi, ed era un po’ come se tutto, in quelle strette vie coperte di pietra, stesse sbiadendo. Non si preoccupava di quando le avrebbe riviste, piuttosto di chi sarebbe stata, al suo ritorno. (by Frency Worka)
“Qui le nostre strade si dividono” disse trascinando le due pesanti valigie.
“Lo so. Addio o arrivederci?” rispose Alba, respirando l’aria umida del mattino.
“Per me potrebbe essere un arrivederci. Decidi tu”.
“Hai il mio numero?”
“Sì”.
“Allora addio” e si incamminò portandosi dietro la valigia.
Paolo la osservò allontanarsi e provò una fitta al costato. Avrebbe voluta rincorrerla ma restò immobile, finché la ragazza non girò l’angolo della stretta via. Cominciò a muoversi con lentezza, ripensando agli ultimi dettagli prima del suono della sveglia. Era inutile tornarci sopra.
“E’ stato meglio così” si disse, aprendo la portiera dell’auto. Infilò con fatica la sua valigia e si mise al posto di guida. Non si decideva di avviare la macchina e andarsene dalla casa, che sembrava spiare le sue mosse. Scosse ancora il capo irresoluto e incerto. Prese il telefono e cercò «Alba». 34704 …Lo richiamò in memoria, rimase pensieroso per qualche istante prima di spegnerlo.
“No, non posso” sussurrò a bassa voce, mentre girava la chiave per avviare la Alfa Mito rossa, che rombò cupa nel silenzio del mattino. Lentamente senza sgassare troppo si mosse per uscire dal paese. La giornata si preannunciava lunga e afosa senza che lui avesse dissolto i suoi dubbi.
Alba camminò in silenzio, sentì il rumore di una macchina e si voltò, agitando la mano. (by orsobianco9)
FINE DELLA PRIMA PARTE
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