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Le linee parallele si incrociano

 

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Buona lettura

Nuova opportunità…

Elena Andreotti ed io, coautori del Un caso per tre, hanno deciso di fare un piccolo regalo a chi è costretto rimanere in casa ovvero a tutti noi 😀

Un caso per tre

dalle ore 0.00 del 23 marco fino alle 23.59 del 25 marzo potete scaricare gratis l’ebook.

Buona lettura

Un viaggio, un incubo – ventunesima puntata

Per un disguido con la data di programmazione ho programmato per martedì 17 la ventiduesima puntata. Per cui questa che è la ventunesima viene pubblicata in ritardo. Mi scuso coi i lettori del mio imperdonabile errore. Buona lettura

Qui, per chi fosse curioso o avesse perso qualche puntata precedente, trova le altre.

credits by pexels.com

Simona si risveglia, è distesa su un letto con le braccia e le gambe immobilizzate. Trema e vorrebbe urlare ma non riesce. Tenta di muovere le braccia ma griderebbe per il dolore: delle corde incidono i polsi. Gira il capo e si guarda intorno vedendo solo buio. Pensa di essere bendata o aver perso la vista ma le sembra d’intravedere dall’unica finestra l’ombra di una scale esterna. Respira a fondo ma avverte un dolore sordo alla base della testa e due lacrime scendono sulle guance finendo ai lati del viso.

Ha un flash. Ricorda le immagini dell’incubo della notte precedente. Sembra che i fotogrammi si sovrappongano con la realtà che sta vivendo e comprende che sarà difficile uscire indenne. Se l’altra notte l’incubo si è interrotto per il trillo del telefono prima che Mark tentasse di entrare, questa volta non ci saranno angeli salvatori che verranno in suo aiuto.

“Ieri notte” riflette scoprendo di essere nuda col corpo madido di sudore per lo stress. “Ieri notte durante l’incubo non potevo chiedere aiuto, esattamente come ora. C’erano oltre Mark anche Roberto, Enrico e Anna e sono stata salvata da un provvidenziale trillo del telefono”. Un brivido di freddo le fa accapponare la pelle al pensiero che nessuno squillo la salverà. Si augura che l’agonia duri poco e non sia eccessivamente dolorosa. Sa che, dopo avere abusato di lei, dovrà sparire fisicamente senza lasciare tracce.

Le sue narici avvertono l’acre odore del sudore che il suo corpo emette. Ha sempre odiato le persone che lasciano nell’aria una nuvola di afrore agliaceo. Le ascelle, la schiena sono bagnate e puzzano tremendamente. Qualsiasi movimento le costa dolore, perché le cinghie segano la carne a ogni spostamento. Avverte che sta perdendo sangue dove stringono.

Ammette di essere stata imprudente, tacendo a Dick il particolare della tentata violenza dallo sfasciacarrozze. Avrebbe dovuto aprirsi, perché di certo avrebbe suggerito qualche contromossa. Anche con Irene è stata reticente e forse avrebbe compreso i motivi per cui non voleva uscire.

Pentirsi adesso è inutile, perché le sue sono lacrime di coccodrillo.

“Non sono una ragazzina, ma una donna adulta di quarant’anni” ricorda con una punta d’amarezza. “Lasciarsi irretire in rete da uno sconosciuto, concedergli quello che ho permesso non è consono della mia età”. Questi tardivi pensieri valgono poco nella sua situazione. Inoltre la decisione della partenza per New York le fa capire quanto sia stata avventata in questa avventura con uno sconosciuto.

Ha deciso senza ascoltare nessuna ragione, senza riflettere sui pericoli di un viaggio alla ricerca di qualcosa presente nella sua mente.

“Ho avuto la presunzione di superare qualsiasi ostacolo con le mie forze, d’ignorare avvertimenti che hanno squillato inutilmente” si dice sapendo in quale tragica situazione si è cacciata. Non ha voluto coinvolgere nessuno fidandosi del suo intuito per risolvere da sola le questioni con Mark. Intuisce di essere nei guai e sono molto seri. Comincia a piangere, mentre l’aria della stanza è impregnata dal suo odore pungente e aspro. Il caldo della notte la fa sudare in abbondanza.

Non sa misurare il tempo. Le sembra che siano passati dei secoli da quando si è risvegliata. E non ha nemmeno la percezione per quanto tempo è stata incosciente.

“Un’ora? Due ore?” si interroga, ma le pare che le lancette si siano fermate. Non è conscia che ora della notte sia. Ha un’unica certezza: c’è ancora buio.

Non ode alcun rumore a parte il suo respiro affannoso. Non sarebbe in grado di spiegare dove è rinchiusa, qualora riuscisse a liberarsi. I suoni sono inesistenti o talmente ovattati da risultare impercettibili.

Si domanda dove sono finiti i suoi vestiti e perché lui non c’è. Vuole tenere la mente impegnata perché l’ansia e il panico non abbiano il sopravvento. Se vuole conservare un briciolo di speranza di cavarsela, deve rimanere lucida e ragionare con calma senza tradire l’angoscia che porta dentro.

“Mi stanno cercando?” si chiede ma intuisce l’inutilità della domanda. “Non sanno chi è e dove mi tiene prigioniera. Come posso credere che riescano a liberarmi se ignorano tutto? Le mie sono solo fantasie disperate”.

Le pare di udire in lontananza un rumore di treno, ma forse è solo suggestione. Il silenzio è tombale.

Il caldo nella stanza sta diventando insopportabile mentre suda e respira con affanno. Sente lo stimolo di urinare, ma si trattiene, perché percepire l’afrore dell’urina misto a quello del sudore sarebbe un lezzo rivoltante. Inoltre sarebbe un’umiliazione per lei, perché Mark potrebbe pensare che è avvenuto per lo stimolo del panico. In parte è vero ma ha bevuto con abbondanza durante la serata ed è naturale che debba vuotare la vescica.

Stringe i denti, ma il dolore al basso ventre diventa lancinante. Prega di resistere allo stimolo.

Il rumore della serratura che si apre agisce da detonatore: un liquido caldo scivola fra le cosce. Sembra che non finisca più.

Piange perché si sente umiliata, ma deve mantenere calma e lucidità se vuole contrastare Mark.

Intravvede nel vano della porta una luce e la sagoma corpulenta di Mark. Se aveva qualche barlume di speranza che il suo aguzzino non fosse lui, adesso deve prendere atto della realtà e rimanere fredda per contrastarlo a parole, visto che fisicamente non lo può fare.

Solleva il capo a fatica per seguire le mosse dell’uomo, mentre percepisce sotto il suo corpo l’umido misto di urina e sudore. Ha una smorfia di nausea, perché la stanza è piena di odori sgradevoli.

«My slut!» esclama entrando nella camera, arricciando il naso per l’olezzo poco invitante presente nell’aria.

«No shit! Ti sei pisciata addosso dalla paura!» afferma Mark con la forza del tono ironico. «Mio dio, che puzza! Che schifo! Ti dovrò lavare prima di fotterti!»

Poi impreca minacciosamente, agitando sotto il naso di Simona un enorme dildo.

«Sporca troia mi hai rovinato un materasso nuovo! Avrai quel che ti meriti!» afferma in preda dell’ira.

Lei ascolta in silenzio senza muovere un muscolo della faccia. “Ti ho rovinato un materasso nuovo?” si dice aggrottando la fronte. “Ben ti sta! Non mi vuoi scopare sporca e sudata? E chi se ne frega! Signore aiutami!”

Poi prega che il supplizio duri poco. Vorrebbe essere già morta ma sa che l’agonia sarà lunga e dolorosa.

La stanza è parzialmente illuminata da una lampada a terra, ma non ha importanza per lei, perché così non vede il suo aguzzino.

Mark apre la finestra nel tentativo di eliminare l’odore, ma entra un fiotto di aria umida e maleodorante tale da costringerlo a richiuderla subito.

In preda all’ira per il contrattempo non prende nessuna decisione. Quello che aveva immaginato è saltato e non riesce a organizzare un piano alternativo.

Continua a insultarla sperando in una reazione che non arriva. Simona rimane immobile, decisa a usare l’arma d’ignorarlo per innervosire Mark e costringerlo a qualche errore. Lei deve usare la psicologia per coltivare qualche speranza di riuscire a cavarsela.

Mark innervosito per la mancata reazione di Simona decide di scoparla anche se è sporca di urina. Si spoglia e tenta di penetrarla.

Simona irrigidisce i muscoli pelvici. Lei sente delle fitte atroci, ma stringe i denti, costringendolo a desistere. Mark urla parole sconnesse, perché ha provato dolore.

Una nuova valanga d’insulti la investe, ma Simona finge di non capirli. Non può parlare per via del bavaglio sulla bocca ma la sua immobilità è uno schiaffo per Mark.

Per il momento è riuscita a mantenere la lucidità e respingere i suoi assalti. Il prezzo è alto: avverte spasmi lancinanti nel basso ventre.

“Quanto potrò resistere?” si chiede con affanno senza mostrarlo apertamente. Sa che la prossima volta sarà ancora più doloroso.

Il tempo scorre a suo favore. Fuori il cielo è ricoperto di stelle che lei non può vedere.

Un viaggio, un incubo – ventiduesima puntata

Simona è prigioniera. Ce la farà a uscirne fuori? Leggete questa puntata e le prossime e lo scoprirete. Qui trovate le puntate arretrate.

Foto di Quintin Gellar da Pexels

Dick mostra a Todd gli esiti delle sue ricerche.

«Secondo me il cognome è Flannagan, un broker che ha seguito e firmato gli allegati tecnici alla proposta della polizza assicurativa per i nostri residence. Abbiamo qualche fotogramma ricavato dai monitor. Non sappiamo null’altro di lui».

Il detective si collega all’archivio per investigare sul potenziale rapitore. Non trova nulla d’interessante. Sta per abbandonare le ricerche, quando s’imbatte in una foto della patente per un’infrazione stradale di alcuni anni prima.

La stampano e la confrontano con i fotogrammi.

«Sembra proprio lui!» esclama Dick. «Se fosse vero, sappiamo come si chiama. Sulla patente quale indirizzo è registrato?»

Sul viso stanco di Dick compare un sorriso di soddisfazione. Sono ore che stanno scandagliando archivi e documenti e nonostante i numerosi caffè la stanchezza affiora.

Dick si appoggia allo schienale della poltrona e vorrebbe partire subito alla caccia dell’uomo.

«Forse riusciamo a beccarlo prima che sparisca o possa fare del male a miss Ferrari» afferma con la voce impastata di caffè e stanchezza. «Il tempo gioca a nostro favore, perché lui si sente tranquillo. Non immagina che lo abbiamo individuato. Per me è un elemento pericoloso».

Irene pare risvegliarsi dal torpore nel quale è caduta e chiede: «Allora possiamo liberare Simona? Quando?»

Todd mugugna qualche parola poco intellegibile mentre ricerca l’ultimo indirizzo di Mark. Sembra infastidito dalle pieghe che ha preso il caso. Non era sua intenzione trovarsi coinvolto.

È incerto se aprire ufficialmente una pratica oppure procedere in autonomia senza nessuna ufficialità. Qualunque decisione possa prendere, è conscio di avere violato il regolamento. Ritiene inutile sfidare la fortuna e decide di avvertire il capo di quello che sta accadendo.

«Phil ho una questione non proprio chiara per le mani» esordisce con l’ispettore capo, prima di descrivergli tutti gli avvenimenti.

«All’inizio ero perplesso, ma poi leggendo un messaggio, che un certo Mark Flannagan ha scritto, non ho avuto dubbi. L’intuito mi dice che lei non se ne è andata via di sua spontanea volontà» spiega Todd usando un tono rassicurante. «A sentire Dick Smith, il responsabile della security dei residence Inn Patriot, miss Ferrari avrebbe taciuto particolari importanti su come ha trascorso il pomeriggio di due giorni fa. Forse dettagli che sarebbero decisivi nello stabilire se è stata rapita oppure no. L’amica italiana, arrivata oggi, dice che l’ha percepita reticente su Mark, come se volesse nascondere qualche segreto inconfessabile. Insomma a tutti è apparsa impaurita, ma decisa a occultare qualcosa come se volesse risolvere da sola la grana che aveva per le mani».

Todd rimane in silenzio mentre l’ispettore capo parla.

«Dick avrebbe individuato con relativa certezza chi sarebbe il presunto sequestratore» risponde a una domanda del superiore. «Io ho l’ultimo indirizzo ufficiale di questa persona. Mi autorizzi a fare una visita a Mark Flannagan per sincerarmi di avere preso una cantonata.. Però se avessi il supporto della mia squadra, John e Ricky, sarebbe l’ideale e sarei più tranquillo».

Phil rimase muto per qualche istante prima di dare il suo okay all’operazione e allertare i poliziotti richiesti da Todd.

«Mi raccomando niente colpi di testa, né azioni pericolose per l’ostaggio» afferma Phil come ultima raccomandazione. «Tenetemi informato sugli sviluppi. Kick butt

A Dick sembra sparita tutta la stanchezza al pensiero di cominciare la grande caccia. Todd rimane una sfinge, mentre prende accordi con la sua squadra.

Spediscono a letto Irene, incapace di tenere gli occhi aperti, nonostante le vigorose rimostranze di essere sveglia e per nulla stanca. Sono irremovibili su questa decisione, perché reputano che sarebbe d’impiccio e basta. Irene prima di sparire fornisce loro il numero di telefono di Simona.

Pensano che possa tornare utile per individuare con precisione dove si trova. «Non credo che abbia avuto il buon senso di spegnerlo. Lui si sente tranquillo» conclude Dick mentre prepara con Todd il piano. Si accordano con John e Ricky per dare loro le ultime raccomandazioni.

«Mi raccomando. Prudenza e niente sirene. Lui non deve sospettare di essere stato individuato. Se notate qualcosa di sospetto avvertitemi subito» ribadisce con autorità Todd.

Il piano prevede che si spostino nel quartiere dove Mark presumibilmente ha l’appartamento. Nessuna certezza ma fanno assegnamento sulla buona stella. L’indirizzo segnato sulla patente è un casermone con centinaia di appartamenti. Non è certo che questo sia ancora valido ma confidano nella buona sorte. Pertanto devono ispezionare il caseggiato per individuare le possibili vie di fuga. Solo in un secondo tempo verificheranno se abita ancora lì. Qualora Mark risieda in quell’edificio, decideranno al momento come provare a liberare l’ostaggio. Sono convinti che abbia portata Simona dove abita.

Il caseggiato è posto all’incrocio tra Lydig Ave e Williamsbrigde Rd, un po’ fatiscente e con una decina di piani e diverse centinaia di appartamenti. Troppi da passare in rassegna tutti, riflette Dick la cui fiducia sembra incrinata.

Todd si accosta alla macchina dei suoi uomini dando le ultime istruzioni, prima d’immergersi in una serie di telefonate.

«È al sesto piano. L’appartamento 617» dice con tono piatto avviandosi verso l’ingresso.

Senza troppa fatica entrano nell’edificio e si dirigono verso gli ascensori. Dick è perplesso per la facilità con cui si stanno svolgendo gli eventi. Gli sembra una passeggiata ma intuisce che presto arriveranno le difficoltà. Preso dal facile entusiasmo di avere individuato la persona, dalla semplicità con la quale hanno scovato l’indirizzo tuttavia intuitivamente pensa che siano incappati in una cantonata. Dentro di sé spera che le sensazioni negative siano errate.

Davanti alla porta contrassegnata dal numero 617 sono incerti se entrare senza preavvisi oppure farsi aprire dall’inquilino.

«Cosa dici?» chiede Todd sottovoce «Entriamo forzando la serratura o suoniamo alla porta?»

Dick sente crescere dentro sensazioni negative e preferisce una soluzione più legale.

Guardano l’ora: è mezzanotte.

«Certo se non è il nostro Mark Flannagan, si prende un bello spavento l’inquilino del 617» chiosa Dick per nulla allegro.

Todd ridacchia alle parole di Dick e ribatte con la sicurezza di chi non commette errori. «Se invece lo è, il coccolone se lo piglia lui!»

Suonano e bussano con vigore. Percepiscono dei suoni strascicati che si avvicinano alla porta.

«Chi è?» chiede una voce femminile assonnata non giovanile.

«Polizia» risponde Todd agitando il distintivo davanti all’occhio magico.

Sentono trafficare con la catenella e poi due scrocchi per aprire una fessura. Allunga una mano col distintivo nel pertugio e osserva la persona che in camicia da notte s’intravvede. Scuote il capo, perché sembra che i dubbi di Dick siano realizzati.

«Cerco un certo Mark Flannagan» dice Todd usando un tono di comando. «Il suo ultimo indirizzo ufficiale è questo».

La donna dai capelli bianchi e arruffati scuote il capo in segno di diniego. «Mi spiace, ma vivo col mio vecchio, che sta su una carrozzina come un vegetale. Non conosco nessun Mark Flannagan».

Todd capisce che sta dicendo il vero ma insiste con le domande.

«Da quanto tempo abitate qui?»

«Da sei mesi. Ignoro chi abitasse prima di noi. Dovrebbe chiederlo all’amministratore. Se vuole vado a prendere l’indirizzo e il telefono».

Todd fa segno col capo di no e la ringrazia. «Andiamo di fretta. Mi spiace averti svegliata. Notte» e ritira la mano, mentre sentono richiudere la porta con due mandate.

«Oh! shit!» impreca Todd mentre si avviano a raggiungere la strada.

Intuisce di essere nella merda, perché la persona cercata è diventata un ufo mescolata a milioni di persone. Rischiano di perderci la faccia, quando un’idea balena nella testa di Todd.

«Il nostro Mark come ha fatto a scoprire l’indirizzo di Miss Ferrari?» domanda Todd scuro in volto.

«Tramite i tabulato delle chiamate! Poiché di sicuro ha chiamato per conoscere a chi corrisponde un certo numero chiamante. Miss Ferrari deve aver usato il telefono del residence per essere individuata da Mark. Possiamo usare lo stesso trucco con lui. Torniamo in ufficio ed esaminiamo i tabulati» esclama trionfante Dick.

Todd annuisce perché l’idea è giusta. Poi sarà lui a convincere la compagnia telefonica a localizzare la cellula del telefono di Mark.

La Chevrolet verde di Todd si dirige verso il residence dove esaminano i tabulati con le chiamate uscenti ed entranti. Non ci mettono molto a isolare il numero chiamato da Simona, che compare sia in uscita sia in entrata.

«Ottima mossa, Dick!» si congratula Todd soddisfatto. «Ora è il mio turno con Verizon».

Scoprono con grande sorpresa che il telefono è localizzato proprio in quel caseggiato dove si sono recati due ore prima.

«Quella vecchia megera ci ha infinocchiati!» sbraita Todd.

«Non credo. Il numero dell’appartamento forse non è 617. Ricontrolla» suggerisce Dick.

«Okay. Torniamo là. Verizon mi avverte se si sposta. Ha confermato che intorno alla dieci era nei pressi del Bryant Park, poi si è spostato in Lydig Ave dove è rimasto per circa un’ora. A mezzanotte era nel West Village, spostandosi nel Midtown West, rientrando alle due, pochi minuti fa. Lo possiamo beccare in fallo».

Sono tesi ma soddisfatti di come procede la caccia.

assaggio

copertina di carta
Un giallo Puzzone

e

Copertina un caso per tre

Su Caffè Letterario propongo un assaggio del terzo racconto che vede protagonisti Puzzone e Walter nell’attesa che trovi la via della pubblicazione. Il titolo? Forse Puzzone e il sottomura ma non ho ancora deciso.

Buona lettura

Un viaggio, un incubo – ventesima puntata

Che fine avrà fatto Simona? Rapita? Andata via? Per chi fosse interessato qui trova le precedenti puntate.

Foto di Juliana Stein da Pexels

La telefonata inquietante distoglie Dick dall’euforia di avere intercettato il presunto cognome di Mark e quindi dare un volto a questa persona.

«Dick, qui c’è l’amica di Miss Ferrari. È in preda al panico e afferma che è sparita. Balbetta ed è terrorizzata» dice la voce concitata del portiere di notte.

Un’imprecazione gli sfugge mentre vede materializzarsi le sue paure.

Scende nella hall e trova una donna dalla corporatura non proprio snella che continua a berciare a ruota libera in maniera confusa.

«Sono Dick» le dice afferrandola per un braccio. «Vieni con me e parliamo con calma. Grazie Martin» e si appartano in un salottino.

Telefona per avere un po’ d’acqua fresca, mentre cerca di mettere a suo agio Irene visibilmente frastornata e in confusione.

Lei continua a parlare in maniera frenetica, saltando da un particolare all’altro senza seguire un filo logico, impedendo di comprendere come si sono svolti gli eventi.

Dick fatica a seguirla e riflette: “Devo calmarla. Altrimenti non si comprende nulla e si perde tempo prezioso per niente. Se è quello che penso, ogni secondo diventa importante e vitale”.

«Chi sei?» chiede secco per mettere ordine alla loquacità incontrollata della donna.

Come se avessero staccata la spina, Irene zittisce e guarda il viso severo dell’uomo che le sta di fronte. Si accorge di essere finita nel panico. Stringe le labbra e corruga la fronte. Osserva il viso di Dick: ha la fronte spaziosa e lo sguardo franco sia pure tendente al severo. Si chiede chi è e perché è in quel salotto.

«Irene» risponde come un automa.

«Bene, Irene» fa Dick addolcendo il tono della voce. «Quando sei arrivata?»

«Oggi pomeriggio alle tre e trequarti. Simona mi è venuta a prendere al JFK…».

«Simona è miss Ferrari?» chiede con calma e gentilezza Dick, interrompendola.

«Si» ammette sistemandosi meglio sulla poltroncina. «Siamo arrivati al residence per depositare i bagagli».

Irene fa una breve pausa ma Dick col capo le fa cenno di proseguire il resoconto.

«Non avevo intenzione di restare chiusa nella suite» prosegue. «Abbiamo deciso di raggiungere New York Public Library, ma ci siamo fermate al Bryant Park. Faceva troppo caldo e abbiamo cercato refrigerio nel parco».

Dick annuisce e interrompe il racconto con qualche domanda.

Irene spiega che il parco stava chiudendo, quando hanno deciso di tornare al residence.

«Mi sono fermata un istante alla giostra dei cavalli. Che meraviglia!» esclama entusiasta prima di riprendere il racconto. «Lì ho perso i contatti con Simona. Poiché diceva di essere stanca ho pensato che fosse rientrata da sola. Ma mi sono sbagliata. È scomparsa… Non so dove sia finita!» e scoppia in un pianto convulso.

Dick l’abbraccia e le accarezza i capelli.

«Ok. Ora ho il quadro completo della serata» afferma Dick alzandosi dalla sua poltrona. «Andiamo al Bryant Park. Forse miss Ferrari è là ad aspettarti».

Escono in silenzio dal salottino e si dirigono verso Bryant Park ma ha brutti presentimenti. Deve fare questo sopralluogo per avere la certezza che sia sparita. Ritiene inutile questo giro ma per innescare una caccia all’uomo si è sempre in tempo senza rimetterci la faccia.

Percorrono il mezzo miglio, arrivando prima della chiusura dei cancelli. Incontrano gli ultimi ritardatari, ma di Simona non trovano traccia né dentro né in prossimità del cancello. Si allungano alla NYPL ma trovano solo qualcuno seduto sui gradini tra i due leoni. Fanno qualche domanda senza ottenere la risposta che sperano di sentire.

Dunque è certo che la donna sia stata rapita. Dick sa chi è stato e ne parla con Irene che rimane stupita. Ignorava questi dettagli ma pensandoci ricorda la reticenza di Simona sull’argomento. Adesso comprende il segreto che le ha tenuto nascosto.

Rientrano nell’ufficio di Dick per organizzare le ricerche. Telefona all’ispettore Todd, che conosce di persona e opera a Park Row, One Police Plaza, la sede principale del NYPD.

«Todd, sono Dick, Come stai?» inizia con i convenevoli ma sente dei grugniti non proprio amichevoli in risposta. Sa che è un orso ruvido ma nasconde una grande umanità. «Ho un problema e vorrei confrontarmi con te».

Nuovi grugniti lo invitano a proseguire.

«La questione è delicata. Solo tu mi puoi consigliare la strada giusta» ribatte con pacatezza, ignorando i borbottii e inizia il racconto degli avvenimenti.

Durante lo snodarsi del resoconto l’ispettore non emette più grugniti d’insofferenza ma senza fare commenti acidi presta attenzione alle parole di Dick che espone con chiarezza gli eventi.

«Mi libero delle quattro rogne che sto trattando e arrivo da voi» afferma tutto d’un fiato Todd. «Non fate nulla e non dite nulla».

Dick osserva Irene che ha lo sguardo perso nel vuoto come se la colpa della scomparsa di Simona fosse sua.

«Todd, oltre a essere un amico, è il migliore detective del NYPD. Vedrai che recuperiamo in fretta miss Ferrari» spiega Dick per rassicurarla anche se pensa che non sarà una passeggiata.

Irene lo guarda e annuisce, ma è assente con la testa. Il capo si muove per riflesso condizionato piuttosto che per la sua volontà.

Nell’attesa Dick fa ricerche su Mark Flannagan, partendo dalla scarna scheda presente nel loro database. Consulta l’elenco telefonico on line di New York, rintracciando una mezza dozzina di omonimi. Si annota indirizzo e telefono.

“Se ho fortuna, bastano un paio di telefonate e lo becco di sicuro” riflette mentre annota qualche altro dato ricavato da Google. “Viceversa è il classico ago nel pagliaio da cercare. In questo caso mi serve l’aiuto di Todd”.

Dopo una mezz’ora abbondante entra un uomo dalla corporatura massiccia e dai modi bruschi, che si piazza sulla poltrona dinnanzi a Dick senza salutare nessuno né presentarsi a Irene.

Senza tanti preamboli chiede volgendo lo sguardo verso Irene: «È questa l’italiana?» Poi la invita a esporre il resoconto della serata. Ascolta paziente lo snocciolare degli avvenimenti senza interromperlo per porre delle domande.

Aggrotta la fronte e stringe la labbra, capisce che è un caso da prendere con le molle. Sa solo che miss Ferrari è scomparsa e non è tornata al residence. Potrebbe esserne andata via di sua volontà, senza coercizioni come possono fare le persone adulte, ma sarebbe possibile il contrario.

Afferma pacato che gli episodi della notte precedente sono inquietanti, ma associare quel Mark col tizio che ha tentato di penetrare nella camera di Simona con l’eventuale rapitore sono solo supposizioni senza certezze. Non si conosce il cognome, mancano fotografie a parte alcuni fotogrammi sgranati delle registrazioni video. Si ignora cosa abbia combinato durante la giornata quella donna. Insomma sono più i punti di domanda che quelli esclamativi.

Inarca una sopracciglia e sbotta: «Quali sono gli elementi che vi spingono a credere che sia stata rapita?»

Irene ha un sussulto di vitalità. Mi mette eretta e guarda negli occhi il detective prima di rispondere: «Simona era strana quando le ho telefonato ieri sera. Sembrava reticente, incerta, assente, come se avesse subito un trauma. Non era la Simona che ricordavo. Allegra, spigliata, dinamica…».

Dick l’interrompe, ricordando un dettaglio sfuggito nel racconto. Lo ritiene importante.

«Todd, ieri sera miss Ferrari ha ricevuto un messaggio recapitato da un ragazzino di colore» spiega catturando l’attenzione del poliziotto. «Presumo che sia nella suite. Potrebbe rivelare particolari decisivi per comprendere cosa è successo stasera».

Entrati nella suite dopo una breve ricerca ritrovano la busta con dentro un foglio. Decidono di leggerlo con calma nell’ufficio di Dick. Il contenuto scioglie ogni dubbio residuo. Però inizia la parte più complessa della ricerca: individuare dove è stata nascosta.

Un viaggio, un incubo – diciannovesima puntata

La storia di Simona entra nel vivo e si avvia verso la conclusione. Qui potete leggere le puntate precedenti.

 

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Mark rientra nelle prime ore del pomeriggio nell’appartamento accaldato e soddisfatto, perché è riuscito a piazzare una mezza dozzina di polizze vita, che gli frutteranno ricche provvigioni.

Si fa una lunga doccia, mentre mette a punto il piano per Simona.

«La devo pescare da sola. Caricata sull’auto, poi sarà un gioco da ragazzi! Non può impunemente prendersi gioco del vecchio Mark!» esclama mentre una risata roca illumina la bocca.

Si concentra sul posto ideale dove tendere l’agguato e alla fine lo trova. “Devo avere solo un pizzico di fortuna e poi sarà mia”. Un sorriso gli illumina gli occhi. Ha trovato il punto: l’aspetterà nei pressi del residence. È soddisfatto del piano.

Cambia vestito. Indossa dei vecchi jeans e una polo bianca. Si spruzza un po’ di profumo e poi si dirige con l’auto verso il residence, parcheggiando defilato ma con la visuale dell’ingresso.

Dopo un po’ la vede scendere dalla limousine con un’altra ragazza e inarca le sopracciglia. “Chi è la donna con lei?” si chiede perplesso. Questo potrebbe complicare le cose, ma forse gli agevola il piano, perché sarà più facile intercettarla.

Aspetta paziente che escano dall’Inn Patriot. Non tardano molto per vederle uscire e dirigersi verso il Bryant Park. “Ottima scelta, cara Simona. Ora so dove caricarti in macchina” si dice soddisfatto. Il piano prende forma.

Parcheggia l’auto e le segue a piedi nel parco senza farsi notare. Fischietta allegro, notando che come al solito è stracolmo di persone in cerca di refrigerio sotto gli alberi o sdraiati sul prato. Non c’è una panchina libera, tutte le postazioni sono piene di uomini e donne, che di sicuro non presteranno attenzione a una ragazza appoggiata in modo scomposto a un uomo.

Le osserva mentre si dirigono ai tavoli del Bryant Park Cafè, mentre lui si apposta non visto al limitare del prato.

Ormai è quasi buio e quando le vede spostarsi dal Café al Grill sente un buco nello stomaco.

«Sluts!» dice acido. «Voi mangiate e io qui a pancia vuota! Sluts

Mark pazienta perché sa che la preda è vicina e la vuole catturare.

«Sii paziente e avrai in premio questa donna! Sarà un divertimento assicurato. She will have that deserves it, the slut» ripete più di una volta a voce bassa, mentre reprime i morsi della fame. Per quella ci penserà più tardi.

È buio e la confusione è sovrana nel parco, dove sciamano sul prato moltissime persone. Neppure una panchina libera o un tavolino vuoto. Tutti sono alla caccia disperata di un posto e aspettano che se ne liberi uno.

Il momento si avvicina mentre le segue. Irene si attarda a osservare la giostra dei cavalli e lui colpisce con un colpo secco alla nuca Simona che crolla tra le sue braccia. La trascina verso l’auto senza che faccia un gemito.

Dick ha cupi presentimenti, mentre prosegue il lavoro che sembra non finire mai. La testa piena di pensieri gli impedisce di concentrarsi su quanto sta facendo. Alle dieci p.m. finisce e trasmette il rapporto alla direzione con un ritardo di qualche ora.

Adesso può dedicarsi alla ricerca del Mark di Miss Ferrari. Apre il fascicolo AIX, scarta le polizze piene di codicilli legali e passa a esaminare gli allegati tecnici. Uno di questi, vecchio di sette anni, porta la firma di un certo Mark Flannagan, che spara a zero sull’inefficienza delle serrature elettroniche e sulla disorganizzazione della security. Secondo il report l’assicurazione nello stipulare le polizze per coprire i rischi sulla sicurezza deve tenere conto di queste due gravi deficienze che la potrebbero esporre a probabili risarcimenti. Mark Flannagan suggerisce un contratto con premi maggiorati per coprire i rischi sulla sicurezza.

Un certo Anthony Davis in un allegato, datato tre anni dopo quello di Flannagan, consiglia il cambio delle serrature elettroniche e la riorganizzazione della security. Attraverso tabelle tecniche asserisce che nell’arco di un biennio l’investimento sarebbe riassorbito dai minori costi della polizza assicurativa. La direzione l’anno successivo ha deliberato la spesa e rinegoziato l’importo.

«Dunque è questo Mark Flannagan il Mark di Miss Ferrari!» esclama soddisfatto. «Un broker indipendente che lavorava per conto di AIX. Ecco il motivo di tanta sicurezza nei primi tentativi di entrare nel residence e poi quello notturno ben più pericoloso! Domani mi metto in contatto con l’assicurazione per conoscere l’indirizzo di questo Mark».

Dick sorride per i risultati dell’indagine e per l’intuizione avuta. Il sorriso si smorza in fretta perché la reception l’informa che Miss Ferrari è sparita nel nulla e che l’amica italiana arrivata oggi è in preda al panico.

La notizia riaccende i cupi presentimenti del primo pomeriggio, mentre si avvia alla reception per conoscere i dettagli.

 

Cosa penso di questo libro

I migliori anni

Citazione da “I migliori anni” di Cinzia Giorgio.

Comprendeva tuttavia i sentimenti di sua cognata: essere amati era meraviglioso, ma non riuscire a ricambiare era una tragedia, che per Irene si era perpetuata nei mesi e negli anni, e che a lungo andare l’aveva logorata.

Di Cinzia Giorgio avevo letto in precedenza ‘La collezionista di libri proibiti’, ‘La piccola libreria di Venezia’ e il romanzo storico ‘Maria Maddalena’.

Niente di straordinario ma libri molto godibili. Fra i loro pregi c’era uno stile impeccabile e testi privi di errori o refusi  – evento insolito per la casa editrice Newton Compton famosa per le castronerie che lascia nei libri che pubblica.

Fiducioso ho comprato l’ultimo romanzo di Cinzia Giorgio e sono rimasto deluso non da come scrive ma dalla storia. Senza spoilerare il testo in pratica tratta di due storie con la stessa protagonista, Matilde, che al presente narra le sue angosce nel diventare nonna e scorre nel passato le sue vicende dal 1943 al 1948. Se i flashback hanno una forza espressiva che tiene avvinto il lettore, l’altra parte è di una noia senza fine, perché ripete con monotonia la sua ansia di diventare nonna.

Secondo me sarebbe stato sufficiente un paio di capitoli iniziali – massimo due – dove narra i suoi deliri esistenziale e un capitolo finale dove l’incontro con un vecchio amore la risveglia dal torpore. In mezzo senza interruzioni il lungo flashback che narra le sue vicende durante la guerra e nell’immediato dopoguerra.

Comunque io sono io, lei è l’autrice. Rimane il rammarico di una storia ben scritta a singhiozzo, interrotta qua e là da quel rimuginare e rimasticare la medesima cosa.

Quello che non ho capito se si tratta di un romanzo autobiografico che riguarda la nonna della scrittrice. Però non cambia molto il mio giudizio complessivo.