Una storia così anonima – parte trentoottesima

Foto personale
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Rhedae, 24 novembre 1307, ora nona – anno secondo di Clemente V

É l’ora sesta, quando Marcel si ferma in un piazzola innevata e scende di cavallo, imitato da Pietro. “Ancora un piccolo sforzo” dice alla sua cavalcatura, mentre prende da un sacco palline di zucchero, carrube per rifocillarlo.

Tra poco, prima che il buio scenda su questo bosco” fa Marcel, appoggiandosi al tronco di un albero, “saremo a Rhedae”.

Pietro sta mangiando l’ultima parte della pagnotta dolce del mattino e guarda quel volto rugoso, che lo fa sembrare più vecchio del dovuto. ‘É stata una guida preziosa’ pensò, ‘mi ha guidato con mano sicura su sentieri nascosti, che solo lui ha saputo decifrare’.

Voi siete un templare?” chiede Marcel, osservando Pietro assorto e silenzioso. Per molte ore hanno cavalcato in silenzio, immersi nei loro pensieri. Solo poche frasi l’hanno rotto. Più di circostanza che di vero dialogo. Il frate rimane sorpreso dalla domanda, chiedendosi il motivo.

Sì” risponde laconicamente, rimanendo sulle sue. La domanda gli garba poco. É vero che non nasconde di esserlo ma preferisce sorvolare sul suo stato. Potrebbe essere pericoloso, se si incontra qualcuno che ligio al dovere dovesse fare la delazione.

Daniel” dice Marcel, fregandosi le mani intirizzite dal freddo, “me l’aveva detto”.

Daniel?” domanda Pietro, che non sa chi sia questa persona.

L’oste” risponde l’uomo, che, vista la smorfia perplessa di Pietro, si affretta a precisare. “Il proprietario della locanda Au Dragon”.

Il frate distende i lineamenti del viso. Ha capito a chi si riferisce. “Perché mi chiedete la conferma di quanto sapevate già?” chiede Pietro, che sistema la coperta di ruvida lana sul suo bardo per proteggerlo dal freddo della sera incipiente.

Così” risponde Marcel, alzando le spalle. “Quei fetenti dei francesi vogliono derubarli delle loro ricchezze. Stanno dando la caccia a tutti voi per sterminarvi”.

Pietro annuisce col capo. Non gli piace parlare di questo. I rischi sono alti per la sua missione. É stato un bene, pensa il frate, averlo incontrato. Un segno del destino ma la prudenza deve essere sovrana e assoluta.

La guida capisce che il suo compagno non ama sbilanciarsi o parlare con chicchessia. Però vuole rassicurarlo sulle sue intenzioni. Vuole anche far capire che con lui sarà sempre al sicuro.

Anch’io ho un conto aperto coi francesi” precisa Marcel.

Perché non vi sentite francese?” domanda cauto Pietro.

No” afferma con convinzione l’uomo. “Io sono un cataro, anche se non posso gridarlo ad alta voce”.

Pietro lo guarda con ammirazione. Ha coraggio da vendere, si dice. Lo sguardo del frate convince la guida a parlare, a sfogare la rabbia repressa dentro di lui.

La famiglia di mio padre fu sterminata a Montsegur, quando nel 1244 venne presa e distrutta dalle armate francesi”.

Pietro riflette che la storia si ripete ancora una volta. Come le crociate contro i catari per estirpare l’eresia, adesso si fa una crociata contro di loro. Il fine è sempre lo stesso: affermare il predominio dei reali francesi su territori e ricchezze, che non gli appartengono.

Aveva dieci anni, quando avvenne il massacro” prosegue Marcel. “Si salvò nascondendosi in un anfratto sotto il castello, che lui conosceva bene. Era il suo rifugio segreto e questo lo salvò dalla furia della soldataglia. Io non sarei qui, se lui non si fosse nascosto. Vagò per mesi per l’Occitania, finché un giorno non arrivò ad Atax, accolto in una famiglia di catari, che erano miracolosamente scampati agli stermini dei francesi. Lui mi ha sempre raccontato di quel periodo oscuro e atroce”.

Capisco, perché non ami i francesi” dice Pietro, annuendo con il capo.

No!” alza la voce Marcel. “Io li odio. Hanno distrutto le nostre città. Hanno occupato le nostre proprietà. Hanno ucciso senza pietà donne e bambini”.

Detto questo cala un silenzio innaturale, mentre dal volto indurito di Marcel scorre una lacrima. Pietro si avvicina all’uomo e lo abbraccia. Le parole servono a poco, non riescono a lenire il dolore che sta dentro di lui. Senza aprire bocca, risalgono in sella per compiere l’ultimo tratto di strada per Rhedae.

Arrivati taciturni, ognuno immerso nei propri pensieri, all’ultima svolta prima di affrontare l’unica via di accesso alla città, Marcel fa cenno di fermarsi.

Vado avanti” dice la guida, “per vedere se la strada è libera”.

Pietro con un breve cenno del capo fa intendere che ha compreso il gesto dell’uomo.

Se non mi vedete tornare” fa Marcel, stringendo i pugni, “la via è sgombra da pericoli”

Ho capito” risponde il frate. “In caso di pericoli?”

La guida sorride sbilenco. Si aspettava la domanda.

Mi vedete di ritorno” dice l’uomo, “ma non subito. Quindi contate fino a… Aspettate prima di muovervi. Quanto non lo so ma un congruo tempo”.

Pietro annuisce. ‘Quest’uomo merita una generosa ricompensa’ riflette, annuendo col capo. Le istruzioni sono chiare.

Marcel sprona il cavallo scomparendo oltre la curva. Il frate solleva il capo per osservare le mura che cingono la cittadina. Scende da cavallo si volta verso levante e prono comincia le orazioni del vespro. Le ombre si allungano fino a diventare strisce oscure. Rimane tranquillo ad aspettare, perché avverte che Marcel tra poco tornerà.

La guida, arrivata alla porta di Rhedae, viene fermata da una guardia.

Alt!” gli intima. “Dove andate?”

Cerco Simon Quizcoe” risponde Marcel, inventando un nome, mentre si ferma al posto di guardia.

Il soldato scuote la testa. Nessun abitante del paese porta questo nome. E poi non è un nome catalano od occitano. “Siete sicuro?” gli chiede, sbarrandogli la strada.

Eppure mi ha dato appuntamento a Rhedae. Mi ha detto sarò lì prima del vespro” inventa la guida, osservandosi intorno. “Forse non è ancora arrivato”.

Finge di voltare il cavallo, tanto sa che può entrare in città attraverso un passaggio segreto.

É forse quello straniero là?” dice la guardia, indicando con lo sguardo un cavaliere che oziosamente si aggira poco oltre la porta d’ingresso.

Marcel lo osserva, lo valuta. ‘Quel cavaliere aspetta di certo l’arrivo del templare’ pensa. ‘Non ha l’aria di uno capitato qui per caso’.

Scuote la testa in segno di diniego. “No” aggiunge per confermare che non è la persona cercata. “Non è lui”. Con voluta lentezza torna su i suoi passi. Senza fretta e senza destare la curiosità né della guardia né del cavaliere. Sa che deve agire con prudenza e astuzia, perché quella figura gli suggerisce pericolo.

Non è prudente” dice Marcel, una volta che ha raggiunto Pietro che lo sta aspettando. “Una figura losca è appostata appena dentro. Dopo il posto di guardia. Non inganna nessuno la sua stolta indifferenza”.

Il frate è deluso. ‘Sono già in ritardo sul giorno dell’appuntamento’ riflette. ‘Quel cavaliere mi sta pericolosamente alle costole’. Guarda la sua guida come per chiedergli come agire.

Tra poco meno di mezz’ora” esordisce Marcel, “siamo in Rhedae”. Spinge il cavallo verso mezzogiorno, inoltrandosi in un bosco innevato e spoglio, seguito da Pietro. Senza dire una parola, costeggiano sotto le mura della città. Scendono verso valle, prima di risalire nuovamente sotto la cinta muraria di Rhedae. Sopra di loro incombono i merli di un castello.

Marcel smonta da cavallo, imitato dal frate. Si dirige verso un costone, che appare in tutta la sua imponenza. Pietro lo segue con fiducia. Sa che l’uomo lo condurrà attraverso un passaggio segreto fin dentro la città.

Il sentiero pare sprofondare in una forra o fermarsi davanti a una parete rocciosa senza aperture visibili.

Non preoccupatevi” dice Marcel, girandosi verso il frate.

Non lo sono minimamente” risponde Pietro, avvolto nelle tenebre.

Con mano sicura l’uomo tasta la roccia, insinua il braccio in un’apertura del tutto invisibile e tira una leva verso di lui. Un po’ cigolante per il gelo una porta gira sui cardini mostrando una caverna oscura. Marcel entra sicuro e accende una torcia, presa dalla parete, illuminando un ampio antro.

I cavalli rimangono qui” dice l’uomo. “Non avranno molto caldo ma almeno saranno al coperto. C’è fieno in abbondanza in quell’angolo. Noi saliremo nel castello per quelle scale”. Con la torcia illumina dei gradini scavati nella roccia.

Il mio bardo è abituato al freddo. Lo coprirò con questo mantello di lana” fa Pietro. “Se li accostiamo, dove c’è il fieno, si riscalderanno a vicenda”.

Dopo aver percorso i gradini in silenzio, facendo attenzione a non scivolare, i due uomini escono all’aperto nel cortile interno del castello. “Venite” lo incita Marcel. “Simon sarà lieto di rivedermi”.

Dopo avere bussato a una porta di legno massiccio, entrano un una stanza riscaldata da un camino. Un uomo tarchiato e basso dalla pelle olivastra esclama “Marcel”. “Simon” replica la guida, abbracciandolo con calore. Pietro rimane in piedi al centro della camera, osservando il calore di quell’abbraccio.

Un templare” dice Marcel, indicando Pietro.

Simon lo guarda senza curiosità prima di parlare. “Paul è ripartito ieri” dice il soldato. “Non poteva rimanere più a lungo. Era braccato da suoi inseguitori. Nella chiesa, sotto l’altare, ha lasciato qualcosa per voi”.

Pietro annuisce. “Possiamo andarci ora?” chiede senza mostrare timore. Col buio è più facile passare inosservati, si dice.

Non sarebbe il momento propizio” afferma Simon, “ma domani con la luce sarebbe più pericoloso”.

Pietro capisce il messaggio. ‘Meglio adesso che domani. Altri sono sulle vostre tracce. Prima lasciate Rhedae, meglio è’. “Chi mi accompagna?” chiede il frate, passando lo sguardo prima su Marcel, poi su Simon.

Io” dicono all’unisono i due uomini, che scoppiano a ridere, dandosi delle pacche amichevoli sulle spalle.

Scivolando nel buio della sera, Pietro raggiunge la chiesa, scortato da i due uomini. Ai piedi dell’altare ricopia dal basamento una serie di lettere senza senso

«BNXkDREpDTCiOELMKEBTEBgTEKENATEAaPECKAiGNBMKAkHICVMApQHEKAiZLMQB»

‘Dunque il misterioso cavaliere mi ha lasciato un messaggio in codice’ pensa il frate, mentre rientrano nel castello.

Una storia così anonima – parte trentasettesima

foto personale
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Rennes-le-Château, 28 febbraio 2015, ore dieci.

Arrêter! Où êtes-vous!” sibila Pierre, puntando un piccolo coltello sulla schiena di Vanessa.

Non vedete che sono immobile” replica la ragazza, che cerca di vedere in viso il suo aggressore. Avverte la punta sulla propria pelle, almeno quella è la sensazione.

Cosa avete trovato?” dice Pierre, tenendosi in ombra.

Nulla” replica calma Vanessa, che, passato il primo momento di sbigottimento, sta riacquistando lucidità e sangue freddo. ‘Aveva ragione, Luca’ pensa la ragazza, ‘quando diceva che Pietro aveva lasciato qualcosa in questo paese’.

Allora perché avete girato intorno all’altare?” incalza Pierre, che l’ha vista inginocchiata, mentre allungava una mano. ‘Aveva in mano un oggetto che nel buio non ho riconosciuto. Di sicuro l’ha nascosto da qualche parte’.

Vanessa nell’ascoltare quelle parole non è riuscita a trattenere una risata. ‘Non si è accorto che stavo fotografando la base dell’altare’ riflette. ‘Meglio così’. Però subito si immobilizza. La punta del coltello torna a farsi sentire. Pensa che sia meglio non irritarlo. Le appare deciso a usarlo contro di lei. Con la destra fa partire il segnale d’allarme convenuto. Spera che Luca non arrivi troppo tardi, perché avverte una sottile punta di inquietudine. ‘Questo mi appare un pazzo’ riflette, mentre la sua mente cerca di escogitare qualcosa per trarsi d’impaccio da sola.

Allora avete perso l’uso della parola?” afferma innervosito Pierre, che preme il coltello sulla schiena di Vanessa.

Mi fate male” dice la ragazza, che cerca un diversivo nella speranza di guadagnare tempo in attesa di Luca. “Non scappo, se togliete quel coltello puntato sulla mia schiena”.

Non mi incantate con le vostre parole” fa Pierre, mentre un leggero tic nervoso increspa la sua guancia sotto l’occhio destro. “Vi ho chiesto cosa avete preso oppure nascosto? Non intendo perdere altro tempo con voi”.

Siete sulla strada sbagliata” afferma con calma Vanessa, scandendo con lentezza le parole. “Né l’una, né l’altra delle ipotesi”.

Pierre sta perdendo la pazienza. Ha compreso che non otterrà nulla dalla ragazza. Cambia strategia. ‘La devo portare in un luogo lontano da tutti’ pensa. ‘Di nascosto da occhi indiscreti le estorcerò la verità’.

Venite” le dice l’uomo, prendendola per un braccio, mentre tiene puntato nella schiena il coltello.

Dove mi portate?” chiede Vanessa, facendo resistenza passiva. Ogni secondo guadagnato, è un vantaggio nell’attesa dell’arrivo di Luca. Si domanda se ha raccolto il suo segnale. Se non arriva in fretta, sa di essere perduta. Non ha trovato una soluzione poco rischiosa per togliersi dai guai. Henri le appare determinato e pericoloso con quel coltello, che preme sulla schiena.

Muovetevi!” esclama Pierre, strattonandola bruscamente, mentre si avviano all’uscita dalla chiesa.

Vanessa prova a divincolarsi, senza rispondere all’ultimo ordine.

Luca sta pagando, quando l’app gli segnala pericolo. Posa gli occhi sul display illuminato. ‘Oh! Cazzo’ si dice, raccogliendo in fretta le monete dal bancone. Deve affrettarsi senza perdere un secondo. Henri non gli è mai apparso una persona innocua. ‘Tutt’altro!’ pensa, mentre si avvia nervosamente verso l’area dell’Abbé Saunière. ‘Si trova in chiesa, nel museo o nel piccolo cimitero?’ riflette, mentre corre osservando il display con attenzione e ansia. Si ferma un istante per valutare dove dirigersi. Punta verso la chiesa. Il resto gli appare improbabile. Le porte sono chiuse.

Sta per muovere un passo, quando intravvede la chioma di Vanessa spuntare dall’ingresso con un’ombra alle sue spalle. Arretra di qualche passo, sottraendosi alla loro vista. Non è sicuro ma forse l’amica l’ha notato. Sente la voce di Vanessa. “Mi fate male”. Esce allo scoperto, rompendo gli indugi. Avverte una sensazione di pericolo per l’amica.

Henri” gli grida Luca, puntando la fotocamera dello smartphone.

Pierre ha un sussulto, si distrae. Ha udito un nome maschile. Si guarda intorno per vedere chi è questo Henri. In quel frangente, quando abbassa le difese nei confronti di Vanessa, non si accorge delle sue mosse. Lei si gira di scatto, dandogli una ginocchiata tra le gambe e gli afferra la mano col coltello. Gliela torce con vigore, facendoglielo cadere per terra.

Pierre è sorpreso e dolorante. Ha le idee annebbiate e lascia la presa del braccio di Vanessa, che può divincolarsi e allontanarsi. Si è dimenticato del ragazzo, che con un calcio allontana il coltello a serramanico. Emette un grido strozzato tra rabbia e dolore. Si scaglia contro Luca, sferrandogli un diretto al viso. Un colpo non forte ma preciso, che stordisce il ragazzo.

Vanessa si ferma, incerta se continuare a correre verso la salvezza oppure ritornare sui suoi passi. Vede l’amico con un ginocchio per terra, incapace di difendersi, mentre l’uomo lo afferra per la gola da dietro. Ha deciso. Deve aiutare Luca.

Il ragazzo fa scattare il flash dello smartphone che acceca per un secondo Pierre. Un attimo di respiro, perché ha allentato la presa. Con l’altro braccio libero dà un violento colpo ai genitali dell’uomo, ancora doloranti per la ginocchiata di Vanessa. Urla per il dolore, abbandonando il collo di Luca, che si alza per fronteggiarlo. L’uomo è più grosso e alto di lui ma non ha molte scelte. Deve affrontarlo con decisione se vuole guadagnare la salvezza. Arretra velocemente, portandosi fuori tiro dai suoi pugni, mentre infila nella tasca interna lo smartphone, che adesso è solo di impiccio.

Pierre ha gli occhi iniettati di sangue per il dolore e la rabbia. Assume la tipica posizione del pugile con le braccia a protezione del tronco e del viso. Si muove come un ballerino sul ring con piccoli saltelli in avanti, pronto a scaricare il suo destro sul viso di Luca, che cerca un punto debole dell’avversario per organizzare la sua difesa. Pierre fa scattare il sinistro per doppiarlo col destro, mentre il ragazzo si sposta lateralmente per evitarlo. Tuttavia Luca non cade nella trappola di rispondergli. Si abbassa, puntando verso il corpo di Pierre. La manovra gli riesce, mentre passa sotto le braccia dell’uomo, protese in avanti alla ricerca del bersaglio. Luca solleva la testa di colpo, incocciando il mento di Pierre, che urla per il dolore. La lingua è rimasta parzialmente tra i suoi denti.

Luca rimane stordito e avverte qualcosa di caldo e appiccicoso colargli sul collo. Sa che deve sfruttare questo momento per allontanarsi da Pierre. Scivola di lato portandosi alle spalle dell’uomo.

Mentre i due uomini stanno lottando, Vanessa come una leonessa ferita si avventa sul viso di Pierre, piantandogli le unghie, come artigli, sulla guancia. Il dolore acuto della lingua che sanguina abbondantemente, le unghiate profonde sul viso lo fanno urlare di nuovo per il dolore. Con la vista annebbiata dalla rabbia Pierre perde la lucidità di rispondere agli attacchi. É solo un attimo, pochi secondi ma sufficienti ai due ragazzi per portarsi fuori dal suo raggio di azione.

Vieni, Van” urla Luca, accennando ad allontanarsi. La manovra non sfugge alla la ragazza che lo segue.

Corrono a perdifiato verso la libreria che dista un centinaio di passi. Pierre accenna a rincorrerli ma poi desiste. Il taglio alla lingua è profondo e deve fermare l’emorragia. ‘Quella puttana’ si dice, toccandosi il viso, ‘per pochi centimetri non mi ha cavato un occhio’. Prende un fazzoletto di cotone dalla tasca dei pantaloni per tamponare la ferita. I genitali gli dolgono a ogni movimento delle gambe. ‘Mi hanno conciato bene’ pensa, avviandosi verso Le Dragon de Rhedae.

I due ragazzi, visto che Henri non li insegue, decidono di portarsi verso la loro gites. Per parlarsi, per raccontare quello, che è successo, avranno tempo nella loro stanza.

Vanessa che cammina al suo fianco, nota il rivolo di sangue che copioso spunta dai capelli castano chiari. “Sei ferito!” dice la ragazza allarmata. Accenna a fermarsi per controllare l’entità del danno.

Non è nulla” minimizza Luca, che con un fazzoletto si pulisce il viso. Prosegue a camminare, anche se Henri non è dietro di loro. ‘Se vuole attenderci o tenderci un agguato, nei pressi della gite‘ pensa il ragazzo, ‘non ha problemi. Sa perfettamente dove alloggiamo’.

Vanessa è preoccupata, perché il sangue, nonostante i tentativi di Luca, scorre abbondantemente e non accenna a fermarsi.

Cerchiamo una farmacia” dice la ragazza.

No, meglio tornare dove alloggiamo” afferma Luca. “In valigia ho qualcosa per la medicazione. E poi non ne ho viste”.

Vanessa non è molto convinta delle affermazioni dell’amico, perché è certa che Madame Monzon sarebbe preoccupata nel vederlo in quelle condizioni. Camminano svelti, finché non trovano una fontanella nei pressi della gite. Luca infila la testa sotto l’acqua gelida, arrossandola di sangue. Brividi di freddo percorrono il suo corpo ma riceve un momentaneo sollievo. Vanessa scorge una minuscola merceria non molto distante. Dopo poco torna con un asciugamano di spugna colorato e una pezza di tela grezza.

Prendi” gli dice, allungandogli la spugna. “Asciugati o ti verrà un coccolone”.

Luca, dopo aver messo la testa ancora sotto il rivolo d’acqua, si strofina con energia capelli e viso. Poi a mo’ di turbante se lo avvolge sulla testa. “La tela la userò dopo” afferma. “L’asciugamano è sufficiente per il momento”.

I due ragazzi concordano la versione da raccontare a Madame Monzon.

Ha sbattuto la testa in un spigolo” dice Vanessa alla proprietaria della gite. “Un piccolo taglio nel capo”. Poi aggiunge sorridente. “Ha la testa dura, Luca”.

Madame Monzon controlla la ferita, che è di poco conto ma che sanguina con abbondanza. Prende dalla cassetta del pronto soccorso in dotazione garze e uno spray, che fa agire sulla ferita, tamponandola con la garzetta emostatica.

Se continua a sanguinare” fa la donna, “si dovrà andare a Couiza”.

I due ragazzi si portano nella loro stanza al primo piano. Luca si toglie i vestiti insanguinati prima di cominciare ad ascoltare il racconto di Vanessa.

Una voce africana interessante Chimamanda Ngozi Adichie

Tratta da Wikipedia
Tratta da Wikipedia

Non conoscevo la scrittrice nigeriana, Chimamanda Ngozi Adichie, prima che Miriam Translature con una recensione della sua ultima fatica, Americanah, non alzasse il velo su di lei. Incuriosito dalle belle parole ho comprato il romanzo e l’ho cominciato a leggere.
É suddiviso in sette parti. Un libro tosto, 494 pagine, scritte fitte. Le prime sei parti sono un lungo flash back, dove Ifemelu, la protagonista assoluta del romanzo, rievoca in un lungo flashback la sua vita prima in Nigeria poi negli Stati Uniti, mentre è Trenton per farsi le treccine. Ha tutto il tempo per rievocare la sua vita, perché l’operazione dura sei o sette ore. Ifemelu ha deciso di tornare alle origini, in Nigeria, per ricontattare il vecchio e inesausto amore, Obinze. La settima e ultima parte riguarda proprio questo rendez-vous, questo ritorno alle origini.
Dunque se le prime sei parti sono veramente notevoli per come descrive prima la sua vita in Nigeria, poi la sua esperienza americana, non sempre esaltante, perché sperimenta sulla sua pelle cosa vuol dire la pelle scura. Molto interessanti sono le considerazioni delle differenze razziali tra i neri non americani, i neri afroamericani e gli altri non bianchi. Molto curioso è anche come il blog su WordPress le consenta di fare soldi a palate. Beh! Siamo in America!
In mezzo ai ricordi di Ifemelu ci sono due incisi, piuttosto lunghi, che riguardano Obinze. Il primo ci mostra Obinze nella realtà. Si è sposato, ha avuto una bambina, è ricco e potente. Il secondo ci descrive l’avventura di Obinze in Inghilterra da clandestino fino alla sua espulsione. Se il primo inciso è in un qualche modo un’anticipazione della settima parte. Il secondo è proprio avulso dalla storia. Presente o non presente non avrebbe alterato il testo.
Comunque queste sei parti sono il meglio dell’intero romanzo. Fresche le pagine, che si leggono velocemente per sapere cosa avviene. Di piacevole lettura, ben dosate nello stile e nel tono. Se avessi visto la parola fine al termine del dialogo tra Ifemelu e il cugino Dike, che ha tentato il suicidio, avrei detto che era un romanzo di livello elevato. Anche se c’era un piccolo neo: non era stato spiegato le motivazioni del gesto del cugino. Ma pazienza non era un cosa grave.
Quello che proprio non è andato giù è la settima parte. Il rientro a Lagos di Ifemelu. Sono cento pagine poco incisive con una narrazione frammentaria e incongruente, come se si fosse tagliato con la mannaia questa parte. Manca la coralità delle parti precedenti. I personaggi minori appaiono e scompaiono nel nulla. La narrazione diventa caotica e veloce. Insomma mi ha lasciato molto perplesso. Gli stessi protagonisti, Ifemelu e Obinze, appaiono sbiaditi, delle caricature di quelli che abbiamo avuto il piacere di conoscere prima. L’impressione è che si volesse chiudere la storia per non trasformarla in una mega storia.
Un vero peccato.
Ma chi è questa scrittrice? Nata a Enugu il 15 settembre 1977 da genitori di etnia igbo. É la quinta di sei figli. Cresce a Nsukka nella casa dello scrittore nigeriano Chinua Achebe. Il padre era professore universitario nell’Universita di Nsukka. Completati i primi studi universitari, a diciannove anni si trasferisce in America. Qui inizia un prestigioso percorso accademico. Un primo titolo accademico in Comunicazione alla Drexel University a Philadelphia, che trasformò in una laurea in scienze politiche e della comunicazione nella Eastern Connecticut University. Seguì un dottorato in scrittura creativa alla Johns Hopkins University di Baltimore. É stata membro accademico a Princeton University e ha conseguito un MA – Master Accademy – in studi africani a Yale University.
Attualmente si divide tra la Nigeria e gli Stati Uniti.
Per avere appena trentotto anni non c’è dubbio che la sua preparazione culturale sia notevole.
Questo si nota ampiamente nel romanzo Americanah, che leggendo queste note biografiche fa intuire come abbia trascritto molte delle sue esperienze nel romanzo Americanah.
Ovviamente non competo con Miriam, che ha presentato un quadro molto più completo e articolato.
Da leggere i due post di Miriam Translature
Storie, identità, voci e colori per Chimamanda Ngozi Adichie: non siamo tutti uguali
Amore, razze e capelli in ‘Americanah’ di Chimamanda Ngozi Adichie

Non passava giorno – cap. 19

 

Foto personale
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Marco aveva a disposizione due giorni prima di prendere servizio e voleva dedicarli alle passeggiate e al relax. Voleva arrivare all’appuntamento con il nuovo lavoro rilassato e sereno. La telefonata di Agnese veniva a puntino per riempire la giornata di martedì, per il giorno successivo avrebbe trovato qualcosa di interessante da fare.

Incontrare nuovamente Agnese gli faceva piacere, perché la prima impressione era stata positiva. Gli era sembrata una ragazza matura e consapevole degli obiettivi, che voleva raggiungere, senza tanti grilli per la testa,

Dopo otto mesi di quasi clausura percepiva la necessità psicologica di incontrare persone nuove. In particolare di sesso femminile. Doveva cancellare Laura, che, nonostante tutti i suoi tentativi, era sempre fisicamente presente nella mente. Sembrava la sua ombra, che lo seguiva senza abbandonarlo mai. Dalla partenza da Milano non era riuscito a scacciare l’immagine della ragazza, né a lenire il dolore per l’addio frettoloso e senza spiegazioni. L’aveva amata con sincerità. I cinque anni, trascorsi insieme quasi tutti i giorni non potevano essere cancellati da una parola ‘ADDIO’. Però in quel momento capiva che la sua esistenza cambiava direzione, virava verso un orizzonte che gli appariva più roseo dei giorni passati. Era sicuro di dimenticare il passato, che sarebbe rimasto un piacevole gradevole ricordo.

Gli era tornato il buon umore dopo aver sentito la voce di Agnese. Le fotografie e le lettere non lo spaventavano più, le osservava con occhio distaccato e sereno. Sapeva che avrebbe trovato il coraggio di chiamare Laura per spiegare tutto senza remore o paure. Era immerso in queste riflessioni, quando la suoneria del telefono gli annunciò l’arrivo di una chiamata. Guardò il display.

Sobbalzò, deglutì vistosamente, ebbe un tremore alla mano.

Non può essere!” esclamò stupefatto. “Non può essere lei!”

Il telefono continuò la sua melodia incessante, mentre era incerto se rispondere.

L’ho pensata e lei mi telefona. Perché?” urlò a squarciagola.

Ciao, sono Laura”. Udì la sua voce uscire chiara e distinta come se fosse fisicamente di fronte a lui. “Ci sei? Sento l’urgenza di parlarti! Rispondimi”.

Ciao“ fece lui di rimando. “Ti stavo pensando e mi hai chiamato. Telepatia o magia del pensiero? Quale urgenza ha vinto le nostre paure? Sono passati otto mesi. Nessuno dei due ha trovato la forza di alzare il telefono fino a questo momento”.

Marco” riprese Laura, ignorando le parole appena ascoltate, “oggi ho trovato una vecchia istantanea. Indossavo il vestito rosso. Te lo ricordi?”

Si, come se fosse oggi. Capelli rossi e vestito rosso. Sembravi l’angelo vendicatore, ma eri meravigliosa. Mi avevi talmente stregato che baciandoti ti ho detto ‘Ti amo’. Ti ho amato veramente e ti amo tuttora” disse tutto d’un fiato per esorcizzare i timori che la telefonata aveva risvegliati.

Laura stava per replicare ma un groppo le chiuse la gola impedendole di dire una sola parola. Marco percepì il senso di disagio che le aveva provocato con le sue parole. Era stato crudele nel pronunciarle ma il suo era stato un sentimento autentico, non effimero. Aveva parlato con parole rotte dall’emozione nell’ascoltare la sua voce.

Marco“ riprese la ragazza col tono impastato dal pianto, “ti devo parlare con urgenza. Voglio sentire il tuo pensiero su un segreto, che mi porto dentro da troppo tempo. Solo tu mi puoi capire e solo tu puoi rompere la barriera che mi impedisce di essere donna”.

Laura, dove sei?” chiese Marco, deciso e padrone delle proprie emozioni “Se vuoi tra due ore posso essere da te”.

Sono a casa” fece con tono accorato, stemperato dal pianto, che copioso sgorgava dagli occhi. “ Sono da sola. I miei sono in vacanza fino a sabato. Ti aspetto. Vorrei che tu rimanessi accanto a me fino a domani. Sono confusa e incerta per affrontare la notte da sola. Posso contare su di te?”

Cinque anni non posso dimenticarli” rispose Marco. “Questi otto mesi sono stati un inferno per me”.

Ti aspetto sulla porta” esclamò Laura con le lacrime di gioia. “Non ho mai smesso di amarti, anche se esteriormente è sembrato il contrario”.

Marco rimase perplesso, guardando il telefono muto. Rifletté sul senso del discorso, che non era ancora svanito nella sua mente. Non avevano parlato dell’addio ma avevano esternato solo parole d’amore. ‘Sono stato crudele’ si disse, ‘o ho parlato col cuore?’ Un altro pensiero si affacciò prepotente nella sua testa. S’interrogò sui motivi di questa necessità urgente di parlargli. Era stata enigmatica: gli aveva chiesto con insistenza di fermarsi per la notte. ‘Perché?’ si chiese, mentre si alzava per prepararsi a partire. ‘Quale segreto custodiva tanto gelosamente che lui in cinque anni non era riuscito a percepire?’ Per lui Laura era stato un libro aperto da leggere senza occhiali o filtri, perché era genuina e trasparente come le acque dei torrenti di montagna. Scopriva che non era come aveva sempre immaginato. Un aspetto della sua personalità era rimasto occultato con cura.

Con tutte queste domande, che frullavano nella testa, doveva pensare cosa dire ad Agnese senza che lei si offendesse.

Non passava giorno – cap. 19

Foto personale
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Laura e Marco si sono ripresi in fretta dai bagordi della notte appena passata e sostituiscono Pietro, Vanessa e Luca ancora in coma etilico.
Una puntata breve breve per non affaticare i loro lettori con qualcosa di indigesto, visto che tutto sono a panza piena.
La potete leggere come al solito su orsobianco.
Grazie e buona lettura.