Le Bollicine di Simona

Simona
Simona

Era 25 settembre 2004. Il gran giorno era arrivato. Vasco Rossi concludeva il suo tour per l’Italia a Catanzaro. Tutta la Calabria e la Sicilia era in fibrillazione per il suo arrivo.

Simona, trepidante per l’evento, lo aspettava con ansia, pari all’attesa tra i suoi amici e le sue amiche. Rossella, Paula, Nino, Stefano e altri ancora. L’elenco non sarebbe mai finito, tanto era lungo.

Questo era il secondo mega concerto di Vasco che Simona si accingeva ad ascoltare. Quattro anni prima, appena ventenne, aveva fatto una lunghissima fila per acquistare i biglietti. I ricordi affioravano netti: come aveva corso per essere tra i primi della fila, quale lotta aveva ingaggiato con i suoi genitori per convincerli a lasciarla andare!

Suo padre sprezzante aveva affermato che al concerto andava solo una massa di drogati. Sì, papà! Certamente drogati ma dalla musica di Vasco! Quando gli risposi “Papà, tra i drogati sarò anch’io!”, lui non mi aveva voluto sentire.

Doveva ringraziare chi le aveva fatto ascoltare Vasco per la prima volta, quando ancora quasi non sapeva dire il suo nome: “CIAO MA’!”. Simona voleva riascoltare “VOGLIO UNA VITA…CHE NON E’ MAI TARDI! DI QUELLE CHE NON DORMI MAI!!!” ma quella sera non era in programma.

A Simona ritornavano i ricordi. Si ripresentava tutto quello che era stata, che aveva fatto, la verità e una versione di lei che la descriveva nel reale, fuori degli schemi. Sembrava che una molla la spingesse avanti. Una voglia di ridere incredibile, di correre, come aveva corso quattro anni prima per comprare i biglietti del primo concerto.

Aspettava con ansia, facendo il countdown nell’attesa del gran momento. Il giorno dopo avrebbe ricominciato a far scorrere fiumi di parole sul suo diario, a vivere di rendita come l’altra volta per un concerto che sarebbe durato nella sua testa almeno per un anno!

L’aspettativa era talmente forte che la sera prima Simona non riuscii a dormire. Vedeva scorrere le cifre rosse dell’orologio digitale sul suo comodino. Zero. Uno. Due. Come i grani del rosario che a maggio teneva in mano durante la novena mariana in chiesa. Il lampeggio era inesorabile ma lento. Avrebbe voluto sveltirlo ma era impossibile. Alle cinque il supplizio terminò. Si alzò, anche se la partenza era fissate per le otto. Non importava se mancavano ancora tre ore ma il letto era cosparso di spine. Jeans, polo, scarpe da ginnastica bianche sarebbe stata la sua tenuta per la sera. Un maglioncino di cotone nello zainetto con acqua e buste di crackers. Qualche altra cosa infilata alla rinfusa. Un pacchetto di assorbenti, per precauzione. Alle sette e mezza era in stazione a Messina, dove trovò gli amici rumorosi e assonnati.

Il treno per Catanzaro era in ritardo come il solito. La banchina era presa d’assalto da altri giovani e da pendolari, che guardavano di sbieco quella massa di fannulloni, che andavano a sballarsi al concerto di Vasco. Loro sarebbero scesi a Reggio ma quei giovani chiassosi arrivano fino a Catanzaro. L’eco del mega concerto di Vasco era come l’onda lunga della risacca, attirando tutti i ragazzi da Palermo a Messina. Nonostante fosse fine settembre, l’aria era ancora calda e afosa, surriscaldata da quella marea vociante.

Dovevano raggiungere l’Area Verde, che era a ingresso gratuito, per godersi gli ultimi istanti dei preparativi di Vasco e della sua Band per la sera. Da lì si sarebbero trasferiti nel prato sotto il palcoscenico a prendere un buon posto. Simona e i suoi amici raggiunsero il posto, sistemandosi nella attesa dell’inizio del concerto insieme a tanti altri giovani e meno, venuti ad ascoltare il mitico Vasco.

Era emozionata come la prima volta. Allora era la prima volta che usciva di casa tutta la notte con gli amici. Adesso non era più una novità. Aveva viaggiato da sola verso Milano per trovare il fratello. Aveva ascoltato altri concerti. Però il pensiero di assistere alla serata con Vasco la fece tornare indietro nel tempo. Stesse emozioni, stesse ansie che le prendevano la gola e che sarebbero svanite con le prime note della band.

Sotto il sole che picchiava duro Simona con gli amici rimase ferma per l’intero pomeriggio. Non si sarebbe mossa da lì nemmeno per andare ai servizi. Piuttosto se la sarebbe fatta addosso! L’acqua terminò presto ma nessuno voleva lasciare la postazione. “Patiremo la sete” si disse, mentre la polo si inzuppava di sudore.

Il tour 2004 era iniziato a Latina il 30 maggio e Catanzaro sarebbe stata la tappa conclusiva. La scaletta comprendeva ventinove canzoni tra cui “Bollicine” ma mancava “Vita spericolata”. Per lei era la canzone simbolo, perché, da quando aveva vent’anni, la sua vita era stata vissuta sempre di corsa, per schizzare via a prendere i treni, che passavano una sola volta.

Vasco attaccò con “Cosa vuoi da me” seguito da “Fegato, fegato spappolato” scaldando la platea. Non ce ne sarebbe stato bisogno, vista la temperatura della sera ma il suo popolo intonò con lui la canzone, ondeggiando al ritmo della musica.

Mentre il concerto si snodava con il susseguirsi delle canzoni in programma, il cielo diventava sempre più imbronciato, minacciando pioggia a catinelle. Il caldo afoso era riuscito nel fare un dispetto a quella marea di giovani, richiamando dal mare un grosso temporale. Sarebbe riuscita ad ascoltare “Bollicine” prima del diluvio universale per annegare tutti questi peccatori venuti ad ascoltare Vasco, personaggio scomodo e fuori degli schemi?

Simona continuava a guardare il cielo preoccupata, finché le note e le parole della canzone non riecheggiarono nello stadio.

“….

bevi la coca cola che ti fa bene

bevi la coca cola che ti fa digerire

con tutte quelle, tutte quelle bollicine …

Poi dal cielo cominciò a scendere la pioggia. Lampi e tuoni e gocce sempre più forti inondò la folla che cominciò a sfollare disordinatamente.

Simona corse, come mai lo aveva fatto in vita sua, per non beccarsela tutta insieme agli amici. Esattamente nello stesso modo con cui prendeva i treni perché sapeva che passano una volta sola. Pensò che la sua vita fosse davvero SPERICOLATA!

Bagnati ma felici ripresero il treno per Messina, mentre urlavano a squarciagola le canzoni di Vasco. Simona lo era in modo particolare, perché aveva potuto riascoltare dal vivo il suo idolo, il suo mito, perché aveva voglia di correre, di non fermarsi mai.

Questo anno non si era fermata mai. Prima era arrivata la laurea in lingue straniere con il massimo dei voti. Poi era riuscita a strappare ai suoi genitori il consenso per frequentare a Milano un master di Marketing e Comunicazione presso una prestigiosa Università. Trasloco e vita per almeno un anno al nord. Infine il concerto di Vasco.

Si sentiva inquieta, perché si era persa fra le tante parole, scritte e dette, sue e degli altri, diventando pensieri sempre più complessi e, alla fine, incubi.

Se si guardava con cura dentro di sé, tutto questo le ha fatto bene solo per un po’. Adesso era giunto il momento di smettere di guardarsi indietro, perché la incatenavano a quello che era il passato, mentre doveva cominciare a osservare quello che sarebbe stato il suo futuro.

Era arrivata a questa conclusione, ascoltando durante il viaggio di ritorno dal suo MP3 le canzoni dei Pink Floyd nell’album THE DIVISION BELL. Si rivedeva a diciassette anni, seduta davanti allo stereo, ascoltando queste canzoni. Pensava al suo futuro, visto che di passato allora non poteva parlare. Erano passati sette anni. Adesso un po’ di passato l’aveva, e proprio per quello “I knew the moment had arrived for killing the past and coming back to life”.

Capiva che stava inseguendo non un sogno ma un’ossessione, perché nel frattempo si era persa in pensieri, che le avevano riempito la testa e il cellulare di parole, che nella vita reale non servivano.

I feel persecuted and paralized” si disse Simona, mentre pensava a lui, il sogno che inseguiva da tanto tempo. “Credo sia arrivato il momento di smettere di farmi condizionare dai discorsi di chi in fondo di me non si preoccupa. Torno su me stessa! Spero di rimanere su questa posizione”.

La preoccupavano quegli incubi ma poteva chiamare il suo guardiano dei sogni, che ultimamente si era distratto. “Deve essere difficile lavorare con me ma i suoi occhi scuri bastano per calmarmi. A volte sparisce ma almeno non mi riempie la testa di concetti stupidi”.

Il giorno dopo il concerto si ritrovarono da Billé a gustare gli ultimi gelati di una lunga stagione estiva. Parlarono di Vasco, della fuga precipitosa sotto il diluvio universale, che puniva quel popolo di miscredenti, che idolatrava come un Dio il mitico Vasco. Era la giusta punizione verso tutti questi trasgressori, che della trasgressione facevano uno stile di vita.

Poi la lunga passeggiata sul lungomare a parlare del futuro, di cosa riservava a loro il domani, dei sogni e delle speranze, insomma di tutto quello che i giovani parlano, quando si frequentano.

I giorni successivi passarono veloci nella preparazione dell’imminente viaggio a Milano. Un misto di ansia e di curiosità riempivano le sue giornate. Adesso il problema era una sistemazione provvisoria, un posto dove alloggiare nei primi tempi nella attesa di trovare qualcosa di meno precario. Doveva comprare del vestiario adatto al clima rigido del Nord, perché a Messina non le servivano. Insomma prepararsi a quella lunga trasferta tanto sognata ma anche temuta.

Riuscirò a resistere lontano di casa? La nostalgia mi assalirà? Come reagirò a svolgere tutti quei compiti, che ora non mi sfiorano?” Questi erano i suoi pensieri, i suoi dubbi. Non li diceva apertamente, perché avrebbe voluto dimostrare di essere in grado di superare qualsiasi avversità.

Giorno dopo giorno tra dubbi e pensieri positivi arrivò la data della partenza. Salutò gli amici, la mamma, che non era contenta di vedere partire la figlia per luoghi lontani e misteriosi, dopo aver visto allontanarsi il figlio per la carriera militare. Aveva sentito parlare di Milano, come di una città che inghiottiva le persone, snaturandole e trasformandole in altre irriconoscibili. Era una sorta di Moloch che voleva in sacrificio gli affetti più cari. Percepiva che la casa sarebbe diventata più vuota, perché gli affetti se ne andavano lontani, mentre la tristezza calava su di lei.

Simona sapeva di darle un grosso dispiacere ma la voglia di avviarsi per affrontare questa nuova avventura era talmente grande da superare anche l’affetto che provava per lei. Prese il treno e partii per il lungo viaggio attraverso l’Italia verso nuovi orizzonti.

0 risposte a “Le Bollicine di Simona”

  1. Linda historia**He leído con gran placer.*Espero que Simona,en la nueva aventura
    recorra hermosos lugares*
    buenas noches*
    muchos cariños*

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