La notte di San Giovanni – parte trentaquattresima

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Deborah non sapeva per quante ore avesse dormito, quando aprì gli occhi. Avvertì sui piedi il calore della pelliccia di Miao. Il buio profondo, che l’aveva accolta, adesso si era tramutato in un chiarore abbastanza luminoso per distinguere i contorni degli oggetti.

Uts wenech1?” le chiese una voce profonda, che non riuscì ad attribuire a nessuna delle figure che si muovevano nella capanna.

La ragazza scosse la testa. Continuava a ignorare il senso delle domande per via di un linguaggio indecifrabile. Sentì sotto le sue mani il ruvido della terra secca. ‘Dunque ho dormito per terra!’ si disse rabbrividendo al pensiero di essere stata a contatto con qualcosa che non era un pavimento. Pensò che fosse veramente stanca, quando era arrivata per essere stata in grado di riposare così scomodamente. Si mise eretta e avvertì sulle spalle e nei capelli una crosta di terriccio secco. Si toccò, capendo di essere sempre nella tenuta sportiva del dopo partita.

Miao sbadigliò sonoramente e venne a strusciarsi sulle gambe. Le dava a modo suo il buongiorno. Pareva tranquillo, come se non percepisse alcun pericolo. Deborah invece non lo era affatto. Vedeva in modo indistinto i contorni e le persone ma non conosceva chi fossero e cosa volessero. Parlavano un linguaggio del tutto sconosciuto, anche se appariva armonico. ‘Ma dove mi trovo?’ provò a chiedere, guardandosi intorno.

In k’aat-a pok?2” le domandarono ancora.

Non potete parlare da cristiani?” rispose un po’ indispettita, quando qualcuno la prese per mano e la condusse fuori senza troppi complimenti.

Il passaggio repentino dal buio della capanna alla luce esterna le fecero chiudere gli occhi per non rimanere accecata. Vedeva ancora immagini sfocate, quando delle mani callose le sfilarono la maglietta e le tolsero il reggiseno. Stava per protestare vivacemente, quando le abbassarono i pantaloncini e le mutande. In meno di un respiro si ritrovò nuda. Seduti in cerchio stavano degli uomini vestiti in maniera strana. Colori sgargianti e monili intorno al collo. Fumavano e masticavano delle foglie. La pelle grinzosa era cotta dal sole. Istintivamente si coprì il pube e il seno. Non si era mai trovata in una situazione così imbarazzante.

Le due donne, che l’avevano spogliata, erano molto più basse di lei ma dotate di grande forza. La trascinarono senza sforzo apparente verso un buco nel terreno pieno di acqua limpida. La immersero senza pronunciare una parola. Non appena fu dentro, rabbrividì per il contrasto tra il calore del corpo e la temperatura dell’acqua. In un attimo si intorbidì per effetto della terra secca che si staccava dal fisico e dai capelli. Non ebbe modo di gustare il piacere della frescura dell’acqua, perché fu sollevata come un fuscello. Sentì gorgogliare l’acqua che defluiva. Gli avvenimenti si succedevano più rapidamente rispetto alla formazione dei suoi pensieri. Non capì cosa stesse avvenendo, quando una polvere grigia le ricoprì il corpo, che venne massaggiato con grande vigore. Avrebbe voluto chiedere, parlare ma l’immersione e il massaggio si susseguirono diverse volte, senza darle il tempo per formulare una qualsiasi domanda. Fu un dentro e fuori rapidissimi, finché un telo di cotone grezzo, per nulla morbido, non l’avvolse. La frizionarono senza preoccuparsi delle sue proteste. Alla fine capelli e corpo furono perfettamente asciutti. Con delicatezza ammorbidirono la pelle con unguenti profumati. Deborah si chiese quanto tempo era trascorso dal risveglio fino adesso senza trovare risposta.

Gli uomini la osservavano ma parevano indifferenti alla sua nudità. Lei si rassegnò e si affidò alle mani delle due donne senza protestare. Poco dopo si trovò vestita con una blusa arancione finemente decorata con motivi floreali, che scendeva su una gonna blu lunga fino ai piedi. Indossava dei sandali di pelle morbida, allacciati alla caviglia, mentre al collo splendevano al sole collane di giada, ambra e altre pietre dure. Il tessuto ruvido massaggiava il suo corpo nudo con piacevoli sensazioni. Mani esperte pitturano la faccia con colori vivaci. Sul capo le posarono un copricapo dalla foggia strana: una parte in legno dal quale fuoriusciva una morbida pelliccia maculata. I capelli furono raccolti in una crocchia sulla sommità della testa e scomparvero dentro quello strano berretto rigido.

Deborah avrebbe voluto avere a disposizione uno specchio per vedere come era stata agghindata. Si limitò a osservare le vesti e le braccia, le uniche parti visibili.

Gli uomini, seduti per terra, l’osservarono. Ne dedusse che la sua figura alta e atletica era di loro gradimento. Aveva fame e mimò col gesto delle mani che desiderava del cibo.

A k’aat a hanal?3” le chiese una delle due donne.

Sì” disse la ragazza, che aveva rinunciato a comprendere quello strano linguaggio.

Come per magia comparve una ciotola con dentro tocchetti di carne immersi un impasto verde, da cui affioravano dei pezzetti rossi. Un’altra donna teneva in mano delle focaccine gialle e sottili, posate su una foglia di banano. Deborah cominciò ad assaggiare il contenuto della ciotola con molta diffidenza. Il gusto non era male ma dopo poco avvertì un calore incredibile nella bocca. Sembrava che fosse in fiamme.

Cosa avete messo dentro?” urlò con ampi gesti delle mani.

Tutti risero. Lei si arrabbiò ancora di più. “Sembra peperoncino puro” si disse, guardandoli in cagnesco. Mimò di avere sete.

Uk’a hech?4” le chiese una delle due donne premurosa.

Al diavolo! Certamente!” sbottò irosa.

Comparve un contenitore pieno di un liquido trasparente.

Che altro intruglio mi propinano? L’acqua è un bene prezioso?” fece, provando ad annusare il contenuto. Era perfettamente inodore. Non si fidò e intinse un dito che succhiò. Era dolciastro ma gradevole. Azzardò una sorsata. Scivolò giù dando frescura alla bocca infiammata ma quando arrivò nello stomaco deflagrò come una bomba alcolica. Decise di mangiare solo le focaccine gialle, che apparivano le più innocue. Poi comparve un liquido nero in una specie di tazzina senza manico.

Offrono anche il caffè” disse, pentendosi subito di averlo pensato. Era rimasta scottata troppe volte per credere che fosse caffè. L’aroma puntava decisamente verso il cioccolato. Lei ne era ghiotta. Accostò le labbra. Il gusto era decisamente squisito, lasciava solo un leggero pizzicore in gola. Quello tipico del peperoncino. ‘Uffa ma usano mettere il peperoncino ovunque?’ si disse, mandando giù un’altra sorsata.

In tutto questo trambusto si era persa Miao. ‘Chissà dove s’è ficcato, quel gatto che, quando serve, non c’è mai?’ pensò, sorseggiando la cioccolata. Lo vide che si divertiva con un topolino di campagna, che impaurito cercava di ritrovare la propria tana. Deborah sorrise. ‘L’istinto del cacciatore non l’abbandona mai’.

Mentre osservava il gatto, udì una voce proveniente dal gruppo di uomini accovacciati a terra.

Agua pura” le parve di sentire. Stupita si voltò verso di loro. ‘Perché mi chiedono se voglio dell’acqua? E poi si sono messi a parlare spagnolo?’ si disse sorpresa. Annuì in segno di accettazione. Al suo fianco comparve una donna che le porgeva un calice di vetro che conteneva un liquido trasparente.

Deborah era diffidente. Da quando era sveglia, troppe volte era stata ingannata dall’aspetto. Non voleva correre rischi. Guardò l’uomo che stava al centro, quello più vecchio e che sembrava che dettasse ritmi e ordini a tutti. Era anche vestito in maniera più appariscente rispetto agli altri. ‘Sicuramente è il capo di queste comunità’ ragionò senza accostare le labbra al bordo.

Il capo gli fece un segno imperioso di bere il contenuto ma la ragazza nicchiava. Non era convinta di obbedire a quel cenno.

Uk’-a!5” disse con un tono duro e categorico.

Deborah lentamente portò il calice alle labbra e cominciò a bere, pronta a smettere se avvertiva qualcosa di anomalo. Il liquido filtrò leggero in gola, senza che lei percepisse nulla. Sembrava effettivamente acqua. ‘Perché ha parlato in spagnolo per poi tornare a quella lingua sconosciuta?’si disse, mentre continuava a bere con lentezza. Le stava togliendo quell’arsura che il peperoncino le aveva trasmesso, quando si sdoppiarono le immagini.

Erano sensazioni terribili. Vedeva due Miao, che si muovevano in maniera sincrona. Staccò il calice dalla bocca e notò che possedeva quattro mani e due calici. Provò a girarsi verso il vecchio ma ebbe l’impressione di volare leggera nell’aria. Tutto ruotava con lentezza ma girava in tondo, mentre le percezioni sensoriali mostravano distorsioni e colori differenti dall’usuale, come se guardasse in un enorme caleidoscopio.

Deborah fece appello a tutte le risorse fisiche e mentali per dominare quelle sensazioni che si stavano impadronendo del suo corpo. Vacillò ma non cadde. Chiuse gli occhi ma i colori popolavano la sua mente.

Infine fu buio.

1Hai dormito bene? Traduzione dalla lingua Maya

2Vuoi lavarti? Traduzione dalla lingua Maya

3Vuoi mangiare? Traduzione dal linguaggio Maya

4Hai sete? Traduzione dal linguaggio Maya

5Bevi! Traduzione dal linguaggio maya

0 risposte a “La notte di San Giovanni – parte trentaquattresima”

  1. Divertente lo sballottamento a cui è sottoposta Deborah! E anche il pasto è narrato con felice umorismo. La tua capacità di variare tono praticamente a ogni pagina rende unica quesra esperienza di lettura, senza contare la curiosità di sapere cosa t’inventerai la prossima volta.

    1. Ho cercato di dare le sensazioni di sorpresa che Deborah percepisce mentre viene sballottata durante quelle ore in balia di quella comunità Maya.
      Grazie per le belle e generose parole che hai usato.
      Il prossimo capitolo metterà fine alla storia.

  2. Povera Deborah, non c’è pace per lei, si è ritrovata addirittura addormentata per terra.
    La tribù dei Maya pur se gentilmente l’ha accudita e rifocillata non fornisce alcuna spiegazione sulla sua presenza in quel posto. Miao è tranquillo e questo mi fa ben sperare.
    Aspetto la prossima puntata 😉
    Un abbraccio Gian Paolo
    Affy

  3. Povera Deborah. Me l’immagino tutta rossa in volto per il peperoncino ingoiato.Meno male che l’intruglio bevuto ha raffreddato la sua gola. Ma dove è capitata? Chi sono quegli uomini? Vado a leggere il seguito.Un abbraccio. Isabella

    1. Sono popolazioni Maya del Chiapas! Potevo dare nome e cognome ai cibi e alle bevande ma toglievo un po’ di suspense alla narrazione. Là bevono il caffè con cioccolato e peperoncinoo 😀

  4. quante ne passa la nostra Deborah! ora anche presso i Maya…e Miao “sdoppiato”. una prosecuzione assolutamente inaspettata, stupefacente GianPaolo.
    abbraccione

  5. Fortunata lei che puo’ fare di questi viaggi e incontri cosi’ particolari e interessanti. Mi piacerebbe essere uno dei tuoi personaggi sarei curiosa di sapere quale avventura mi faresti vivere 🙂

          1. Sei molto carino a dirlo, ti ringrazio di cuore. A 7 anni mi regalarono Alice nel paese delle meraviglie, e’ stato con quel libro che ho iniziato ad immedesimarmi nei personaggi dei libri e vivere le loro avventure, l’ho letto tante di quelle volte 🙂
            Un abbraccio “virtuale”

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