Non passava giorno – cap. 35

Copertina del mio libro
Copertina del mio libro

Agnese si stava risvegliando dal sogno con Marco nella casa dei misteri, si sentiva tutta bagnata. I capezzoli erano duri come il marmo. L’odore dei suoi umori arrivava alle narici. Non le dispiaceva, anzi li trovava gradevoli.

La camicia era arrotolata sopra il seno, gli slip erano abbassati fino alle caviglie, come se una mano misteriosa avesse compiuto il gesto.

Mormorava in uno stato di semi incoscienza delle parole incongrue. Aprì gli occhi senza vedere nulla. Solo oscurità e qualche lampo di luce. Riemerse dal sonno, diventando vigile. Un languore allo stomaco la sollecitò per ricordarle che non aveva mangiato nulla da molto tempo. Rimase inerte a cullarsi nelle sensazioni che aveva provato in sogno.

È come se un uomo fosse passato nel mio letto’ pensò, mentre abbracciava con vigore il cuscino, scambiato per il misterioso amante.

Perché dovrei alzarmi?’ si disse, osservando le cifre fluorescenti della sveglia. ‘Mi piace sentire le carezze del lenzuolo di lino sul petto, sull’addome e più giù fra le cosce’.

Afferrò il cuscino, come se fosse l’amante, stringendolo forte sul petto.

Se fosse qui!” sospirò. “Sarebbe lui a darmi piacere”.

Paolo si girava e si rigirava nel letto. Non aveva sonno per via del pensiero fisso per Laura. Doveva aspettare la mattina per conoscere le informazioni raccolte da Matteo, mentre l’alba non sembrava arrivare mai.

‘Saranno buone o cattive?’ pensò mentre si metteva sul fianco destro. ‘Saprà darmi il passe-partout per aprire il cuore di questa donna che ha rapito il mio? Quando la vedo o l’ascolto, sono incerto, confuso e incoerente. Balbetto. Sono la brutta copia dell’architetto brillante e sicuro che appare agli occhi della gente’.

Continuava a guardare le cifre rosse della radiosveglia che secondo dopo secondo scandivano il passare delle ore. Il telefono stava sul comodino nella speranza che Matteo avesse delle buone nuove da comunicargli. Però era rimasto muto. Guardò nuovamente l’ora. Era mezzanotte e tre quarti. ‘Matteo sarà a casa di Sofia?’ si chiese con un pizzico di ansia mista a timore. ‘Lo doveva chiamare alle undici. Alle undici e mezza non si era ancora fatta viva’. Lo sapeva, perché aveva chiamato Matteo a quell’ora. Non aveva resistito. L’attesa l’aveva logorato. Ricordò la voce dell’amico, che nervoso gli aveva detto di aspettare una sua telefonata.

L’agitazione prese il sopravvento, perché non era sicuro che Sofia avesse chiamato Matteo. Un dubbio lo assalì, perché aveva il timore che lei avesse scherzato. ‘Spero di no’ si disse per calmarsi. ‘Se fosse vero, si sarebbe burlato di me’. Pensò di mandargli un messaggio. “No” esclamò Paolo, che aveva nelle orecchie la voce dell’amico irata e incollerita. “No. Forse è già a letto con Sofia”.

Era meglio lasciare perdere l’idea di chiedere notizie. Avrebbe aspettato la mattina per ricevere le informazioni.

Nelle sue fantasie da innamorato non mancava la visione di Laura. Si interrogò cosa stesse facendo. Forse stava leggendo oppure sognava. Chi? Si chiese. Forse me. Oppure stava dormendo in un letto che avrebbe voluto condividere con lei.

Doveva calmare l’agitazione interna. Nonostante i suoi sforzi non ci riuscì.

Sofia, per farsi perdonare l’atteggiamento di possesso e di freddezza verso Matteo, lo baciò con passione prima di scendere dalla macchina. Voleva controllare l’effetto che faceva su di lei. Doveva scacciare il pensiero di Laura, che la tormentava da troppo.

L’esito non fu incoraggiante all’inizio, perché provava disagio verso se stessa. ‘Devo superarlo’ si disse, stringendosi a lui. ‘Devo eliminare gli stimoli verso Laura e concentrarmi su Matteo’.

La lingua di Sofia cercò quella di Matteo. Si insinuò maliziosa tra le labbra, scivolò sui denti alla ricerca di una fessura per entrare.

Matteo sorpreso era rimasto passivo ma conquistato dalla piacevole sensazione che lo pervadeva. Contraccambiò con uguale passione.

La mano sinistra di Sofia scivolò leggera sul suo corpo alla ricerca della cintura. Scese sulla cerniera. Si insinuò calda e passionale nei pantaloni aperti a frugare. Era una ricerca impertinente del piacere. Lo percepì impaziente in tutto il suo turgore.

Matteo non rimase inerte. Non faticò a trovare il sesso di Sofia che era caldo, bagnato e fremente di passione.

Sofia si staccò, gli sussurrò che avrebbe voluto essere già nel letto con lui. Rapidamente salirono in casa.

La ragazza respirò profondamente e rasserenata rimuginava che le piacevano troppo gli uomini per desiderare un amore saffico. Aveva perso tempo, prima di concedersi all’uomo che amava. Intendeva recuperarlo questa sera.

Vieni Matteo” gli disse, “prepariamoci nel bagno prima di raffreddarci!”.

Laura era stata titubante e incerta all’inizio ma poi si era spogliata davanti a Marco senza accorgersene, mentre parlava dei suoi dubbi con lui.

Si specchiò nelle ante dell’armadio. Faticava a guardare il proprio corpo con naturalezza, mentre Marco le stava nudo accanto.

Come vedi“ disse il ragazzo sorridente, “tu osservi me e il tuo corpo. Passa la mano sul seno senza distogliere lo sguardo dallo specchio”.

La prese alle spalle, abbracciandola. La baciò con dolcezza dietro la nuca, sul collo, succhiando il lobo dell’orecchio.

La mano di Laura rimase a mezz’aria, incerta se seguire la mente, che le diceva di non farlo, oppure l’ordine di Marco. Il bacio e la carezza spezzarono la barriera psicologica, mentre la mano scendeva leggera sul capezzolo che inturgidiva.

Vieni“disse Marco, “andiamo sotto le coperte. È presto per girare nudi”.

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Una storia così anonima – parte cinquantatresima

Foto personale
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Tende, 10 marzo 2015, ore sette

Luca cammina sul marciapiede tra cumuli di neve sporca, che lasciano rivoli di ghiaccio ancora più neri. Aspetta che la vita nella cittadina riprenda a pulsare. Sono quasi le sette e il profumo del pane appena sfornato sollecita il suo appetito. Entra nel forno per acquistare una baguette. Se la fa tagliare in tre parti e riempire con formaggio e salumi. Prende da un dispensatore una bottiglia di Evian e caccia il tutto nello zaino che porta a tracolla.

Cammina di nuovo sotto le finestre de Le Miramonti, mentre Pierre apre la finestra. Si ferma. Luca l’ha riconosciuto. Si sposta rasente al muro, abbassando la testa nel tentativo di sfuggire allo sguardo di Henri. Non vuol farsi scoprire. ‘Dunque ho intuito giusto’ pensa Luca, andando alla ricerca del garage dell’albergo, che trova poco oltre. Gongola e sorride. Sa che sarà un cane da caccia implacabile nell’inseguire la preda.

Poco più in là sta sollevando la saracinesca un bistrot. ‘Ottimo’ si dice, pregustando un caffè e una brioche calda. Si sistema in un tavolo vicino alla vetrata, da dove può tenere sotto controllo la porta del garage.

Un caffè forte e due croissant alla marmellata” ordina al gestore ancora assonnato.

Sorseggia il caffè nero caldo bollente, mentre sbocconcella i croissant, leccandosi le labbra. Controlla l’ora. Sono ormai quasi le otto e tra non molto vedrà sbucare la Mini blu. Si fa incartare una mezza dozzina di croissant, ancora caldi. ‘Ne prendo qualcuno per te, Van’ si dice Luca con lo sguardo sorridente, mentre paga il conto. Poi scoppia in una risata alla sua battuta sotto lo sguardo incredulo del barista. ‘Mi prende per matto’ pensa Luca, mentre finisce il caffè.

Sente un pulsare nella tasca del giubbotto pesante. ‘Si è messo in moto’ pensa, avviandosi con calma verso la porta. Ha mosso qualche passo verso la sua macchina, quando intravvede uscire dal portone del garage la Mini blu. Sussulta, perché vede Vanessa muovere il maniera strana la testa, come svenuta. ‘Se hai torto un capello a Van’ urla in silenzio Luca arrabbiato con una smorfia del viso, ‘ ti levo i peli a uno a uno e ti scortico vivo. Il supplizio di Bragadin è nulla in confronto’.

Sale in macchina, posiziona gli smartphone ed estrae il computer dallo zaino. Mette la bottiglia di Evian nella console sotto il cruscotto. Poi si mette in moto per seguire il segnale.

Riprendono la strada verso la costa. ‘Non ho capito il senso d’infilarsi a Tende’ pensa Luca, mentre segue a debita distanza la Mini blu. ‘Se l’intenzione era di passare in Italia, quello era il posto giusto. Ma se doveva puntare altrove, era quello sbagliato’. Prova a ragionare sul comportamento di Henri. Non lo trova logico a meno che non abbia ricevuto ordini di puntare verso una località francese successivamente al suo arrivo a Tende. Solo questa ipotesi avrebbe giustificato il dietrofront di Henri. ‘Quale?’ si domanda curioso, mentre la mappa lo informa che, superato Sospell, stanno viaggiando verso Nice. Si preoccupa, perché questo potrebbe complicare la liberazione di Vanessa. Deve intuire dove si sta dirigendo. ‘Nizza’ riflette Luca, aggrottando la fronte e arricciando le labbra, ‘ha un porto e un aeroporto. E sarei fregato, se usasse uno dei due posti’.

La Mini blu è avanti sempre di circa trecento metri, mentre il segnale è chiaro e stabile. Arrivati in prossimità di Nice, entra nella A8 a Nice Est verso l’aeroporto. A Luca vengono i sudori freddi. ‘Sono fregato’ si dice, osservando la mappa sul computer. Però dopo l’uscita di St. Isodore prende il Boulevard du Mercantour in direzione Grenoble. ‘Grazie, Henri’ gli dice Luca con le rughe che spariscono dal viso, tirando un sospiro di sollievo. Né porto, né aeroporto. Tuttavia non è tranquillo. Stanno costeggiando il Var e non è improbabile che possa fare una deviazione. Si tiene fuori del campo visivo della Mini. Il segnale lo sta guidando.

Luca allunga una mano per prendere un croissant e beve un sorso d’acqua. Adesso è più sereno stanno puntando verso Grenoble, costeggiando le Alpi ormai da un paio d’ore. Fa una ricerca sugli aeroporti della zona, pubblici oppure privati. Ce ne sono diversi nell’aerea ma potrebbero essercene altri non censiti. È il suo terrore. Se imbarcano Vanessa su un aereo, lui è fregato. ‘D’accordo che il telefono di Van’ si dice Luca, facendo attenzione allo smartphone e alla strada, ‘continua a segnalare la posizione. Ma che me ne faccio?’ La riflessione è amara, mentre tallona la Mini blu.

Sono stato un asino’ pensa Luca, quando vede rallentare il segnale. ‘Non ho capito che Henri era alle nostre costole nel viaggio verso Mentone. Non ho fatto attenzione alle macchine che ci seguivano. Ha avuto buon gioco nel cogliere Van con le braghe in mano’. Sorride, perché mai metafora è stata così reale. Ha compreso il motivo del rallentamento. Sta entrando a Digne-les-Bains. Accelera un po’ per portarsi più vicino. ‘Henri’ riflette Luca, ‘non fa una sosta. Povera Van! Chissà come si lamenterà!’ Ridacchia, pensando a quando era di fianco a lui.

Ringrazia mentalmente Manetta, l’amico hacker per questa app, che permette di essere in collegamento con Vanessa. Senza sarebbe stato in grossa difficoltà. È veramente furba, si dice, facendo attenzione al segnale. Gli ha spiegato che riesce a mantenere in vita la comunicazione per oltre cento ore e anche di più, se la batteria è in buono stato. “Sia Android che IOS sono dei fottuti bastardi” gli ha detto, mentre la installava. “Lavorano solo per Google e Apple e consumano un sacco di energia semplicemente per spiarti. Quando la batteria scende sotto un livello di sicurezza. Diciamo il 25%, l’app iberna il sistema, tenendo in vita solo il kernel, che usa poco o nulla della potenza della batteria. Anche il programma è parco di energia. In questo modo con un livello basso il segnale è vivo per almeno cento ore. Se qualcuno tenta di riattivare il telefono, lo fa solo se è in carica. Altrimenti niet!”

Luca sorride, perché per almeno quattro giorni può inseguire la sua preda. ‘Posso chiedere il tempo residuo’ pensa, mentre addenta un altro croissant, ‘ma non voglio correre rischi’. Si allarma, perché il segnale indica un rallentamento in un’area senza abitazioni. Accelera per avvicinarsi, perché ha lasciato la N85, dirigendosi verso una località sconosciuta. Luca è in fibrillazione, dopo che si era rilassato per il viaggio che procedeva tranquillo. La mappa non dà indicazioni precise. La velocità della Mini è prossima a fermarsi. Segue le indicazioni e si trova pochi minuti dopo di fronte a un viottolo di campagna, che si perde in un bosco. La Mini è ferma adesso.

Che faccio?” dice Luca indeciso se infilare lo stradello in terra battuta oppure spostarsi più avanti e attendere che Henri e Vanessa ripartono. “E se questa fosse la destinazione finale?”

Le Miramonti, 10 marzo 2015 ore otto

Pierre trasporta Vanessa nel garage sulla Mini, prima di passare dalla reception a saldare il conto.

Niente colazione?” chiede il receptionist.

No” risponde secco Pierre. “Abbiamo fretta e siamo in ritardo”.

L’addetto lo guarda strano. Vede solo lui ma ha parlato al plurale. Guarda il registro. È segnato Pierre Martini e signora. ‘Dunque sono in due’ pensa e sta per chiedere dov’è la signora, quando viene preceduto.

È già in macchina che mi aspetta” dice Pierre, che ha intuito le perplessità del receptionist. Non vuole domande scomode e si allontana senza salutare.

Uscito dal garage, punta il navigatore della Mini su Annency con alcuni aggiustamenti.

Pierre, quando ha infilato i pantaloni a Vanessa, ha tastato le tasche alla ricerca del telefono senza trovarlo. Non ha pensato che la ragazza lo tenesse in una custodia di cotone colorata sotto la maglietta poco visibile dall’esterno. Non l’ha perquisita, perché non voleva correre rischi. I suoi capelli rossi le conferiscono una sensualità che colpisce. Pierre non avrebbe resistito dal palpeggiarla, se l’avesse fatto. Una regola del Oak’s Priorate impedisce violenze sessuali. Infrangerla costerebbe caro.

Uno sguardo sommario gli ha detto che non teneva oggetti nascosti. Questo l’aveva tranquillizzato. Aveva abbassato la guardia per fortuna di Vanessa.

Fatto il pieno si è messo sulla strada, seguendo le indicazioni del navigatore col rispetto dei limiti di velocità e con una guida prudente.

La ragazza sembra dormire tranquilla. Pierre ha bloccato i polso di Vanessa al sedile per evitare che faccia gesti inconsulti al momento del risveglio. Stanno viaggiando da oltre due ore, quando lei dà segni di risveglio. ‘Forse ho abbondato con lo spray’ si dice Pierre con un sorriso cattivo. ‘Meglio! Almeno sono stato tranquillo’.

Vanessa ha gli occhi chiusi. La mente pare riemergere da un buco nero, da un sogno in una notte oscura senza stelle né luna. Non riesce a coordinare i pensieri né a comandare i sensi e i muscoli. Avverte in bocca una sensazione di secco come se la lingua fosse disidratata. Le labbra sono riarse, spaccate. Non riesce a comandare l’apertura degli occhi che rimangono incollati alle palpebre. Non è sdraiata come si aspetterebbe ma avverte delle strane oscillazioni, dei sobbalzi. E ripiomba nel limbo di un sogno senza colori e senza immagini.

Poi riprende coscienza. Sbatte le palpebre ferite da una luce improvvisa. Sente una voce. ‘Non è quella di Luca’ riesce a pensare. Prova a muoversi ma qualcosa impedisce alle mani di obbedire ai suoi comandi. Anche il corpo pare imprigionato da qualcosa che la tiene appoggiata a uno schienale. Non realizza dove si trova. Cautamente riapre le palpebre. Una spira di sole le colpiscono, mentre le richiude. Cerca di portare la destra davanti agli occhi ma avverte dolore sul polso. Qualcosa la blocca. Sospira, mentre un piccola fessura consente agli occhi di osservare dove si trova.

Buon giorno, signorina” dice una voce sconosciuta. “Dormito bene?”

Vanessa ruota con lentezza il capo verso quel suono. Inquadra un viso che non è quello di Luca. ‘Quando ho bisogno di lui’ si dice con uno sforzo, che le provoca un dolore alla testa, ‘non c’è mai’.

Richiude gli occhi e cerca di rilassarsi. Intuisce che la situazione non è piacevole. Deve riacquistare un minimo di lucidità, che al momento le manca.

Avverte una strana sensazione tra le cosce. Uno sfregamento che produce dolore. Non comprende il motivo. In compenso avverte la necessità di svuotare la vescica, che pulsa dolorosamente. A causa dei sobbalzi qualche goccia di urina inumidiscono la stoffa. Sono tutte sensazioni strane che non riesce a catalogare. Ha un vuoto nella memoria. Un buco nero che non riesce a riempire. Si affloscia in semi incoscienza. ‘Mi devo rilassare’ pensa Vanessa, riaprendo con cautela le palpebre. ‘Devo riacquistare lucidità’.

Il tatto le indica che le mani appoggiano su un tessuto che assomiglia alla pelle. L’udito percepisce un rumore sordo. Quello di un motore di una macchina. L’olfatto le porta l’odore di una persona profumata. ‘Non è quello di Luca’ si dice, avendo la conferma di avere accanto una persona sconosciuta. L’unico senso che funziona male è il gusto. Ha in bocca un sapore orribile e una sete incredibile. La vista le mostra immagini insolite. Si trova su una macchina nuova, molto meglio del catorcio di Luca. Il paesaggio non lo conosce. Alla sua destra ci sono montagne, alla sua sinistra un fiume. Tuttavia il vero terrore è il profilo dell’uomo che guida. ‘Henri’ pensa, dopo averlo riconosciuto. ‘Come diavolo sono finito con lui?’

Siamo svegli?”

Di nuovo ascolta quella voce mai sentita prima. Finge di non aver sentito. Si lamenta come se stesse sognando. Deve ritrovare il pieno possesso delle sue facoltà. È ancora torpida nella mente. Vorrebbe bere ma l’impellente bisogno di urinare la induce a mentire. Poi comincia a focalizzare i motivi delle sensazioni tra le cosce. ‘Ho i jeans ma non gli slip’ si dice, senza capire il perché. Poi qualche scampolo di memoria la riporta a Mentone, all’albergo. ‘Mi ero tolta jeans e mutandine’ ricorda Vanessa, ‘perché come ora avevo necessità del bagno’. Adesso deve ricucire i ricordi per ricostruire cosa è avvenuto a Mentone.

La mente di Vanessa non è ancora lucida e ripiomba in quel limbo che sta tra la veglia e l’incoscienza. Ancora sogni senza colori, senza immagini senza suoni. Poi riemerge nello stato vigile senza mostrarlo apertamente. ‘Ora ricordo’ si dice Vanessa, tenendo gli occhi chiusi e respirando come se dormisse. ‘Ero in bagno con jeans e slip in mano, quando ho avvertito dei rumori dalla porta della camera. Poi solo buio profondo. Henri mi ha colta di sorpresa e mi ha narcotizzata. Ma dove sono? Dove stiamo andando? Perché Luca non è intervenuto?’ Mentre riflette e ricostruisce gli ultimi momenti prima del grande sonno, avverte nell’incavo del seno il morbido tessuto che tiene il suo Iphone.

Siamo svegli?” dice quella voce, che suona odiosa alle sue orecchie.

Non risponde ma presto dovrà farlo. La necessità di minzione diventa sempre più urgente, mentre avverte nel basso ventre i dolori causati dalla ritenzione dell’urina nella vescica. Sente che sono sempre più labili i comandi di trattenersi. Qualche goccia torna a bagnare i jeans.

Apre gli occhi, che rimangono accecati dalla luce per qualche istante e articola debolmente poche parole.

Dovete fermarvi” implora Vanessa. “Devo fare pipì con grande urgenza”.

Pierre ride. “E se non lo facessi?” dice, rallentando la velocità.

La farei qui dentro. Su questo sedile” replica dura la ragazza.

Pierre scorge a trecento metri un viottolo sulla loro sinistra. Mette fuori la freccia per infilarlo. Si addentra in un bosco abbastanza fitto. Percorre qualche centinaia di metri per occultarsi alla vista dalla N85, prima di fermarsi.

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Non passava giorno – cap. 35

Foto personale
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Eccoci con l’appuntamento con la storia di Laura, Marco, Agnese, Matteo, Sofia e Paolo. Tre ragazzi e tre ragazze che in un modo e nell’altro stanno intrecciando le loro esistenze. Per chi fosse curioso, può leggere la nuova puntata qui su Nuovoorsobianco.
Buon lettura

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Una storia così anonima – parte cinquantaduesima

foto personale
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Bologna, 1 marzo 1308, ora terza – terzo anno di Clemente V

Pietro è in Strada Maggiore ma non osa avvicinarsi al portone, che pare presidiato da guardie armate. Potrebbe entrare dal cunicolo segreto che dalla magione porta alla cerchia muraria più esterna, la terza. ‘Ma non posso abbandonare il mio fedele bardo’ si dice, allontanandosi senza fretta.

Ha un motivo in più per sfuggire alle guardie: la cassetta che trasporta da Rhedae. ‘Devo custodirla con cura per quando qualcuno non la reclamerà’ si dice Pietro, memore della raccomandazione del cardinale Caetani. Deve trovare un posto sicuro per il bardo e per la cassetta. Ritorna sui suoi passi, verso porta Sant’Isaia che da sul contado.

Riflette, dopo essere uscito dalla palizzata esterna che forma la terza cerchia, verso quale località dirigersi. ‘I possedimenti della magione’, pensa Pietro, mettendo al piccolo trotto il bardo, ‘di certo saranno sotto controllo. Quindi è meglio evitarli. Monte Acuto o Lizzano in Belvedere sono lontani ma sicuri’.

La giornata è fresca e il cielo è pulito. Le montagne sembrano vicine, quasi a portata di mano. Senza fretta Pietro si mette in marcia seguendo il corso del Reno verso la sorgente.

È l’ora nona con la giornata che va verso il tramonto, quando decide di fermarsi a Kainua nella locanda al Marzabòt, che conosce bene. Dopo aver sistemato il bardo, si reca nella piccola chiesa del paese per le funzioni serali. La quiete e il silenzio della cappella lo inducono a restare seduto negli ultimi banchi a riflettere. Si domanda se la sua vita da templare sia stata esemplare oppure no. Ricorda quando nel 1282 il precettore della Lombardia, Guglielmo de Novis lo ha ammesso nell’ordine. Era un giovane di diciannove anni e pieno di speranze per il futuro. Bologna gli è apparsa una metropoli rispetto al paese dove aveva vissuto fino a quel momento, tra Lizzano e Monte Acuto. La frequentazione dello Studio bolognese, dove ha conosciuto Bertrand de Got, il suo attuale papa, Rinaldo da Concoregio, l’arcivescovo di Ravenna e tanti altri, è stata proficua. ‘È stata un’esperienza incredibile’ si dice, osservando il tremolio delle candele. ‘Mi ha permesso d’intrecciare relazioni e rapporti con tutti i potenti fino a diventare il procuratore generale dell’ordine. Per questo sono finito a Paris e lì ho rischiato di rimanere imprigionato’. Il resto è storia recente. Si segna devotamente prima di uscire per tornare alla locanda.

Il mattino successivo al primo albore, consumato un modesto pasto, riprende il cammino verso Lizzano. Quando il torrente Silla si getta nel fiume Reno, Pietro segue questo corso d’acqua, salendo verso la montagna. All’ora nona avvista una costruzione in sasso, una modesta casa di cui conosce il proprietario, Giacomo, da quando era adolescente. ‘Era già anziano allora’ si dice Pietro, bussando alla porta. ‘Sarà ancora in vita?’

Niente è cambiato dai suoi ricordi. Muri a secco, tipici della zona. Piccole finestre chiuse da imposte di legno. Il tetto, ricoperto di ardesia grigia, ricavata dalle cave della zona, è spiovente per far scivolare verso terra la neve, che d’inverno cade copiosa. Un curioso camino tondeggiante. La piccola stalla dove stanno le capre durante il periodo invernale. L’orto, adesso spoglio, nel tratto pianeggiante del prato che circonda la casa.

Dalla porta di ciliegio, inscurita dal tempo, emerge una ragazza. ‘Avrà vent’anni’ pensa Pietro, temendo che il vecchio amico sia morto. Lo sguardo della giovane è stupito. Non si aspetta visite. La persona, che ha bussato, le è sconosciuta. Rimane incerta se chiedere chi è o tornare dentro, serrando la porta.

Sono Pietro Roda, da Monte Acuto” dice il frate, distendendo i lineamenti del viso nel tentativo di apparire amichevole. “Cerco messer Giacomo. Giacomo Ferri”.

Il viso di quel monaco le ispira fiducia ma non si muove dall’ingresso. Non decide cosa rispondere, quando una voce anziana ma ancora forte chiede ‘Chi ha bussato, Lucia?’.

La ragazza si volge verso l’interno. “Nonno, cercano voi. Un frate. Pietro Roda da Monte Acuto” dice senza spostare il corpo dall’uscio.

Fatelo entrare” esclama quella voce possente. “Un vecchio amico che non vedo da oltre vent’anni”.

Muta, Lucia si leva dalla stretta apertura per consentire l’ingresso di Pietro.

Posso legare il mio bardo alla staccionata?” chiede il frate, prima di entrare.

La giovane annuisce. Sembra che abbia perso il dono della parola. Lo guarda affascinata dall’aura che trasmette.

Accendete quel lume” ordina Giacomo alla fanciulla. “Voglio vedere in viso questo amico ritrovato”.

Pietro si avvicina a una sedia, accanto al focolare, che manda gli ultimi bagliori. Osserva il vecchio che nonostante l’età avanzata appare ancora energico. Il viso è lo stesso di tanti anni prima. Rugoso e secco, i capelli bianchi si sono diradati, il corpo pare più minuto. Una coperta di pelli di capra gli copre le gambe.

Commosso Pietro lo abbraccia in silenzio. “Non invecchiate mai” esclama il frate, staccandosi da Giacomo.

Magari” fa l’anziano, il cui occhio si è inumidito. “Lo spirito c’è ma il corpo no. Gli anni mi costringono su questa sedia, quando non sono nel mio giaciglio”.

Lucia taciturna sta in piedi accanto a una tavola rustica, coperta da una tovaglia di canapa. Conoscendo il nonno, trova che la presenza dell’ospite abbia avuto il potere di addolcire la ruvidezza del carattere. ‘Non mi pare che sia così vecchio da frequentarsi in gioventù’ pensa la fanciulla. ‘Potrebbe essere coetaneo di mio padre piuttosto che del nonno’.

Muovetevi” le dice Giacomo con tono ruvido. “Portate una brocca di vino buono, due boccali e qualche fetta di pane di segale. Dobbiamo salutare Pietro”.

Lucia a quell’ordine si muove silenziosa verso la dispensa.

Messer Giacomo” inizia Pietro in modo circospetto, una volta rimasti soli, “ho bisogno del vostro aiuto. Vi affiderei il mio bardo e devo nascondere una cassetta”.

Ne parliamo dopo con calma. Ora raccontiamoci qualcosa” dice Giacomo, scuotendo il capo. “Vi fermate con noi stasera?”

Se voi lo volete” fa Pietro, guardando in viso l’anziano, “sarà un onore per me stare alla vostra tavola”.

Giacomo allunga una mano per stringere il braccio del frate. Sembra ringiovanito di colpo, lasciando sorpresa la nipote che pone la brocca di vino sul tavolo.

Nonno, ecco il vino. È quello delle occasioni speciali” dice la ragazza. “Oltre al pane ho portato del formaggio di capra stagionato”.

Il camino è più alto del pavimento di una fila di mattoni a costituire una pedana. Un’apertura al livello di terra raccoglie le ceneri della legna bruciata. Serviranno per la notte a riscaldare le coperte.

Pietro si siede di fianco al camino con le spalle al fuoco, vicino a Giacomo, mentre Lucia si apposta sull’altro lato. La ragazza ascolta le chiacchiere dei due amici. La giovane è stupita, perché ricorda il nonno come una persona di poche parole. ‘Non ho mai sentito il nonno parlare così fittamente come stasera’ pensa Lucia, senza perdere una parola dei loro discorsi.

Al vespro, col rientro dei genitori, l’atmosfera diventa ancor più calda e nella stanza risuonano voci e risate. Lucia ascolta senza poter intervenire nelle loro conversazioni. Parlano di argomenti sconosciuti, quando lei non era ancora nata.

Lucia” fa il nonno, traendola accanto a lui, “se abbiamo questa solida casa, è tutto merito di Pietro, che ha perorato la nostra causa presso i suoi genitori”.

Lucia è affascinata dal frate, che ha un viso franco e che ispira fiducia. Potrebbe essere suo padre ma giacerebbe volentieri con lui. Lo osserva, lo scruta con attenzione e sente dentro di lei crescere un sentimento. ‘È solo una fantasia di fanciulla’ si dice Lucia, abbassando gli occhi. ‘Però ha trasformato l’atmosfera della casa. Allegra, serena. Sembra che sia entrato un raggio di sole a fugare le nuvole’.

Dopo la frugale cena si radunano intorno al focolare, dove ardono ciocchi di quercia. La stanza è calda, mentre fuori la temperatura è rigida. Il vino caldo riscalda il viso e il cuore di tutti. Solo Lucia e sua madre non bevono, come è usanza da quelle parti.

Lucia, prepara la stanza vicina alla mia, al piano terra” ordina Giacomo, che vuole avere vicino Pietro per la notte.

Subito, nonno” dice la ragazza, avviandosi verso la camera.

Elisa, la madre, la segue per aiutarla. Prende con sé un grosso cero per fare luce. La stanza è polverosa e umida, un ripostiglio dove sono ammassati mobili dismessi e suppellettili vecchie. Un locale di fortuna, usato quando il nonno sta male. Le due donne preparano il letto, tolgono un po’ di ragnatele e mettono nel centro un grosso braciere per riscaldare l’ambiente e togliere umidità. Recuperano un pagliericcio da un armadio e mettono lo scaldino di terracotta nel prete per riscaldare le lenzuola.

È pronta la stanza, nonno” gli annuncia Lucia, sedendosi ancora con la schiena al focolare.

Venite” dice Giacomo, facendosi aiutare dal figlio a camminare. Pietro si mette di fianco al vecchio, che si appoggia sulla sua spalla.

Sistemato Giacomo nel suo letto, il frate si siede di fianco, mentre un grosso cero illumina la camera. Il vecchio mette un dito sulla bocca per suggerire a Pietro di non parlare della sua richiesta.

Ditemi” fa Giacomo, volgendosi verso il frate. “Cosa mi raccontate. Sono passati tanti anni da quando siete partito da queste montagne per la pianura”.

Pietro gli prende la mano rugosa e parla a lungo di quello che ha visto e sentito in tutti quegli anni. I rumori nella casa diventano sempre più flebili, finché non regna il silenzio.

Ora potete dirmi” dice Giacomo in un sussurro, “quello che mi avete chiesto”.

Messere” inizia Pietro, avvicinandosi al volto del vecchio, “devo nascondere una cassetta, di cui ignoro il contenuto. Ma dev’essere prezioso, visto che ho dovuto scansare molti agguati”.

Giacomo annuisce, per suggerire di proseguire.

Poi non so dove mettere il mio bardo” fa Pietro. “La magione è inaccessibile normalmente e perderlo mi dà dispiacere. Spero tra qualche tempo di tornare per recuperare entrambi”.

Giacomo ha il viso ancora più rugoso e pensa alla cassetta. Per il cavallo non c’è problema. La stalla può contenere sia il bardo che le capre. Poi distende il viso. Fa segno a Pietro di avvicinarsi.

Vedete quell’angolo?” dice il vecchio, mentre il frate annuisce. “La quarta pietra dal basso è solo appoggiata. Dietro c’è una cavità. Se la cassetta passa, è il nascondiglio ideale”.

Pietro si avvicina. Tocca la pietra, che estrae dal suo posto. Valuta l’apertura. Gli appare idonea a far passare l’oggetto che tiene sotto la tonaca.

Mentre i due uomini parlottano, Lucia, che fatica a dormire, scende dal letto. Il frate l’ha stregata. Non ha mai visto una persona così affascinante. Apre con cautela la porta, che cigola sinistramente. Si ferma. Ascolta il russare di suo padre e il sonno pesante della madre. Esce dalla sua stanza e scende i gradini di legno che portano al piano terra. Le sembra che facciano un rumore infernale ma forse è solo una sensazione. Col cuore in gola per il timore di essere scoperta sosta in un angolo buio. Intravede la schiena del frate senza comprendere cosa stia facendo. Ascolta dei rumori sordi che il silenzio ingigantisce. Vorrebbe avvicinarsi di più ma il timore di essere vista la paralizza. ‘Cosa sta facendo il templare?’ si chiede immobile, trattenendo il respiro.

Pietro abbraccia Giacomo e si ritira nella sua stanza. Il buio è praticamente totale. Lucia trema sia per la paura che per il freddo. I piedi scalzi sono gelidi. Abitua gli occhi all’oscurità e a tentoni raggiunge la scala, cercando di evitare gli ostacoli. Con la punta del piede nudo urta il gradino. Si morde la lingua per non gridare. Poi col cuore in gola Raggiunge il suo letto, dove si rannicchia sotto le coperte. Trema per il freddo, mentre scivola nel dormiveglia.

La mattina seguente, al primo albore, Pietro è già in piedi. Si inginocchia verso levante per le orazioni del mattino. È in questa posizione, quando Lucia sbircia nella stanza. Rimane a bocca aperta. Non ha mai visto un frate pregare. Ascolta parole che non conosce. Il prevosto parla la loro lingua.

Che fate, Lucia?” dice una voce familiare alle sue spalle. È Elisa, sua madre, che sta andando a preparare la colazione del mattino per tutti.

Ascolto delle preghiere che non conosco” risponde la ragazza, sussultando per lo spavento.

Ma è il Pater Noster” fa la madre, sorridente. “Venite”.

Lucia la segue malvolentieri. Avrebbe voluto rimanere in adorazione del frate. Anche Giacomo viene alzato. Sono tutti riuniti nella grande cucina col fuoco del camino che riscalda la stanza. I genitori di Lucia si preparano per portare le capre nel pascolo, il nonno a trascorrere la giornata in compagnia della nipote nella monotonia di poche parole. La presenza di Pietro ha vivacizzato l’ambiente ma sanno che presto prenderà la strada verso la pianura.

Il frate ringrazia Elisa e suo marito per l’ospitalità ricevuta e li abbraccia con calore.

Non preoccupatevi per il vostro bardo” dice l’uomo. “Sarà trattato come un principe”.

Grazie” replica Pietro, allungando un sacchetto dove risuonano dei bolognini d’argento.

Non li voglio” fa l’uomo, mettendo le mani dietro la schiena.

Tenete” dice il frate, infilando il sacchetto nella cintura del padre di Lucia. “Vi serviranno. Non so quando potrò tornare a riprenderlo”.

Marito e moglie si avviano con le capre. Pietro li osserva, mentre entrano nel bosco, prima di rientrare nella casa.

Partite?” chiede Lucia con l’occhio lucido.

Sì” risponde il frate. “Il tempo di salutare Giacomo e poi mi aspetta un lungo tragitto a piedi”.

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