Non passava giorno – cap. 18

foto personale
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La suoneria continuò imperterrita. Marco sorpreso e incuriosito sobbalzò per un nome che rappresentava il passato remoto. Si domandò il motivo di quella telefonata ma doveva rispondere per saperlo.

Sei uscito dal letargo invernale?” disse una voce femminile. Era squillante e allegra, non completamente nota. “Ti va, domani, di fare una pedalata insieme?” Non sentendo risposta, riprese: “Forse non ti ricordi chi sono. Io sono…”.

Marco la interruppe. “Agnese” esclamò felice di aver rotto quel loop di riflessioni, che lo stavano inchiodando da un paio d’ore. “Ti ho riconosciuto subito, anche se sono passati diversi mesi”.

Lui si sentì in colpa che da quel lontano settembre non si era più fatto vivo. Non si era dimenticato di lei. Semplicemente il pensiero di Laura continuava a dominare i suoi pensieri. “Non ti ho cercato, perché non ero sicuro che tu avessi piacere di incontrarmi di nuovo”. Il tono non avrebbe convinto nessuno, perché le parole parevano più di circostanza che una sincera motivazione.

No, no!” affermò Agnese, che non aveva colto il reale senso delle sue parole. “Sono io che ti devo le scuse. Non ti ho ringraziato per l’aiuto che mi hai dato!” La ragazza passò dal tono allegro iniziale a uno mortificato. “In quei giorni attraversavo un momento difficile. Dovevo riflettere sul senso e sugli obiettivi della mia vita”. La sua voce riacquistò sicurezza e determinazione. “Ora so quello che voglio con precisione. Sto riappropriandomi del mio corpo, del mio spirito e della mia esistenza” affermò decisa. “Domani sei libero?” lo incalzò.

Marco e Agnese si accordarono per il giorno successivo. Si diedero appuntamento nel punto esatto in cui si erano lasciati otto mesi prima, come se volessero riannodare un filo strappato dal tempo e riprendere un discorso interrotto qualche minuto prima.

Laura, posati i fogli della favola sulle gambe, rifletté su Paolo, sul lavoro iniziato da diversi mesi, su Sofia, su Matteo, sulla sua vita in generale.

Era assolutamente convinta di avere fatto la scelta giusta nella professione. Il lavoro era interessante e prometteva soddisfazioni. Si era ben inserita nell’ambiente ed era benvista sia dai colleghi che dal capo. Percepì dopo qualche settimana che lui l’avesse stimata fin dal primo istante. Questa sensazione nasceva dal fatto che le aveva affidato incarichi delicati quasi immediatamente dopo l’assunzione. Si fidava di lei e le aveva assegnato il compito di tenere le relazioni con le linee operative dei prodotti sotto la loro gestione. Poi successivamente cominciò la scrittura dei report settimanali per l’alta Direzione sullo stato di avanzamento della produzione e il raggiungimento degli obiettivi. Ricordò con piacere misto a sorpresa che a fine anno le aveva fatto ottenere un piccolo e simbolico premio in denaro. ‘Eppure avevo solo un paio di mesi di lavoro alle spalle’ si disse. Teneva un profilo basso con tutti i colleghi per non suscitare le loro invidie, mostrandosi cortese e cordiale. Piero, il suo capo, la tempestava di inviti a cena o di offerte per trascorrere con lui qualche fine settimana. ‘Lui aveva una compagna’ rifletteva, ‘ma non passava settimana che non ci provasse. Naturalmente ho sempre rifiutato, adducendo motivazioni ineccepibili. Non era mia intenzione ferirlo’.

Ripensando a quel corteggiamento discreto e insistente, Laura ragionò sulla situazione equivoca che stava vivendo. ‘Non capisco, se lui abbia una compagna o una moglie’ si disse. ‘Tuttavia ho voluto evitare un rapporto privato ingombrante. In particolare diventare la sua amante Privato e professione devono stare nettamente separati, come mi ha sempre consigliato Sofia’.

Si interrogò, se sarebbe riuscita nel suo scopo anche nel futuro. Da un lato non voleva mettere a repentaglio la sua carriera professionale, dall’altro non gradiva diventare l’amante di Piero. Non era questo il suo obiettivo. Era sua intenzione avere una relazione da mostrare alla luce del sole e non nasconderla in alberghi a ore. Scacciò questi pensieri e riprese i fogli per continuare la lettura. Non fece in tempo a posare gli occhi, quando il telefono si illuminò col numero di Paolo.

‘Che vuole?’ pensò irritata e incuriosita. ‘Sono mesi che non ci sentiamo’.

Ciao” rispose Laura, aprendo la conversazione. “Come stai?”

Bene” rispose Paolo un po’ impacciato con una banalità. Il tono freddo di Laura aveva smontato i suoi entusiasmi. “Il lavoro mi ha tenuto impegnato più del dovuto” aggiunse come per scusare il lungo silenzio. “Così ho trascurato i rapporti interpersonali”.

Oh, mi dispiace” disse la ragazza mentendo. Non nutriva alcun rincrescimento su questo punto. “Ecco il motivo per il quale non ti ho più sentito” proseguì con voce neutra. Laura non era affatto dispiaciuta, se lui non si era fatto vivo per mesi. Infatti dover combattere su due fronti, quello di Piero e quello di Paolo, l’avrebbe stressata e distolta dagli impegni di lavoro. Inventare bugie plausibili per sfuggire alle loro avance non sarebbe stato semplice.

Ora riesco respirare un po’ e posso dedicarmi alla mia persona” affermò Paolo sollevato, ignorando la sensazione di distacco della ragazza. “Hai degli impegni per i prossimi giorni?”

Laura trattenne il respiro e contò fino a dieci prima di rispondere. ‘Dove vuole parare?’ pensò irritata. ‘Si fa vivo dopo mesi e lancia un’esca, sperando che abbocchi’.

Non sentendo risposta, Paolo riprese a parlare. “Mi farebbe piacere la tua presenza in una cena dopodomani”.

Laura stava per replicare duramente, quando si impose di restare calma. Voleva comprendere, dove voleva arrivare.

Fammi pensare“ disse, “oggi è lunedì, quindi sarebbe per mercoledì. Dico bene?”.

Si” fu la laconica risposta di Paolo.

Questa la irritò maggiormente ma volle stare al gioco. “Direi che la serata sarebbe libera” fece con tono neutro, “non ricordo impegni particolari”. Laura di sera non amava avere vincoli mondani, Quella non faceva eccezione.

Bene” disse Paolo. “Allora posso contare su di te?”

Ma che cena sarebbe?” domandò la ragazza, decisa ad approfondire l’argomento. Era stato troppo evasivo per rispondere o con sì o con no. Lei non amava richieste generiche, alle quale fosse obbligata a rispondere sempre positivamente. In più dopo la rottura con Marco preferiva una vita defilata senza impegni con l’unica eccezione rappresentata da Sofia.

Non sentendo risposta ma un borbottio indistinto, lo incalzò con una nuova domanda. “A cena? Dove e con chi?”

Paolo capì che non aveva abboccato al suo invito, né che non si sarebbe lasciata incantare tanto facilmente. Lui aveva gettato l’esca ma Laura aveva finto di abboccare. L’aveva sottovalutata, perché già nei precedenti incontri aveva saputo districarsi con molta perizia. Doveva cambiare strategia per presentare la proposta in modo interessante e seducente. Era consapevole che sarebbe stata adesso più guardinga nell’ascoltare le sue parole.

Sei diventato muto?” lo sollecitò, decisa a metterlo nell’angolo. “Oppure speravi che dicessi un sì senza troppe domande?”

No, no!” si affrettò a dire Paolo. “Nessun tentativo di manipolarti”. Poi aggiunse qualcosa che peggiorò la situazione “Hai ragione, sono stato troppo generico. Però…”.

Però cosa?” replicò Laura con una tono poco amichevole. Doveva chiudere quella telefonata inutile e ambigua.

Sono diversi mesi che non si sentiamo” riprese a parlare Paolo, che cercava di uscire dal vicolo cieco in cui s’era ficcato. “Mi è sembrato indelicato chiederti brutalmente di uscire con me”.

Laura comprese che Paolo stava girando intorno al vero nocciolo della telefonata, senza spiegare il reale motivo dell’invito. Giudicò che era giunto il momento di interrompere la conversazione. ‘Non mi pare che sia una persona timida’ rifletté velocemente.

Ho capito” disse la ragazza. “Sarà per un’altra occasione. Ciao”.

Se da un lato la telefonata le aveva fatto piacere, da un altro punto di vista si sentiva presa in giro. In sei mesi, dopo il fine settimana a Cernobbio, era sparito. Né un tentativo di chiamarla, né l’invio di un messaggio. Nemmeno in occasione delle feste di Natale. A lei pareva che fosse scomparso. Eppure aveva dato chiari segni di interessamento. Ammise con sincerità che il suo atteggiamento era stato freddo e distaccato. Era Paolo che doveva corteggiarla e non viceversa. ‘Non ha fatto nulla?’ rifletté Laura che meditava sulle motivazioni del suo silenzio, durato troppo. ‘Allora vuol dire che non ero poi tanto importante per te. Telefoni per un invito a cena e non dici né dove, né per quale motivo? Per chi mi ha preso?’

Quella telefonata aveva rotto l’incanto della giornata fatta di ricordi, riflessioni, scoperte e coincidenze causali, come se il destino si fosse divertito a prendersi gioco di lei.

Aveva preso un paio di giorni di ferie perché aveva intenzione di fare alcuni acquisti, che erano stati rimandati da molti mesi. C’era anche un altro motivo: voleva godere la solitudine della casa, perché i genitori erano lontani chilometri in vacanza. Loro, da quando si era iscritta all’università, avevano allentato la morsa. Avevano smesso di trattarla come una bambina e le avevano lasciato più libertà di prima. Il dialogo con loro era rimasto inalterato: carente e privo di quella complicità e confidenza, che sarebbe stato necessario. Non avevano opposto obiezioni, quando decideva di rimanere fuori casa alla notte. Sapevano che frequentava Marco, che avevano giudicato un bravo ragazzo con la testa sulle spalle.

Il silenzio e la solitudine le facevano sentire la necessità di uscire da questa casa, confortevole e sicura, che non percepiva più come sua.

Sofia“ disse ad alta voce, perché nessuno poteva sentirla, “si è resa indipendente non appena ha trovato un’occupazione stabile. Credo che sia giunto il momento anche per me di fare altrettanto”.

Rifletteva che doveva compiere il gran passo senza urtare la sensibilità dei genitori, che avrebbero potuto aiutarla nella scelta.

Da diverse settimane non sentiva Sofia, che, coinvolta da Matteo, non aveva più tempo di parlare o confidarsi con lei. Guardò l’ora: era il momento della pausa pranzo. Probabilmente era disponibile a rispondere al suo messaggio. ‘Sofia, sento la necessità di parlarti. Che ne diresti stasera a casa mia? Laura’.

Riprese i fogli in mano. Pensò come una ragazzina di sedici anni avesse potuto scrivere una fiaba di quel genere e da quale fonte avesse tratto l’ispirazione sul fantasma Aloisa della quale ignorava tutto fino alla gita di Grazzano Visconti.

‘Su un libro di scuola?’ si disse, scuotendo il capo. ‘No! Forse sul Corriere per pubblicizzare la giostra del Biscione. Certo è stata una casualità incredibile’.

Provò a leggere qualche altra riga della fiaba. Un altro pensiero la infastidì. La sessualità inespressa, che galleggiava dentro di lei come un vascello fantasma. Ogni volta che provava a esplorarne i motivi, lo ricacciava dentro. Era un ospite indesiderato da tenere fuori dalla porta. ‘Sì’ rifletté con amarezza e sincerità, ‘è un ospite indesiderato’.

Era il rapporto col suo corpo che non funzionava e non riusciva a donarlo al compagno per condividere con lui il piacere.

‘Ho venticinque anni o meglio tra non molto sono ventisei’ sospirò, ‘ma ho avuto solo due relazioni: quella con Roberto e con Marco”.

Erano poche? Erano molte? Non riusciva capirlo. Di sicuro le riteneva insufficienti per comprendere se stessa e gli uomini. Dentro di sé avvertiva freddezza, senza essere in grado di manifestare i sentimenti che provava. Si domandò le motivazioni di questo atteggiamento. Se non era capace di capire e di superare questa barriera artificiosa, che aveva creato, non sarebbe in grado di amare un uomo. Credeva di essere innamorata di Marco. ‘Era amore autentico?’ si chiese scettica.

Il trillo speciale del telefono annunciò l’arrivo di due messaggi. Uno era di Sofia ‘Ok. A che ora?’, l’altro di Paolo ‘Scusami, sono stato arrogante’.

Una lacrima scese sul suo viso, bagnando il display.

Adesso tutto le appariva più chiaro. Quale strada affrontare e come. Comprese che doveva parlare con qualcuno. Con Marco, del quale doveva sentire la voce, ascoltare le parole, avvalersi del buon senso che trasmetteva. Era con lui che si poteva confidare senza problemi. Era con lui che doveva condividere il segreto sulla sua sessualità per sentire il suo parere e seguire i suoi consigli.

Aveva aspettato troppo a fare questo passo. Era tempo che componesse il suo numero.

Non passava giorno – cap. 18

Laura e Marco sono lieti di annunciare che il nuovo capitolo della loro storia è stato pubblicato su orsobianco.
Con questo salutano il 2015 e vi danno appuntamento nel 2016 con gli altri episodi.

Foto personale
Foto personale

Carissimi lettori un sincero augurio che il 2016 sia ricco di serenitò, prosperità e salute.

Al 2016

Adesso 17Stella e il suo condominio felice

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Prendere un caffè … e va bene fa piacere prendere un caffè insieme agli amici. Ristretto, poco dolce e cremoso ma in particolare caldo. E mentre si prende, si chiacchera affabilmente tra noi. Un piccolo rito di metà mattina per rompere la monotonia. Ma guarda un po’ cosa mi capita! 😀 Davanti a me o meglio di fianco c’è un personaggio famoso, che tutti – o forse tutti conoscono – Mi impapino per l’emozione. Le parole strusciano sulla lingua. Mi riscopro timido e timorso. Un pacca sulla spalla per farmi i nghiottire l’emozione ed ecco… giò cosa gli direste? Non avere timori o remore… esprimeteti liberamente!
Così comincia questo TAG, questa mini avventura. Come voi – io no l’ho imparato leggendo il post dove avevano fatto il mio nome – riconoscerete nella foto utilizzata per il TAG la copertina di “Una donna per amico” di Lucio Battisti.
PRENDEREI UN CAFFÈ CON…
1- UN PERSONAGGIO PUBBLICO O FAMOSO:…
2- UNA PERSONA CHE FA PARTE DELLA MIA VITA REALE:…
3- UN BLOGGER DELLA MIA COMUNITÀ:…
Regole:
Usare l’immagine del TAG
Citare e ringraziare chi vi ha nominato
Descrivere le tre diverse situazioni così come sono state organizzate
Nominare almeno 10 blogger
L’immagine sta il alto
Ideatore del TAG: Pietro Pontrelli

Grazie a 17Stella per avermi scelto per questo TAG. Il caffè è per me essenziale al mattino. Prima cosa, dopo essere uscito dal caldo del letto, preparo il caffè 😀 Un tempo era un rito irrinunciabile di metà mattina, dopo pranzo e metà pomeriggio. Poi ho detto basta. Quello del mattino, appena sveglio è sufficiente. Ma se capita di essere in compagnia un caffè lo prendo volentieri. Un caffè mentre si fanno due chiacchiere, si discute, si socializza. L’ambiente ovviamente dev’essere quello giusto.

E ora vediamo con chi berrei un caffè:
1- UN PERSONAGGIO PUBBLICO O FAMOSO:
Ciao Vale! Si proprio lui Valentino Rossi!
Posso offrirti un biscotto 😀 col caffè? … No? … Mi vuoi strangolare? E va bene! Proviamo a riderci sopra, anche se l’amaro per la decima stella mancata è forte! Il calcione? Hai fatto benissimo perché Marc avrebbe meritato di peggio! Ma siamo sportivi – con la sporta degli insulti a portata di bocca. Ci hai donato un 2015 fantastico. Una goduria così non l’ho mai provata in tanti anni che ti seguo.
Forza Vale. il 2016 è pronto per dimostrare che sei il meglio!
2- UNA PERSONA CHE FA PARTE DELLA MIA VITA REALE:
Qui la situazione si fa delicata. Sono almeno due le persone. Quindi non aggiungo altro
3- UN BLOGGER DELLA MIA COMUNITÀ:
Uh! altro terreno scivoloso. Diciamo tutti quelli che passano dal mio blog. Proprio tutti, indistintamente. Mi costa una piccola fortuna pagare il caffè e relativo cioccolatino fondente a tutti ma lo faccio volentieri. Non sapete quanto questo mi renda felice. Forza gente, occupiamo il bar. Pago io!
Adesso ci dovrebbero essere le nomine. Ma non me la sento. Non l’ho mai fatto e non lo farò anche stavolta. Chi passa da qui e si ferma, offro un caffè – virtuale -!

Una storia così anonima – parte trentaseiesima

Questa è l’ultima puntata del 2015 della storia di Pietro, Luca e Vanessa. Loro, i vostri beniamini, vi danno appuntamento nel 2016 e vi augurano delle serene festività

dal web
dal web

Atax, 23 novembre 1307, vespro – anno secondo di Clemente V

Louis, arrivato a metà strada tra Atax e Limos, ha un ripensamento. Decide di ritornare al villaggio di frontiera con la marca catalana. Lascia libero Quinou, la sua guida, e inverte la marcia. Il compagno di viaggio alza le spalle e se ne va senza dire una parola. Louis forza l’andatura, rischiando più volte di azzoppare il cavallo. Vuole arrivare al villaggio prima che l’oscurità impedisca di viaggiare. Non ricorda di avere incontrato case, quando è passato nella mattinata. ‘Sarebbe un bel guaio’ si dice pensieroso, ‘se dovessi fermarmi per strada a trascorrere la notte’.

É ormai buio, quando arriva ad Atax. ‘Mi fermo qui o proseguo al di là del ponte?’ pensa Louis, indeciso sul cosa fare. Poi prende la decisione di passare a Couiza, nella marca catalana. ‘Se resto in paese, quel malefico frate potrebbe sgusciarmi di nuovo tra le mani. Di là dal fiume mi sarà più facile tenere d’occhio le strade, qualora avesse deciso di puntare su Rhedae o verso la costa’.

Passato il ponte si sistema nella locanda Le Château, che è posta proprio nel punto strategico da dove le vie si diramano. Louis è soddisfatto della scelta e si prepara a mangiare.

Pietro sta godendosi la zuppa calda dopo l’estenuante marcia verso questo villaggio. ‘Ci voleva per riscaldare il corpo’ pensa, mentre la assaggia a piccoli sorsi con lentezza. É rilassato ma tiene d’occhio la porta e la finestra, che danno sulla via principale. Qualcosa gli dice che il suo inseguitore potrebbe essere ritornato sui suoi passi, perché il suo sesto senso ha suonato un campanello d’allarme. Quindi sta all’erta, pronto a defilarsi, se per caso lo vede comparire. Ha quasi finito la scodella, quando intravvede nella strada una sagoma che ben conosce. L’ultimo sorso sta per andargli di traverso, quando lo vede proseguire senza degnare di uno sguardo la locanda. Non si sente tranquillo, perché potrebbe apparire dalla porta, dopo avere messo al riparo il cavallo. Paga la modesta cena e fa scivolare una moneta d’argento nelle mani dell’oste.

Se qualcuno entra e chiede notizie, non dite nulla della mia presenza” dice Pietro.

L’oste fa scivolare velocemente la moneta sotto il grembiule, una volta bianco.

Voi siete un templare” mormora l’uomo, perché ne ha riconosciuto le insegne.

Il frate annuisce. Trova inutile negare l’evidenza. L’oste sorride compiaciuto e mette due dita incrociate sulle labbra per confermare che nessuna notizia uscirà di lì.

Un’ultima informazione” dice Pietro facendo comparire una nuova moneta d’argento, che finisce per fare compagnia alla precedente. “Mi devo recare a Rhedae ma vorrei evitare villaggi e borghi”.

Capisco” fa sornione l’oste. “Se siete generoso, un mio conoscente vi potrà condurre là per vie sicure”.

Lo sarò” promette il frate, facendo comparire diverse monete d’argento.

Domani mattina, al primo albore, vi sveglio e troverete pronta la guida” conclude l’oste.

Notte” dice Pietro, avviandosi verso la stanza. ‘Sarà un’altra notte di tensione’ pensa il frate, sistemando un sedia sotto la maniglia. ‘L’oste mi dà delle buone sensazioni. Non credo che vorrà fare il delatore. Ma è meglio stare con gli occhi aperti’. Il frate dorme vestito o almeno è quello che tenta di fare. Ha un sonno leggero e qualsiasi rumore o movimento esterno gli fanno spalancare gli occhi e tenersi pronto a balzare giù dalla finestra. Non è un gran salto e sotto c’è neve fresca.

Al primo albore sente un discreto bussare alla porta. “Frère” sussurra una voce femminile, “è ora di andare”. Poi dei passi leggeri, felpati si allontanano dalla porta. Pietro indossa sopra la tonaca il mantello pesante bianco, infila i calzari pesanti, foderati di capretto. Si mette nel centro della stanza, volgendosi a levante per ringraziare Gesù, Maria e Maria Maddalena per la notte passata e chiedere la loro protezione per il nuovo giorno che sta per iniziare. Apre la porta in silenzio, osserva se il corridoio sia sgombro da insidie e si avvia verso il basso.

Volete fare colazione?” gli chiede premuroso l’oste. “Latte fresco ancora caldo e una pagnotta fragrante di pane dolce”.

Un movimento della testa del frate gli fa capire che accetta volentieri l’offerta.

Pietro, bevuto la scodella di latte, mette nella bisaccia il pane, ancora caldo. Nota un uomo basso e tarchiato, vestito di pelli di montone, che è appoggiato al bancone. Immagina che sia la sua guida. Si muove verso di lui. “Pietro” dice allungando la mano. “Marcel” risponde, stringendola con vigore. Il suo intuito non l’ha tradito. Escono da una uscita sul retro per prendere i cavalli.

É ancora buio e il cielo biancastro per le nubi basse rende meno evidente l’oscurità. Proseguono in silenzio, uscendo dal villaggio. Marcel punta verso occidente, mentre Pietro lo segue tranquillo. Non teme imboscate, perché tra i due è scoccata empatia. Il viso rugoso e severo della sua guida trasmette una sensazione di sincera lealtà, che il frate ha riconosciuto immediatamente. La pista innevata appare immacolata, mentre il cielo va schiarendo sempre di più. Intuisce che attraverseranno il fiume molto lontano dal ponte che collega Atax a Couiza. Pietro prende dalla bisaccia una pallina dolce che mette in bocca al suo bardo, mentre gli accarezza la testa. Sente sotto il mantello il tepore della pagnotta. La mangerà un po’ per volta durante il viaggio, di cui ignora la durata.

Marcel si ferma e scende da cavallo, invitandolo a fare altrettanto. Lasciano la pista ed entrano in un boschetto spoglio. “Tra poco” dice la guida. “raggiungiamo un punto dove il fiume è guadabile. Quasi sicuramente è ghiacciato. Dobbiamo fare attenzione a dove posiamo i piedi”.

Pietro annuisce, confermando di avere capito l’avvertimento. Lo segue con fiducia. ‘É un montanaro di poche parole’ si dice. ‘Esattamente come quelli del nostro Appennino’. Il frate affonda i calzari sulle orme lasciate da Marcel. Se non fosse per quelle dei cavalli, un osservatore poco attento potrebbe pensare a una persona sola. Attraversano il fiume con cautela, perché le lastre di ghiaccio sembrano solide, mentre in realtà si frantumano sotto il loro peso.

Qui siamo in terra di Catalogna” lo informa Marcel. “Non dovreste temere nulla. La lunga mano del re capetingio si ferma al fiume”.

Pietro ringrazia per l’informazione ma dentro di sé sa che il suo viaggio è per altri scopi, che non vuole rivelare.

La guida prende una pista, che è sepolta sotto la neve, diretta a mezzogiorno. Solo chi conosce bene questi luoghi non si sbaglia nel seguirla. É faticosa perché nei tratti più ripidi devono scendere da cavallo. Ogni tanto fanno delle brevi soste per fare riposare le due cavalcature.

Pietro non sa quale ora sia. Gli sembra di essere in cammino da molto tempo ma non si lamenta, perché è consapevole che la strada è lunga ma sicura. Non osa chiedere tra quanto arriveranno a Rhedae. ‘Quando arriviamo’ pensa, ‘arriviamo’.

All’ora nona” dice Marcel durante una sosta per mangiare qualcosa e fare riposare i cavalli, “siamo in paese”. Sembra che l’uomo abbia letto il pensiero di Pietro. “In primavera è piacevole percorrere questo sentiero” aggiunge la guida, “ma d’inverno è faticoso”.

Sì” conferma il frate, che ha mangiato un terzo della pagnotta. “La strada è faticosa ma sicura. Non desidero incrociare paesi o villaggi”.

Couiza, 24 novembre 1307, ora terza – anno secondo Clemente V

Louis fa colazione. ‘Devo essere ben rifocillato, prima di affrontare nuovamente la strada’ si dice il cavaliere, che aspetta notizie da chi ha messo di guardia al ponte. Spera che siano positive. Dopo avere indugiato un po’, decide di recarsi al posto di guardia.

Nessun straniero è transitato stamani” dice un capitano delle guardie. “E dopo di voi non è passato nessuno”.

Louis impreca sottovoce, mentre allunga all’uomo diverse monete d’argento. “Grazie” borbotta incerto. Poi gli viene un pensiero. “Ci sono altri punti per attraversare il fiume?” chiede, colto dal sospetto che ancora una volta il frate è stato più furbo di lui.

Sicuramente” replica il capitano, che spera di estorcere un’altra moneta. “Andando verso occidente per diverse leghe e poi puntando a mezzogiorno ci sono dei punti, dove il fiume è guadabile”.

Ma da lì dove si arriva?” domanda Louis.

Ci sono due sentieri” dice l’uomo. “Uno punta a Rhedae e l’altro a Montsegur”.

Ma voi dove andreste con questo tempo?” lo incalza il cavaliere, che intuisce la destinazione del frate.

Certamente a Rhedae, più facile da raggiungere” risponde il capitano.

Louis gli allunga un’altra moneta, mentre si gira per prendere la strada per Rhedae. Impreca sottovoce. ‘Quel maledetto frate mi è sgusciato da sotto il naso ancora una volta’ si dice, bestemmiando. ‘Di certo avrà avuto degli appoggi tra questi fetenti di catari’.

Di buon passo prende la strada per Rhedae. É convinto che non abbia raggiunto ancora il paese e che con ogni probabilità arriverà prima di Pietro. ‘Ma perché si dirige verso questo villaggio fortificato di poche anime?’ si chiede Louis. ‘Quale missione deve compiere?’ Ormai sono da più di due settimane che Louis dà la caccia al frate, che pare inafferrabile. Gli sembra di inseguire un fantasma che attraversa muri e pareti.

All’ora nona è davanti alla porta fortificata del paese.

Avete visto arrivare uno straniero?” chiede alla guardia che presidia l’ingresso.

Questa alza le spalle come se non avesse capito le parole di Louis, che estrae due monete d’argento. Le fa tintinnare. Quel suono scioglie la lingua alla guardia. “Nessuno è entrato o è uscito” dice la guardia, allungando la mano, che si racchiude avida sui due scudi d’argento.

‘Questo suono’ si dice Louis, che non riesce a trattenere il riso, ‘sveglia anche un morto. Dunque il frate non è ancora arrivato’.

Si pone in una posizione defilata ma tale da consentirgli di tenere d’occhio la porta di ingresso alla cittadella fortificata.

Non passava giorno – Cap. 17

 

Foto personale - riproduzione vietata
Foto personale – riproduzione vietata

Marco rifletteva sul rapporto avuto con Laura: era stato assai stimolante sul piano intellettuale, perché gli aveva permesso di crescere e maturare ma lo aveva deluso su un aspetto.

‘Non ho mai capito’ borbottò nel ricordare i giorni trascorsi insieme, ‘perché fosse così terrorizzata nel fare all’amore. La prima volta mi disse di non essere più vergine. In realtà lo era o almeno lo era parzialmente. Cosa sarà successo, quando lei credette di averla persa?’ Era una domanda del tutto inutile, perché non ne conosceva le risposte. L’unica, che la conosceva, si era rifiutata di fornirla.

I flashback, che andava a ricomporre, assomigliavano a una rete, strappata in più punti, che doveva essere rammendata con pazienza e precisione.

‘Laura non se ne è nemmeno accorta di essere stata finalmente deflorata. É stato un momento bellissimo per l’intensità della passione che ha raggiunto. In quei momenti ha scalato la montagna del piacere fino ad arrivare in cima, il diapason più alto. Successivamente non è stato altrettanto appagante, perché è sempre rimasta tesa senza abbandonarsi al piacere’. Ricordò che non aveva mai forzato i tempi, lasciando decidere a Laura, quando avere un rapporto e come averlo.

Rammentò un altro particolare, che l’aveva lasciato perplesso, anche se non l’aveva mai manifestato apertamente. ‘Aveva un’autentica fobia di spogliarsi davanti a me’ si disse, ‘doveva farlo senza la mia presenza’.

‘Quando finalmente potevo infilarmi nel letto’ ricordò, ‘scoprivo che aveva le mutandine, che adorava farsele sfilare con delicatezza da me. Le teneva fino all’ultimo istante per indossarle subito dopo, al termine del rapporto’.

Marco era convinto che non avesse avuto un buon rapporto col suo corpo e con la sua sessualità. Aveva provato ad approfondire l’argomento senza grande successo. O taceva o cambiava tema della conversazione: mutava di umore, che diventava scuro come il cielo per un improvviso temporale.

Rifletté che era stato un vero peccato che fosse mancato il piacere pieno del sesso. Fatta una breve pausa tornò a ragionare su questo punto.

Si domandò come sarebbe stata una futura relazione coniugale dal punto di vista sessuale. ‘Sarebbe rimasta conflittuale’ si chiese, ‘oppure Laura avrebbe aperto le porte del segreto che ha custodito con tanta decisione?’

Si chiese, se avrebbe avuto la stessa pazienza oppure il rapporto avrebbe risentito delle fobie sessuali di Laura, e giunse alla conclusione che non sarebbe mai stato ottimale o soddisfacente. ‘Credo’ rifletté, ‘che non riuscirei in un rapporto stabile ad assecondarla con uguale calma e pazienza. In questi cinque anni è stato un fatto occasionale’.

Ragionando con freddezza, adesso comprese che l’approccio al sesso non era stato costruito su basi valide, perché lui avrebbe dovuto insistere per chiarire ogni punto, senza lasciare punti oscuri.

Questo aspetto zoppicante e opaco della loro relazione aveva aggiunto un altro tassello alle motivazioni di chiudere. Si rendeva conto che non avrebbe funzionato in assenza di un chiarimento franco e chiaro.

A parte questo aspetto c’era sempre stato un rapporto leale tra loro senza sbavature o incomprensioni. Marco riconosceva a Laura che possedeva un carattere dolce e una personalità ben pronunciata. Rammentò le lunghe e pacate discussioni sul loro futuro. ‘Aveva chiare le idee’ si disse, ‘su come avrebbe sviluppato la professione al termine degli studi’. Aveva sempre sostenuto che non avrebbe mai accettato un’offerta di lavoro, anche economicamente allettante, se non l’avesse soddisfatta dal punto di vista umano e professionale. “Devo trovare empatia nelle persone” aveva detto una delle ultime volte che si erano visti. “Non riesco a lavorare con serenità se avverto dell’ostilità nell’ambiente di lavoro. Piuttosto faccio la donna di casa”. Lui aveva annuito più per compiacerla che per essere convinto della bontà del ragionamento. ‘Si fa presto a parlare così, avendo alle spalle una famiglia facoltosa’ pensò con amarezza Marco, facendo un parallelo con la sua.

Ricordò gli sguardi invidiosi dei compagni di corso per aver costruito con lei un sodalizio stabile mai incrinato da litigi o tradimenti.

‘Non per vantarmi’ si disse, ‘ma formavamo una bella coppia. Entrambi più alti della norma facevamo sembrare dei pigmei la maggioranza dei nostri amici. I suoi capelli di un bel colore rosso attirava l’attenzione dei ragazzi e non solo di loro’.

Si alzò dalla sedia, lasciando le immagini di Grazzano Visconti sparpagliate sulla scrivania. ‘Non ho saputo dare una spiegazione chiara a Laura’ rifletté, scuotendo la testa. ‘Né allora, né in seguito. Non ho avuto il coraggio di affrontare la questione con decisione. L’incapacità di assumermi le mie responsabilità non depone a mio favore. Pareggia il conto con le fobie sessuali di Laura’. Non aveva ancora finito le riflessioni sulla relazione e sui motivi che l’avevano portato a chiudere, quando udì la suoneria del telefono.

Non aspettava nessuna telefonata. Non voleva interrompere le sue meditazioni, che lo stavano portando, sulle onde del ricordo, a chiarire verso se stesso le motivazioni della rottura per poterle esporre in un ipotetico futuro anche a Laura.

Guardò il display. Inarcò una sopracciglia e rimase a bocca aperta per la meraviglia.

Una storia così anonima – parte trentacinquesima

foto personale
foto personale

Rennes-le-Château, 28 febbraio 2015, ore nove.

La serata è trascorsa tranquilla. Luca e Vanessa hanno mangiato in camera quanto acquistato nel tardo pomeriggio, riprendendo la lettura del manoscritto per capire il segreto del viaggio di Pietro.

Hai le idee più chiare sul perché il nostro templare bolognese si dirige verso questo buco di paese?” domanda Luca, inarcando le sopracciglia. “Per me ha fatto un viaggio a vuoto”.

Vanessa medita sui passaggi appena letti. Non risponde al compagno, preferendo riflettere. Si gratta dietro la nuca, arricciando una ciocca di capelli rossi con l’altra mano. ‘Affronta un viaggio difficile. Arriva a Rhedae, il vecchio nome di questo sputo di paese e poi che fa? Torna in Italia’ si dice, tormentando sempre la ciocca di capelli. ‘Non è razionale’.

No” risponde finalmente a Luca, che è rimasto in paziente attesa. “No. Tutt’altro. Appare tutto illogicamente strano. Pietro, secondo me, ha prelevato qualcosa e poi è ripartito per l’Italia. Ma cosa? Questo è il punto che non riesco a inquadrare”.

Luca arriccia il naso. Non è molto convinto del ragionamento dell’amica. ‘Perché Henri ci segue e ci minaccia?’ pensa, sistemandosi nel letto. ‘Se Pietro ha portato qualcosa con sé nel viaggio di ritorno, questa ombra, che ci segue da Bologna, avrebbe un comportamento diverso. Per me è ancora qui l’oggetto che Pietro doveva prendere in consegna e che Henri vuole a tutti i costi’.

Si è seccata la lingua?” dice Vanessa con gli occhi che brillano.

No” risponde Luca. “Ho riflettuto sulle tue parole. Secondo me Pietro non ha ricevuto in consegna quello che il Cardinale aveva pensato. É rimasto qui. Dove non lo so”.

Vanessa si accosta, spostando dietro la nuca i capelli finiti sugli occhi.

Cosa te lo fa supporre?” lo interroga, stringendo le labbra.

Henri”.

Henri?” dice la ragazza, increspando la fronte con due rughe profonde. “E cosa centra lui con Pietro?”.

Luca ride sommessamente. Adesso ne ha quasi la certezza. “Perché? Per quale motivo ci dà la caccia?” Il ragazzo fa una pausa, aspettando una reazione da Vanessa che non arriva. “Per divertimento oppure per qualcosa che non conosciamo?”

Mi hai quasi convinta” borbotta la ragazza, distendendosi sotto le coperte. “Poirot cosa ha in mente di fare?”

Dormire” esclama Luca, ridendo, mentre si mette accanto alla ragazza. “Domani comincio le indagini, San Tommaso!”

Alle otto del mattino i due ragazzi sono già in piedi. Le giornate in febbraio sono ancora corte e il tempo grigio le accorcia ulteriormente. Si devono sbrigare nella ricerca del segreto di Pietro prima che le ombre inghiottano tutto. Si preparano una sommaria colazione a base di caffè d’orzo e biscotti.

Non è il massimo” dice Luca, facendo una smorfia di disgusto nel bere quella brodaglia, “ma almeno ho calmato la pancia”.

Se vuoi rifarti la bocca, quando usciamo, passiamo da un bistrot” afferma Vanessa, che finge di bere quel caffè di orzo.

Luca ride alla battuta dell’amica. “Perché qui c’è una caffetteria decente? Forse stai vedendo dei film. Mi sembra un paese di zombie. Ieri sera, a parte Henri, che ci seguiva, non ho visto nemmeno un gatto!”

Vanessa, che stava ridendo nel vedere l’amico col viso rosso per la foga oratoria, si blocca. Si fa seria. ‘Non mi ha detto che il misterioso inseguitore era alle nostre calcagna?’ pensa innervosita.

Come fai a dirlo” prova a dire la ragazza, intuendo che l’affermazione sia vera.

Semplice” ribatte Luca coi muscoli facciali distesi. “L’ho intravvisto dalla vetrina del negozio, dove abbiamo comprato i generi alimentari. Poi si è nascosto, complice l’oscurità. Immagino che poi ci abbia seguito nel tornare alla gite”.

E tu non mi dici nulla?” dice irritata Vanessa, provando a dargli un buffetto sulla testa, prontamente bloccato dal ragazzo.

Saresti stata male per nulla” replica con un sorriso sereno Luca. “Oggi ci dividiamo e stiamo all’erta. Non potrà seguire entrambi”.

Non è rischioso?” domanda la ragazza.

Direi di no” afferma il ragazzo, stiracchiandosi. “Se ha intenzione di scoprire quello che cerchiamo, ci deve lasciare agire. Poi diventerà pericoloso, quando abbiamo trovato… Cosa non lo so”.

Vanessa si gratta una guancia nervosamente. “Non mi sento tranquilla. Quell’uomo lo sto osservando sotto una luce diversa”.

Tranqui, Van!” cerca di calmarla Luca. “Siamo di giorno e poi ci teniamo in contatto col telefono”.

‘Fa presto a dire di stare serena’ si dice la ragazza, ‘ma quel Henri mi mette dei brividi’

I due ragazzi si preparano a uscire. La giornata è grigia. Le nubi sono basse e cade una leggera pioggia. Il vento fa percepire una temperatura più rigida della realtà. Prima di uscire si dividono i compiti.

Io visito il castello di Hautpoul” dice Luca, che pare comandare le operazioni. “Tu l’area di Abbé Saunière. Appena fuori io seguirò il corso principale, tu la strada di ieri sera. Teniamo i telefoni accesi e pronti alla chiamata. Attiva quella app, che ti ho scaricato ieri sera. Servirà per monitorare le nostre posizioni. Ma in particolare teniamo gli occhi ben aperti. Non dobbiamo farci sorprendere impreparati”.

Vanessa annuisce ma in cuor suo non si sente tranquilla.

Appena usciti, si separano. Luca va verso il corso principale, Vanessa prende la direzione verso sud. L’appuntamento è al ristorante Le dragon de Rhedae alle undici in punto. “Mi raccomando” la esorta Luca, “niente colpi di testa e alle undici al ristorante!”

Pierre è appostato dietro un’autovettura. Osserva le mosse dei due ragazzi. Vede che si scambiano un bacio. ‘Perché?’ si interroga. Non si aspetta che si dividano. ‘Chi seguo?’ si chiede perplesso. Poi decide di seguire la ragazza, la preda più malleabile dei due. ‘Il ragazzo è sveglio. E seguirlo sarebbe difficile. Ieri sera credo che mi abbia intravvisto’ si dice, grattandosi il mento nervoso. Lascia passare la ragazza e osserva la direzione che prende. Lentamente si avvia a seguirla.

Luca non si sente tranquillo. L’intuito gli suggerisce che Henri sarà alle calcagna di Vanessa. Per essere certo si infila in una strada sulla sua sinistra e si nasconde in un portone aperto. Attende diversi minuti ma di Henri nessuna traccia. ‘Bene’ si dice, sorridendo soddisfatto. “Ora da preda divento cacciatore’.

Pierre segue cauto la ragazza, che non mostra nervosismo nel camminare di passo svelto. Si osserva alle spalle, se per caso il ragazzo si fosse messo dietro. La strada è deserta. ‘Via libera dunque’ si dice l’uomo, cercando di mantenere il contatto con la preda.

Vanessa ha il cuore in tumulto. Non le piace la situazione, avverte un formicolio alla nuca. ‘Luca mi ha suggerito di tenere un comportamento come se non sapessi che Henri possa essere alle mie spalle’ pensa, mentre svolta verso la strade del parcheggio. Ha un lampo visivo. Con la coda dell’occhio le pare di avere intravvisto una figura con un woolrich verde scuro, che la segue. La tentazione è forte ma ricorda l’esortazione di Luca. ‘Non voltarti, anche se hai l’impressione di essere seguita’.

Cerca di calmare il cuore con profondi respiri. ‘Dice bene, Luca, ma sono io la preda’ si dice per frenare la paura. Svolta nella piazza del parcheggio, che è desolatamente vuota. ‘Nessuno! Nemmeno un cane’ pensa, mentre intravede la chiesa. Rallenta il passo, avvicinandosi all’ingresso.

Pierre ha capito la destinazione della ragazza. É inutile affannarsi. ‘Sei in trappola’ pensa soddisfatto con un sorriso sprezzante. Abbassa le difese e non si accorge che alle sue spalle c’è il ragazzo, che si nasconde nel bar Jardin de Marie.

Luca ordina un espresso in italiano, mentre controlla le segnalazioni dell’app. ‘Van non dista molto da qui’ riflette, mentre sorseggia una brodaglia nera. ‘Quindi Henri sarà a metà strada’. Paga e cautamente sbircia nella direzione della chiesa. Si avvia senza timori. Henri non è visibile. ‘Meglio affrettarsi’ si dice. ‘Non voglio che Van rischi incontri poco opportuni’.

Vanessa entra nella chiesa scarsamente illuminata. Sull’architrave legge Terribilis est locus iste. ‘Cominciamo bene’ pensa la ragazza, provando un brivido di freddo. ‘Paura?’ Scuote la testa. Si aggira osservando incredula statue e vetrate. ‘Ho letto qualcosa su questa chiesa’ si dice, sgranando gli occhi, ‘ma l’immaginazione è superata dalla realtà’. Il demone, che sorregge l’acquasantiera, a sinistra dell’ingresso le incute paura, specialmente nella penombra della chiesa rischiarata da deboli luci e qualche candela. Tutto l’interno appare bizzarro agli occhi della ragazza. Le stazioni della via Crucis sembrano messe in modo non causale. Statue e vetrate simboleggiano qualcosa che lei non riesce a comprendere. ‘Però questa non è la chiesa che Pietro avrebbe visto, se per caso è venuto qui’ riflette Vanessa. Si avvicina all’altare che appare molto più vecchio del resto. Le sembra di notare una strana iscrizione parzialmente abrasa. Punta lo smartphone e fotografa da più parti quel basamento. La ragazza è talmente concentrata sulla scritta, che non si accorge della presenza di qualcuno alle sue spalle.

Arrêter! Où êtes-vous!” intima Pierre alla ragazza.

Una storia così anonima – parte trentaquattresima

foto personale
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Vicinanze Limos, 22 novembre 1307, ora terza – anno secondo di Clemente V

Sta nevicando” dice Fabienne, “non è prudente avviarsi verso la montagna”.

Pietro scuote la testa. É in ritardo per l’appuntamento che era fissato per la giornata precedente. La consegna avuta era precisa. Non la può mancare. ‘Se il cavaliere se ne è andato’ pensa il frate, ‘non potrò mai recuperare l’oggetto’.

No, devo partire” dice con tono fermo. Gli dispiace lasciare le due donne sole ma non può lasciarsi commuovere. ‘Ho una missione da portare a termine’ riflette, ‘consegnare quello che ho legato saldamente alla cintola e ricevere lo scrigno di legno da conservare in luogo sicuro’.

Prendete almeno un po’ di cibo che ho comprato con i vostri danari” lo esorta Fabienne.

Tenetelo voi” replica con cortese decisione il frate. “A voi sarà più utile. Io sono in grado di procurarmene dell’altro. Chiedo solo di prendere un po’ di fieno e di granaglie per il mio bardo”.

Pietro affretta i preparativi della partenza. ‘Se in condizioni normali serve una mezza giornata a cavallo’ si dice, mentre infila nella sacca le poche cose che ha, ‘in condizioni difficili come queste non so quanto ci metterò’.

Fabienne guarda fuori. La nevicata è cresciuta in intensità e le nuvole hanno nascosto il bosco. Teme per il frate, che potrebbe perdersi, quando dovrà affrontare i primi contrafforti. ‘Di sicuro’ riflette la ragazza, ‘in montagna la neve potrebbe impedire l’avanzare del cavallo. Ma anche nel piano potrebbe smarrire il sentiero’.

Non è prudente partire con questo tempo’ insiste la ragazza. “Se avete pazienza, domani o dopodomani ci sarà una giornata limpida”.

Pietro si ferma. Rimane sorpreso dall’affermazione di Fabienne. ‘Come può affermare questo?’ si domanda, prima di rendere esplicito il suo pensiero.

Siete sicura che tra un paio di giorni al massimo tornerà il bel tempo?” chiede perplesso il frate. “Finora ho trovato tempo incerto o piovoso. Mai una giornata soleggiata”.

Sì” replica convinta la ragazza.

Come potete affermarlo con sicurezza?” fa Pietro, poco persuaso da quella affermazione. ‘Forse vuole impedirmi di lasciarle’ pensa il frate, guardandola dritta negli occhi.

Lo so e basta” afferma Fabienne senza tentennamenti. “Il vento sta girando lentamente e cambia direzione. Prima spirava da settentrione. Ora tende a soffiare verso levante. Quando è diretto verso il mare, spazzerà via le nuvole”.

Visto come nevica a Pietro pare un discorso azzardato. Tuttavia un dubbio gli sorge. ‘Sono proprio le persone, come Fabienne, che conoscono i capricci del tempo’ riflette il frate. ‘Devo fidarmi oppure è solo una manovra diversiva?’ Alla fine decide.

Rimango ancora una giornata” dice alla ragazza. “Poi partirò alla volta di Rhedae qualunque sia il tempo”.

Limos, 22 novembre 1307, ora terza – anno secondo di Clemente V

Louis decide di partire anche se il tempo volge al brutto. Sta nevicando con forza ma non può concedere alla preda dell’altro vantaggio. ‘Non conosco la strada’ si dice. ‘Qualcuno del paese mi farà da guida’. Si consulta col prevosto, che gli suggerisce Bernard Quinou, un montanaro che conosce sentieri e pericoli.

Ma questo Bernard accetterà?” chiede Louis.

Non saprei” risponde il sacerdote. “Provate a chiedere”.

Dove lo posso trovare?” si informa l’uomo.

Il prevosto riflette prima di replicare con l’indicazione. Dubita che il montanaro si metta al servizio di quel cavaliere, che ha suscitato commenti non troppo benevoli in paese. Lui conosce bene il suo gregge e sa come prenderli per il verso giusto. Gli è indifferente Louis ma qualcosa gli suggerisce di rimanere neutro, fuori dalla questione.

Lo trovate nell’ultima casa del paese. Siate diplomatico nel parlargli” gli suggerisce il sacerdote, che si allontana nella canonica.

Louis bestemmia sottovoce. ‘Nessuno mi vuol dare una mano a catturare il templare’ pensa arrabbiato. ‘Se potessero, mi pianterebbero una spada nella schiena’. Prende il mantello e si avvia alla ricerca di questo Bernard. Per convincerlo usa le maniere forti.

Partono per Rhedae sotto una bufera di neve. Più volte si devono fermare per ripararsi dal vento che impedisce loro di proseguire. All’ora nona sono sul fiume che funziona da confine con la marca catalana. Louis sa che passato il ponte si trova in un territorio ostile. Il vento sta calando d’intensità e la neve cade più dolcemente. Al vespro, immersi nel buio raggiungono il borgo fortificato di Rhedae, trovando riparo nel castello di Hautpoul.

Louis non rivela chi è e dice di essere un viandante diretto al di là delle montagne, in Catalogna.

Pensate seriamente di riuscire a passare dal valico di Bugarach?” gli chiede il comandante del castello.

Lo devo” replica secco Louis. Lui sa che in quest’area i templari sono ancora forti e rispettati. Deve quindi nascondere la natura della sua presenza e i motivi che l’hanno spinto fin qui. Tuttavia deve chiedere se Pietro da Bologna è arrivato in paese o è passato dal paese diretto in Catalogna. Deve usare prudenza nelle parole e nei modi.

Ma il valico” dice Louis, di cui ignora il nome, “è percorribile?”

Non credo” replica il comandante, che si scalda accanto al camino. “Da giorni nessun viandante è passato dal villaggio diretto verso il Pic de Bugarach o proveniente da lì”.

Louis un’informazione l’ha ottenuta. Il frate non è stato da queste parti negli ultimi giorni. Quindi può tornare verso la pianura e dirigersi verso Carcasum e i porti della Linguadoca.

Dunque non posso scavalcare le montagne?” insiste Louis.

No” risponde il comandante. “Se dovete andare in Catalogna, vi conviene recarvi sulla costa e arrivarci via mare”.

La mattina seguente la neve cade con minore intensità. Louis, dopo aver ringraziato per l’ospitalità, riprende la strada verso Carcasum, accompagnato da Bernard Quinou.

Vicinanze Limos, 23 novembre 1307, ora terza – anno secondo di Clemente V

Pietro si alza al primo albore per le consuete orazioni del mattino. Al termine si reca a controllare lo stato del suo bardo. Trova Fabienne che sta mungendo la capra per ottenere un po’ di latte per loro e per il frate.

Buondì, Fabienne” dice con cordialità Pietro.

Buongiorno” risponde la ragazza senza distogliere l’attenzione da quello che sta facendo. “Come avete potuto constatare, il tempo sta virando verso il bello”.

Il frate annuisce, osservando con quanta perizia e delicatezza ricava del latte da quella bestia magra e malnutrita. In effetti la neve non scende più e il cielo tende ad aprirsi. Pietro aspetta paziente il termine dell’operazione di mungitura per aiutare Fabienne a trasportare il recipiente col latte, che fuma per il freddo della giornata.

Pietro, dopo una frugale colazione a base di latte di capra e pane nero di segale, si sincera delle condizioni della donna inferma. “Mi raccomando” esorta il frate, “date due pozioni delle erbe che vi ho lasciato a vostra madre. Nel giro di pochi giorni dovrebbe ristabilirsi”.

Fabienne annuisce e chiede di nuovo di accompagnarlo, ricevendo un altro diniego. A malincuore lo saluta dalla porta, vedendolo allontanarsi verso il bosco.

Pietro procede con lentezza e cautela. La neve alta, che tende a ghiacciare, può nascondere delle insidie nascoste. Presta attenzione ai rumori, allertando i suoi sensi. Non desidera incrociare quel cavaliere che Guillaume de Nogaret ha messo alle sue calcagna. Si ferma più volte per far riposare il cavallo. Gli pare di udire in lontananza delle voci e cerca invano di trovare un rifugio nel bosco ricoperto di neve. Per fortuna il tempo tende a migliorare, anche se il freddo è pungente. Qualche spira di sole fa capolino tra le nubi bianche, che corrono verso levante.

É l’ora nona, quando Pietro vede in lontananza un villaggio. Fabienne gli ha spiegato che, quando arriva a un borgo fortificato, vicino a un fiume, deve prendere il sentiero mediano. Salendo verso la montagna, arriva a Rhedae. Fino a quel momento non ha incontrato fiumi ma solo piccoli rigagnoli ghiacciati. Deve decidere se quello è il borgo, da cui parte la strada che deve prendere. ‘Mi avvicino’ si chiede Pietro, ‘oppure gli giro attorno?’ Tuttavia sa che in quel villaggio c’è il ponte che gli permette di superare il fiume. Quindi è inevitabile che debba entrarci.

Si sta avvicinando, quando scorge due cavalieri in lontananza. Senza indugio si dirige verso occidente, lasciando il sentiero finora seguito. Deve fare in fretta per non incrociarli. Un presentimento gli suggerisce che uno dei due sia quel cavaliere che lo sta inseguendo. Trova un capanno abbandonato e si nasconde dietro. Scende da cavallo e osserva i due uomini che avanzano. Non ha avuto tempo di occultare le sue tracce e spera che proseguano verso Limos.

Louis si ferma dove Pietro ha cambiato strada. Osserva dove le tracce vanno. É tentato di seguirle ma l’oscurità incipiente lo scoraggia. Sa che rischia di trovarsi nel buio della sera senza essere giunto a un villaggio. Quinou mostra impazienza di tornare alla propria abitazione. Quindi riprendono di buona lena il viaggio verso casa.

Pietro osserva i due allontanarsi e non si muove finché non sono scomparsi all’orizzonte. Decide di ritornare sul sentiero molto più a sud di quanto l’ha lasciato. É buio, quando raggiunge il borgo, che effettivamente sta sulla sponda di un fiume. Prima di entrare si prostra a terra verso levante per ringraziare Gesù, Maria e Maddalena per il sostegno dato.

Si sistema nell’unica locanda. Il cavallo è sfinito. Lui è stanco e affamato.

Domani di buon’ora, sperando che il tempo tenga, partirà per Rhedae.

‘Chissà se il cavaliere mi ha aspettato’ si dice, assaggiando una zuppa di cavoli e piselli.

Non passava giorno – cap. 15

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Laura, abbandonata la lettura della fiaba, tornò indietro negli anni, quando andava scoprendo la propria sessualità e il rapporto non troppo felice col proprio corpo. Non l’aveva sentito propriamente suo né allora né adesso. Erano i momenti, in cui aveva ai primi approcci sessuali, sofferti e complicati da paure e desideri.

‘Col sesso ho avuto un confronto conflittuale fin da subito. Mi era sembrata una pratica da evitare’ pensò amaramente. Anche adesso col viso in fiamme provava lo stesso imbarazzo di quegli anni, quando rifletteva su questo tema. Non comprendeva i motivi del disagio psicologico né di allora né di adesso. ‘Il problema è stato originato dall’educazione ricevuta in famiglia troppo rigida e bigotta?’ si chiese.

I suoi genitori, educati secondo una severa dottrina cattolica, non si erano adeguati ai mutamenti nei comportamenti della società. In particolare trattavano il sesso secondo valori e ideali anacronistici, evitando e bandendo ogni accenno di questo dalle loro discussioni. Con la madre era mancato un qualsiasi approccio sincero e sereno sulla trasformazione da bambina a donna, perché, secondo la sua mentalità, non se ne doveva parlare esplicitamente. Lei aveva trascurato l’argomento o l’aveva trattato senza approfondirlo o con considerazioni evasive e imprecise tali da creare più dubbi che certezze. Non era stata in grado di esporre con parole adeguate i cambiamenti che stavano avvenendo nel corpo di Laura durante la pubertà, non rispondendo alle domande che la figlia poneva.

‘Percepivo il sesso come una punizione’ si disse amaramente Laura, ‘per essere cresciuta troppo e troppo in fretta’.

Si soffermò a meditare su queste ultime parole, prima di riprendere il filo dei ricordi che si andavano srotolando tra voglia di seppellirli e desiderio di estrarli. Aveva presente le compagne di scuola che a dodici anni avevano avuto le prime mestruazioni, mentre lei cresceva solo in altezza avvolta in un corpo da bambina. Loro si sentivano già donne per il ciclo, per il seno che richiedeva una terza, per il sedere rotondo e sodo. Lei pativa una condizione di inferiorità nei loro confronti: era considerata ancora una bambina, perché non aveva il ciclo, i seni erano inesistenti ed era tutta pelle e ossa.

Quando diversi mesi dopo, quasi a tredici anni, arrivò il primo mestruo, la madre visibilmente infastidita liquidò l’argomento, dicendo che era una cosa naturale, come se ne ignorasse il significato. Si rifiutò di parlarne, di spiegarne le cause, come se fosse un argomento sporco da ignorare, da non nominare. Questo atteggiamento di chiusura aveva lasciato un profondo segno nel suo carattere, tanto che accusava complessi di inferiorità.

Sospirò per quei lontani ricordi. ‘Le mie compagne erano circondate da nugoli di ragazzini brufolosi dalla voce ormai grossa come il loro membro ben visibile attraverso i pantaloni’ ricordò. ‘Subivano un vero assalto. Si lasciavano strusciare dai compagni, che infilavano le mani ovunque. Sulle tette floride, negli slip minuscoli alla ricerca del sesso. E ridevano compiaciute’.

Laura assisteva allo spettacolo in disparte senza che nessuno la degnasse di una parola, di una attenzione. Era come se fosse diafana e trasparente agli occhi dei compagni. Non capiva quale piacere loro provassero e malediva di avere un corpo magro e alto con un seno minuscolo appena abbozzato. Arrivata al liceo aveva cominciato a sentire storie straordinarie di sesso, autentiche orge a base di alcol e spinelli. La invitavano alle feste solo per fare numero, tanto che poteva tranquillamente essere scambiata per un soprammobile della casa. Faceva da tappezzeria, nessuno la invitava a ballare. La musica era solo una scusa per fare baccano e coprire altri rumori. Nessuno ballava. Stava seduta sul divano e osservava il via vai delle compagne e dei ragazzi nelle stanze da letto. Non riusciva a comprendere il motivo di quelle feste.

Ricordò un episodio che allora l’aveva molto colpita. Solo più tardi lo inquadrò nella giusta dimensione. Rita, una ragazza molto spigliata, disinibita e procace, si avviò una domenica di inizio giugno verso la stanza da letto appena arrivata e ritornò tra loro solo, quando quasi tutti se ne erano andati. Seduta sul divano Laura osservò incuriosita la strana processione di ragazzi che sparivano nella zona notte e dopo una decina minuti tornavano rossi, ansanti coi pantaloni semiaperti e un po’ bagnati. Le altre ragazze parlottavano tra loro visibilmente infastidite. Qualcuna litigò col proprio ragazzo e se ne andò, altre non accettarono i tentativi di pace. Quando Rita tornò, aveva gli occhi arrossati dal pianto, lo sguardo perso nel vuoto. Camminava in modo strano, almeno era questa l’impressione che ebbe. Non parlò, né salutò i pochi rimasti, andandosene con le lacrime sul viso. Terminato l’anno scolastico qualche giorno dopo, sparì. Nessuno seppe mai dove fosse finita.

Questo amore e odio verso il suo corpo rimase palese e immutato nel corso del tempo. Non cambiò mai, perché, come in quegli anni, aveva paura nel guardarsi nuda allo specchio, ritenendo che fosse un qualcosa di disdicevole. Mentre si lavava, faticava a sfiorarsi il sesso o quei minuscoli seni timorosa di prendere una scossa elettrica.

Laura, mentre rammentava questi particolari, intravide la propria immagine riflessa in un specchio polveroso appoggiato sul pavimento.

Non è che oggi sia migliorata la sensazione”.