Non passava giorno – cap. 15

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Laura, abbandonata la lettura della fiaba, tornò indietro negli anni, quando andava scoprendo la propria sessualità e il rapporto non troppo felice col proprio corpo. Non l’aveva sentito propriamente suo né allora né adesso. Erano i momenti, in cui aveva ai primi approcci sessuali, sofferti e complicati da paure e desideri.

‘Col sesso ho avuto un confronto conflittuale fin da subito. Mi era sembrata una pratica da evitare’ pensò amaramente. Anche adesso col viso in fiamme provava lo stesso imbarazzo di quegli anni, quando rifletteva su questo tema. Non comprendeva i motivi del disagio psicologico né di allora né di adesso. ‘Il problema è stato originato dall’educazione ricevuta in famiglia troppo rigida e bigotta?’ si chiese.

I suoi genitori, educati secondo una severa dottrina cattolica, non si erano adeguati ai mutamenti nei comportamenti della società. In particolare trattavano il sesso secondo valori e ideali anacronistici, evitando e bandendo ogni accenno di questo dalle loro discussioni. Con la madre era mancato un qualsiasi approccio sincero e sereno sulla trasformazione da bambina a donna, perché, secondo la sua mentalità, non se ne doveva parlare esplicitamente. Lei aveva trascurato l’argomento o l’aveva trattato senza approfondirlo o con considerazioni evasive e imprecise tali da creare più dubbi che certezze. Non era stata in grado di esporre con parole adeguate i cambiamenti che stavano avvenendo nel corpo di Laura durante la pubertà, non rispondendo alle domande che la figlia poneva.

‘Percepivo il sesso come una punizione’ si disse amaramente Laura, ‘per essere cresciuta troppo e troppo in fretta’.

Si soffermò a meditare su queste ultime parole, prima di riprendere il filo dei ricordi che si andavano srotolando tra voglia di seppellirli e desiderio di estrarli. Aveva presente le compagne di scuola che a dodici anni avevano avuto le prime mestruazioni, mentre lei cresceva solo in altezza avvolta in un corpo da bambina. Loro si sentivano già donne per il ciclo, per il seno che richiedeva una terza, per il sedere rotondo e sodo. Lei pativa una condizione di inferiorità nei loro confronti: era considerata ancora una bambina, perché non aveva il ciclo, i seni erano inesistenti ed era tutta pelle e ossa.

Quando diversi mesi dopo, quasi a tredici anni, arrivò il primo mestruo, la madre visibilmente infastidita liquidò l’argomento, dicendo che era una cosa naturale, come se ne ignorasse il significato. Si rifiutò di parlarne, di spiegarne le cause, come se fosse un argomento sporco da ignorare, da non nominare. Questo atteggiamento di chiusura aveva lasciato un profondo segno nel suo carattere, tanto che accusava complessi di inferiorità.

Sospirò per quei lontani ricordi. ‘Le mie compagne erano circondate da nugoli di ragazzini brufolosi dalla voce ormai grossa come il loro membro ben visibile attraverso i pantaloni’ ricordò. ‘Subivano un vero assalto. Si lasciavano strusciare dai compagni, che infilavano le mani ovunque. Sulle tette floride, negli slip minuscoli alla ricerca del sesso. E ridevano compiaciute’.

Laura assisteva allo spettacolo in disparte senza che nessuno la degnasse di una parola, di una attenzione. Era come se fosse diafana e trasparente agli occhi dei compagni. Non capiva quale piacere loro provassero e malediva di avere un corpo magro e alto con un seno minuscolo appena abbozzato. Arrivata al liceo aveva cominciato a sentire storie straordinarie di sesso, autentiche orge a base di alcol e spinelli. La invitavano alle feste solo per fare numero, tanto che poteva tranquillamente essere scambiata per un soprammobile della casa. Faceva da tappezzeria, nessuno la invitava a ballare. La musica era solo una scusa per fare baccano e coprire altri rumori. Nessuno ballava. Stava seduta sul divano e osservava il via vai delle compagne e dei ragazzi nelle stanze da letto. Non riusciva a comprendere il motivo di quelle feste.

Ricordò un episodio che allora l’aveva molto colpita. Solo più tardi lo inquadrò nella giusta dimensione. Rita, una ragazza molto spigliata, disinibita e procace, si avviò una domenica di inizio giugno verso la stanza da letto appena arrivata e ritornò tra loro solo, quando quasi tutti se ne erano andati. Seduta sul divano Laura osservò incuriosita la strana processione di ragazzi che sparivano nella zona notte e dopo una decina minuti tornavano rossi, ansanti coi pantaloni semiaperti e un po’ bagnati. Le altre ragazze parlottavano tra loro visibilmente infastidite. Qualcuna litigò col proprio ragazzo e se ne andò, altre non accettarono i tentativi di pace. Quando Rita tornò, aveva gli occhi arrossati dal pianto, lo sguardo perso nel vuoto. Camminava in modo strano, almeno era questa l’impressione che ebbe. Non parlò, né salutò i pochi rimasti, andandosene con le lacrime sul viso. Terminato l’anno scolastico qualche giorno dopo, sparì. Nessuno seppe mai dove fosse finita.

Questo amore e odio verso il suo corpo rimase palese e immutato nel corso del tempo. Non cambiò mai, perché, come in quegli anni, aveva paura nel guardarsi nuda allo specchio, ritenendo che fosse un qualcosa di disdicevole. Mentre si lavava, faticava a sfiorarsi il sesso o quei minuscoli seni timorosa di prendere una scossa elettrica.

Laura, mentre rammentava questi particolari, intravide la propria immagine riflessa in un specchio polveroso appoggiato sul pavimento.

Non è che oggi sia migliorata la sensazione”.

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