Una storia così anonima – parte cinquantottesima

foto personale
foto personale

Fiume Reno, 31 gennaio 1310 – ora sesta anno quinto di Clemente V

Pietro sta camminando da diverse ore sotto una copiosa nevicata. Non sa con precisione se è sulla strada giusta per l’appuntamento con Domenico ma la fede lo spinge a proseguire nel suo cammino. Le indicazioni sono state vaghe. ‘Troverete un capanno non molto grande andando verso la sorgente. È posta su un’ansa del fiume. Non potete sbagliarvi’. Aveva detto Tonio, l’unico servitore rimasto nella magione. Il frate ripensa a quelle parole ma non è detto che la direzione sia quella corretta.

‘Ma il fiume è il Reno?’ si chiede, riparandosi gli occhi dagli aghi pungenti dei fiocchi nevosi con una mano. Il cappuccio lo ripara ma il viso è esposto al vento e alla neve. Pietro si domanda con quale mezzo andrà verso Lizzano. Il tempo inclemente non favorisce gli spostamenti ma ha fiducia nella sua guida, che conoscerà presto. Almeno questa è la sua speranza. Mentre prosegue la marcia, ripensa agli avvenimenti degli ultimi due anni.

‘È stato un periodo burrascoso quello trascorso’ si dice Pietro, liberando con la mano il viso dalla neve. ‘Quel frate domenicano…’ e si interrompe un attimo. Non vuole pronunciare il suo nome, perché avverte crescere la collera dentro di sé. ‘Ci ha reso la vita dura. Non abbiamo potuto contare sulle nostre proprietà. Ha ostacolato i rifornimenti. Di fatto ci ha messo in prigione’. Pietro si ferma e dice qualche orazione. I pensieri lo hanno fatto peccare e si deve mondare, se vuole godere dell’appoggio di Gesù e di Maria Maddalena.

Riprende a camminare. La neve ha quasi smesso di scendere ma il cielo è latteo e il frate affonda per circa un piede nella coltre bianca. Ci sono solo le sue impronte sul terreno dietro di sé, mentre davanti il manto nevoso è intatto.

‘Fino a settembre dell’anno appena trascorso siamo stati sotto il giogo dell’inquisitore’ ricorda Pietro. ‘Poi la situazione è cambiata. Rinaldo da Concoregio, il nostro arcivescovo, ha assunto il comando, consentendo un miglioramento del nostro status’.

Mentre sta riflettendo su questo, gli pare di scorgere in lontananza tra gli sterpi imbiancati una costruzione scura. ‘È il capanno?’ si chiede, fermandosi un attimo per mettere a fuoco quell’immagine. Si inginocchia verso levante per ringraziare Gesù e Maria Maddalena per l’aiuto ricevuto. Riprende il cammino con maggiore lena, dopo essersi scrollato mantello dalla neve.

Un nuovo dubbio lo assale ma lo scaccia subito. ‘Devo avere fede’ si dice, accelerando il passo. Non ha un’idea da quanto tempo è in marcia. ‘Potrebbe essere l’ora terza come la sesta’ pensa Pietro. Il capanno appare come un miraggio. Pare essere lì a portata di mano ma non si avvicina mai. Il fiume sembra un serpente in preda alle convulsioni.

Il cielo si schiarisce e non nevica più. Bussa alla porta per annunciarsi.

“Avanti” dice una voce dall’interno.

Pietro non riesce a quantificare l’età della persona. Entra in un ambiente gelido, appena mitigato da un misero braciere.

“Pensavo” fa un uomo dalla barba folta, avvolto in una pelle di agnello, “che avesse rinunciato, visto le condizioni del tempo. Stavo per andarmene”.

“Sono desolato” esordisce Pietro. “Ho pensato più volte di essermi perso. Il cielo coperto e la tempesta di neve mi hanno impedito di arrivare più in fretta”.

Domenico spegne il fuoco, immergendolo nella neve.

“Andiamo” dice, avviandosi verso la campagna.

“Dove?” chiede il frate, che non ha compreso dove si stanno dirigendo.

“A casa mia” fa Domenico, scendendo con prudenza dall’argine. “Stasera stiamo al coperto. Domani di buon ora si parte”.

Pietro segue in silenzio la sua guida. Attraversato un boschetto spoglio ma carico di neve, vede una costruzione bassa in muratura dal comignolo della quale esce un filo di fumo bianco. Tutto intorno un bianco candore immacolato.

“Bianca” urla Domenico, entrando in androne buio. Si toglie la neve dalle calzature, battendole contro un supporto di ferro. “Siamo arrivati. Prepara qualcosa di caldo. Siamo infreddoliti”.

Pietro lo segue ma prima si toglie il mantello incrostato di ghiaccio. La cucina è accogliente con il suo tepore. Sul focolare sta una pignatta. L’ambiente è ordinato. Un tavolo rustico, qualche sedia di legno, un canterano semplice in ciliegio, dove si conserva la legna, una madia in un angolo. Una donna sfiorita mescola il contenuto della pentola.

Domenico si siede vicino al tavolo e fa cenno a Pietro di fare altrettanto. Da una brocca sbeccata si versa in un boccale di terracotta del vino, che tracanna tutto d’un fiato. Poi taglia da una forma al centro del tavolo un pezzo di pane nero di segale, che mette intero in bocca, masticando rumorosamente.

“Ho fame, Bianca” dice Domenico con la bocca piena, mentre qualche frammento di pane scivola sul petto.

Pietro lo guarda allibito. In un attimo ha bevuto un boccale di vino. Ha ingurgitato un pezzo di pane enorme e adesso chiede a gran voce qualcosa d’altro da mangiare. Lui aspetta una scodella di zuppa di verdure, che sta bollendo sul fuoco.

La donna si affretta a portare in tavola del formaggio di capra stagionato e una caraffa di vino caldo, due ciotole lucide e due boccali di stagno. Pietro prende un pezzo di formaggio e si versa due dita di vino caldo, che profuma di spezie.

Domenico ride vedendo il frate che non mangia nulla e beve pochissimo. Lui non si fa pregare per finire tutto. Fuori è calato in fretta il buio. Il freddo fa gelare la neve caduta.

Al primo albore Domenico e Pietro si mettono in viaggio su un carro coperto da un telo di canapa, trainato da un bue. Procede lento e fatica a salire, perché il freddo della notte ha trasformato la neve in ghiaccio e le zampe dell’animale tendono a scivolare.

“Ci metteremo diversi giorni” esordisce Domenico, sollecitando la bestia, che fuma per freddo, “e non sarà una passeggiata”.

“Non ho fretta” mente Pietro che avrebbe voluto essere già tra i suoi monti ad abbracciare Giacomo e Lucia. “Ci metteremo tutto il tempo che serve”.

La lenta andatura, il silenzio della natura ricoperta dalla neve invogliano il frate a riflettere sugli ultimi avvenimenti. Rinaldo da Concoregio è stato ospite della magione per due mesi. Il tempo per svolgere il concilio bolognese su di loro. La tensione si è allentata in quel periodo, perché l’inquisitore è stato meno asfissiante. Le vettovaglie erano più abbondanti, i controlli meno pignoli. Loro potevano muoversi con maggiore libertà. Così quando un messo papale gli ha portato la notizia che avrebbe dovuto mettersi in cammino per raggiungere Paris e difendere i confratelli imprigionati, ha potuto organizzare il viaggio con maggior tranquillità.

Il vescovo nel lasciare la commenda ha dato ordine che venga fornito per tutti, compreso Tonio, il domestico, beni e denaro, affinché possano avere una vita dignitosa. L’inquisitore si era opposto ma ha dovuto cedere. Pietro aveva conosciuto Rinaldo ai tempi dello Studio bolognese. Il ricordo dell’antica amicizia gli aveva permesso di parlare liberamente durante il soggiorno presso la loro domus. Pietro è convinto che anche senza questa conoscenza Rinaldo si sarebbe dimostrato umano e comprensivo verso di loro. Durante le lunghe sere di veglia avevano discusso di quello che era successo in Francia e di riflesso in Lombardia. Erano giunti alla conclusione che Filippo IV, il Bello, aveva commesso un sopruso ma Bertrand de Got, il loro papa, si era dimostrato troppo arrendevole. Loro si sentivano impotenti di fronte a questi avvenimenti. Tuttavia Rinaldo non ha voluto calcare la mano come Tascherio, l’inquisitore, aveva preteso.

Il viaggio dura una settimana, perché la neve e il ghiaccio impediscono una marcia più spedita.

Il sette febbraio Pietro bussa alla porta della casa di Giacomo. Anche questa volta Lucia viene ad aprire il portone. È vestita di scuro, coi capelli raccolti a crocchia. Non ha il viso allegro di quando era partito due anni prima. Pietro intuisce che Giacomo non c’è più.

“Frate Pietro!” esclama la ragazza che sorride alla sua vista. “Attendevo con impazienza il vostro arrivo”.

Li fa entrare, mentre chiama i genitore. “È arrivato Pietro!”

0 risposte a “Una storia così anonima – parte cinquantottesima”

  1. Mi spiace non aver cominciato a suo tempo la lettura. E non aver tempo per recuperare. Da molto vorrei leggerti. E lo farò con vero interesse.
    Intanto un saluto e complimenti per la bella “foto personale”.

  2. Ciao carissimo, sto tornando nella vita più “normale” e così mi metto in pari con gli arretrati di lettura dei tuoi pezzi! Un abbraccio e buona domenica

      1. E’ stato un periodo lungo e fatico soprattutto dal punto di viste emotivo. Poi analisi e qualche tensione per Roby (fortunatamente tutto rientrato). Grazie carissimo per esser sempre così presente.

    1. Grazie. Per le tue parole.
      Un caro abbraccio.
      O.T. forse per giugno mancano due date. Una sicuramente il 29 giugno – ha dato buca Capehorn – e l’altra il 15 giugno – Univers ha chiesto una data ma non ha confermato.
      Ti va di riempire la data del 29? Io mi tengo pronto per il 15.
      Ciao

  3. Finalmente anche per Frate Pietro si annuncia un periodo meno burrascoso, qualcosa di buono dovrà finalmente arrivare, ne ha passate troppe in questo viaggio ….
    E’ un buon Frate e Lucia è contenta nel rivederlo! Lo sarei anch’io!
    Buon proseguimento nella scrittura, un caro abbraccio da Affy

Rispondi a mirta Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *